di Bernardo Cervellera
Dopo una serie di ordinazioni episcopali, più voci parlano di una nuova stagione nei rapporti fra Pechino e il Vaticano. Ma le aperture della Cina sono in realtà delle scelte costrette. Per una vera libertà religiosa deve sparire la differenza fra attività legali (ufficiali) e illegali (sotterranee) della Chiesa e liberare vescovi e preti in prigione. E forse anche il Vaticano dovrebbe avere più coraggio…
Roma (AsiaNews) - Negli ultimi mesi, da aprile ad oggi, la Chiesa in Cina ha celebrato l’ordinazione di ben sei nuovi vescovi, oltre all’insediamento ufficiale in diocesi di un vescovo già ordinato, ma non ancora accettato dal governo. La meraviglia è che tutti i candidati sono stati approvati dalla Santa Sede e sono riconosciuti dal governo di Pechino. Ma la meraviglia ancora maggiore è che questa ondata di nuove ordinazioni episcopali succede ad almeno due anni di magra, in cui cioè non vi è stata alcuna consacrazione sebbene vi fossero circa 40 diocesi della Chiesa ufficiale con pastori ottuagenari, che necessitavano un ricambio, o a sede vacante.
I nuovi ordinati (più quello insediato ufficialmente) - di cui AsiaNews ha dato pronta notizia – sono pastori di Bameng (Mongolia Interna); Hohhot (Mongolia Interna); Haimen (Jiangsu); Xiamen (Fujian); Sanyuan (Shaanxi); Taizhou (Zhejiang); Yulin (Yanan, Shaanxi).
A tutte le ordinazioni, meno quella di Bameng, erano presenti vescovi in comunione con la S. Sede. A Bameng, invece, ha fatto capolino il vescovo patriottico Ma Yinglin, ordinato in modo illecito nel 2006. Egli è considerato il delfino di Antonio Liu Bainian, il vice presidente dell’Associazione patriottica, soprannominato il “papa” della Chiesa ufficiale per il suo potere sull’economia e sui vescovi della Chiesa.
Da almeno tre anni, nei documenti interni della polizia, dell’Ap e del Fronte unito, Ma Yinglin viene sponsorizzato come il futuro presidente del Consiglio dei vescovi cinesi e presidente nazionale dell’Ap[1]. Entrambe le due istituzioni sono considerate inaccettabili dalla Santa Sede perché nei loro statuti si rivendica la costruzione di una Chiesa “indipendente” da Roma e dal papa.
L’assenza di Ma Yinglin dalla maggior parte delle ordinazioni e soprattutto la sfornata di 7 vescovi, approvati dalla Santa Sede e dal governo, ha rallegrato tutti i cattolici. Ma alcuni vi hanno visto qualcosa di più: un cambiamento nella politica religiosa della Cina verso il Vaticano, un accordo ritrovato fra potere politico in Cina e la Santa Sede, un dirigersi a tappe veloci verso i rapporti diplomatici.
La politica cinese: una svolta o un miraggio?
L’estate si sa è tempo di caldo e questa estate in particolare è piuttosto torrida. Non è dunque impossibile avere dei miraggi estivi. Qualcuno infatti nelle ordinazioni avvenute vede il miraggio del “tutto risolto”, della strada ormai in discesa e tira un respiro di sollievo perché in Cina si prepara una nuova alleanza fra il trono e l’altare.
AsiaNews non è facile al miraggio e il contatto con cattolici ufficiali e sotterranei cinesi non ci rende né ottimisti, né pessimisti, ma semplicemente realisti. E proprio per realismo e comprendere davvero cosa succede in Cina, vale la pena puntualizzare questa apparente “svolta” avvenuta nella politica religiosa cinese verso i cattolici.
1) È vero che Ma Yinglin, il vescovo illecitamente ordinato, ha partecipato solo a una ordinazione. Egli però aveva programmato di partecipare anche ad altre. Ma la resistenza offerta dai cattolici di Bameng (candidato all’episcopato, preti, suore e fedeli), l’ha costretto a cambiare i programmi e da presidente della celebrazione è stato neutralizzato in un cantuccio, insieme alle centinaia di sacerdoti presenti. Ma questo non è un cambiamento della politica del governo o dell’Ap: è solo il frutto della resistenza dei fedeli e dell’aderire dei cattolici cinesi alle indicazioni della Santa Sede. Anche la serie di ordinazioni – che erano bloccate da anni – è avvenuta per il timore del governo di creare tensioni ingovernabili fra i fedeli che rivendicano un vescovo per la loro comunità come un diritto della loro libertà religiosa (in teoria difesa dalla costituzione cinese). In tutti questi decenni è stato proprio il sensus fidei di questi fedeli, attaccati al rapporto col papa, che ha convinto i tanti vescovi patriottici al passo coraggioso di chiedere la riconciliazione con Roma.
2) È vero che il governo ha dato l’ok per queste ordinazioni dopo un periodo di chiusura ed è vero che Pechino sa molto bene e accetta che queste ordinazioni abbiano l’approvazione della Santa Sede. Il punto è che ormai Pechino non può più fare altrimenti: senza l’approvazione della Santa Sede un vescovo cinese non può più celebrare, non è più rispettato dai fedeli, se si presenta in una chiesa, i fedeli l’abbandonano. Ne è prova lo stesso Ma Yinglin, che a Kunming, la sua diocesi, ha solo qualche decina di fedeli attorno, pagati con favori e soldi perché vengano alle cerimonie.
Per Pechino pretendere che i vescovi non abbiano il permesso del Vaticano significa rischiare di vedere i fedeli fuggire dalle chiese ufficiali e rifugiarsi nelle chiese sotterranee, perdendo il controllo sulle comunità.
Quello che in un miraggio sembra un “accordo raggiunto” fra Pechino e Santa Sede in realtà è solo l’unica scelta possibile (costretta, ma intelligente) del governo se vuole sperare di controllare ancora la Chiesa, mostrando di accettare perfino l’approvazione della Santa Sede.
La libertà della Chiesa ufficiale
3) Per verificare che da parte di Pechino vi è davvero un cambiamento di politica, occorre domandarsi: dopo l’ordinazione, i nuovi vescovi hanno libertà per praticare la loro pastorale? In teoria i vescovi nuovi e vecchi della Chiesa ufficiale hanno grande libertà. In pratica per esercitare il loro ministero essi devono ricevere il permesso (un “libretto rosso”) dal Comitato amministrativo della Chiesa (un ramo dell’Ap). Tale permesso è in sé qualcosa di contraddittorio: i vescovi vengono ad appartenere a una istituzione non accettabile dal punto della fede e del loro ministero; eppure, per svolgere il loro ministero religioso hanno bisogno del permesso di tale istituzione.
Tale permesso li rende di fatto invisi ai cattolici sotterranei che vedono nel “libretto rosso” un’adesione all’Associazione patriottica e quindi un tradimento della fedeltà al papa. In tal modo vi è il rischio che la stessa approvazione della Santa Sede per l’ordinazione di un vescovo ufficiale venga annacquata nel suo significato e diventi perfino un boomerang contro la Chiesa perché serve al Partito a dividerla (e indebolirla) ancora di più.
Nella sua Lettera ai cattolici cinesi, pubblicata nel maggio 2007, Benedetto XVI, pur bollando come “incompatibile con la fede cattolica” [2 la serie di statuti del’Associazione patriottica, non chiede a nessun vescovo l’esplicita uscita da essa. Ma domanda di verificare se la partecipazione lede o no al ministero episcopale[3].
È un fatto che talvolta la lesione c’è. Un esempio: agli inizi di luglio il Fronte unito e il ministero degli affari religiosi (precisamente: l’Amministrazione statale degli affari religiosi) ha radunato decine di nuovi vescovi per un incontro di quattro giorni a Pechino. Il tema è naturalmente la bontà della politica religiosa del governo. Altre volte tali incontri durano mesi. I poveri vescovi, costretti ad accettare questi “caldi inviti”, non solo non possono esercitare il loro ministero nelle loro diocesi, ma sono sottoposti a un continuo lavaggio di cervello per apprezzare sempre più il controllo del governo sulla religione cattolica.
In questi ultimi anni le occasioni di “lavaggio del cervello” si sono moltiplicate. In parte ciò è dovuto alla necessità di contrastare la Lettera del papa, ancora tabù in Cina; in parte perché l’Associazione patriottica sta preparando l’Assemblea nazionale dei rappresentanti cattolici in cui si dovrebbe votare per il presidente del Consiglio dei vescovi e per il presidente dell’Ap.
L’Assemblea nazionale dei rappresentanti cattolici è l’autorità massima che governa la Chiesa cattolica in Cina. I suoi statuti la definiscono “l’organismo sovrano”. Essa è una struttura “democratica” in cui i vescovi sono una minoranza. L’organismo ha potere di decidere la pastorale nazionale, le attività della Chiesa, le nomine episcopali e perfino questioni di teologia. La sua superiorità ai vescovi la rende inconciliabile con la dottrina della Chiesa cattolica.
Da tempo l’Ap cerca di organizzare tale Assemblea per votare il nuovo presidente dell’Ap e il presidente del Consiglio dei vescovi cinesi. Le due cariche sono vacanti da anni: il vescovo patriottico Michele Fu Tieshan, eletto presidente dell’Ap nel ’98, è morto nel 2007; mons. Giuseppe Liu Yuanren, vescovo patriottico di Nanchino, eletto presidente del Consiglio dei vescovi nel 2004, è morto nel 2005.
In tutti questi anni, il raduno è stato sempre “rimandato”: nel 2008 per il terremoto e le Olimpiadi; nel 2009 per i 60 anni della Repubblica popolare; nel 2010 per l’Expo di Shanghai. Ma la vera ragione sta nel fatto l’Ap vuole essere sicura che sarà votato Ma Yinglin (v. nota 1). Di fatto però, molti vescovi ufficiali non vogliono parteciparvi perché essa è davvero “inconciliabile” con la fede cattolica.
Proprio alcuni mesi fa la Commissione vaticana per la Chiesa in Cina ha diffuso un comunicato in cui si chiede ai vescovi legati al pontefice di evitare “di porre gesti (quali, ad esempio, celebrazioni sacramentali, ordinazioni episcopali, partecipazione a riunioni) che contraddicono la comunione con il Papa”.
L’indicazione ha preso alla sprovvista alcuni vescovi abituati a mettere insieme la fedeltà interiore al papa e l’apparente fedeltà all’Ap. Essi lamentano che in tal modo si rischia di farsi accusare come “non patriottici” perché si “ama la Chiesa (e il papa)”[4]. Lo slogan “aiguo; aijiao” (amare la patria, amare la Chiesa) è usato come un ritornello dall’Ap per esigere obbedienza ad essa, gettando il sospetto che amare la Chiesa e il papa sia di per sé un odiare il proprio Paese.
Nelle paure di questi vescovi e nel ritornello abusato si vede come la struttura di pensiero dell’Ap e del governo siano ancora legati alla vecchia nomenclatura marxista e nazionalista, che ha generato la persecuzione di questi decenni bollando Vaticano e papa come istituzioni straniere che cospirano alla caduta della Cina.
La libertà dei cattolici sotterranei
Un cambiamento di mentalità è necessario anche per garantire libertà religiosa ai cattolici sotterranei, spesso imprigionati come comuni delinquenti (perché sfuggono alle regole di controllo) e come “nemici della patria” perché appoggiano il papa.
Se il miraggio del cambiamento di politica fosse vero, occorrerebbe che da subito vengano liberati i due vescovi sotterranei scomparsi da anni (mons. Giacomo Su Zhimin di Baoding; mons. Cosma Shi Enxiang di Yixian) e i sacerdoti che scontano pene di isolamento o ai lavori forzati senza nemmeno essere stati condannati da un tribunale.
Ma anche su questo punto la politica cinese non è cambiata. Essi accusano la Chiesa sotterranea di “non amare la patria” e di non iscriversi all’Ap perché ubbidiscono al papa straniero. In realtà i cattolici sotterranei affermano che amare il papa non è per nulla contrario all’amore della patria, ma non possono rinunciare a questo legame, come vuole l’Ap, che da 52 anni pretende costruire una Chiesa “indipendente”.
Che la Chiesa sotterranea non sia un’organizzazione “terrorista” che cospira contro il governo cinese, lo dimostrano i fatti: in 60 anni di comunismo, pur con tutte le persecuzioni subite, mai nessun cattolico ha compiuto un gesto di violenza, messo bombe, sparato alla polizia, incendiato o distrutto qualcosa.
In più, diversi vescovi e sacerdoti sotterranei hanno cercato di farsi riconoscere ufficialmente dal governo, accettando anche il suo controllo. Ma la risposta è stata sempre che essi devono piegarsi a iscriversi all’Ap, rinnegando il papa.
Forse, in fondo, ciò a cui mira il Partito non è solo il controllo sui cristiani, ma far perdurare la divisione fra di essi. Un sacerdote sotterraneo è andato diverse volte dalla polizia domandando di essere registrato, senza appartenere all’Ap. Egli ha sottolineato che per le forze dell’ordine era un guadagno sapere cosa lui faceva e come controllarlo. Il poliziotto gli ha riso in faccia: “A noi – ha detto – basta che voi rimaniate divisi. Se foste uniti ci dovremmo preoccupare di più”.
Un vero cambiamento della politica cinese verso la Chiesa cattolica non sta tanto nel permettere l’ordinazione di vescovi ufficiali approvati dalla Santa Sede, quanto nel garantire la libertà e la pratica religiose eliminando la divisione fra “attività normali” e “attività illegali”. L’Onu ha chiesto alla Cina di eliminare questa discriminazione fin dal 1994 e Pechino tuttora non cambia!
Questa è anche la direzione che i cattolici del mondo dovrebbero tenere, in linea con quanto domanda Benedetto XVI nella sua Lettera ai cattolici cinesi, e cioè favorire l’unità e la riconciliazione fra comunità ufficiali e sotterranee. Ma per farle riconciliare, occorre anche anzitutto farle vivere e quindi chiedere la liberazione dei prigionieri e cancellare la divisione fra attività normali e illegali!
Alcune comunità sotterranee vivono ancora con sospetto il loro rapporto con gli “ufficiali”, ma è anche vero che molti vescovi “ufficiali” cercano di non farsi vedere troppo amici (tanto meno fratelli nella stessa fede) dei loro colleghi e figli delle comunità sotterranee.
Questo dovrebbe suscitare maggiore attenzione anche da parte del Vaticano che, secondo molti sacerdoti sotterranei “si è dimenticato” della loro Chiesa. Da anni – da quando nel 2005 sono iniziati i timidi rapporti fra rappresentanti cinesi e membri della Segreteria di Stato – la Santa Sede parla sempre meno delle comunità sotterranee[5]; se uno di loro (vescovo, sacerdote, laico) è in prigione, di rado il Vaticano chiede la loro liberazione. Il 7 luglio scorso mons. Jia Zhiguo, vescovo sotterraneo di Zhengding è stato liberato dopo 15 mesi di sequestro da parte della polizia. Il card. Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, con grande coraggio, ha scritto a lui un messaggio di “bentornato nel servizio”. Ma forse ha pensato che non era ancora tempo di inserire anche la parola “prigionia” o “isolamento” per far capire al mondo che il vescovo non era tornato da una vacanza, ma da un periodo di abolizione dei suoi diritti.
[1] Tutti questi documenti sono d’accordo nel sostenere una campagna per la sua vittoria, che dovrebbe avvenire all’Ottava Assemblea dei rappresentanti cattolici. I documenti spiegano che finché non si è sicuri che Ma Yinglin sarà il presidente, non si indirà l’Ottava Assemblea.
[2] Cfr Lettera…, Libreria Editrice Vaticana, 27 maggio 2007, al n. 7 e alla nota 36.
[3] Nella storia recente, alcuni vescovi ufficiali si sono separati dall’Ap. Fra questi, è rimasto molto famoso mons. Filippo Ma Ji, vescovo di Pingliang (Gansu), che ha reso pubblico anche un documento in cui affermava che essere iscritto all’Ap è contrario alla fede cattolica.
[4] Cfr Vatican advice leaves China bishops in a bind,in Ucanews.com, 14 aprile 2010.
[5] Il card. Joseph Zen ha perfino denunciato il tentativo di eliminare la Chiesa sotterranea con false interpretazioni della Lettera del papa ai cattolici cinesi: v. AsiaNews.it, 24/07/2007 Card. Zen: confusione sulla Lettera del Papa ai cattolici cinesi.
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