martedì 4 agosto 2009
La decisione dell’agenzia del farmaco di commercializzare e distribuire la Ru486 in tutte le strutture sanitarie del Paese è un evento di importanza assolutamente epocale. Del resto avevamo già notato, ai tempi dell’infelicissima esperienza di Eluana Englaro, che l’imbattersi della nostra società contro l’urto della mentalità laicista e anticristiana sta obiettivamente demolendo i punti sostanziali, sul piano antropologico ed etico, che hanno retto per più di due millenni la nostra tradizione italiana. L’attacco alla vita più infimo, più subdolo e, in più, corredato di tecnologie scientifiche, ci dimostra di essere l’espressione di un turpe egoismo che considera la gravidanza esclusivamente come un peso inutile e come una zavorra dalla quale liberarsi nel modo più operativo ed efficace possibile.
Così, senza un minimo di rispetto per la vita, senza una minima conoscenza della situazione reale della madre, senza un’accoglienza adeguata dell’ambito di preoccupazione, di convivenza, di comunicazione umana, l’operazione diventa asetticamente chimica, una pillola che si ingerisce.
E anche in Italia, come si ingerisce nella maggior parte del cosiddetto mondo civile verso il quale noi non abbiamo nessuna voglia di andare, si ingerirà o a casa o in ospedale, una pillola e poi il meccanismo avrà il suo inesorabile e ormai molte volte tragico esito.
Questa assenza totale del rispetto per la vita, che è il rispetto per la persona e il suo destino, farà sì che il rispetto per la capacità di intelligenza dell’uomo, per la sua dedizione, per la sua capacità di sacrificio con cui le generazioni precedenti hanno costruito una società fortemente ispirata dal cristianesimo, ma sostanzialmente laica nelle sue motivazioni e nelle sue determinazioni di fondo, scompaia. E noi siamo qui a dire, o almeno così ci viene detto, che questo è il progresso, che questa è la vera autodeterminazione della donna e che questa è una società a misura della razionalità e della libertà dell’uomo. Invece è una società a misura dell’irrazionalità e della violenza dell’uomo.
Questa è comunque la moralità contemporanea, la moralità del caso Englaro, la moralità della pillola del giorno dopo che viene ampiamente distribuita, ormai è ovvio, in quasi tutti gli ospedali italiani, è la moralità di questa pillola che il grande genetista del XX secolo, Jacques Lejeune, aveva definito, più di dieci anni fa, un vero e proprio “pesticida umano”.
Questa è la moralità sulla quale non si costruisce una società, ma una giungla nella quale ciascuno deve stare il più possibile lontano da chi gli è vicino e costruire una trama di rapporti dettati esclusivamente dal proprio benessere.
Questa è la moralità pubblica.
Negli ultimi mesi la mentalità laicista che tenta di dominare il nostro Paese in tutti i modi, attraverso insistenti e devastanti campagne massmediatiche, ha tentato di convincerci che la moralità pubblica fosse fondamentalmente l’esito pubblico di atteggiamenti privati di uomini politici, di cariche o di funzionari dello Stato. A loro vorrei ricordare, secondo una tipica tradizione magisteriale della Chiesa, che anche mille errori di carattere etico non costituiscono un attacco al benessere e alla libertà di un popolo. Mentre decidere e programmare concezioni e pratiche della vita decisamente avverse al suo valore indisponibile, questo sì, distrugge il bene e la libertà di un popolo.
La moralità pubblica rappresentata dalla Ru486 è la moralità che copre il nostro Paese di una coltre terribile, la coltre dell’indifferenza e della violenza. Se questa è, come sembra essere, l’ora delle tenebre allora chiedo a tutti i cristiani di essere in queste tenebre una luce che risplende, come ci ha insegnato San Giovanni. La luce che risplende non della propria forza, delle proprie certezze, delle proprie presunzioni di moralità. Le presunzioni moralistiche le lasciamo agli altri, anche a quelli che si definiscono “cristiani adulti”. Noi siamo cristiani veri. Vogliamo testimoniare la certezza che Cristo e solo Cristo è il salvatore del mondo, e soltanto attraverso questa nostra quotidiana lieta e sacrificata testimonianza la sua presenza raggiunge ogni uomo che lo accoglie. Ogni uomo che accoglie il mistero di Cristo viene introdotto nell’autentica esperienza di libertà, di verità, di pace e di costruttività.
Talora anche drammatica, talora anche nella sconfitta, ma sempre nella grande vittoria di Dio che ha vinto il mondo nella morte e nella resurrezione del Signore.
Così, senza un minimo di rispetto per la vita, senza una minima conoscenza della situazione reale della madre, senza un’accoglienza adeguata dell’ambito di preoccupazione, di convivenza, di comunicazione umana, l’operazione diventa asetticamente chimica, una pillola che si ingerisce.
E anche in Italia, come si ingerisce nella maggior parte del cosiddetto mondo civile verso il quale noi non abbiamo nessuna voglia di andare, si ingerirà o a casa o in ospedale, una pillola e poi il meccanismo avrà il suo inesorabile e ormai molte volte tragico esito.
Questa assenza totale del rispetto per la vita, che è il rispetto per la persona e il suo destino, farà sì che il rispetto per la capacità di intelligenza dell’uomo, per la sua dedizione, per la sua capacità di sacrificio con cui le generazioni precedenti hanno costruito una società fortemente ispirata dal cristianesimo, ma sostanzialmente laica nelle sue motivazioni e nelle sue determinazioni di fondo, scompaia. E noi siamo qui a dire, o almeno così ci viene detto, che questo è il progresso, che questa è la vera autodeterminazione della donna e che questa è una società a misura della razionalità e della libertà dell’uomo. Invece è una società a misura dell’irrazionalità e della violenza dell’uomo.
Questa è comunque la moralità contemporanea, la moralità del caso Englaro, la moralità della pillola del giorno dopo che viene ampiamente distribuita, ormai è ovvio, in quasi tutti gli ospedali italiani, è la moralità di questa pillola che il grande genetista del XX secolo, Jacques Lejeune, aveva definito, più di dieci anni fa, un vero e proprio “pesticida umano”.
Questa è la moralità sulla quale non si costruisce una società, ma una giungla nella quale ciascuno deve stare il più possibile lontano da chi gli è vicino e costruire una trama di rapporti dettati esclusivamente dal proprio benessere.
Questa è la moralità pubblica.
Negli ultimi mesi la mentalità laicista che tenta di dominare il nostro Paese in tutti i modi, attraverso insistenti e devastanti campagne massmediatiche, ha tentato di convincerci che la moralità pubblica fosse fondamentalmente l’esito pubblico di atteggiamenti privati di uomini politici, di cariche o di funzionari dello Stato. A loro vorrei ricordare, secondo una tipica tradizione magisteriale della Chiesa, che anche mille errori di carattere etico non costituiscono un attacco al benessere e alla libertà di un popolo. Mentre decidere e programmare concezioni e pratiche della vita decisamente avverse al suo valore indisponibile, questo sì, distrugge il bene e la libertà di un popolo.
La moralità pubblica rappresentata dalla Ru486 è la moralità che copre il nostro Paese di una coltre terribile, la coltre dell’indifferenza e della violenza. Se questa è, come sembra essere, l’ora delle tenebre allora chiedo a tutti i cristiani di essere in queste tenebre una luce che risplende, come ci ha insegnato San Giovanni. La luce che risplende non della propria forza, delle proprie certezze, delle proprie presunzioni di moralità. Le presunzioni moralistiche le lasciamo agli altri, anche a quelli che si definiscono “cristiani adulti”. Noi siamo cristiani veri. Vogliamo testimoniare la certezza che Cristo e solo Cristo è il salvatore del mondo, e soltanto attraverso questa nostra quotidiana lieta e sacrificata testimonianza la sua presenza raggiunge ogni uomo che lo accoglie. Ogni uomo che accoglie il mistero di Cristo viene introdotto nell’autentica esperienza di libertà, di verità, di pace e di costruttività.
Talora anche drammatica, talora anche nella sconfitta, ma sempre nella grande vittoria di Dio che ha vinto il mondo nella morte e nella resurrezione del Signore.
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