sabato 31 luglio 2010

È morta Suso Cecchi d'Amico














E' morta oggi 31 Luglio 2010 Suso Cecchi D'Amico, una delle più grandi sceneggiatrici del nostro cinema.

Aveva 96 anni.

Per molti anni si dedica alla traduzione di testi letterari inglesi e francesi, nello stesso tempo intraprendendo l'attività giornalistica.

Si unisce in matrimonio con il critico musicale Fedele D'Amico. Debutta nella scrittura cinematografica con "Mio figlio professore" (1946) di Renato Castellani, firmato assieme al padre ed al commediografo Aldo De Benedetti. Collabora con Tellini e Luigi Zampa a "Vivere in pace" (1947) e "L'onorevole Angelina" con Cesare Zavattini ("Ladri di biciclette", "Miracolo a Milano"), con Michelangelo Antonioni ("I vinti", "La signora senza camelie","Le amiche"), con Francesco Rosi ("La sfida", "I magliari", "Salvatore Giuliano"), con Alessandro Blasetti ("Tempi nostri", "Peccato che sia una canaglia",) con Renato Castellani ("Nella città l'inferno"), con Luchino Visconti (da "Bellissima" in quasi tutti i film), con Franco Zeffirelli ("La bisbetica domata", "Fratello sole, sorella luna", e "Gesù di Nazareth"), con Citto Maselli ("Gli indifferenti"), con Luigi Comencini ("Le avventure di Pinocchio"), con Nikita Mikhalkov per "Oci ciornie", con Mario Monicelli ("Speriamo che sia femmina" ed "Il male oscuro").

Perché noi chestertoniani la ricordiamo?

Perché era la figlia del grande Emilio Cecchi, primo estimatore, traduttore e mentore italiano del nostro grande Chesterton.

Questo nessun giornale lo ha detto, lo diciamo noi, facendo le condoglianze alla famiglia.

venerdì 30 luglio 2010

Lo scrittore Adam Langer racconta la sua estate passata a leggere Chesterton


In questo collegamento con il sito del Los Angeles Times, giornale statunitense, trovate un'intervista allo scrittore americano Adam Langer (l'autore di I giorni felici di California Avenue, edito in Italia da Einaudi) in cui egli racconta la lettura, fatta nel lontano 1983, de L'Uomo che fu Giovedì, di cui dice "The novel (...) was unlike anything I’d ever read before -- so fanciful, so mysterious, so unpredictable and funny and magical and, at times, horrifying too.

Dichiara di averlo riletto almeno una dozzina di volte.

Interessante.

giovedì 29 luglio 2010

Paolo Rodari intervista il card. Saraiva Martins: Benedetto XVI ha voluto fare beato Newman perché è come lui.


Diamo ancora spazio al futuro beato John Henry Newman.

LUG 29, 2010 IL FOGLIO

“Joseph Ratzinger è affascinato da John Henry Newman perché nel cardinale inglese convertito al cattolicesimo dall’anglicanesimo vede in qualche modo se stesso. Newman quando era anglicano fondò a Oxford un movimento religioso, il ‘Movimento di Oxford’, che aveva come obiettivo la salvezza della chiesa anglicana dal liberalismo del giorno, quel liberalismo che era antidogmatico per principio. Anche Ratzinger vuole liberare la cristianità da ogni liberalismo. E ancorarla sulla purezza della fede, della dottrina, del suo credere bimillenario. E, come Newman lo vuole fare salvando, integrando, non escludendo le fazioni estreme”.
José Saraiva Martins, portoghese, è un cardinale della curia romana oggi in pensione. Da due anni ha lasciato la guida della Congregazione per le cause dei santi. Ma è ancora pieno di energie. Nella sua abitazione adiacente il Vaticano scrive, studia e aspetta il 19 settembre, il giorno in cui il suo “allievo prediletto”, appunto Newman, verrà beatificato dal Papa in quel di Cofton Park, periferia di Birmingham. Newman un suo allievo? “In un certo senso sì – dice – Sono stato per diversi anni rettore dell’Università Urbaniana. Newman nel 1846-47 fu allievo dell’Urbaniana (allora si chiamava Collegio di Propaganda Fide, ndr). Nell’aula del Senato accademico, il cuore dell’Università, ho fatto mettere un ritratto dell’allievo ‘più illustre’, appunto Newman. Perché nessuno lo dimentichi”.
Quali sono le forze estreme che Ratzinger vuole salvare? “La via del Papa è in un certo senso la ‘via media’ di Newman. Il cardinale inglese prima di convertirsi sognava un anglicanesimo vicino a Roma, una confessione religiosa che mantenesse la propria identità senza cedere negli estremismi. Così vuole Benedetto XVI. I segnali, le aperture fatte oggi verso gli anglicani e ancora prima verso i lefebvriani dicono questo: la strada è quella dell’unità senza ledere le diversità. Nella chiesa ci sono sempre state spinte anti-romane, o semplicemente estreme. Il Papa non vuole che nessuno si senta escluso”.
Poi però Newman abbandonò il suo sogno e si convertì al cattolicesimo. Dice Saraiva: “Visse con dolore il distacco dall’anglicanesimo. Ma il suo non fu un rinnegamento. Era convinto che nella chiesa cattolica ci fosse la verità. Ed era convinto che la strada della ricerca della verità fosse percorribile da chiunque, anche da ogni anglicano. La ricerca della verità è stata una costante nella sua vita. Fin dalla giovanissima età. Come Ratzinger, anche Newman era uno studioso appassionato dei padri della chiesa dei primi secoli. Furono i padri a trascinarlo verso Roma, verso il Papa. Dai padri apprese la perfezione evangelica. La purezza del cristianesimo, quella purezza che oggi il Papa chiede che la chiesa cattolica riscopra. Newman nacque in un’epoca travagliata molto simile alla nostra. Ogni certezza vacillava. I credenti dovevano combattere contro la minaccia del razionalismo e del fideismo. Il razionalismo rifiutava l’autorità e la trascendenza, il fideismo distoglieva le persone dalle sfide della storia e generava in loro una dipendenza insana dall’autorità e dal soprannaturale. Per Newman l’unione di fede e ragione erano la sintesi necessaria contro queste derive. Fede e ragione erano per lui due ali per raggiungere la contemplazione della verità’”.
Newman morì l’11 agosto 1890. Il quotidiano londinese Times pubblicò il giorno successivo un lungo elogio funebre che terminava così: “Di una cosa possiamo essere certi, cioè che il ricordo di questa pura e nobile vita durerà e che egli sarà santificato nella memoria della gente pia di molte confessioni in Inghilterra. Il santo che è in lui sopravvivrà”. Spiega Saraiva: “Ha scritto bene il Times. Perché Newman è un esempio per tutti, anche e soprattutto per gli anglicani. Tutta la sua vita fu fondata su un sano ecumenismo. Questo non è ricerca di un qualcosa che accomuna fedi diverse. Non è anzitutto questo. E’ piuttosto ricerca assieme della verità. Newman questo dettame mise in pratica. La ricerca lo portò a Roma. Non è detto che per tutti l’approdo debba essere lo stesso. Credo che Ratzinger condivida in pieno questo esercizio ecumenico di Newman: verso le diverse fedi cristiane ha un approccio libero, non pone paletti, è aperto verso tutti e rispetta la storia di tutti. Non a caso ha promulgato la costituzione apostolica Anglicanorum coetibus. Non a caso ha parlato più volte del primato di Pietro, della necessità di salvaguardarlo ma nel rispetto delle diverse posizioni che in merito hanno ad esempio gli ortodossi”.
Il processo fino alla beatificazione di Newman non è stato breve. Newman è stato riconosciuto venerabile nel 1991. Il miracolo che gli ha permesso di divenire beato è invece recentissimo. Dice Saraiva: “Ho seguito da vicino tutte le fasi del processo. Quando si parlava del miracolo della guarigione per intercessione di Newman del diacono permanente Jack Sullivan mandai un esperto della Congregazione a verificare, ad appurare ogni cosa. Così abbiamo fatto in ogni fase del processo. Tutto deve essere fatto con rigore e senza errori. Per questo dico sempre, e lo ripeto anche per Newman: non esiste un processo lungo o un processo corto. Ogni processo ha i suoi tempi che dipendono dalla mole di documenti e testimonianze da verificare. Il ‘caso Newman’ aveva tantissimi documento da vagliare. E tutti sono stati visionati”.

Pubblicato sul Foglio giovedì 29 luglio 2010

Dal prof. Carlo Bellieni - Aborto e altro


Francia, otto neonati sepolti dalla madre nel giardino degli orrori
Sembra strano che questa signora abbia tenuto nascosto il pancione al marito per 12 volte di seguito, fino alla fine della gravidanza. Tutto è possibile, ma ci sembra più verosimile che le gravidanze si siano interrotte con la nascita del feto (vivo o morto) prima che il pancione fosse visibile: altrimenti come non accorgersene? E come si chiama l'interruzione di gravidanza prima del termine? Ecco perché l'indignazione su questo fatto ci stupisce, se invece è associata alla quotidiana accettazione e approvazione dell'aborto. CI fa orrore solo se si vede il corpicino? Basta che non si veda perché il tutto diventi improvvisamente morale?
 
Archives of Sexual Behavior
Multiple Aspects of Sexual Orientation: Prevalence and Sociodemographic Correlates in a New Zealand National Survey.

Gli eterosessuali secondo questo studio hanno una minor possibilità degli omosessuali di aver sperimentato eventi avversi nell'infanzia. Non commentiamo, ma diciamo solo che ci sembra uno studio da approfondire.
 
 
 
 
 
 
 

American Academy of PediatricsCancer Risk in Children and Young Adults Conceived by In Vitro Fertilization

I bambini concepiti da fecondazione in vitro avrebbero una maggior possibilità (1.42 contro 1) degli altri di avere un cancro. Lo studio è stato condotto su 26692 bambini.
postato da: carlobellieni alle ore 28/07/2010 23:06 | Permalink | commenti
categoria:fec in vitro




mercoledì 28 luglio 2010

Paolo Rodari parla della beatificazione del card. John Henry Newman


In questo collegamento trovate un interessante articolo tratto dal blog di Paolo Rodari sulla prossima beatificazione del card. John Henry Newman, cui anche Chesterton deve molto.

Due grandi amici al Fiuggi Family Festival, domani


Vi segnaliamo questo interessante incontro di domani al Fiuggi Family Festival (la bella rassegna in corso) a cui parteciperanno due grandi amici: Fabio Trevisan, che parlerà di Uomini d'allevamento, la poliedrica opera ispirata a Eugenetica e altri malanni di Chesterton, e Pino Noia, ginecologo e docente universitario impegnato sul fronte della vita e grande estimatore di Chesterton.

giovedi 29 luglio – ore 16.30/18.30

L’Uomo: prodotto perfetto

partecipano Anna e Giovanni Rimoldi, Lucio Romano, Pino Noia e Fabio Trevisan

Eterna giovinezza, selezione di embrioni perfetti, potenziamento artificiale delle capacità, sessualità sterile, procreazione artificiale … la medicina viene sempre più chiamata a realizzare desideri, talora anche a costo di negare l’essenza stessa di chi avanza la richiesta: il prezzo da pagare potrebbe essere quello di abdicare alla propria Umanità. Chi ne pagherà per primo le spese?

Fabio Trevisan ci parla di padre Vincent McNabb



Il nostro amico e socio Fabio Trevisan ci parla di padre Vincent McNabb, amico di Chesterton e Belloc, su cui il nostro vicepresidente Paolo Gulisano ha scritto un bel volumetto.

Con l’imminente beatificazione del Card. John Henry Newman (1801-1890) che condurrà l’attuale Pontefice Benedetto XVI in Inghilterra nel prossimo mese di settembre, credo che si possa inaugurare una nuova stagione di riscoperta della fede e valorizzare nuove figure di beati che in quella terra hanno operato e vissuto. Anche Padre Vincent McNabb (1868-1943) appartiene a questa gloriosa schiera di santi della Chiesa.

La preghiera per la sua canonizzazione compendia una vita dedita alla “carità nella verità” e spesa coerentemente nel servizio alla Chiesa fino alla morte: “Signore, ci donasti il Tuo Servo Vincent McNabb come un esempio di servizio ai poveri, ai senza fissa dimora, e ai disoccupati, e come un coraggioso combattente contro il modernismo e la “cultura della morte”. Per la preoccupazione ardente di Padre McNabb per chi è nel bisogno, riscalda i nostri cuori e le nostre vite con la compassione per i poveri, la giustizia per gli oppressi, la speranza per chi è tormentato, e il coraggio per chi è nel dubbio. Noi preghiamo che la Chiesa che lui tanto amò e servì, riconosca la sua via di santità e lo proclami santo tra i santi nel cielo.

Amen.” Chi era Vincent McNabb ? Perché è ancora sconosciuto in Italia ? Qual è la sua “attualità” ?

Egli era nativo dell’Irlanda del Nord, appartenente ad una famiglia numerosa, decimo di undici figli. Vincent fu il nome che assunse quando divenne frate domenicano in Inghilterra, dov’era emigrato, in onore di un altro santo domenicano spagnolo, San Vincenzo Ferrer. Amico dei Chesterton ( i fratelli Gilbert e Cecil ) e di Hilaire Belloc, fu un autentico protagonista di quella grandiosa “epopea” culturale inglese dei primi ‘900.

Volle interpretare con fedeltà lo spirito della Dottrina Sociale della Chiesa, soprattutto dopo l’enciclica di Leone XIII “Rerum novarum” del 1891. Nacque così un movimento, che lo vide tra i protagonisti, denominato “Distributismo”, il quale attraverso la distribuzione della piccola proprietà cercava di difendere la famiglia, la libertà e l’indipendenza economica, baluardi imprescindibili della vita e della verità cristiana.

Da buon frate “mendicante” percorse l’Inghilterra in lungo e in largo, offrendo una testimonianza forte e coerente di fede vissuta anche in pubblico, tanto da venire apostrofato quale “Santo di Hyde Park” poiché quasi ogni Domenica pomeriggio dal famoso Speaker’s corner manifestava la sua fede e i suoi ideali cristiani a tutti. Grande e stimato oratore, fu invitato perfino a dibattere con uno dei personaggi più famosi dell’epoca, George Bernard Shaw. Padre McNabb non si sottrasse mai all’impegno pubblico di difensore della fede e delle radici cristiane, dando battaglia soprattutto alle imperversanti ideologie che attraversarono l’intero Occidente.

Come ha ben descritto Paolo Gulisano nell’unica biografia (Babylondon, Edizioni Studio Domenicano) in lingua italiana su di lui, “la famiglia, per Padre McNabb, è la base di tutta la vita sociale e quindi tutte le proposte dovevano essere testate per il loro effetto sulla Famiglia”.

Condannò, senza mezzi termini, in Hyde Park ed in ogni altro luogo, il micidiale attacco che il mondo moderno stava sferrando contro l’istituto familiare: il divorzio, il controllo artificiale delle nascite e l’eugenetica. Alfiere ante litteram di politiche a sostegno della famiglia, con il Distributismo volle anzitutto salvaguardare la Famiglia su quello che lui chiamava “il modello di Nazareth”.

Nel suo libro: “The Church and the Land”, non ancora disponibile in lingua italiana, definì la famiglia come “la misura di Nazareth”, cioè il metro con il quale valutare ciò che avveniva nel mondo, impegnanondosi nel dare battaglia alle idee anti-cristiane che imperversavano del dibattito politico, sociale e culturale.

Ancor oggi, e forse questo spiega in parte il suo oblio, la famiglia non è al centro della vita politica e culturale, così come non lo sono le radici cristiane e la testimonianza pubblica della fede.

Per il frate domenicano: “ Se il mondo voleva liberarsi dalle catene delle sue paure, doveva tornare alla Chiesa”. Da buon discepolo di San Tommaso d’Aquino egli volle tradurre la “Summa Teologica” in inglese e spesso lo fece pregando in ginocchio. Affermava: “Ogni peccato è, essenzialmente, un peccato contro la ragione ed il peccato lancia l’inferno nel mondo”.

Per opporsi a quella che lui chiamò, coniando il termine, “Babylondon” (la Babilonia londinese) bisognava ri-costruire una civiltà cristiana fondata sulla famiglia, sulla cultura, sulla fede. Contro quella che lui chiamava “nuova barbarie”, bisognava far ritorno a Nazareth, al modello della Sacra Famiglia e ad una vita ordinata secondo le leggi di Dio.

Egli diceva: “La fede è l’unica cosa degna per cui valga la pena di vivere. Se una cosa non merita che si muoia per lei, non merita neppure che per lei si viva”.

Amava intensamente la Chiesa e pregava per Lei, mostrando innanzitutto grande interesse nel voler riavvicinare la Chiesa Anglicana a quella Cattolica.

Valente studioso e teologo, la sua disamina partiva dalla concezione della vita dell’uomo segnata dal peccato originale, ma non definitivamente corrotta. Seppur consapevole dell’esilio dell’uomo “in questa valle di lacrime”, come amava ripetere recitando il Salve Regina, egli era pure conscio che il dolore non poteva impedire di scorgere l’autentica gioia cristiana; quella gioia che con l’amico Chesterton chiamava “il vero segreto del cristiano”.

Coltivava così, come ben ricorda Paolo Gulisano, l’eutrapelia, la virtù del buon umore, come la coltivò un suo grande predecessore, San Tommaso Moro, patrono dei politici.

La gioia cristiana era, per Padre McNabb, la vittoria della vita sulla “cultura della morte”.

Egli diceva: “Gli occhi umani non sono stati fatti per piangere. Essi sono stati creati per vedere”.

Vedere la bellezza del creato nella quale si rispecchia la bellezza di Dio Creatore. Riconoscere con gratitudine l’amore di Dio e gioirne: ecco il vero segreto del cristiano.

Padre Vincent McNabb compose una splendida preghiera, oltre ad aver scritto numerose altre opere, nella quale volle restituire un ruolo centrale a Dio. In un mondo che, come il nostro, aveva relegato la presenza di Dio ai margini, incoraggiò ciascuno a mettersi umilmente un po’ da parte per potersi aprire a Cristo Salvatore. Lo fece con rispetto, umiltà e soprattutto coltivando quella “carità nella verità” che poteva guarire la persona malata di soggettivismo e incrostata di ideologie.

Ecco la sua commovente e intensa preghiera:

“Signore Gesù, salvami!

Colui che tu ami è smarrito.

Ho perso te.

Non riesco a trovare te.

Cercami. Trovami.

Non riesco a trovare te.

Ho perso la mia strada.

Tu sei la Via.

Ritrovami, o io sono completamente perso.

Tu mi ami.

Io non so se ti amo, ma so che tu mi ami.

Io non chiedo il mio amore, ma il tuo.

Io non chiedo la mia forza, ma la tua.

Io non chiedo la mia iniziativa, ma la tua.

Colui che tu ami è malato.

Non oso dire:

Colui che ti ama è malato.

La mia malattia è che io non ti amo.

Il che è la fonte della mia malattia che si sta avvicinando alla morte.

Sto affondando:

sollevami.

Vieni a me sulle acque,

Signore Gesù, colui che tu ami è malato”.

Fabio Trevisan

Il White Hart, la locanda di Beaconsfield in cui Chesterton e signora decisero che da quelle parti avrebbero preso casa.

Chesterton nella sua Autobiografia (di prossima pubblicazione per Lindau) racconta di una sorta di seconda luna di miele con la moglie, qualche tempo dopo il matrimonio.

Il racconto è spassosissimo: Chesterton e sua moglie Frances Blogg decisero di partire senza una meta precisa, chiesero in stazione a Kensington (dove avevano stabilito la loro dimora appena sposati e dove Gilbert era nato) il biglietto per il primo treno in partenza, sotto gli occhi smarriti del bigliettaio che chiedeva: "per dove?". Così arrivarono a Slough, e da lì girovagando arrivarono a Beaconsfield e a questa locanda, ancora esistente come potete vedere, in cui Gilbert disse che lì avrebbero un giorno preso casa. E così fu, e lì visse e morì il nostro Eroe, con la sua cara e buona moglie Frances.
E' bello, no?

Volete sentire la voce di Hilaire Belloc? Eccola!

In questo video ci sono alcuni minuti di registrazione della voce dello scrittore Hilaire Belloc.
Si tratta di canzoni scritte e musicate da lui.
Belloc era uno dei migliori amici -se non il migliore- di Chesterton.
Insieme meritarono il titolo di Chesterbelloc, tanto "scorporati" erano.
Eccovi la voce di Belloc.

martedì 27 luglio 2010

Domenica secondo Neil Gaiman

Quello che vedete è uno schizzo di Neil Gaiman (quello del romanzo, divenuto film, Coraline, grande ammiratore di Chesterton) che rappresenta Domenica de L'Uomo che fu Giovedì.

Ecco Henry James, gravemente turbato da Gilbert e Hilaire

Ovviamente facciamo riferimento al post di domenica scorsa riguardante la prossima pubblicazione dell'Autobiografia chestertoniana.

La Festa Bella di Spelonga, rievocazione della Vittoria di Lepanto.

In un piccolo villaggio ai confini tra Marche e Abruzzo, si svolge da tantissimi anni la cosiddetta Festa Bella: ogni tre anni viene rievocata la Battaglia di Lepanto cui si dice parteciparono oltre cento abitanti di Spelonga, frazione del Comune di Arquata del Tronto (AP) sui primi contrafforti dei bellissimi Monti della Laga. Gli eroici spelongani tornano vincitori e portarono a casa una grande bandiera ottomana rossa con stelle e mezzelune, ancora conservata nella chiesa del paese.

La Battaglia di Lepanto fu una memorabile mobilitazione di tutta la Cristianità, voluta da Papa San Pio V, che per questa causa fece dire il Rosario in tutta la Chiesa e che istituì, al ritorno da Lepanto delle truppe, la festa della Madonna della Vittoria il 7 Ottobre, poi Fesa della Madonna del Rosario. A San Benedetto del Tronto (AP) il 7 Ottobre era il giorno de Lu Rolle, la divisione dei proventi del pescato tra i marinai, e si svolgeva in questo giorno proprio per la ricorrenza di Lepanto. A Salò (BS) si ricorda la porta del bel Duomo da cui i soldati volontari si imbarcarono sul Lago di Garda per raggiungere Desenzano ed imbarcarsi a Venezia.

In questo collegamento trovate il sito internet di tutta la Festa e anche un bel video che racconta quello che succede.

Il bello è che è una festa di popolo.

C'è ancora, per fortuna, chi è orgoglioso di essere cristiano e di aver avuto degli avi che hanno difeso la propria religione col sangue quando servì.

Ricordiamo a tutti che il giovane Chesterton scrisse una lirica chiamata Lepanto che sembra che, musicata, fosse cantata dalle truppe inglesi nelle trincee della Prima Guerra Mondiale.

lunedì 26 luglio 2010

I paralleli cruciali tra Chesterton e Tolkien


In questo collegamento trovate un'interessante intervista a Alison Milbank, studiosa inglese di religione anglicana, lettrice di teologia e letteratura inglese a Cambridge, che ha dedicato parte dei suoi sforzi a Tolkien e a Chesterton, dedicando a questi nostri due cari amici un volume, inedito in Italia e apparso nel 2007 in Inghilterra, dall'eloquente titolo "Chesterton and Tolkien as theologians" (Chesterton e Tolkien come teologi).

L'intervista è tratta dal sito di lingua inglese www.tolkienlibrary.com. Alison Milbank è stata un paio di anni fa ospite del Meeting di Rimini, dove appunto partecipò ad un incontro di presentazione del volume "Eugenetica e altri malanni". All'incontro partecipò anche il prefatore Luca Volontè.

Pensiamo di farvi cosa gradita traducendo all'impronta una delle risposte della Milbank, quella riguardante le somiglianze tra Tolkien e Chesterton:

Quali sono le somiglianze tra Tolkien e Chesterton?

Le somiglianze tra Chesterton e Tolkien sono numerose ma questi sono un po' di paralleli cruciali:

1. Entrambi erano di fede cattolica.
2. Entrambi avevano un'intenso amore per l'Inghilterra, e amore dello specifico panorama locale.
3. Crebbero leggendo William Morris, George MacDonald e i libri di favole di Andrew Lang.
4. Entrambi godevano nel creare mondi, Tolkien scrivendo e dipingendo, Chesterton specialmente attraverso il teatro delle marionette.
5. Cercarono una politica e un'ecologia che restaurasse modelli di produzione non alienati.
6. Per entrambi, il romanzo e la finzione erano modi di raccontare la verità.
7. Come ho detto sopra, entrambi erano filosoficamente moderati realisti, influenzati da Tommaso d'Aquino.

domenica 25 luglio 2010

Il Giornale di oggi 25 Luglio 2010 anticipa un passo dell'Autobiografia di Chesterton

Su concessione dell'editore Lindau trovate, sull'edizione cartacea di oggi 25 Luglio 2010 de Il Giornale, uno stralcio della «Autobiografia» di G.K. Chesterton in preparazione la fine di agosto. È il passo (sarà cacofonico ma bisogna dirlo: è spassoso) in cui il nostro Gilbert racconta di un episodio che ha come protagonista lo scrittore americano Henry James. La conversazione tra James e Chesterton viene interrotta da alcuni suoi amici un po' scapigliati tra cui spicca Hilaire Belloc che cercava birra e prosciutto al ritorno da una delle sue epiche avventure. Belloc e l'altro compare esordirono accusandosi l'un l'altro di essersi lavati contravvenendo le regole dei veri viaggiatori...
Capite che questo ritorno in libreria sarà interessante...

sabato 24 luglio 2010

Una targa sul luogo del primo incontro tra Chesterton e Belloc!

http://www.westendextra.com/news/2010/jul/gk-chesterton-and-hilaire-belloc-chinatown-celebrates-links-writers-green-plaque


In questo collegamento trovate una notizia singolare: nel 1900 in Gerrard Street a Londra c'era il Mount Blanc Restaurant. Lì si incontrarono per la prima volta e fecero fuori una bella bottiglia di Moulin-a-Vent Hilaire Belloc e Gilbert Keith Chesterton. I signori che vedete nella foto hanno pensato bene di piazzare sul posto una bella targa verde (il che è cosa buona e istruttiva). Oggi c'è un altro ristorante e la zona è diventata la China Town londinese.
Bravi agli organizzatori!

venerdì 23 luglio 2010

Gay e trasfusioni

Trasfusioni

Les homosexuels masculins toujours exclus du don du sang

In Francia viene ribadita l'esclusione delle persone omosessuali maschi dal donare il sangue. Le motivazioni:il tasso di contaminazione da AIDS tra il 10 e il 18%, contro lo 0.2% della restante popolazione, secondo le dichiarazioni del Ministro della Sanità riportate dal Le Monde e Liberation. Il ministro spiega che non si tratta di discriminazione, ma di "questione di salute trasfusionale".

U.S. Food and Drug Administration

FDA Policy on Blood Donations from Men Who Have Sex with Other Men

Vi ricordate quanto polverone suscitò in Italia la "scoperta" che i "maschi che fanno sesso con maschi" non possono donare il sangue? In realtà è una norma di sanità pubblica contro l'AIDS. Ma volevano toglierla in nome di cosa...? Negli USA la FDA, l'ente per la salute pubblica, l'ha oggi rinnovata. E qui spiega perché.


Il caso Rudd - Quel battito di ciglia che divide le coscienze tra la vita e la morte

Gianfranco Amato - Il Sussidiario

martedì 20 luglio 2010

Memorabili sono rimaste le parole di Enzo Jannacci a proposito del caso Englaro, quando ha dichiarato che se suo figlio si fosse trovato nelle condizioni della ragazza di Lecco, «sarebbe bastato un solo battito delle ciglia» a farglielo sentire vivo. Ed è stato proprio un battito di ciglia a salvare Richard Rudd, destinato a subire la stessa tragica sorte della povera Eluana.
 
Il giorno 23 ottobre 2009, il quarantatreenne Richard Rudd, ex autista di autobus di Kidderminster e padre di due ragazze, ha un appuntamento con il destino. Mentre si sta recando dalla fidanzata con la sua Suzuki 750cc, viene travolto all'improvviso da un'auto che esce a tutta velocità da una stazione di rifornimento. L'impatto tra i due mezzi è particolarmente violento, come conferma il fatto che Richard sia stato scaraventato a sei metri di distanza dalla moto che guidava.
 
Fin da subito si comprende la gravità delle condizioni dell'uomo. Viene portato d'urgenza alla Neuro Critical Care Unit dell'Addenbrooke's Hospital di Cambridge, circostanza che, come vedremo, si rivelerà provvidenziale per Richard.
 
Anche se inizialmente era in grado di parlare e muove i propri arti, tre giorni dopo l'incidente, a seguito di gravi complicazioni insorte durante l'operazione chirurgica, gli vengono diagnosticati seri danni al cervello ed una paralisi completa. Un ulteriore aggravamento dello stato degli organi interni fa entrare Richard in uno stato comatoso.
 
Di fronte all'immagine del proprio congiunto inchiodato al letto d'ospedale, completamente paralizzato, in stato vegetativo e tenuto in vita da una macchina, i familiari non hanno esitazioni, ricordando quanto lo stesso Richard andava ripetendo circa la sua intenzione di non volersi mai trovare, un giorno, «intrappolato in un corpo inutile».
 
Il padre di Richard, soprattutto, era certo che il proprio figlio non avrebbe voluto vivere in quelle condizioni, e a riprova della propria convinzione citava a tutti il fatto che, durante una discussione su un suo amico paralizzato a seguito di incidente, Richard avesse così ammonito i familiari: «Se dovesse mai capitare questo a me, io non voglio sopravvivere vegetando; io non voglio diventare come lui». Da qui l'intenzione convinta di staccare la spina.
 
Il padre di Richard, peraltro, come Beppino Englaro, aveva le idee molto chiare sul tema, sostenendo che «mantenere qualcuno vivo artificialmente, mentre soffre e non riesce a migliorare, è come sostituirsi a Dio, in un certo senso, perché significa agire contro natura».
 
Per sua fortuna, Richard viene affidato alle cure del Professor David Menon uno dei maggiori esperti mondiali del trattamento dei danni al cervello, ed il fondatore, tredici anni fa, proprio della Neuro Critical Care Unit (NCCU) dell'Addenbrooke's Hospital, una delle più grandi strutture d'Europa con la sua capacità ricettiva di 21 pazienti.
 
Pur dichiarandosi propenso a seguire le indicazioni della famiglia e ad assecondare la volontà espressa da Richard, il Prof. Menon suggerisce, comunque, un breve periodo di attesa, giusto per consentire un'ulteriore verifica.
 
E proprio quando la famiglia Rudd si era preparata mentalmente per dire addio al proprio congiunto, avviene l'imprevisto.
 
Il Prof. Menon si accorge che Richard, nonostante la gravissima situazione in cui versava, è tuttavia in grado di muovere i propri occhi ed interloquire attraverso tale movimento.
 
Dal giorno dell'inattesa scoperta, il Prof. Menon dedica tre settimane alla comunicazione con Richard per accertarsi che egli fosse effettivamente consapevole della sua condizione. E' durante tale relazione comunicativa che il medico chiede per ben tre volte al paziente se intende vivere e continuare ad essere curato, e per tre volte Richard risponde di sì con un movimento degli occhi.
 
«Lui ricordava di aver avuto un incidente», racconta il Prof. Menon, «ed era consapevole di essere in vita grazie ad una macchina artificiale, e di venire nutrito con un sondino naso-gastrico». Poi gli rivolge la domanda cruciale: «Alla fine ho chiesto se corrispondesse alla sua espressa volontà il fatto di continuare la somministrazione dei trattamenti che lo mantenevano in vita, e lui ha risposto, per tre volte, di "sì", senza dare segni di esitazione».
 
«La possibilità di comunicare attraverso il movimento degli occhi», sono le parole del Prof. Menon, «ha consentito a Richard di avere l'ultima parola sul proprio destino, e tale circostanza ha cambiato tutto. Questo è un punto cruciale, perché noi sappiamo bene che può esistere una grande differenza tra ciò che un paziente dichiara quando è perfettamente sano e ciò che prova quando si trova in un letto d'ospedale».
 
L'ironia della sorte ha voluto che un'equipe della BBC, venuta a riprendere la scena dell'addio della famiglia Rudd al proprio congiunto, abbia assistito in diretta alla risposta di Richard circa la sua volontà di continuare a vivere. La BBC ha ripreso tutto e ne è nato un documentario intitolato "Between Life and Death" (tra la morte e la vita), che ha riaperto nell'opinione pubblica, com'era inevitabile, il dibattito sul testamento biologico.
 
La reazione di Richard ha scioccato i suoi cari, facendo loro percepire il tragico errore che stavano per commettere.
 
All'inizio, in realtà, tutti i familiari ritenevano che il coma dell'uomo – tenuto in vita da una macchina – fosse irreversibile, sebbene tale categoria di coma non esista. In questo senso, hanno commesso lo stesso errore dei giudici della Corte d'Appello di Milano, i quali, contrariamente alle evidenze scientifiche, hanno reputato non più reversibile la condizione di Eluana Englaro.
 
Nel caso Rudd l'imprevisto epilogo della vicenda ha fatto rivedere a tanti le posizioni assunte inizialmente.
 
Il primo a cambiare idea è stato proprio il padre di Richard.
 
Ha confessato di essere stato colpito maggiormente dal fatto che Richard avesse cambiato idea e non potesse comunicarlo. «Mi tormenta il pensiero», ha affermato il genitore, «che mio figlio fosse in grado di ascoltare le nostre discussioni sulla decisione di farlo morire, e non riuscisse assolutamente esprimere la sua reale volontà».
 
Il signor Rudd senior ha rivisto persino le sue posizioni sul testamento biologico: «Per quanto mi riguarda, sono contento che Richard sia vivo e che non abbia fatto testamento biologico. Se l'avesse fatto, non avremmo mai saputo se valeva la pena continuare a curarlo».
 
«Quante volte», ha ricordato ancora il padre di Richard, «ci mettiamo a chiacchierare al pub o al lavoro e preghiamo gli amici di staccare la spina se dovessimo restare in vita grazie ad una macchina; ma questa è pura astrazione, perché nessuno sa mai esattamente cosa vuole, fino a che non si trova concretamente di fronte alla realtà che lo rende fragile».
 
Ha poi parlato della sua esperienza personale: «Se sei chiamato, come familiare o come amico, a decidere per qualcuno che non è in condizione di farlo, a volte hai la sensazione di decidere tu per lui. E in fondo, forse nessuno ha davvero il diritto di farlo».
 
Parlando, poi, a proposito delle difficili condizioni in cui si continua a trovare il figlio, ha precisato: «Certo non è lo stesso Richard che conoscevamo prima, ma è sempre lui quando sorride mentre si parla del passato o quando guarda commosso le sue ragazze».
 
Ora, infatti, nove mesi dopo l'incidente, Richard può muovere lentamente la testa di qualche centimetro, può sorridere ed esprimersi col volto. Pur avendo sempre bisogno di continua assistenza, è comunque in grado di avere relazioni con i genitori e con le figlie Carlotta di diciotto anni e Bethan, di quattordici.
 
Attualmente, si trova in un'unità di cura vicino casa, nel Worcester, e spera quanto prima di essere ricoverato allo Stoke Mandeville Hospital, dove potrà essere sottoposto ad una terapia riabilitativa per recuperare l'uso della lingua e dei muscoli facciali.
 
Il caso Rudd dimostra quanto sia fragile e pericoloso il tentativo di ricostruire una volontà ex post, sulla base di affermazioni rese en passant, com'è avvenuto nella vicenda di Eluana Englaro. Noi non sapremo mai quale fosse la reale volontà di quella ragazza nel momento in cui le è stata tolta la vita. Non sapremo mai se lei, come Richard Rudd, avesse cambiato idea e deciso di non voler morire. E questa incertezza getta un'ombra inquietante sul decreto 9 luglio 2008 emesso dalla Corte di Appello di Milano, in cui è stato disposto l'«accudimento accompagnatorio» di Eluana Englaro verso la morte.
 
Se fossi uno dei giudici che ha partecipato a quella decisione, non riuscirei a restare indifferente rispetto a quanto accaduto a Richard Rudd, e avvertirei la vertigine del dubbio. Quella vicenda del motociclista di Kidderminster non potrebbe non dilaniare la mia coscienza di uomo e di magistrato.



giovedì 22 luglio 2010

Cina-Santa Sede: il miraggio e la libertà religiosa per la Chiesa ufficiale e sotterranea


di Bernardo Cervellera
Dopo una serie di ordinazioni episcopali, più voci parlano di una nuova stagione nei rapporti fra Pechino e il Vaticano. Ma le aperture della Cina sono in realtà delle scelte costrette. Per una vera libertà religiosa deve sparire la differenza fra attività legali (ufficiali) e illegali (sotterranee) della Chiesa e liberare vescovi e preti in prigione. E forse anche il Vaticano dovrebbe avere più coraggio…

Roma (AsiaNews) - Negli ultimi mesi, da aprile ad oggi, la Chiesa in Cina ha celebrato l’ordinazione di ben sei nuovi vescovi, oltre all’insediamento ufficiale in diocesi di un vescovo già ordinato, ma non ancora accettato dal governo. La meraviglia è che tutti i candidati sono stati approvati dalla Santa Sede e sono riconosciuti dal governo di Pechino. Ma la meraviglia ancora maggiore è che questa ondata di nuove ordinazioni episcopali succede ad almeno due anni di magra, in cui cioè non vi è stata alcuna consacrazione sebbene vi fossero circa 40 diocesi della Chiesa ufficiale con pastori ottuagenari, che necessitavano un ricambio, o a sede vacante.

I nuovi ordinati (più quello insediato ufficialmente) - di cui AsiaNews ha dato pronta notizia – sono pastori di Bameng (Mongolia Interna); Hohhot (Mongolia Interna); Haimen (Jiangsu); Xiamen (Fujian); Sanyuan (Shaanxi); Taizhou (Zhejiang); Yulin (Yanan, Shaanxi).
A tutte le ordinazioni, meno quella di Bameng, erano presenti vescovi in comunione con la S. Sede. A Bameng, invece, ha fatto capolino il vescovo patriottico Ma Yinglin, ordinato in modo illecito nel 2006. Egli è considerato il delfino di Antonio Liu Bainian, il vice presidente dell’Associazione patriottica, soprannominato il “papa” della Chiesa ufficiale per il suo potere sull’economia e sui vescovi della Chiesa.
Da almeno tre anni, nei documenti interni della polizia, dell’Ap e del Fronte unito, Ma Yinglin viene sponsorizzato come il futuro presidente del Consiglio dei vescovi cinesi e presidente nazionale dell’Ap[1]. Entrambe le due istituzioni sono considerate inaccettabili dalla Santa Sede perché nei loro statuti si rivendica la costruzione di una Chiesa “indipendente” da Roma e dal papa.
L’assenza di Ma Yinglin dalla maggior parte delle ordinazioni e soprattutto la sfornata di 7 vescovi, approvati dalla Santa Sede e dal governo, ha rallegrato tutti i cattolici. Ma alcuni vi hanno visto qualcosa di più: un cambiamento nella politica religiosa della Cina verso il Vaticano, un accordo ritrovato fra potere politico in Cina e la Santa Sede, un dirigersi a tappe veloci verso i rapporti diplomatici.
La politica cinese: una svolta o un miraggio?
L’estate si sa è tempo di caldo e questa estate in particolare è piuttosto torrida. Non è dunque impossibile avere dei miraggi estivi. Qualcuno infatti nelle ordinazioni avvenute vede il miraggio del “tutto risolto”, della strada ormai in discesa e tira un respiro di sollievo perché in Cina si prepara una nuova alleanza fra il trono e l’altare.
AsiaNews non è facile al miraggio e il contatto con cattolici ufficiali e sotterranei cinesi non ci rende né ottimisti, né pessimisti, ma semplicemente realisti. E proprio per realismo e comprendere davvero cosa succede in Cina, vale la pena puntualizzare questa apparente “svolta” avvenuta nella politica religiosa cinese verso i cattolici.
1) È vero che Ma Yinglin, il vescovo illecitamente ordinato, ha partecipato solo a una ordinazione. Egli però aveva programmato di partecipare anche ad altre. Ma la resistenza offerta dai cattolici di Bameng (candidato all’episcopato, preti, suore e fedeli), l’ha costretto a cambiare i programmi e da presidente della celebrazione è stato neutralizzato in un cantuccio, insieme alle centinaia di sacerdoti presenti. Ma questo non è un cambiamento della politica del governo o dell’Ap: è solo il frutto della resistenza dei fedeli e dell’aderire dei cattolici cinesi alle indicazioni della Santa Sede. Anche la serie di ordinazioni – che erano bloccate da anni – è avvenuta per il timore del governo di creare tensioni ingovernabili fra i fedeli che rivendicano un vescovo per la loro comunità come un diritto della loro libertà religiosa (in teoria difesa dalla costituzione cinese). In tutti questi decenni è stato proprio il sensus fidei di questi fedeli, attaccati al rapporto col papa, che ha convinto i tanti vescovi patriottici al passo coraggioso di chiedere la riconciliazione con Roma.
2) È vero che il governo ha dato l’ok per queste ordinazioni dopo un periodo di chiusura ed è vero che Pechino sa molto bene e accetta che queste ordinazioni abbiano l’approvazione della Santa Sede. Il punto è che ormai Pechino non può più fare altrimenti: senza l’approvazione della Santa Sede un vescovo cinese non può più celebrare, non è più rispettato dai fedeli, se si presenta in una chiesa, i fedeli l’abbandonano. Ne è prova lo stesso Ma Yinglin, che a Kunming, la sua diocesi, ha solo qualche decina di fedeli attorno, pagati con favori e soldi perché vengano alle cerimonie.
Per Pechino pretendere che i vescovi non abbiano il permesso del Vaticano significa rischiare di vedere i fedeli fuggire dalle chiese ufficiali e rifugiarsi nelle chiese sotterranee, perdendo il controllo sulle comunità.
Quello che in un miraggio sembra un “accordo raggiunto” fra Pechino e Santa Sede in realtà è solo l’unica scelta possibile (costretta, ma intelligente) del governo se vuole sperare di controllare ancora la Chiesa, mostrando di accettare perfino l’approvazione della Santa Sede.
La libertà della Chiesa ufficiale
3) Per verificare che da parte di Pechino vi è davvero un cambiamento di politica, occorre domandarsi: dopo l’ordinazione, i nuovi vescovi hanno libertà per praticare la loro pastorale? In teoria i vescovi nuovi e vecchi della Chiesa ufficiale hanno grande libertà. In pratica per esercitare il loro ministero essi devono ricevere il permesso (un “libretto rosso”) dal Comitato amministrativo della Chiesa (un ramo dell’Ap). Tale permesso è in sé qualcosa di contraddittorio: i vescovi vengono ad appartenere a una istituzione non accettabile dal punto della fede e del loro ministero; eppure, per svolgere il loro ministero religioso hanno bisogno del permesso di tale istituzione.
Tale permesso li rende di fatto invisi ai cattolici sotterranei che vedono nel “libretto rosso” un’adesione all’Associazione patriottica e quindi un tradimento della fedeltà al papa. In tal modo vi è il rischio che la stessa approvazione della Santa Sede per l’ordinazione di un vescovo ufficiale venga annacquata nel suo significato e diventi perfino un boomerang contro la Chiesa perché serve al Partito a dividerla (e indebolirla) ancora di più.
Nella sua Lettera ai cattolici cinesi, pubblicata nel maggio 2007, Benedetto XVI, pur bollando come “incompatibile con la fede cattolica” [2 la serie di statuti del’Associazione patriottica, non chiede a nessun vescovo l’esplicita uscita da essa. Ma domanda di verificare se la partecipazione lede o no al ministero episcopale[3].
È un fatto che talvolta la lesione c’è. Un esempio: agli inizi di luglio il Fronte unito e il ministero degli affari religiosi (precisamente: l’Amministrazione statale degli affari religiosi) ha radunato decine di nuovi vescovi per un incontro di quattro giorni a Pechino. Il tema è naturalmente la bontà della politica religiosa del governo. Altre volte tali incontri durano mesi. I poveri vescovi, costretti ad accettare questi “caldi inviti”, non solo non possono esercitare il loro ministero nelle loro diocesi, ma sono sottoposti a un continuo lavaggio di cervello per apprezzare sempre più il controllo del governo sulla religione cattolica.
In questi ultimi anni le occasioni di “lavaggio del cervello” si sono moltiplicate. In parte ciò è dovuto alla necessità di contrastare la Lettera del papa, ancora tabù in Cina; in parte perché l’Associazione patriottica sta preparando l’Assemblea nazionale dei rappresentanti cattolici in cui si dovrebbe votare per il presidente del Consiglio dei vescovi e per il presidente dell’Ap.
L’Assemblea nazionale dei rappresentanti cattolici è l’autorità massima che governa la Chiesa cattolica in Cina. I suoi statuti la definiscono “l’organismo sovrano”. Essa è una struttura “democratica” in cui i vescovi sono una minoranza. L’organismo ha potere di decidere la pastorale nazionale, le attività della Chiesa, le nomine episcopali e perfino questioni di teologia. La sua superiorità ai vescovi la rende inconciliabile con la dottrina della Chiesa cattolica.
Da tempo l’Ap cerca di organizzare tale Assemblea per votare il nuovo presidente dell’Ap e il presidente del Consiglio dei vescovi cinesi. Le due cariche sono vacanti da anni: il vescovo patriottico Michele Fu Tieshan, eletto presidente dell’Ap nel ’98, è morto nel 2007; mons. Giuseppe Liu Yuanren, vescovo patriottico di Nanchino, eletto presidente del Consiglio dei vescovi nel 2004, è morto nel 2005.
In tutti questi anni, il raduno è stato sempre “rimandato”: nel 2008 per il terremoto e le Olimpiadi; nel 2009 per i 60 anni della Repubblica popolare; nel 2010 per l’Expo di Shanghai. Ma la vera ragione sta nel fatto l’Ap vuole essere sicura che sarà votato Ma Yinglin (v. nota 1). Di fatto però, molti vescovi ufficiali non vogliono parteciparvi perché essa è davvero “inconciliabile” con la fede cattolica.
Proprio alcuni mesi fa la Commissione vaticana per la Chiesa in Cina ha diffuso un comunicato in cui si chiede ai vescovi legati al pontefice di evitare “di porre gesti (quali, ad esempio, celebrazioni sacramentali, ordinazioni episcopali, partecipazione a riunioni) che contraddicono la comunione con il Papa”.
L’indicazione ha preso alla sprovvista alcuni vescovi abituati a mettere insieme la fedeltà interiore al papa e l’apparente fedeltà all’Ap. Essi lamentano che in tal modo si rischia di farsi accusare come “non patriottici” perché si “ama la Chiesa (e il papa)”[4]. Lo slogan “aiguo; aijiao” (amare la patria, amare la Chiesa) è usato come un ritornello dall’Ap per esigere obbedienza ad essa, gettando il sospetto che amare la Chiesa e il papa sia di per sé un odiare il proprio Paese.
Nelle paure di questi vescovi e nel ritornello abusato si vede come la struttura di pensiero dell’Ap e del governo siano ancora legati alla vecchia nomenclatura marxista e nazionalista, che ha generato la persecuzione di questi decenni bollando Vaticano e papa come istituzioni straniere che cospirano alla caduta della Cina.
La libertà dei cattolici sotterranei
Un cambiamento di mentalità è necessario anche per garantire libertà religiosa ai cattolici sotterranei, spesso imprigionati come comuni delinquenti (perché sfuggono alle regole di controllo) e come “nemici della patria” perché appoggiano il papa.
Se il miraggio del cambiamento di politica fosse vero, occorrerebbe che da subito vengano liberati i due vescovi sotterranei scomparsi da anni (mons. Giacomo Su Zhimin di Baoding; mons. Cosma Shi Enxiang di Yixian) e i sacerdoti che scontano pene di isolamento o ai lavori forzati senza nemmeno essere stati condannati da un tribunale.
Ma anche su questo punto la politica cinese non è cambiata. Essi accusano la Chiesa sotterranea di “non amare la patria” e di non iscriversi all’Ap perché ubbidiscono al papa straniero. In realtà i cattolici sotterranei affermano che amare il papa non è per nulla contrario all’amore della patria, ma non possono rinunciare a questo legame, come vuole l’Ap, che da 52 anni pretende costruire una Chiesa “indipendente”.
Che la Chiesa sotterranea non sia un’organizzazione “terrorista” che cospira contro il governo cinese, lo dimostrano i fatti: in 60 anni di comunismo, pur con tutte le persecuzioni subite, mai nessun cattolico ha compiuto un gesto di violenza, messo bombe, sparato alla polizia, incendiato o distrutto qualcosa.
In più, diversi vescovi e sacerdoti sotterranei hanno cercato di farsi riconoscere ufficialmente dal governo, accettando anche il suo controllo. Ma la risposta è stata sempre che essi devono piegarsi a iscriversi all’Ap, rinnegando il papa.
Forse, in fondo, ciò a cui mira il Partito non è solo il controllo sui cristiani, ma far perdurare la divisione fra di essi. Un sacerdote sotterraneo è andato diverse volte dalla polizia domandando di essere registrato, senza appartenere all’Ap. Egli ha sottolineato che per le forze dell’ordine era un guadagno sapere cosa lui faceva e come controllarlo. Il poliziotto gli ha riso in faccia: “A noi – ha detto – basta che voi rimaniate divisi. Se foste uniti ci dovremmo preoccupare di più”.
Un vero cambiamento della politica cinese verso la Chiesa cattolica non sta tanto nel permettere l’ordinazione di vescovi ufficiali approvati dalla Santa Sede, quanto nel garantire la libertà e la pratica religiose eliminando la divisione fra “attività normali” e “attività illegali”. L’Onu ha chiesto alla Cina di eliminare questa discriminazione fin dal 1994 e Pechino tuttora non cambia!
Questa è anche la direzione che i cattolici del mondo dovrebbero tenere, in linea con quanto domanda Benedetto XVI nella sua Lettera ai cattolici cinesi, e cioè favorire l’unità e la riconciliazione fra comunità ufficiali e sotterranee. Ma per farle riconciliare, occorre anche anzitutto farle vivere e quindi chiedere la liberazione dei prigionieri e cancellare la divisione fra attività normali e illegali!
Alcune comunità sotterranee vivono ancora con sospetto il loro rapporto con gli “ufficiali”, ma è anche vero che molti vescovi “ufficiali” cercano di non farsi vedere troppo amici (tanto meno fratelli nella stessa fede) dei loro colleghi e figli delle comunità sotterranee.
Questo dovrebbe suscitare maggiore attenzione anche da parte del Vaticano che, secondo molti sacerdoti sotterranei “si è dimenticato” della loro Chiesa. Da anni – da quando nel 2005 sono iniziati i timidi rapporti fra rappresentanti cinesi e membri della Segreteria di Stato – la Santa Sede parla sempre meno delle comunità sotterranee[5]; se uno di loro (vescovo, sacerdote, laico) è in prigione, di rado il Vaticano chiede la loro liberazione. Il 7 luglio scorso mons. Jia Zhiguo, vescovo sotterraneo di Zhengding è stato liberato dopo 15 mesi di sequestro da parte della polizia. Il card. Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, con grande coraggio, ha scritto a lui un messaggio di “bentornato nel servizio”. Ma forse ha pensato che non era ancora tempo di inserire anche la parola “prigionia” o “isolamento” per far capire al mondo che il vescovo non era tornato da una vacanza, ma da un periodo di abolizione dei suoi diritti.
[1] Tutti questi documenti sono d’accordo nel sostenere una campagna per la sua vittoria, che dovrebbe avvenire all’Ottava Assemblea dei rappresentanti cattolici. I documenti spiegano che finché non si è sicuri che Ma Yinglin sarà il presidente, non si indirà l’Ottava Assemblea.
[2] Cfr Lettera…, Libreria Editrice Vaticana, 27 maggio 2007, al n. 7 e alla nota 36.
[3] Nella storia recente, alcuni vescovi ufficiali si sono separati dall’Ap. Fra questi, è rimasto molto famoso mons. Filippo Ma Ji, vescovo di Pingliang (Gansu), che ha reso pubblico anche un documento in cui affermava che essere iscritto all’Ap è contrario alla fede cattolica.
[4] Cfr Vatican advice leaves China bishops in a bind,in Ucanews.com, 14 aprile 2010.
[5] Il card. Joseph Zen ha perfino denunciato il tentativo di eliminare la Chiesa sotterranea con false interpretazioni della Lettera del papa ai cattolici cinesi: v. AsiaNews.it, 24/07/2007 Card. Zen: confusione sulla Lettera del Papa ai cattolici cinesi.

Da la Stampa di oggi - Chesterton è attuale e serve anche a dimostrare l'esistenza dell'illusione di Obama


Da La Stampa - 22/07/2010 - Il neretto è nostro

Se Obama è soltanto una grande illusione

di MARCO BARDAZZI

Accecato dalla luce dell’obamismo di questi anni, il mondo pare non aver ancora messo a fuoco il personaggio che la emana. Sei anni dopo l’apparizione a una Convention dei democratici che in una notte lo trasformò da sconosciuto a star, Barack Obama resta per molti aspetti fondamentalmente un mistero. O un’illusione, secondo la tesi di un saggio di Martino Cervo e Mattia Ferraresi (Obama: l’irresistibile ascesa di un’illusione, ed. Rubbettino, pp. 128, euro 10), che tenta un’inedita analisi del fenomeno.

Dell’uomo più raccontato sul pianeta Terra «non sappiamo praticamente nulla», sostengono Cervo e Ferraresi. O meglio: conosciamo i dettagli della sua biografia, ma il quadro d’insieme offre «migliaia di suggestioni, non una figura». Obama ha stregato gli americani e il mondo non con una chiara linea politica o un programma di governo, ma offrendo se stesso come risposta all’ansia collettiva di cambiamento. «Sono abbastanza nuovo sulla scena politica - dice Obama in una delle innumerevoli citazioni offerte dal libro - da poter servire come schermo bianco su cui persone di idee largamente diverse possono proiettare le proprie visioni». Nel momento stesso in cui esortava gli americani a votarlo all’insegna del «Yes, we can», Obama per gli autori stava in realtà chiedendo un cieco atto di fede in un uomo che affermava, messianicamente: «Yes, I can».

Per interpretare Obama, Cervo e Ferraresi si avventurano su un terreno minato, ma originale. Emergono così paragoni con Giuliano Felsemburgh, protagonista del profetico Il Padrone del Mondo (1907) di Robert Hugh Benson; l’Anticristo di Solov’ëv; Zelig di Woody Allen; perfino Gioacchino da Fiore, insieme a riflessioni di Chesterton, Borges, De Lubac.

Chiavi interpretative stimolanti, anche se talvolta sembrano ricordare sterili dibattiti di vent’anni fa sull’assai meno seducente George Bush padre e il suo «Nuovo ordine mondiale». In quel caso a chiudere la riflessione ci pensò la crisi economica, che spazzò via Bush e le sue ambizioni di un secondo mandato alla Casa Bianca. La dura realtà potrebbe ora fare il bis con Obama, prima nelle elezioni di Midterm a novembre e poi alle presidenziali del 2012.

Autori: Martino Cervo, Mattia Ferraresi
Titolo: Obama: l’irresistibile ascesa di un’illusione
Edizioni: Rubbettino
Pagine: 128
Prezzo: euro 10

martedì 20 luglio 2010

Eretici su Tracce, mensile di CL

http://www.tracce.it/?id=331&id_n=16939

In questo collegamento la recensione di Eretici apparsa su Tracce, mensile di CL.

Eretici commentato da Colognesi

http://www.ilsussidiario.net/mobile/page.aspx?aid=99515

In questo collegamento la recensione di Eretici pubblicato da Lindau, a firma di Pigi Colognesi, apparsa qualche giorno fa su Il Sussidiario.

Dal blog di Paolo Rodari - C'è chi difende il Papa, andate a vedere, è interessante...

Leggete questo post e andate a vedere i collegamenti:

C’È CHI LO DIFENDE
LUG 20, 2010 BLOG, PALAZZOAPOSTOLICO.IT

Si avvicina il viaggio del Papa in Inghilterra e Scozia (dal 16 al 19 settembre).
E, mentre le proteste per il suo arrivo continuano (non è tanto chi paga il viaggio a scatenare le polemiche, quanto più in generale un’avversione al Papa in quanto tale, alle sue parole, a ciò che dice e non dice) un diacono permanente di Lancaster, Nick Donnelly, difende il Papa così: “protectthepope.com
Di Nick Donnelly, John Zuhlsdorf parla così qui.

lunedì 19 luglio 2010

Abbiamo superato le 100.000 visite!
























Cari amici,

monitoriamo le visite del nostro blog dal 1 Gennaio 2008 e possiamo dire di aver raggiunto proprio pochi giorni fa il traguardo delle centomila visite.

Esattamente ad oggi sono 101.041 visite.

Bello, no? Dobbiamo far conoscere questo nostro caro e buon amico il più possibile.

Da L'Osservatore Romano del 18 Luglio 2010

Nelle indagini del prete nato dalla penna di Chesterton il confronto con misteri non solo polizieschi

Perché padre Brown ha scelto di fare il detective

È appena uscito in libreria Figure spirituali. Volti e voci dell'esperienza religiosa nella creazione letteraria (Padova, Edizioni Messaggero, pagine 111, euro 9). Ne pubblichiamo un capitolo.

di Lucio Coco

Una delle fatiche più grandi per un prete o per un religioso è quando, fuori dalla chiesa o dalle mura della casa che lo ospita, deve dar conto dell'esistenza di Dio. Dov'è il tuo Dio gli possono chiedere in ogni momento. Una domanda a bruciapelo, contro la quale c'è poco da rispondere. Essa è simile a quella della crocifissione: "Se sei Dio, salva te stesso" (Matteo, 27, 40). Una prova, dimostrami che la tua vita non è fondata sul nulla. L'obiezione muove da una constatazione evidente. Noi non possiamo dire Dio, come si indica una matita.
Tutto parla di Dio, ma niente lo rivela come qualcosa che si può percepire con i sensi. Un prete dovrebbe forse tentare di rispondere così agli attacchi che gli vengono mossi e che anche per lui questo contenuto è lo stesso su cui si interrogano tutti. Anche per il prete esso non è mai una proprietà sicura. Come ci insegna l'esperienza di tutti i giorni, Dio è davvero un possesso difficile ma sicuramente l'unico per il quale vale la pena spendere la vita. E il tesoro che deve essere sempre scoperto, il campo che deve essere sempre venduto per poter correre a comprare quello che nasconde la pietra preziosa (
Matteo, 13, 44), la verità che deve essere sempre trovata.
Forse per questo, padre Brown, il protagonista degli omonimi racconti di Gilbert Keith Chesterton, ha scelto di fare il detective. Il lettore infatti presto si accorge che il caso e la sua soluzione sono solo un pretesto per altre riflessioni. Egli lascia sempre che si affacci dentro le sue indagini un mistero maggiore di quello che l'enigma poliziesco gli propone al momento. Molto spesso è nel presagio dei cieli che egli costantemente scruta nelle sue storie: "Dal luminoso e profondo verde del cielo traspariva qualche stella"; "I lauri (...) si stagliavano contro il cielo di zaffiro e la luna argentea mostrava i vivi colori del sud persino in quella notte"; "Il color viola vivo del cielo e l'oro pallido della luna si attenuavano sempre più, svanivano in quel vasto cosmo impallidito che precede i colori dell'alba".
È attraverso questo sguardo sull'infinito che anche le nature più razionali e logiche possono intuire qualcosa che va al di là delle loro competenze scientifiche e settoriali. Così accade, per esempio, al più famoso ispettore di polizia di Parigi, il commissario Aristide Valentin, il quale in un passaggio scarsamente significativo per le indagini, quando incrocia il suo sguardo con "la luce tagliente che lottava con gli ultimi brani della nuvolaglia, avanzo di una tempesta", si ferma a fissarla con una attenzione insolita per un carattere formato scientificamente come il suo, "ma forse - aggiunge Chesterton - tali nature scientifiche hanno un qualche psicologico sentore del più tremendo problema della vita".
Altre volte questo mistero forma una trama indecifrabile. Come dare, per esempio, una risposta alla questione del male nel mondo e del destino ingiusto che rende tristi le vite dei buoni e fa prosperare quelle dei malvagi? Sono le domande che ogni prete deve sempre fronteggiare: oltre all'esistenza di Dio, il perché del male e dell'ingiustizia; a lui più che ad altri se ne chiede il motivo. La sapienza di padre Brown, il piccolo prete di un villaggio dell'Essex, vuole indicarci una via e ci invita a leggere in questi fatti come nel rovescio di un arazzo: "Le cose che qui accadono sembra che non abbiano alcun significato; parlo di ciò che avverrà in un altro luogo. In qualche luogo il vero colpevole sarà punito. Qui, il danno sembra colpire una persona invece dell'altra".
Il richiamo al mistero e alla sua decifrazione ha anche straordinari effetti pratici perché aiuta a risolvere molti casi complicati e difficili: "La mente moderna confonde sempre tra loro due idee diverse: mistero nel senso di ciò che è meraviglioso, mistero nel senso di ciò che è complesso". Il complesso in questo caso non è altro che la ripetizione ossessiva di schemi razionali; esso costruisce labirinti da cui è impossibile uscire, è un sinonimo di complicato.
La ragione, intesa in questo modo, genera gabbie nelle quali anche l'investigatore più abile rischia di restare imprigionato. Padre Brown invece cerca il sorprendente che riorganizza tutto attorno alla semplicità di un nuovo punto di vista e realizza ogni volta il miracolo della soluzione ("Un miracolo è sorprendente ma è semplice"). La logica apparente del reale è costantemente visitata e messa in crisi da un'altra logica che il prete latino riesce a scorgere sotto la traccia spesso fuorviante del visibile.
Padre Brown gioca continuamente con questo rovesciamento: "La sua testa acquistava il massimo del suo valore allorché la perdeva". Egli deve fare continuamente i conti con la non-ragione per potere esplorare il mistero che altrimenti rimarrebbe per sempre precluso al detective, insieme con la possibilità di risolvere il caso. Il nuovo ordine che segue alla scoperta contiene dentro di sé questo elemento rovescia-to, che non era stato considerato fino a quel momento e che con il suo apparire ha il potere di far vacillare e sconvolgere la realtà solita, la quale nell'esperienza di alcuni suoi personaggi risulta così trasformata in "un universo pazzo che turbina attorno ai loro orecchi", oppure ad altri può dare l'impressione "di assistere al crollo di ogni ragionevolezza, come se l'universo diventasse tutta una pagliacciata".
Eppure non c'è niente di irrazionale in questo ribaltamento. Niente di casuale perché tutto si riorganizza attorno alla verità come dimostra la soluzione di ogni caso. Negli infiniti mondi possibili che lasciano immaginare i cieli che padre Brown interroga la sera, non c'è niente di irragionevole: "La ragione - egli ci dice - è sempre ragionevole, anche nell'ultimo limbo, anche al limite ultimo delle cose". Dio stesso non può sfuggire a questa logica.
Credere, per padre Brown, non significa svalutare la ragione, mettendole vicino qualcosa che la impedisce e la ostacola. Credere significa affermare questa fede nella ragione creatrice che ha fatto il mondo con un progetto intélligente; è scoprire "che Dio stesso è legato alla ragione": attaccare la ragione equivale sempre "a fare cattiva teologia". Tutta l'arte poliziesca di padre Brown consiste proprio in questo, nello svelare le contraddizioni dell'impossibile e nell'affermare la ragione come unica possibilità dell'essere.
"La gloria del cielo s'addensava e diveniva sempre più profonda". Il cielo che Chesterton descrive comprende sicuramente infiniti mondi, ma questa infinità è un fatto puramente fisico, essa non può ammettere in nessun punto dell'universo la contraddizione e il caos, tanto che, a chi gli obietta che il mistero del cielo è impenetrabile e che "altri mondi possono elevarsi più in alto della nostra ragione", il prete cattolico può rispondere con una
reductio ad Unum simile nei modi a quella che gli permette ogni volta di chiudere anche i casi più difficili, che l'universo è "soltanto fisicamente infinito, non infinito nel senso che sfugge alle leggi della verità". La ragione e la giustizia comprendono anche le stelle più lontane e solitarie, questo ci insegna la metafisica di padre Brown, e dovunque, nel prossimo come nel lontanissimo, si deve ripetere sempre il miracolo della verità di Dio.

L'Osservatore Romano - 18.07.2010

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Il padre Brown della foto è sir Alec Guinness, che si convertirà al cattolicesimo proprio grazie alla lettura dei Racconti e all'interpretazione del classico chestertoniano.

Abbiamo più volte segnalato che Chesterton è la causa di numerosissime conversioni al cattolicesimo.