martedì 27 gennaio 2009

A proposito di Shoa...

Ci ha colpito molto questo articolo dell'Osservatore Romano sulla deportazione degli ebrei (sono state montate enormi polemiche sulle dichiarazioni, peraltro vecchie di tre mesi, e sconfessate dal superiore della Fraternità San Pio X, di Mons. Williamson -uno dei vescovi tradizionalisti cui è stata tolta la scomunica da Papa Benedetto giorni fa, ne abbiamo dato notizia anche noi- a proposito della Shoa). Lo abbiamo ascoltato dalla lettura del bravo Padre Livio di Radio Maria questa mattina durante la sua Rassegna della stampa del giorno e ve lo riproponiamo. E' molto commovente e fa ribollire il sangue nelle vene.

Nel Giorno della memoria la voce dei sopravvissuti italiani alla Shoah

I riccioli d'oro e il riso ignaro di un bimbo che va a morire


di Gaetano Vallini

Ci sono pagine che tolgono il respiro. Ed è dura andare avanti. Nonostante ormai si conosca tutto o quasi della Shoah, l'orrore è tale - e quello che si percepisce è solo un'infinitesima parte di quanto provato da chi c'era - che si stenta a credere sia stato possibile. Eppure non riesci a fermarti, perché senti che lo devi alla memoria di quanti non ce l'hanno fatta; al coraggio di quanti hanno accettato di raccontare l'indicibile; e a una verità storica che qualcuno ogni tanto prova vergognosamente a rimettere in discussione.
Sarà perché ti inchioda di fronte alla degradazione di cui è capace l'uomo; sarà perché le testimonianze sono riportate anche in dialetto per restituirle nella loro pienezza, frammentate e ricomposte per ricostruire, come mai prima, la pagina più terribile e vergognosa della storia del secolo scorso; sarà perché sembra quasi di sentirle dalla viva voce dei sopravvissuti, ma Il libro della Shoah italiana (Torino, Einaudi, 2009, pagine 490, euro 42) curato da Marcello Pezzetti, riesce davvero a precipitare il lettore sulla soglia dell'inferno. Quell'inferno di cui parla Shlomo Venezia: "L'inferno... qualsiasi persona lo conosce dai libri, noi l'abbiamo vissuto". E lui, scelto a far parte del Sonderkommando di Birkenau - dove c'erano, scrive l'autore, "gli impianti omicidi più imponenti che l'uomo abbia edificato nel corso della storia" - sa quello che dice; lui stava all'inferno: doveva rimuovere i corpi dalle camere a gas, preparandoli per i crematori.
Quella di Venezia è la più agghiacciante tra le testimonianze raccolte da Pezzetti, storico del Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec) di Milano, membro di diverse istituzioni dedicate alla ricerca sulla Shoah, consulente dei registi Spielberg e Benigni, coautore del film Memoria, nonché direttore del costituendo Museo della Shoah di Roma. L'autore ha tirato le somme di un lavoro iniziato alla fine degli anni Ottanta, quando il Cdec cominciò a effettuare alcune interviste audio ai sopravvissuti. In seguito furono contattate le comunità ebraiche italiane affinché offrissero un aiuto nella ricerca. E si pensò di realizzare dei video con ciascun testimone.
La prima intervista filmata fu realizzata il 15 giugno 1995, a Milano, con Rachele Levi, della comunità ebraica italiana di Rodi. L'ultima, a fine 2008, a uno dei pochissimi superstiti della retata del 16 ottobre 1943, a Roma, ancora in vita: Enzo Camerino, residente a Montreal, di passaggio nella capitale. In totale sono stati intervistati - riportandoli per quanto possibile nei luoghi di prigionia - centocinque ebrei, sessanta donne e quarantacinque uomini, sopravvissuti alla deportazione dall'Italia, compreso il Dodecanneso, tra il 1943 e il 1945. Di essi, ottantotto finirono ad Auschwitz (dove il primo convoglio italiano arrivò il 23 ottobre 1943), quattro a Ravensbrück, tre a Bergen-Belsen, uno a Buchenwald e i restanti in altri luoghi.
Il lavoro è stato lungo, complesso e doloroso. "Doloroso - sottolinea l'autore - innanzitutto per chi è stato intervistato, spesso consapevole di offrirci con grande generosità una parte importante della propria vita che aveva deciso di non rendere mai pubblica, in secondo luogo per i componenti delle loro famiglie, che in molti casi hanno assistito alle interviste e hanno appreso la sorte dei propri cari nei dettagli solo in quell'istante, infine per noi che abbiamo raccolto la loro storia e la loro memoria, dal momento che è stato estremamente difficile mantenere un equilibrio tra il necessario rigore scientifico che doveva contraddistinguere il nostro approccio e il coinvolgimento umano che la drammaticità delle testimonianze suscitava".
E il coinvolgimento umano non manca certo nella lettura di questo volume, pubblicato in occasione del Giorno della Memoria, che ripercorre le varie tappe del progetto di sterminio: la vita prima del fascismo, la convivenza con il regime, l'umiliazione delle leggi razziali, la violenza dell'occupazione nazista, gli arresti, gli interrogatori, la detenzione in carcere, il transito nei campi di concentramento italiani, il viaggio verso i lager, la prigionia nei campi della morte. È una lenta caduta nel tunnel della follia antisemita, nella peggiore delle abiezioni umane. Fino alla liberazione, al difficile ritorno a una vita che sembrava perduta, tra il lutto inconsolabile per i propri cari morti e il senso di colpa per essere sopravvissuti.
Ognuno di questi momenti viene introdotto da una breve scheda che inquadra i luoghi e i fatti. Il resto lo raccontano loro, i testimoni, senza sconti, senza concedere nulla alla fantasia. Quanto raccontato sembra prendere forma. E li vedi lì, nel ghetto di Roma, cercare di sfuggire alla caccia, impauriti e sorpresi per l'inattesa violenza. Cogli il sollievo e la gratitudine per l'insperato aiuto di un conoscente, magari un cattolico, a volte un prete o una suora; o al contrario l'incredulità e la rabbia per la delazione di un vicino di casa, fino ad allora considerato amico.
Li immagini nelle carceri, mentre vengono seviziati durante gli interrogatori attraverso i quali gli aguzzini cercano di estorcere i nomi di parenti e conoscenti ebrei. Li osservi persi nel Campo di Fossoli, o alla Risiera di San Sabba, macerati dai dubbi sul loro futuro incerto, mentre cominciano a giungere alle loro orecchie notizie spaventose. Senti l'asfissiante oppressione delle centinaia di persone rinchiuse nei carri merci, ammassate come bestie, in un viaggio disumano verso quelli che ci si illude siano campi di lavoro, mentre i più anziani e i più deboli cominciano già a morire.
E poi l'arrivo nei lager; per la stragrande maggioranza Auschwitz-Birkenau, un luogo sul quale tra i deportati già circolavano voci tanto terribili quanto inverosimili. Li vedi su quella banchina, smarriti, impauriti, piangenti e tremanti, con gli sguardi attratti dal sinistro bagliore di quelle oscure ciminiere fumanti, con quell'odore nauseante e sconosciuto che avvolge tutto. Cogli l'angoscia straziante di quanti sono subito separati dai familiari: genitori, fratelli, sorelle, mariti, figli, i più grandicelli. I più piccoli sono immediatamente avviati con le mamme verso le camere a gas, assieme ad anziani e malati. Senti le loro urla terrorizzate, impotenti, disperate.
"Siamo arrivati alla mattina - ricorda Ida Marcheria - ed è stata subito una Babele: urla, grida, abbaiare di cani. C'hanno levato il papà e i nostri fratelli, poi ci hanno diviso dalla mamma. A mamma l'hanno fatta salire su un camion, dicevano che noi dovevamo andare a piedi perché eravamo giovani. È salita sul camion e ci ha raccomandato: "Bambine, state sempre insieme!". Forse lo sentiva, non lo so... comunque non ha pianto la mia mamma, non piangeva. Non l'ho vista più. La mamma... è quella sera che è morta". "Il momento più terribile? La separazione dai genitori. È stata - dice Trahamin Cohen - una cosa tremenda... È stato terribile, terribile! Molte volte purtroppo questa scena mi viene in mente in sogno. Ma il ricordo è peggio del sogno. Il ricordo a me mi ammazza. Non ci reggo...".
A Birkenau furono deportati circa duecentomila bambini, di loro seicento erano italiani. Tra questi c'era anche il più piccolo ebreo deportato dall'Italia. "Figlio di Marcella Perugia, nacque al Collegio militare di Roma il 17 ottobre 1943, il giorno prima della partenza. Questo bambino, forse nemmeno arrivato a Birkenau, è rimasto senza nome". Il libro è dedicato a lui.
La quasi totalità dei bambini venne uccisa nelle camere a gas il giorno stesso dell'arrivo. Il loro ricordo è il più straziante. "I bambini... i bambini che scendevano dai vagoni erano come i bambini di tutto il mondo: piccoli, assolutamente ignari del loro destino... In particolare - sono le parole di Nedo Fiano - io ricordo un servizio di notte, quando è arrivato dalla Francia un convoglio di bambini molto piccoli, credo che nessuno superasse i cinque anni. Il fatto unico è che questi ragazzi erano felici, contenti di scendere da questi vagoni dov'erano stati per giorni, avevano sottobraccio i loro giocattoli e si avviarono verso il crematorio. Si tenevano, ricordo, in file di tre... si tenevano per mano. Mi ricordo un bambino coi capelli biondi, dai riccioli meravigliosi, riccioli d'oro, così felice... Era straziante, una scena incredibile".
Tremendi sono anche i ricordi della vita del campo: l'angosciante rito delle selezioni - "È lì che abbiamo incontrato il dottore Mengele, il maledetto, e lui ha cominciato a separare gli uomini dalle donne con un cenno della testa", dice Arianna Szörényi - e il freddo, la fame, l'agonia dei malati, i Kinderblock dove finivano i bambini oggetto di sperimentazioni; e ancora le angherie, le violenze gratuite, brutali, inumane. "Davanti a me - ricorda Alberto Sed - c'era uno del Kommando che portava un regazzino verso un carretto; c'erano due tedeschi, uno dei quali gli ha detto: "Férmete! Il regazzino nun l'appoggiare, ma lancialo dentro il carretto!" 'Sto regazzino poteva ave' cinque, sette mesi... quando questo l'ha buttato, inaspettatamente uno dei due ha tirato fuori la pistola... e c'ha fatto il tiro a segno. Avevano scommesso dei marchi".
"C'era la violenza più totale, la violenza assoluta. La violenza fisica prima di tutto, poi la violenza psicologica. Era - racconta Piero Terracina - un vivere continuamente sotto la paura delle percosse, delle punizioni, delle selezioni. Lì sapevamo che dovevamo morire. Potevamo morire dopo un giorno, dopo una settimana, dopo un mese, non si andava oltre con il pensiero". C'era la certezza di quell'inferno di cui parla Shlomo Venezia.
Eppure, mentre tanti si lasciavano andare, altri si aggrappavano alla vita, spinti soprattutto dalla volontà di ritrovare un giorno i familiari da cui erano stati divisi. "Io vivevo soprattutto con l'idea di resistere per trovare le bambine, per ritornare con le bambine", dice Giulia Fiorentino Tedeschi. "Quello che mi spingeva a sopravvivere - è invece il ricordo di Virginia Gattegno - era l'idea di uscire di lì, cioè di morire magari appena fuori, ma non lì dentro a quell'inferno, non da prigioniera. Morire come un essere umano, insomma".
Qualcuno arrivò a vedere il giorno della liberazione dei campi, alcuni tuttavia morirono nei giorni successivi per le malattie e gli stenti patiti, senza poter assaporare la ritrovata libertà. Ma per molti il ritorno alla vita non è stato facile. Emblematiche le parole di Ida Marcheria e di Alberto Israel, che riassumono lo stato d'animo di tanti sopravvissuti: "Io maledico il giorno che sono uscita da quel lager. Non dovevo uscire, non dovevo mai tornare. Non so gli altri, può darsi che sono felici, non lo so". "C'è una cosa che devo dire, con molta fatica: noi abbiamo un rimorso... perché noi siamo riusciti a vivere. Non avremo mai pace fino al giorno in cui non andremo a raggiungerli". Ma per altri prevale il senso di riconoscenza, nonostante tutto, malgrado il ricordo che non si cancella mai, e che torna come un incubo ricorrente. Nonostante quel "dov'era Dio" che ancora angoscia molti.
C'è tutto questo e molto altro nel lavoro di Pezzetti. Complessivamente, secondo i dati del Cdec, dall'Italia venne deportato circa un quinto degli ebrei residenti: poco meno di 7.800 - cui vanno aggiunti 1.819 ebrei dei possedimenti italiani del Dodecanneso. Solo 837 sono tornati. Il libro della Shoah italiana è un doveroso tributo alla memoria di quanti non ce l'hanno fatta e un monito per il futuro.

1 commento:

douglas ha detto...

un conto è la sensazione che provi e che ti stringe il cuore, te lo fa diventare piccolo, il nodo alla gola che ti toglie il respiro, un conto è scrivere un commento con questo stato d'animo, riuscire a esprimerlo in righe scritte, ci provo: non ho niente nella mia etnia che possa far pensare all'ebraismo, come non ho niente che mi rapporti al popolo palestinese o qualunque popolo perseguitato nella storia, sono soltanto un comune sig. Rossi padre di famiglia, abituato fino a tempo fa a credere che a tutto ci sia una soluzione divina che regola il tutto, naturalmente anche perchè i soprusi fino a quel momento non ti hanno toccato direttamente. ma comunque diventi conspevole dell'impotenza umana di fronte a certe tragedie totali poco per volta, col tempo, e allora appena senti o vedi qualunque cosa che ti fa venire in mente cerchi, vuoi leggere e vedere quasi con una sorta di masochismo, sai che ti farà male, ma vuoi ricordare, ricordare e confrontare con le tue cose attuali, quelle che lamenti di non avere e quelle che hai, confronti con chi ne è stato privato. ciò che mi attanagli di più lo spirito è la soffernza famigliare: la separazione, l'anziano padre che va a morire consapevole, il giovane che spera di salvarsi grazie alla forza fisica, il debole benestante (la maggior parte di noi al livello di vita atuale) perchè non è abituato alle privazioni come il forte povero; mi dispiace non poter commentare le soffernze fisiche sul campo degli adulti, non le posso nemmeno immaginare, l'unica soffernza che posso lonatanamente provare a immaginare e che mi getta in lacrime è imamginare i bambini sparati dai genitori, la loro ancgoscia, i lro pianti, la solitudine, la perdizionenei loro occhi e tutto il resto che tutti noi ormai sappiamo, li immagino mentre i loro genitori cercano di spiegare, dove c'è il tempo, prima di lasciarli, le lacrime di entrambi, li immagino scendendo dal treno "coi loro giocattoli sottobraccio e, qualcuno coi riccioli d'oro" altri con il viso delle fotografie che vediamo comunemente sui lager e deportazioni, guardo e immagino e cerco di immedesimarmi, che una cosa così potrebbe ancora succedere e succedere a noi e non a d altre etnie come sta succedendo tutt'ora nel mondo, guardo i miei figli (12 anni, 7 anni e 18 mesi), tra l'altro non si separerebbero ami da noi, li immagino in uno strazio del genere, noto che hanno i gli stessi riccioli, bruni o biondi, le stesse manine dei bambini ebrei, giocano come loro, provano affetto cercano la loro mamma e il loro papà, hanno gli stessi occhi dei bambini dei bambi ebrei e di quelli palestinesi massacrati dalla mente folle di non so chi. anche se non ebrei sarebbero potuti finire per caso o per burocrazia o per vizio(ho capito che avveniva tutto così) trai deportati. perchè non si è potuto evitare tutto questo, come non si stan evitando altri genocidi in corso? gli uomin che hanno realizzato ciò non sono stati a loro volta bambini, perchè come dice sant- exupery tutti gli uomini sono stati bambini, che bambini sono stati costoro? quanto basterà la nostra memoria per evitarlo in futuro e come potremo evitarlo se nel mondo nasceranno altri hitler, altri stalin, saddam , vladic e via dicendo? come possiamo arrivare noi comuni prsone dove non arrivano i potenti? dov'è quella forza del bene che avrebbe dovuto sovrastare il male e già avitare genocidi come quelli della prima guerra e quello + conosciuto ai giorni nostri degli ebrei dei lager? perchè alcuni non ammettono che sia esisitito questo genocidio del popolo ebraico e per contro parte di israeliani attuali non si ricordano quello hanno patito i loro genitori e nonni perpetrando le stese violenze ad altri, che comunque sono su una terra che, pur considerando loro di diritto attraverso le scritture, era già occupata da un altro popolo prima di loro......ora il groppo si sta svanendo poco alla volta, ma so che ricomparirà, ma penso anche che sia giusto così