Sono indecisa se stirare tre camicie, cercare i titoli ai capitoli del mio nuovo libro, scrivere questo post o dedicarmi al riordino del mobiletto delle spezie. Sarebbe tutto normale, se non fosse che sono le 2 e 48 di notte. Il fatto è che mi sembra che le partenze – andiamo a Parigi per una settimana – mi costringano a un severo bilancio della mia vita in tutti i settori, dalla spiritualità (ho fatto il tagliando da padre Emidio) all’economia domestica.
Ora, è vero che se dovesse precipitare l’aereo, scoppiare una guerra mondiale con chiusura delle frontiere (ah, gli stati nazionali!), o esserci un terremoto che facesse crollare la mia casa in mia assenza (se ci sono la reggo di sicuro), lo stato del mio mobiletto delle spezie non sarebbe così fondamentale, ma questi sono pensieri lucidi, che non mi appartengono in alcun modo.
Mio marito è rassegnato, e non si stupisce se sul letto a poche ore dalla partenza non vede le sue camicie stirate, ma i bollettini del pagamento mensa in ordine da settembre a giugno (da infilare nell’apposita cartellina: è evidente che l’aereo non può decollare se le ricevute del medico e i bollettini e i ricordini della comunione non vengono rispettivamente collocati). Anche il mio amico Paolo, per dire, ogni tanto quando mi chiama (quando mi chiami?) mi chiede se mi disturba, se per caso sto stilando un bilancio della mia vita dalla terza media a oggi. Mi capita ogni tanto, perché come ogni donna resetto periodicamente la mia esistenza. Ha a che fare con la ciclicità che regola i nostri equilibri: ogni tanto azzeriamo tutto e poi ricominciamo.
Se poi ci si mette qualcosa come una partenza, allora al bilancio esistenziale è impossibile sfuggire.
Il problema è che noi donne facciamo molta fatica ad ammettere che qualcosa intorno a noi possa non andare come vogliamo. Io quando succede – cioè sempre – esordisco con il mio peggior tono petulante: “non ho capito perché…” e vado di lamentela. Mio marito non saprà mai di cosa mi lamento, visto che al “perché” di solito è già uscito dalla stanza.
Questo nostro desiderio di abitare la realtà plasmandola a nostra immagine è profondamente femminile. È una qualità, e quindi è neutra, e può essere declinata facendone un uso buono o cattivo. Quando diventa desiderio di controllo non è buona, ed è quel nodo di peccato tutto femminile a cui ci richiama san Paolo nella lettera agli Efesini, quando invita le donne ad essere sottomesse. È proprio perché la nostra naturale inclinazione sarebbe esattamente quella opposta, il bisogno di controllare, di mettere la nostra impronta sulla realtà, sulle cose, sulle persone, sui mariti anche (se ce lo permettono).
Se è per questo anche gli uomini hanno il loro nucleo problematico, o di peccato, se vogliamo essere nell’ottica di fede, ma di questo parlate con san Paolo (io provo a ragionarci nel secondo libro).
Quanto a noi femmine, quello che ci serve è un continuo, incessante lavoro su noi stesse, un’opera di scartavetramento personale, che ci lasci trasformare dal reale, soprattutto quando è a forma di croce. Allora imparare ad accoglierlo docilmente è più faticoso.
Adesso riprendo le energie (tutto sta a partire, a cominciare questa vacanza) e ci provo. Ma secondo voi se non ho annaffiato le ortensie alla dogana mi fanno passare?
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