martedì 4 agosto 2009

L'imputato - La difesa dell'indifendibile - I compleanni col Rosso Antico



Apro con questo scritto una nuova rubrica. Prendo le mosse, senza sottacerlo, dal primo libro di saggi prodotto dal mio amato Gilbert Keith Chesterton, che mise appunto questo nome (The defendant) ad una felice raccolta di saggi in difesa di ciò che non trovava patria nel suo mondo così privo (come il nostro) di normalità, semplicità e sanità mentale.

La prima causa persa che, da buon avvocato, vorrei perorare è quella dei cari vecchi compleanni di una volta col Rosso Antico.

Sono padre di cinque figli, di cui tre scolarizzati, una ancora all'asilo e una quinta troppo piccola per desiderare di andare a quei clamorosi sabba pagani che oggi chiamano "compleanni".
Quelle rarissime volte che surrogo mia moglie nel non invidiabile compito (dal quale di solito mi sottrae il duro lavoro di cavaliere dell'altrui libertà) di accompagnare i pargoli alle cosiddette feste di compleanno, ne ho avuto per giorni e giorni. Basta raccontare un episodio dei tanti: una volta cerco mio figlio, il più grande, per riportarmelo a casa da una sorta di Colosseo del gioco (uno di quei posti dove ti organizzano la festa "dalla culla alla tomba", per capirci), in cui una trentina e passa di bambini si lanciavano a mo' di kamikaze da reti sospese in mezzo a laghi di palline di gomma, gridando come una tribù di Cheyenne di uno dei migliori film di John Ford. Vedo la sua capoccetta in mezzo alla mischia, nella quale si destreggiava -devo dire- egregiamente. Lo chiamo: non mi sente (o almeno penso; in quella rissa clamorosa, comunque, cosa vuoi che senta chiunque?). Vedo uno dei suoi compagni, lo riconoscerei tra mille nonostante l'andazzo... cheyenne del giovanottino ed il colore paonazzo della sua faccia (caloriferi a callara, come si dice dalle mie parti, agitazione psicomotoria, frasi sconnesse... Mentre lo guardo mi sembra di rileggere uno di quei meravigliosi verbali redatti da un pedissequo carabiniere in occasione di qualche arresto o fermo...), lo chiamo e gli dico: "... Dov'è mio figlio?". Quello mi guarda per circa dieci secondi in faccia, come cristallizzato dalla bacchetta magica della Strega dei Ghiacci, si blocca... e non mi dice niente! E riprende la sarabanda tamquam non esset!
Penso: non avrà capito, e mi guardo intorno alla speranzosa ricerca di una faccia adulta che mi dica qualcosa sulla patologia anche temporanea che affligge il giovane scagnozzo ma...
Trovo un tavolino dove ci sono sette o otto presunti padri o madri dei gladiatori (presunti: perché oggi a dare del padre o della madre a qualcuno si rischia la querela. Metti che è il compagno/la compagna della madre/del padre del malcapitato e che il padre/la madre ha fatto il malcapitato con qualcun altro... insomma, andiamoci piano...). Mi guardano come se fossi arrivato da Marte là per là. Accenno un sorriso. Una fa una smorfia. Un altro muove mezzo labbro. Gli altri continuano a ridere e a sbafare pizza a profusione come se io stessi dentro una campana di vetro antiproiettile. Capisco che la mia ricerca è inutile, al che tento il tutto per tutto: prendo una pisquanella che trottola su uno di quegli spalti, la ghermisco e le dico: "Di' a mio figlio che se non cala entro tre secondi vi scateno una guerra che nemmeno ve la immaginate!" (che mossa da Rambo!).
La fetentina, intimorita dagli occhi iniettati di sangue e dalla mia totale insensibilità agli stimoli esteriori (forte odore di pizza cartonata, di patatine fritte, pop corn stile Rose-di-Gerico in giro per questo stanzone anfiteatro pieno di ebeti vestiti da padri e da madri divertitissimi di aver portato lì i loro figli e di poter così parlare amabilmente, comprensibiilmente, comodamente, intelligentemente tra loro "adulti"...) agita le mani verso mio figlio che, conscio di dover tornare a casa con quel reduce dal Vietnam di suo padre, cala -protestando e smanacciando nel miglior stile calcistico ma comunque a capocollo chino- raccoglie i suoi effetti (scarpe prese da un deposito stile camera a gas, giubbotto, ninnoli e cotillons regalati a piene mani ai convenuti al sabba come ad una convention di attivisti americani del detersivo che lava perfettamente i capi di lana) e in buon ordine riprende la via di casa.
Nella macchina si stempera, con il suddetto padre che dice che "è l'ultima volta che ti vengo a riprendere sul set del film Il Gladiatore", che bisogna essere completamente matti a spendere tutti quei soldi per un compleanno di un figlio, e mentre i due si allontanano dall'agone, in lontananza si vedono e odono i fuochi artificiali in onore del festeggiato...

Io ho un vago ricordo dell'ultimo compleano festeggiato "ritualmente" (ossia con torta, candeline e accidenti vari): dovevo avere sui sei anni, era il 1971, e rivedo sia i già nominati torta e candeline, le pastarelle, un paio di zii e di zie, qualche cuginetto in numero modesto, le tovagliette ricamate da mamma, la sala della mia vecchia casa, la boccetta caratteristica di aranciata San Pellegrino e l'immancabile bottiglia sinuosa di Rosso Antico , che mi chiedevo chi avrebbe mai bevuto e che mi incuriosiva per la forma e il colore.

Ma non era tutto più normale? Non c'era nulla di ipertrofico, nei festeggiamenti come negli io dei partecipanti. I regali erano quelli semplici che ti facevano i parenti e qualche amichetto (soldatini, piccole scatole di costruzioni, un pallone rigorosamente di plastica "effetto casualità" quando lo tiravi, stile SuperTeleRigonfiabile...), i fuochi artificiali li vedevamo una volta all'anno per la festa della Madonna della Marina... ora tutte le sere c'è la festa per il diciottene che se non spende almeno mille euro per la festa e non gli fanno gli spari si sente povero e incompreso...

Non sarà il caso di darci una regolata? In fondo è solo un compleanno, non lo psicodramma in cui sfogare i sensi di colpa di padri o madri resi perennemente incapaci nel loro ruolo da tv, giornali intelligenti e quant'altro?

Voglio ricomprare una bella boccia di Rosso Antico, chissà...

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