martedì 7 novembre 2006

Articoli su Chesterton - 2


Da Tracce n° 6 di Giugno 2003 - Tracce è il mensile del Movimento di Comunione e Liberazione

Chesterton
I paradossi di un inguaribile realista

Laura Cotta Ramosino


Uno sguardo straordinariamente acuto sulla crisi dell’uomo contemporaneo, senza essere però un personaggio lugubre: Gilbert Keith Chesterton, autore di romanzi, racconti, gialli, saggi e biografie di santi, nelle sue opere enuncia le verità semplici e sconcertanti del cristianesimo. Perché la realtà non è altro che il campo d’azione di Dio

È imminente la pubblicazione nella collana de “i libri dello spirito cristiano”, di una raccolta (Il pugnale alato e altri racconti) dello scrittore inglese G.K.Chesterton, noto nel mondo anglosassone semplicemente come GKC, e da noi soprattutto come creatore del celeberrimo prete detective Padre Brown. Uno scrittore dal profilo (anche fisico) enorme, che nasconde, sotto la fama forse un po’ riduttiva di grande giallista, uno sguardo straordinariamente attuale e acuto sulla crisi del mondo contemporaneo, di cui aveva colto i semi già all’inizio del secolo scorso. Chesterton, però, non è un lugubre profeta della crisi; anzi, è senza dubbio un inguaribile ottimista. Ben lontano dal “pensiero positivo” di tanti pseudo-intellettuali, GKC è infatti un ottimista della ragione: la gioia nasce per lui innanzitutto dall’inesauribile meraviglia di esserci. Così scriveva in Ortodossia: «Tutto l’ottimismo di quest’epoca è stato falso e scoraggiante, per questa ragione: che ha sempre cercato di provare che noi siamo fatti per il mondo. L’ottimismo cristiano invece è basato sul fatto che noi non siamo fatti per il mondo».

Verità semplici e dimenticate
Se si dovesse definire Chesterton con una sola figura retorica, questa sarebbe certamente il paradosso: è attraverso una serie di paradossi geniali e sconcertanti, infatti, che Chesterton ci mostra la sua visione della realtà e dell’uomo. Non si tratta del puro gusto di stupire; spesso e volentieri le verità enunciate dai suoi protagonisti sono le più semplici e quotidiane e, proprio per questo, le più facilmente dimenticate. Come quando Innocent Smith, il protagonista de Le avventure di un uomo vivo, dice «la verità è che quando gli uomini sono eccezionalmente alacri e inebriati di libertà e d’ispirazione, devono sempre finire, e finiscono sempre col creare istituzioni. Cadono nell’anarchia quando sono stanchi, ma finché sono allegri e pieni di forza, fissano leggi, invariabilmente».
In questo suo gusto del paradosso Chesterton, comunque, si dimostra profondamente cristiano: non sono forse il dogma della Trinità, o quello della natura divina e umana di Cristo, paradossi che sfidano la ragione umana costringendola ad andare oltre se stessa? Oltre se stessa, ma mai contro se stessa. Perché, come dice Padre Brown, ne La croce azzurra, «attaccare la ragione è cattiva teologia». Infatti, il cristianesimo è per Chesterton un fatto eminentemente razionale: «La difficoltà nello spiegare perché sono cattolico consiste nel fatto che vi sono diecimila ragioni, tutte riconducibili a un’unica ragione: che il cattolicesimo è vero».

La felicità, un luogo fisico
Ne L’uomo che fu Giovedì, forse il suo romanzo più noto, Chesterton immagina che in Inghilterra sia in atto una terribile congiura di anarchici, il cui comitato direttivo è formato da sette uomini, identificati con i giorni della settimana e capeggiati dal misterioso quanto terribile Domenica. Chesterton vede nell’anarchia non il nobile tentativo di creare un mondo nuovo, ma l’espressione dell’ideologia distruttiva di un gruppo di intellettuali impazziti, ben lontani da quel popolo che si vantano di rappresentare. Così il giovane poeta Gabriel Syme si arruola in una speciale polizia anti-anarchica e si infiltra nelle fila dell’organizzazione fino a penetrare nel comitato direttivo, con il nome, appunto, di Giovedì. È in uno dei primi scontri con un suo “collega” anarchico che Syme esprime la sua fiducia nel quotidiano e l’essenza della poesia, in opposizione alle sue derive distruttive: «Lei dice con sprezzo che quando si lascia Sloane Square si arriva alla stazione Victoria: io dico che invece potrebbero capitare centinaia di cose, e tutte le volte che ci arrivo per davvero ho l’impressione di essermela scapolata per un capello. E quando odo il controllore gridare “Victoria!” quella non è una parola priva di significato, per me: è il grido di un araldo che annuncia una conquista; è una “vittoria” vera e propria: è la vittoria di Adamo». Alla fine si scoprirà che il comitato supremo degli anarchici è formato tutto da… poliziotti, dei “giovani asini ben intenzionati”, come li definisce Domenica. In un finale rocambolesco e surreale quella che era iniziata come la caccia al capo supremo dell’anarchia si trasforma in uno straordinario incontro con il mistero della vita: «Il male è troppo grande e non possiamo fare a meno di credere che il bene sia un accidente, ma il bene è tanto grande che sentiamo per certo che il male potrà essere spiegato». E forse tutta la storia (scritta prima della conversione ufficiale di Chesterton al cattolicesimo) non è altro che un’allegoria del discorso di san Paolo all’Areopago: tutta la realtà non è altro che il campo d’azione di quel Dio ignoto, che «… ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio perché gli uomini lo cercassero, se mai arrivino a trovarlo, andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi». Ma il compimento dell’uomo, aggiunge Chesterton, si trova sempre in un luogo, mai in astratte generalizzazioni: «Uno studio più penetrante delle unità di tempo e di luogo, quali furono delineate per la drammaturgia greca, (…) ci avrebbe indicato perché i poeti, pagani o meno, siano tornati continuamente all’idea della felicità come di un luogo fisico per l’umanità in quanto persona. Ci avrebbe indicato perché il mondo è sempre in cerca di assoluti che non siano astrazioni, perché il paese delle fate era pur sempre un paese e perfino il superuomo era quasi un uomo».

La passione per il giallo
Ma la curiosità per il reale si manifesta in Chesterton soprattutto nella passione per il genere narrativo che doveva dargli la celebrità: il giallo. In una semiseria difesa della letteratura popolare in generale e della detective story in particolare, Chesterton dice, scherzosamente, ma non troppo, che «non solo il giallo è una forma d’arte perfettamente legittima, ma presenta altresì certi vantaggi ben definiti e reali in quanto fattore di pubblico benessere. Il primo valore essenziale del giallo risiede nel fatto che è la prima e unica forma di letteratura popolare in cui si esprime in qualche modo la poesia della vita moderna». Alla base del giallo, quindi, c’è soprattutto l’attenzione alla vita e alle cose che, se attentamente osservate, possono rivelare i loro misteri e segreti. Anzi, secondo Chesterton, un buon giallo può addirittura diventare la chiave di lettura dell’esistenza umana: «Il romanzo avventuroso della polizia rappresenta così l’intera avventura umana, ed è basato sul fatto che la moralità è la più oscura e ardita delle cospirazioni».

Il metodo di Padre Brown
Chesterton ha scritto diversi racconti gialli, ma non c’è dubbio che il suo personaggio più famoso resti il mite e apparentemente ingenuo Padre Brown, il prete cattolico che si serve della sua lunga esperienza in confessionale per indagare la psicologia dei criminali e risolvere i crimini più strani e che, per stessa ammissione di Chesterton, è ispirato alla figura di Padre O’Connor, cui si deve in gran parte la conversione dello scrittore.
Ma qual è il metodo investigativo di Padre Brown? Non certo quello “scientifico” di Sherlock Holmes, ma piuttosto quello di una stupefacente immedesimazione. Ne Il segreto di padre Brown, il piccolo prete confessa a un giornalista che lo sta intervistando di essere lui stesso l’assassino in tutti i delitti di cui si è occupato e poi aggiunge: «Io non ho proprio ucciso quegli uomini materialmente. Intendo dire che ho pensato e ripensato come un uomo possa diventare così, finché non mi resi conto che ero simile a lui, in tutto, eccetto che nella volontà di compiere l’azione finale». E ne Il martello di Dio, che è anche uno straordinario studio della posizione cattolica, protestante e laicista sull’uomo e il peccato, Padre Brown aggiunge umilmente: «Sono un uomo e perciò ho il cuore pieno di diavoli». È proprio da questo riconoscimento del male che è dentro ogni uomo, e non solo nei criminali, che nasce anche la capacità di misericordia che non è mai solamente umana, ma è propria solo del cristiano. E la grandezza di Padre Brown, più ancora che nelle sue doti investigative, sta proprio nella sua inesauribile apertura al bene che può trovarsi anche nel fondo del cuore di un assassino; una genialità ecumenica tutta cattolica, che lo porta a lottare, più ancora che per l’affermazione di un’astratta giustizia, per la salvezza di ogni anima che incroci la sua strada.
STORIA
1874
Gilbert Keith Chesterton nasce a Londra, da una famiglia borghese di confessione anglicana. Dopo i primi studi alla St. Paul School, si iscrive alla Slade School of Art per studiare pittura e passa poi allo University College. Comincia a scrivere sullo Speaker e sul Daily News, affermandosi, grazie alla straordinaria verve polemica, come giornalista e saggista pungente.
Alla redazione del Daily News incontra lo scrittore cattolico Hilaire Belloc, con il quale fonda la Lega distribuzionistica: un movimento politico ed economico che si propone di aiutare lo sviluppo della piccola proprietà e della piccola industria contro i latifondi e grandi trust, ispirandosi al modello di società medioevale e alla dottrina sociale della Chiesa.
1900
Esce la sua prima raccolta di versi, The Wild Knight; seguiranno saggi di critica letteraria e sociale, romanzi e opere teatrali.
1901
Sposa Frances Webb, una poetessa di qualche anno più vecchia di lui. In quegli anni, insieme all’amico Belloc, prende posizione contro la guerra condotta dall’Inghilterra in Sud Africa contro i Boeri.
1908
Pubblica una difesa della fede cristiana intitolata Orthodoxy (Ortodossia).
1922
Si converte alla Chiesa cattolica, cui già da tempo si era avvicinato, grazie all’influenza di Belloc, ma anche di padre John O’Connor. Chesterton scriverà diverse opere di “apologetica”, in cui difende la ragionevolezza della posizione cattolica di fronte alla mentalità contemporanea.
1925
In polemica con H.G. Wells, pubblica The Everlasting Man (L’uomo immortale). Polemizza, ma senza asprezza, anche con G.B. Shaw.
1936
Muore il 14 giugno a Beaconsfield; in quell’occasione papa Pio XI manda un telegramma di cordoglio in cui piange «un devoto figlio della Santa Chiesa, difensore ricco di doni della Fede cattolica». Prima di lui il solo inglese che si era meritato il titolo di “difensore della fede” era stato Enrico VIII.

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