giovedì 16 novembre 2006

Su Hilaire Belloc, finalmente



Proponiamo un articolo da G.K.C.'S, periodico della nostra Società Chestertoniana Italiana, a firma del presidente Marco Sermarini sul grande alter ego di Chesterton, Hilaire Belloc, per colmare una grave lacuna nel web e nel panorama culturale italiano.

HILAIRE BELLOC,

AL SERVIZIO DELLA VERITA’
E DELL’AMICIZIA CRISTIANA
= brevi note biografiche =

Una figura purtroppo misconosciuta in Italia, ancor più dimenticata del suo caro, inseparabile, quasi alter ego, amico Gilbert Keith Chesterton. Gli ha reso giustizia l’amico benemerito Paolo Gulisano, ritraendolo dalle nebbie dell’oblio con il volume “Chesterton e Belloc. Apologia e profezia” edito dall’Ancora (onore al merito dell’autore e dell’editrice, in un tempo in cui il “rosa stupid shocking” va più forte delle cose sane). Peraltro aveva avuto un minimo di notorietà all’inizio del XX secolo quando il grande Emilio Cecchi gli chiese di collaborare con La Ronda. Di lui in Italia ha parlato con un bellissimo saggio il già nominato Emilio Cecchi, nel suo Scrittori Inglesi e Americani.
Eppure senza di lui non sarebbe esistito Chesterton, questo Chesterton, o forse il caro amico sarebbe sprofondato nelle fumisterie e nello strano fine a sé stesso. Gilbert gli fu debitore per tutta la vita. Forse uno dei primi baluginii della sua fede cattolica lo intravide negli occhi di quest’uomo solido come una roccia, più simile nell’aspetto ad un semplice contadino inglese che ad un sottile intellettuale (perché tale fu Hilaire).
Figlio di Louis Belloc, un avvocato francese, Hilaire Joseph Pierre Belloc nascque a La Celle, Saint-Cloud, vicino Parigi nel 1870. Sua madre era Elizabeth Rayner Parkes, figlia del radicale di Birmingham Joseph Parkes e nipote di Joseph Priestley. Sebbene converitita dal protestantesimo unitariano al cattolicesimo, rimase sempre una radicale e fu una forte sostenitrice dei diritti delle donne. I Belloc si trasferirono in Inghilterra quando Hilaire aveva due anni. Dopo essere stato educato nella scuola degli Padri Oratoriani a Birmingham (per intenderci l’oratorio del Cardinale John Henry Newman, il pastore anglicano convertitosi al cattolicesimo e divenuto cardinale di Santa Romana Chiesa per volontà di papa Leone XIII; il cardinale lume della piccola schiera di convertiti inglesi al cattolicesimo a cavallo di ‘800 e ‘900) si arruolò nell’Esercito Francese. Tornò in Inghilterra nel 1892 e si iscrisse al Balliol College di Oxford dove studiò storia. Si laureò nel 1895 col massimo dei voti, ma si dispiacque per via del fatto che non gli fu offerto un posto in università. Questo fu un cruccio che gli rimase per tutta la vita. Persuaso che la sua esclusione dipendesse dal suo credo cattolico, parti per gli Stati Uniti per un ciclo di conferenze. Belloc era un uomo dalla forte personalità, solido e deciso nelle sue scelte. Mezzo francese e cattolico intero, disse Emilio Cecchi. “Fisicamente, con una corazza sul petto, si potrebbe scambiarlo per il più agguerrito centurione d’Augusto. Con un cencio rosso sulle spalle tutti lo piglierebbero per il cardinale più giovane ma più in voce d’essere fatto papa. Vestito borghesemente di scuro, tarchiato, autoritario, sembra solo Hilaire Belloc; ch’è quanto dire, come stimava Rupert Brooke, il più forte prosatore inglese tra i viventi...”1 . Chesterton dice che, pur con il cognome francese, aveva il classico aspetto del John Bull, il personaggio o meglio la quintessenza, l’idea fisica dell’inglese vero; egli racconta nell’Autobiografia (nella quale dedica al suo compagno un intero capitolo intitolato significativamente appunto “Ritratto di un amico”) un curioso aneddoto, secondo il quale un barista ad Horsham, quando una volta Chesterton accennò all’amico anche a lui noto (evidentemente frequentavano l’osteria assieme...!) ma quella volta assente, disse (precisa Chesterton che “evidentemente non aveva mai sentito parlare di libri o di simili sciocchezze”): “Lavora un po’ la terra, vero?” e Chesterton subito aggiunge per il lettori: “ed io pensai quanto adulato sarebbe rimasto Belloc per questa osservazione”2
Nel 1896 si sposa con Elodie Hogan, una giovane donna americana di origini irlandesi, che conoscerà in Inghilterra al ritorno della donna da un pellegrinaggio a Roma. L’interesse di Hilaire per questa donna sarà tale che lo spingerà a ricercarla in America, recandovisi con mezzi di fortuna (per la precisione, si dice che Hilaire avesse solamente i soldi per il viaggio in nave all’andata, e che proseguì attraversando l’America, visto che la signorina abitava in California, pagandosi il viaggio tenendo dotte conferenze di storia e letteratura inglese alternate con clamorose partite a carte...). Ricevuto un secco no, visto che la Hogan aveva in animo di farsi monaca di clausura (pensate il poveraccio! aveva attraversato il West praticamente per niente!), riparte per l’Inghilterra. Mesi dopo riceverà una lettera nella quale Elodie diceva che in monastero non l’avevano voluta e quindi... Il matrimonio avvenne in America, e da esso nacquero quattro figli. La povera Elodie morì piuttosto giovane, nel 1914, di malattia, lasciando nella vita di Hilaire un grande dolore e un vuoto pressoché incolmabile. Tanto era l’amore che egli provava per lei. E la vita del nostro Belloc, uomo solidissimo e dalla solidissima fede che pervadeva ogni aspetto della sua vita, fu contristata dalla morte del figlio Louis, partito per la I Guerra Mondiale come membro dei Royal Flying Corps e ucciso durante un bombardamento di una colonna trasportata tedesca nell’Agosto 1918, ufficialmente disperso. Dovette ricordare anche la morte dell’altro figlio Peter nel 1941 durante la II Guerra Mondiale.
Hilaire scriverà il suo primo volume, A Bad Child’s Book of Beasts, nel 1896 e nello stesso anno Verses and Sonnets. Nel 1902 prese la cittadinanza inglese, e scrisse il bellissimo volume The Path to Rome (La strada per Roma), racconto di un suo pellegrinaggio a piedi a Roma, e ne 1906 comprò casa e terreno dalla cosiddetta King’s Land, a Shipley nel Sussex: casa, cinque acri di terra e Slindon Mill. Novecento sterline. Si affezionò moltissimo a questo luogo.
Nello stesso anno si presentò nel Partito Liberale alle elezioni generali. Gli assegnarono un collegio difficilissimo, quello di South Salford, con una decisa presenza di conservatori e pochissimi cattolici. A chi (prete del luogo compreso) gli consigliava nei comizi di tacere la propria origine cattolica, o meglio, il proprio papismo (così i cattolici vengono ancora apostrofati in Inghilterra dai protestanti più radicali...), egli rispose tenendo un famoso discorso che grosso modo esprimeva questi concetti: sono un cattolico romano, vado quanto più posso a messa e quanto più posso faccio la comunione, e recito ogni giorno il Rosario (e dicendo questo mostrò la corona, sventolandola come uno stendardo...). Ecco, se questo per qualcuno di voi è un problema, allora sarà meglio che non mi voti... Dopo un attimo di silenzio imbarazzatissimo e di ghiaccio, partì uno scroscio clamoroso di applausi! Hilaire fu eletto deputato alla Camera dei Comuni. Fu rieletto nel 1910 nello stesso collegio, che perse nello stesso anno a causa di nuove elezioni. Si gettò nuovamente nel giornalismo militante, avendo trovato che la politica non facesse propriamente per lui, ed avendo sviluppato delle posizioni piuttosto critiche nei confronti nel sistema politico inglese, che confluiranno in parte nello storico volume Lo Stato Servile (una delle sue poche opere tradotte in italiano), nel volume The party system (1911) e in numerosi articoli su The Eye Witness e The New Witness, i giornali su cui conduceva le sue battaglie assieme a Cecil Chesterton, fratello di Gilbert, oltre che con lo stesso Gilbert. Fu coinvolto con Cecil (quest’ultimo forse ne pagò il prezzo più alto) nella vicenda giornalistica dello Scandalo Marconi.
Scrisse moltissimo di storia: La rivoluzione francese (1911) e La storia d’Inghilterra (1915) sono due esempi fra i tanti suoi scritti di natura storica. Possiamo dire con certezza che Gilbert ricevette da lui il giudizio storico che profonde in alcune sue opere, anzi imparò proprio da lui.
Nel 1920 scrive L’Europa e la fede (tradotto magistralmente dal nostro Paolo Gulisano ed edito da Il Cerchio di Rimini), bellissimo volume che illustra come le vere radici dell’Europa siano cristiane (libro profetico, se pensiamo alla battaglia che ancora adesso massoni e loro accoliti hanno deciso di fare pur di tacere una delle più chiare evidenze storiche...). Scrive poi una serie di biografie di personaggi storici quali Oliver Cromwell, Giacomo II, Richelieu, Wolsey, Cranmer, Napoleone, Carlo II.
Fu definito da Lord Birkenhead (famoso politico inglese, che tenne il tallone britannico per anni sulla testa degli irlandesi, e morì ammazzato per ordine di Michael Collins) “indubitabilmente un grande oratore” (il che non è poco).
E’ tutto chiaro e null’altro occorre dire circa la sua fede: essa improntava ogni minimo aspetto della sua vita, ogni particolare piccolo o grande, importante o meno. Ogni passo era mosso da essa, sempre nella più grande buona fede e senza timore di sbagliare, gettando il cuore prima di ogni altra cosa dietro qualunque ostacolo.
Una delle caratteristiche salienti della sua vita fu il rapporto stretto con Chesterton, anzi con i Chesterton. Conobbe Gilbert durante la campagna pro-boera (gli inglesi stavano conducendo una guerra imperialista contro il giusto diritto dei contadini boeri dell’attuale Sud Africa di darsi propri stati e proprie istituzioni), avendone apprezzato le doti di polemista e giornalista, oltre che la posizione politica (scusate, ma due inglesi che definiscono ingiusta e imperialista una guerra fatta dal proprio stato nei confronti di un popolo e di istituzioni statali cui loro non appartenevano sono proprio coraggiosi, conoscendo gli inglesi e lo sciovinismo imperialista che li muoveva in quel periodo...). Diventano così amici anzi amicissimi, e Gilbert sente parlare di cattolicesimo per la prima volta da Belloc, col quale andrà a messa la notte di Natale del 1901. Belloc seppe attenderlo sulla soglia della Chiesa per oltre venti anni, vista la conversione di Gilbert del 1922. Un rapporto così stretto che spinse il solitamente poco faceto George Bernard Shaw a definirli come un mostro fantastico, il già nominato Chesterbelloc.
Un sodalizio mai incrinatosi, un’amicizia che condivise gioie e dolori, schiaffi (a volte non solo metaforici, ma anche fisici, come quella volta che li presero durante un loro comizio pro-boero...) e allegre bevute. Un’amicizia cattolica che aspetta suoi emuli in questo tempo in cui è ora di ricominciare a gridare dai tetti che il cattolicesimo è gioia di vivere, è “di più” e non “di meno”, è arguzia e acume e non chiusa ottusità. Migliori esempi di questi due grandi amici credo sia difficile trovarli, maggiore attualità delle loro posizioni di fondo rispetto alla vita, alla politica, al mondo e alle sue sfide credo sia difficile. A noi il compito di seguirne i passi oggi.

Marco Sermarini

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