Il 28 dicembre scorso Papa Francesco nel Pensiero del giorno trasmesso in onda dalla BBC ha parlato di gentilezza, umiltà e gratitudine e quindi ha citato G.K. Chesterton — non era la prima volta — questo grande scrittore britannico, ha detto, molto stimato dal poeta argentino Borges, il quale nel finale della sua Autobiografia ci ricorda saggiamente di prendere i fatti della vita con gratitudine e non con scontatezza.
In due parole il Papa ha colto l’essenza dell’opera del poeta inglese, il grande nemico appunto della scontatezza. Una parola inusuale ma che dice e mette in guardia da quello che forse è il pericolo peggiore per l’uomo di ogni tempo e latitudine, quell’atteggiamento di sentirsi “in credito” nei confronti della vita e impedisce così di aprirsi allo stupore e, infine, alla gratitudine. Proprio nel finale della sua Autobiografia, che uscì postuma nel 1936 dopo la morte dell’autore, Chesterton conclude affermando che «L’esistenza è ancora una cosa molto strana e stupefacente per me e le do il benvenuto come se fosse uno straniero (…). Sento di essere stato approvato nel mio desiderio di capire il miracolo di essere vivi (...). Ho detto che questa religione un po’ grossolana e primitiva della gratitudine non mi ha preservato dall’ingratitudine, dal peggiore dei peccati». Un’affermazione che chiude il cerchio visto che all’inizio del libro aveva dichiarato: «Questo fu il mio primo problema, quello di indurre gli uomini a capire la meraviglia e lo splendore dell’essere vivi».
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