giovedì 5 dicembre 2013

L'imputato - I costruttori del mondo buono

Vi propongo un mio articolo di qualche tempo fa, uscito sul mensile della Compagnia dei Tipi Loschi del beato Pier Giorgio Frassati "Vivere! … e non vivacchiare".

Fa parte di una lunga serie, anzi di una rubrica che trae origine dall'omonimo libro di Chesterton in cui il Nostro difendeva ciò che per altri non sarebbe stato difendibile, che per sventatezza e pigrizia non ho quasi mai pensato di girare su questo blog.

Lo faccio perché ritengo che sia una buona sintesi di cosa possa significare oggi essere amici di Chesterton.

L'articolo uscì nel 2012, per cui ci sono alcune cose leggermente datate (lo Spencer di cui si parla è don Spencer Howe e nel frattempo è diventato diacono e pure prete; con la Chesterton Academy ci siamo solennemente gemellati ed abbiamo iniziato una feconda collaborazione, e così con la American Chesterton Society. Con i monaci quello che c'era è diventato ancora più vero. LabCom è diventato nostro amico stabile).

Marco Sermarini


Alcuni giri ed incontri negli ultimi tempi mi hanno provocato una riflessione che condivido con i lettori che mi seguono.

Da alcuni anni frequentiamo i monaci benedettini di Norcia (PG) che, sotto la guida di padre Cassian Folsom, stanno mettendo in opera un tentativo molto sincero, serio e realistico di vita secondo lo stile tradizionale cattolico.
Negli ultimi mesi i rapporti si sono intensificati e sono divenuti più frequenti e cordiali. Ci ritroviamo su molte cose, non ultima la questione liturgica. Questo monastero celebra il proprio ufficio quotidiano secondo il breviario antico e canta in gregoriano, il canto ufficiale della Chiesa Cattolica (sì, è così e pochi lo sanno). Celebrano la propria messa conventuale secondo la forma straordinaria del rito romano, cioè dicono la cosiddetta messa tridentina in latino. Padre Cassian ci dice che la forma straordinaria si confà perfettamente ai loro bisogni di monaci. Padre Cassian è un eminente studioso della sana liturgia oltre che un monaco benedettino dalla specchiata vita. Dette da lui queste cose hanno un peso particolare.
Quel che mi colpisce di loro è l'applicazione letterale e minuziosa della Regola di San Benedetto da Norcia, densa di preoccupazioni verso l'uomo sia sul piano spirituale che su quello della vita quotidiana che è la parte preponderante di qualunque vita umana. Scavando tra le righe della regola e le pieghe numerose delle giornate di questi uomini che in piccola parte ho avuto la fortuna di vivere, mi sono accorto di come la loro vita possa essere un antidoto infallibile al veleno del conformismo e del borghesismo che ammorba la vita di tanti di noi, una leva potente adatta a creare numerose cellule vitali costituite da uomini non domi disposti a costruire con la loro libertà, il loro personale sacrificio e la loro gioia luoghi in cui Gesù Cristo sia di casa, sia Signore e Re, sia al centro del piccolo e del grande mondo ogni giorno, anche nel lavoro quotidiano senza nulla escludere.
San Benedetto è l'ideatore di questa regola di vita la cui applicazione è causa diretta e condizione principale dell'ordine sociale tradizionale che ha creato ed innervato di sé l'Europa, quell'ordine che ha trovato la sua massima espressione nella società e nella cultura medioevale.

Qualche settimana fa sono stato invitato a Roma per parlare di Chesterton e del suo pensiero sociale e politico che viene definito distributismo, un'ipotesi (ma non solo un'ipotesi: ci sono concrete espressioni di questo sistema sociale attualmente in opera; anche la nostra scuola lo è) che si rifà alla Rerum Novarum di papa Leone XIII per cui si ritiene possibile un maggiore e diffuso benessere ed ordine alla condizione che la proprietà sia la più distribuita possibile tra la popolazione, in particolare presso le famiglie e le formazioni intermedie che sorgono dal popolo. Diceva infatti Chesterton che oggi il problema non è che ci sono troppi capitalisti ma troppo pochi, nel senso che tutti dovremmo essere proprietari di qualcosa che ci consenta di vivere secondo le nostre possibilità ma in reale indipendenza ed autonomia dai grandi poteri (esattamente quello che oggi non sta succedendo: una crisi di portata epocale ci vede tutti più poveri e più schiavi del grande potere della finanza, di un'economia slegata completamente dal lavoro libero e fondata sulla moneta e sulle grandi concentrazioni di capitali).
Quest'ordine sociale potrebbe essere realizzato se ciascuna famiglia (come in realtà era una volta, di sicuro nel medioevo cristiano) potesse tenere in piedi una sua piccola impresa, se gruppi di persone si organizzassero per lavorare insieme.
Questo tessuto coprirebbe, come le cellule di cui parlavo a proposito dei nostri amici monaci, zone sempre più ampie del nostro mondo che diverrebbe libero, e profondità sempre maggiori delle nostre coscienze e delle nostre vite, che sarebbero sempre meno "singolari" e sempre meno oggetto di conquista dei grandi poteri e sempre più legate tra di loro dai vincoli della carità e dell'amicizia cristiana.
Ebbene, sono stato chiamato a Roma per parlare di questo da un gruppo di giovani "di destra" (lo dico per capirci, anche se non sopporto molto gli schemi hegeliani che ci vogliono necessariamente schierati a destra o a sinistra o al centro), molto poco ideologici, che dietro apparenze conservatrici si pongono dei problemi molto simili ai nostri e perseguono diversi ideali comuni ai nostri, tanto che andando via da lì, da questo circolo chiamato LabCom (Laboratorio di Comunità), mi sono sentito libero di dire loro: rimaniamo amici, sentiamoci, aiutiamoci. Alcuni di loro, il nerbo, sono convintamente cattolici e mi hanno detto di aver posto in essere iniziative volte ad incrementare la libertà della persona ed i rapporti di aiuto reciproco. Ho trovato un bel clima, combattivo, sveglio e positivo, gente attenta e viva.

Quella sera lì a Roma c'era anche Spencer, il nostro amico seminarista americano di stanza nella Città Eterna, insieme a Jack, un altro seminarista statunitense;  Spencer è un nostro grande amico ed è stato tramite lui che ho conosciuto la nostra scuola gemella negli States, la Chesterton Academy a St. Paul nel Minnesota. Di questa scuola vi ho già parlato, credo, ma vale la pena dire nuovamente che è nata con gli stessi obiettivi (ed a partire dalle stesse parole di Chesterton!) per cui noi abbiamo fondato la nostra. In questi giorni la Chesterton Academy ha organizzato una cena di beneficenza, un po' come facciamo noi, per oltre cinquecento persone. Ho mandato un mio biglietto di adesione e di amicizia, loro sono stati molto contenti di questo, io più di loro. Combattiamo la stessa battaglia in luoghi diversi, siamo una cosa sola.

A volte mi sembra di vedere come una storia di apparente fantasia come Il Signore degli Anelli sia invece molto molto più realistica della realtà: mi sembra di vedere elfi, hobbit, nani, uomini, ent che girano, brigano e si aiutano reciprocamente.
Che cos'hanno in comune queste esperienze tra di loro, cos'hanno in comune con la nostra?
Anzitutto c'è il tratto cristiano, inconfondibile ed irriducibile, di un cristianesimo non "moderato" o "conservatore" o "progressista" ma intero, vivo e scalciante come si dice all'inglese (alive and kicking), sempre all'arrembaggio, sempre creativo nella vita concreta.
Come secondo aspetto, si tratta di esperienze che hanno a che fare con uomini veri e non con idee astratte, si occupano degli uomini, sostengono gli uomini nella loro integralità sino ad avere la pretesa di entrare in tutti gli angoli della vita, anche quelli "non spirituali" (la pretesa degli avversari della Chiesa Cattolica è invece sempre quella di separare spirito da carne, mentre il cattolicesimo li ha sempre tenacemente voluti insieme).
In ultimo, sono realtà non rassegnate ad essere morte mentre sono ancora vive, come diceva Chesterton in Uomovivo, e che non muoiono nemmeno se le ammazzano, come diceva Giovannino Guareschi padre di Peppone e don Camillo. Potremmo dire: resistono. Ma sbaglieremmo perché non di resistenza si tratta. Sembra resistenza ma in realtà è un antico cioè tradizionale e quindi sempre nuovo modo di costruire. Somiglia molto al modo di procedere dei giocatori di rugby, che puntano alla conquista del territorio e alla meta. 
Dice infatti il filosofo scozzese Alasdair McIntyre: «È sempre rischioso tracciare paralleli troppo precisi fra un periodo storico e un altro, e fra i più fuorvianti di tali paralleli vi sono quelli che sono stati tracciati fra la nostra epoca in Europa e nel Nordamerica e l'epoca in cui l'impero romano declinava verso i secoli oscuri. Tuttavia certi parallelismi esistono. Un punto di svolta decisivo in quella storia più antica si ebbe quando uomini e donne di buona volontà si distolsero dal compito di puntellare l'imperium romano e smisero di identificare la continuazione della civiltà e della comunità morale con la conservazione di tale imperium. Il compito che invece si prefissero (spesso senza rendersi conto pienamente di ciò che stavano facendo) fu la costruzione di nuove forme di comunità entro cui la vita morale potesse essere sostenuta, in modo che sia la civiltà sia la morale avessero la possibilità di sopravvivere all'epoca incipiente di barbarie e oscurità. Se la mia interpretazione della nostra situazione morale è esatta, dovremmo concludere che da qualche tempo anche noi abbiamo raggiunto questo punto di svolta. Ciò che conta, in questa fase, è la costruzione di forme locali di comunità al cui interno la civiltà e la vita morale e intellettuale possano essere conservate attraverso i nuovi secoli oscuri che già incombono su di noi. E se la tradizione delle virtù è stata in grado di sopravvivere agli orrori dell'ultima età oscura, non siamo del tutto privi di fondamenti per la speranza. Questa volta, però, i barbari non aspettano al di là delle frontiere: ci hanno governato per parecchio tempo. Ed è la nostra consapevolezza di questo fatto a costituire parte delle nostre difficoltà. Stiamo aspettando: non Godot, ma un altro San Benedetto, senza dubbio molto diverso».
A me sembra di vedere questo, cioè uomini che non puntellano più da tempo un sistema marcio, decadente e antiumano ma costruiscono antiche nuove forme di vita, di aiuto reciproco, di unità e di speranza entro le quali la vita e la creatività possano essere sostenute ed incrementate. Solo dentro il cristianesimo cattolico questo è compiutamente possibile.
Sempre tornando al rugby mi viene da dire: avanzare, sostenere, pressare e continuare (antiche regole del rugby) nel nome di Gesù Cristo. Così costruiremo un mondo buono come il castello di famiglia.

Nessun commento: