martedì 16 ottobre 2007

La storia di Eluana Englaro. Ecco un altro inconsapevole strumento della campagna pro eutanasia.

Ci sarà un nuovo processo sul caso di Eluana Englaro, la giovane in coma dal 1992 a seguito di un incidente stradale. La I Sezione civile della Corte di Cassazione, presieduta da Maria Gabriella Luccioli, e composta dal relatore Alberto Giusti, dai consiglieri Massimo Bonomo, Paolo Giuliani e Maria Rosaria San Giorgio, ha deciso che "il giudice può, su istanza del tutore, autorizzarne l’interruzione soltanto, dovendo altrimenti prevalere il diritto alla vita, in presenza di due circostanze concorrenti: a) la condizione di stato vegetativo del paziente sia apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e della capacità di percezione; b) sia univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, dalla sua personalità e dai suoi convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le decisioni che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento".

I giudici hanno infatti annullato con rinvio il decreto con cui la Corte d’appello di Milano, nel dicembre 2006, aveva respinto la richiesta del padre di Eluana di interrompere l’alimentazione artificiale che tiene in vita la ragazza. Il provvedimento dei giudici milanesi, per la Cassazione "ha omesso di ricostruire la presunta volontà" della paziente, nonchè "di dare rilievo ai desideri da lei precedentemente espressi, alla sua personalità, al suo stile di vita e ai suoi più intimi convincimenti".

Il giudice, si legge nella sentenza, può autorizzare il distacco della spina di un apparecchio che tiene in vita un paziente in coma quando "tale istanza sia realmente espressiva, in base a elementi di prova chiari, concordanti e convincenti, della voce del rappresentato, tratta dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona", e quando "la condizione di stato vegetativo sia, in base a un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre che la persona abbia la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno a una percezione del mondo esterno".

L’avvocato Vittorio Angiolini, difensore della famiglia di Eluana, non esclude che l’accoglimento del ricorso possa in futuro aprire nuovi spiragli per arrivare al distacco del sondino che tiene ancora in vita Eluana. "Tuttavia - avverte il legale - bisogna vedere se questo principio nuovo possa essere applicato anche al caso di Eluana. La mia sensazione è che i presupposti ci siano tutti, anche alla luce di quello che sosteneva la Corte d’appello che riteneva che nel caso in cui bisogna salvare una vita non si deve accertare altro. Ebbene, su questo punto la Cassazione smentisce i colleghi di merito".

Non esistono "criteri precisi per accertare con sicurezza quando si è in presenza di uno stato vegetativo irreversibile". Lo afferma Vincenzo Carpino, presidente dell’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani (Aaroi).

"Noi vescovi ribadiamo la difesa della vita fino alla sua naturale conclusione e il riconoscimento dell’idratazione indotta come diritto della persona alla vita e non come accanimento terapeutico". Così il segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Betori, ha risposto a chi gli chiedeva come la Chiesa valuti il caso di Eluana Englaro, la ragazza di Lecco in coma da tredici anni dopo un incidente stradale, sul cui caso si è espressa oggi la Cassazione disponendo un nuovo processo. "Non vorrei entrare nel caso specifico - ha commentato mons. Betori - ma noi vescovi ribadiamo la difesa della vita sempre".

"Non staccate il sondino nasogastrico" che tiene in vita in stato neurovegetativo irreversibile Eluana Englaro, la ragazza di Lecco che da 15 anni, 9 mesi e 16 giorni e' in coma dopo un incidente stradale. Questo tipo di trattamento infatti, "non rientra nei casi di accanimento terapeutico". Ecco perche' il sostituto procuratore generale della Cassazione, Giacomo Caliendo, ha chiesto ai giudici della prima sezione civile di rigettare il ricorso presentato dal papa' di Eluana contro il decreto della Corte d'appello di Milano del dicembre del 2006.
In sostanza il pg, nel chiedere il rigetto del ricorso, ha sottolineato che dal momento che "la vita e' un valore supremo tutelato dalla Costituzione, la decisione di come vivere o di come morire va lasciato al diretto interessato e non puo' essere gestito da altri". Anche se, ha affermato la pubblica accusa della Cassazione, "il trattamento cui e' sottoposta Eluana e' invasivo, non c'e' il consenso della ragazza", e quindi nessun altro puo' arrogarsi il diritto di decidere di staccare il sondino che ancora la tiene in vita.
Il sostituto procuratore generale Caliendo ha rilevato che "il trattamento al quale e' sottoposta Eluana è difficile qualificarlo come trattamento sanitario, in quanto si tratta soltanto della somministrazione del nutrimento".
"Chiedo il rigetto del ricorso avanzato dal padre e dalla curatrice della ragazza - ha proseguito Caliendo - perche' il nostro ordinamento tutela piu' di ogni altra cosa, il valore supremo rappresentato dal bene della vita, ancor piu' del valore della dignita' umana: la decisione se vivere e morire e come vivere e morire, deve essere lasciata alle persone direttamente interessate e non ad altri". Il pg ha ricordato che nulla si sa della volontà di Eluana a proposito del trattamento di alimentazione artificiale al quale è sottoposta, "che è certamente invasivo, ma non può essere considerato un trattamento terapeutico in senso stretto". In poche parole, ad avviso del rappresentante della Procura del Palazzaccio, le testimonianze rese dinanzi alla Corte d'Appello di Milano dalle amiche di Eluana sulla volontà della ragazza di non continuare a vivere nelle sue condizioni, non sono "né rilevanti né attuali in quanto non riguardano il consenso di Eluana all'alimentazione col sondino". A margine della sua requisitoria, Caliendo si e' poi lasciato andare ad alcune considerazioni, ad esempio - si e' domandato problematicamente - "Se venisse staccato il sondino, la ragazza sarebbe lasciata morire tra dolori atroci, a meno che non le fossero somministrate delle medicine, ma allora ci sarebbe forse un nuovo accanimento".

Il problema vero è che qui si sta costruendo mediaticamente una cultura che porti ad un consenso diffuso sull'argomento del testamento biologico (il cavallo di Troia dell'eutanasia) e poi sull'eutanasia stessa.

Questa è la sola granitica certezza di fronte a tutto questo. Avvoltoi di vario genere (non parlo ovviamente dei genitori e congiunti di questa povera ragazza, sconvolti dal dolore di una vita che essi giudicano non-vita, -dico tranquillamente- sbagliando) girano intorno a questa poveretta per farne strame nel peggiore dei modi.

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