Antonio Autieri
lunedì 19 ottobre 2009
Giorni fa, in occasione della presentazione romana alla stampa del suo nuovo film “Lo spazio bianco” (di cui abbiamo già parlato su questo sito, dopo il suo passaggio alla Mostra di Venezia), la regista Francesca Comencini ha ricevuto un premio, nuovo e particolare. Voluto dal Fiuggi Family Festival e dal Movimento per la vita, il Premio Pro Life - Gianni Astrei sarebbe stato attribuito per la prima volta a Venezia al film che avesse «contribuito, con i contenuti della storia e con il linguaggio, alla promozione della difesa del valore della vita umana»: così annunciavano alla vigilia del festival i promotori del premio, non ufficiale ma significativo.
Che si è subito attirato l’interesse di alcuni media ma anche le ironie di chi tollera i cattolici, purché se ne stiano al loro posto. I giurati del premio, in ogni caso, hanno scelto appunto “Lo spazio bianco”, che venerdì 16 ottobre è uscito nei cinema. Una scelta felice: la storia della donna matura (un’eccezionale Margherita Buy) che diventa madre e che da sola - il padre non se la sente di starle vicino - deve far fronte a una nascita non solo inaspettata ma anche a rischio, per le conseguenze del parto prematuro è significativa e commovente. Nelle settimane in cui la piccola Irene lotta, nell’incubatrice, per la sopravvivenza, si forma la consapevolezza di una madre apparentemente improbabile di fronte a un fatto più grande dei suoi limiti, che vince le sue resistenze.
A Venezia, dove avrebbe dovuto essere consegnato, il premio fu “congelato”: forse per la partenza anticipata della regista (che non era stata “preallertata” per qualche premio importante dalla giuria ufficiale della Mostra, che assegna il Leone d’oro). O forse perché la Comencini fece sapere che non avrebbe gradito il premio, considerato chi erano i premiatori…
E invece poi qualcuno, per fortuna l’ha convinta. E si è così deciso di consegnarlo a Roma, in occasione della presentazione del film in vista dell’uscita. Però, l’autrice ha pensato bene di marcare la distanza da chi aveva scelto il suo film, leggendo un comunicato in cui ha affermato, tra l’altro: «Il Movimento per la vita è un esercito che combatte, seppure pacificamente, una battaglia che non è la mia. Vorrei che mia figlia, o tutte le sue coetanee, potessero avere accesso alla pillola anticoncenzionale o a quella del giorno dopo, o nel caso di una gravidanza non desiderata, potessero interromperla. Non credo che le donne che interrompono volontariamente una gravidanza siano delle assassine».
E ancora: «Sono credente, di religione valdese. La mia fede non è contraddittoria con una battaglia civile per una normativa laica sulla libertà di scelta delle persone per quanto riguarda la loro vita e la loro morte». E via con altre considerazioni, con tono duro e insofferente per un premio di cui avrebbe fatto a meno.
Ora, al di là di considerazioni sull’opportunità - non poteva ritirare il premio, ringraziando, e poi operare i suoi distinguo in altra sede? - e sui modi, non esattamente oxfordiani, con cui una regista definita dalla critica “sensibile” non si fa scrupoli di tirare metaforici pesci in faccia a chi la omaggia di un premio, si rimane più che perplessi.
Perché, fin dalle motivazioni di giuria e promotori, il premio - intitolato a Gianni Astrei, un medico pediatra che ha ideato e fondato il Fiuggi Family Festival ed è deceduto pochi mesi fa durante una gita in montagna: un uomo intelligente, curioso e desideroso di abbattere gli steccati - non voleva essere un riconoscimento “cattolico” ma sanamente laico, per ricercare un «territorio più alto, quello della cultura della vita che, come il film dimostra, appartiene all'umanità e non agli schieramenti. Forse, anche al di là delle stesse intenzioni della regista, il film dimostra l’incontenibile forza della vita, che, anche se “imperfetta” riesce a riempire il vuoto di un'esistenza».
E invece, la regista ha preferito la linea dello scontro, forse come “excusatio” preventiva rispetto ad ambienti a lei vicini che avevano dileggiato la nascita di un premio “pro life”. O forse perché anche lei aderisce a quest’idea di Italia - purtroppo molto in voga di questi tempi - necessariamente in guerra, dove non ci si può confrontare con l’altro ma solo schierarsi e insultarsi reciprocamente.
Chi scrive, pur non essendo presente a questa imbarazzante performance, immagina l’amarezza di giurati e organizzatori (alcuni dei quali amici e colleghi: il presidente della giuria e direttore del festival di Fiuggi Andrea Piersanti; Emanuela Genovese giornalista di Box Office e Best Movie; Saverio D'Ercole, direttore del settore cinema della Lux Vide) che si sono sforzati con grande umiltà e passione per il bello e il vero di scegliere il film “giusto”.
E non si sono fermati a facili etichette o al curriculum di Francesca Comencini (che in passato ha diretto tra gli altri il documentario Carlo Giuliani ragazzo e i film Mi piace lavorare e A casa nostra), che evidentemente non corrispondeva all’identikit più scontato per il vincitore del loro premio (oltre tutto alla prima edizione). Giurati che hanno spiegato, appunto, nelle motivazioni le ragioni della loro scelta soppesando ogni parola, per evitare che suonassero una incongrua “irreggimentazione” in una fazione o “crociata”. E che si sono infine trovati “ringraziati” con una serie di slogan pronunciati con l’alterigia anche un po’ arrogante di chi non vuole avere a che fare con chi ha di fronte. E glielo dice a chiare lettere.
Però, questo fatto si presta a un’ultima considerazione, forse la più interessante. Chi ha assegnato il premio Pro Life deve pensare di essersi sbagliato (un premio simile a una regista dichiaratamente pro aborto, in effetti, può sembrarlo)? Dovrebbe ricredersi sul valore del film? Assolutamente no. “Lo spazio bianco” rimane un film molto bello, emozionante, vero. Che dimostra non solo la grandezza del cinema, arte che quando è tale supera gli schemi ideologici e fa prevalere solo le ragioni del talento e dell’ispirazione.
Come ha scritto lo sceneggiatore americano Thom Parham nell’interessantissimo libro Cristiani a Hollywood, a cura di Barbara Nicolosi (Edizioni Ares), avviene nel cinema un curioso paradosso: i migliori film cristiani spesso sono fatti da pagani, che non annacquano di buone e melense intenzioni la narrazione di grandi storie. Ma conferma anche la grandezza e l’originalità della vita stessa: dove la verità si manifesta nelle situazioni più impensate. Anche per questo, il premio Pro Life è stato ben assegnato.
lunedì 19 ottobre 2009
Giorni fa, in occasione della presentazione romana alla stampa del suo nuovo film “Lo spazio bianco” (di cui abbiamo già parlato su questo sito, dopo il suo passaggio alla Mostra di Venezia), la regista Francesca Comencini ha ricevuto un premio, nuovo e particolare. Voluto dal Fiuggi Family Festival e dal Movimento per la vita, il Premio Pro Life - Gianni Astrei sarebbe stato attribuito per la prima volta a Venezia al film che avesse «contribuito, con i contenuti della storia e con il linguaggio, alla promozione della difesa del valore della vita umana»: così annunciavano alla vigilia del festival i promotori del premio, non ufficiale ma significativo.
Che si è subito attirato l’interesse di alcuni media ma anche le ironie di chi tollera i cattolici, purché se ne stiano al loro posto. I giurati del premio, in ogni caso, hanno scelto appunto “Lo spazio bianco”, che venerdì 16 ottobre è uscito nei cinema. Una scelta felice: la storia della donna matura (un’eccezionale Margherita Buy) che diventa madre e che da sola - il padre non se la sente di starle vicino - deve far fronte a una nascita non solo inaspettata ma anche a rischio, per le conseguenze del parto prematuro è significativa e commovente. Nelle settimane in cui la piccola Irene lotta, nell’incubatrice, per la sopravvivenza, si forma la consapevolezza di una madre apparentemente improbabile di fronte a un fatto più grande dei suoi limiti, che vince le sue resistenze.
A Venezia, dove avrebbe dovuto essere consegnato, il premio fu “congelato”: forse per la partenza anticipata della regista (che non era stata “preallertata” per qualche premio importante dalla giuria ufficiale della Mostra, che assegna il Leone d’oro). O forse perché la Comencini fece sapere che non avrebbe gradito il premio, considerato chi erano i premiatori…
E invece poi qualcuno, per fortuna l’ha convinta. E si è così deciso di consegnarlo a Roma, in occasione della presentazione del film in vista dell’uscita. Però, l’autrice ha pensato bene di marcare la distanza da chi aveva scelto il suo film, leggendo un comunicato in cui ha affermato, tra l’altro: «Il Movimento per la vita è un esercito che combatte, seppure pacificamente, una battaglia che non è la mia. Vorrei che mia figlia, o tutte le sue coetanee, potessero avere accesso alla pillola anticoncenzionale o a quella del giorno dopo, o nel caso di una gravidanza non desiderata, potessero interromperla. Non credo che le donne che interrompono volontariamente una gravidanza siano delle assassine».
E ancora: «Sono credente, di religione valdese. La mia fede non è contraddittoria con una battaglia civile per una normativa laica sulla libertà di scelta delle persone per quanto riguarda la loro vita e la loro morte». E via con altre considerazioni, con tono duro e insofferente per un premio di cui avrebbe fatto a meno.
Ora, al di là di considerazioni sull’opportunità - non poteva ritirare il premio, ringraziando, e poi operare i suoi distinguo in altra sede? - e sui modi, non esattamente oxfordiani, con cui una regista definita dalla critica “sensibile” non si fa scrupoli di tirare metaforici pesci in faccia a chi la omaggia di un premio, si rimane più che perplessi.
Perché, fin dalle motivazioni di giuria e promotori, il premio - intitolato a Gianni Astrei, un medico pediatra che ha ideato e fondato il Fiuggi Family Festival ed è deceduto pochi mesi fa durante una gita in montagna: un uomo intelligente, curioso e desideroso di abbattere gli steccati - non voleva essere un riconoscimento “cattolico” ma sanamente laico, per ricercare un «territorio più alto, quello della cultura della vita che, come il film dimostra, appartiene all'umanità e non agli schieramenti. Forse, anche al di là delle stesse intenzioni della regista, il film dimostra l’incontenibile forza della vita, che, anche se “imperfetta” riesce a riempire il vuoto di un'esistenza».
E invece, la regista ha preferito la linea dello scontro, forse come “excusatio” preventiva rispetto ad ambienti a lei vicini che avevano dileggiato la nascita di un premio “pro life”. O forse perché anche lei aderisce a quest’idea di Italia - purtroppo molto in voga di questi tempi - necessariamente in guerra, dove non ci si può confrontare con l’altro ma solo schierarsi e insultarsi reciprocamente.
Chi scrive, pur non essendo presente a questa imbarazzante performance, immagina l’amarezza di giurati e organizzatori (alcuni dei quali amici e colleghi: il presidente della giuria e direttore del festival di Fiuggi Andrea Piersanti; Emanuela Genovese giornalista di Box Office e Best Movie; Saverio D'Ercole, direttore del settore cinema della Lux Vide) che si sono sforzati con grande umiltà e passione per il bello e il vero di scegliere il film “giusto”.
E non si sono fermati a facili etichette o al curriculum di Francesca Comencini (che in passato ha diretto tra gli altri il documentario Carlo Giuliani ragazzo e i film Mi piace lavorare e A casa nostra), che evidentemente non corrispondeva all’identikit più scontato per il vincitore del loro premio (oltre tutto alla prima edizione). Giurati che hanno spiegato, appunto, nelle motivazioni le ragioni della loro scelta soppesando ogni parola, per evitare che suonassero una incongrua “irreggimentazione” in una fazione o “crociata”. E che si sono infine trovati “ringraziati” con una serie di slogan pronunciati con l’alterigia anche un po’ arrogante di chi non vuole avere a che fare con chi ha di fronte. E glielo dice a chiare lettere.
Però, questo fatto si presta a un’ultima considerazione, forse la più interessante. Chi ha assegnato il premio Pro Life deve pensare di essersi sbagliato (un premio simile a una regista dichiaratamente pro aborto, in effetti, può sembrarlo)? Dovrebbe ricredersi sul valore del film? Assolutamente no. “Lo spazio bianco” rimane un film molto bello, emozionante, vero. Che dimostra non solo la grandezza del cinema, arte che quando è tale supera gli schemi ideologici e fa prevalere solo le ragioni del talento e dell’ispirazione.
Come ha scritto lo sceneggiatore americano Thom Parham nell’interessantissimo libro Cristiani a Hollywood, a cura di Barbara Nicolosi (Edizioni Ares), avviene nel cinema un curioso paradosso: i migliori film cristiani spesso sono fatti da pagani, che non annacquano di buone e melense intenzioni la narrazione di grandi storie. Ma conferma anche la grandezza e l’originalità della vita stessa: dove la verità si manifesta nelle situazioni più impensate. Anche per questo, il premio Pro Life è stato ben assegnato.
2 commenti:
Grazie per la difesa appassionata della nostra decisione di premiare proprio questo film. Diceva un mio caro amico, un magistrato, che il fatto artistico è preterintenzionale, che va al di là della misera condizione umana. Per allargare la riflessione rimando le persone interessate alla lettura di quella straordinaria "lettera" che Giovanni Paolo II volle rivolgere agli artisti di tutto il mondo. Andrea Piersanti
Grazie, signor Andrea Piersanti, perché la vostra scelta sembrerebbe assurda ma non lo è assolutamente, è "solamente" uno di quegli splendidi paradossi che usava Chesterton e che affascinano ancora oggi.
Bravi!
Grazie della sua attenzione e continui a seguirci e ci segnali quanto di bello e di giusto fate!
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