lunedì 20 ottobre 2008

INDIA - I cristiani dell’Orissa si appellano all’Onu come “cittadini senza Stato”



di Nirmala Carvalho

Il governo dell’Orissa chiude persino i campi profughi, migliaia non sanno dove rifugiarsi. Appello all’Onu perché riconosca ai cristiani indiani lo status di profughi, li protegga e invii cibo e ripari che l’India nega.

New Delhi (AsiaNews) – Il governo dell’Orissa chiude i campi profughi e caccia migliaia di cristiani, senza riparo né cibo. Mentre continuano le violenze, viene denunciato alle Nazioni Unite il genocidio in atto e chiesto un immediato intervento.

Padre Manoj Digal del Centro arcidiocesano per i servizi sociali denuncia ad AsiaNews che “uno dei tre campi profughi di Baliguda è stato chiuso il 15 ottobre e 900 persone sono state mandate via. E’ assurdo, molta gente non sa dove andare, è priva di qualsiasi difesa. Il governo non ha dato loro nemmeno tende e appena 10 chilogrammi di riso per famiglia. Hanno perso tutto. Se tornano al loro villaggio, possono solo riconvertirsi all’induismo. Molti hanno così dovuto lasciare l’Orissa per andare in altri Stati”. “Il governo non garantisce alcuna sicurezza ai cristiani, nonostante rischino la vita. Ora ci sono anche gruppi di donne estremiste che minacciano le donne cristiane. Non c’è alcun rispetto dei diritti fondamentali. Molte di queste famiglie avevano un dignitoso tenore di vita, ora debbono andare tra gente sconosciuta privi di tutto”.

Sajan K. George, presidente del Consiglio globale dei cristiani indiani, ha denunciato alle Nazioni Unite la decisione del governo dell’Orissa di chiudere i campi profughi nel distretto di Kandhamal. All’Onu Sajan ha scritto che “il 3 settembre il New York Times ha riportato che 1.400 case e 80 chiese sono state distrutte o danneggiate. Ma i danni attuali nella sola Orissa sono oltre il doppio. In centinaia sono stati assassinati solo per la loro fede e c’è una sistematica e diffusa violazione di ogni diritto: stupri, violenze atroci anche da parte di poliziotti, incendi di chiese e proprietà dei cristiani. I profughi sono decine di migliaia, vivono nella foresta o nei campi senza cibo né medicine, molti si ammalano e muoiono. I cristiani hanno quasi perso fiducia che il governo voglia proteggere i cittadini, specie quella minoranza del 2,5% di cristiani”.

“Gli Stati dove questo accade – prosegue – sono governati dal Partito Bharatiya Janata [nazionalista indù] e dai suoi alleati, come in Orissa. Nel 2009 ci saranno le elezioni generali, il governo centrale è riluttante a prendere iniziative. Sono mesi che è iniziato il massacro dei cristiani in Orissa e abbiamo bussato a ogni porta, invano. Le aggressioni e il genocidio proseguono, in Orissa e in almeno altri 8 Stati indiani. E sarebbe stato molto peggio se i media e gli attivisti per i diritti non avessero denunciato la brutalità degli estremisti indù, favorita dall’inerzia del governo. Tutto mostra che il massacro peggiorerà. Abbiamo paura che il governo non faccia nulla per impedirlo, per migliaia di cristiani l’unica speranza sembra fuggire in un altro Stato”. “Il governo ha persino impedito ai gruppi cristiani di operare nella zona per portare aiuto”.

“Per questo – conclude – chiediamo che i profughi dell’Orissa siano posti sotto la protezione dell’Onu come rifugiati. Ora sono come gente senza Stato. In Orissa non c’è Stato di diritto, per loro, nessuno li protegge”. “Hanno bisogno di cibo, riparo, medicine”. “Senza un aiuto immediato in decine di migliaia moriranno per le violenze, gli stenti, le malattie, compresi vecchi, donne, bambini, sacerdoti”. “Ci appelliamo all’Onu perché protegga le loro vite e impedisca discriminazioni fondate su ragioni di razza, religione o casta. Perché chieda al governo indiano di adempiere alle sue responsabilità verso i propri cittadini”.

Intanto la violenza si diffonde nell’intera nazione. Il 14 ottobre due chiese sono state assalite a Erode, nel Tamil Nadu: ignoti hanno lanciato pietre, nella notte, rompendo vetri e arredi.

Nel disastro, non mancano germi di speranza. Suor M. Suma, superiora regionale delle Missionarie della carità di Madre Teresa di Calcutta, è fuggita dalla Casa di Sukananda, distretto di Kandhamal, bruciata il 30 settembre da estremisti indù. Ad Asianews dice che ha avuto il permesso di stare stanotte e per due giorni nel campo profughi di Raikia, dove spera “di condividere con loro l’amore di Madre Teresa e la gioia per l’amore di Dio”.

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