mercoledì 20 dicembre 2006

Vai Peppone... Un po' di sana polemica natalizia...




Riceviamo dal caro amico Roberto Prisco, chestertoniano d'acciaio, e rilanciamo al nostro piccolo popolo di dodici lettori e mezzo...
Ah, la buon'anima di Peppone...

Aridatece Peppone (e il suo Natale) - di Michele Brambilla -

Eccolo qua il presepe del compagno Cofferati: c'è Prodi
ciclista, e c'è Moana Pozzi nuda inseguita dalla Morte. Alle
spalle s'intravvede quell'intruso del Bambinello, chissà se
c'entra qualcosa. Non stiamo scherzando: questo presepe è
nella sede del Comune di Bologna, palazzo d'Accursio, ed è
stato organizzato dal signor sindaco e dai suoi compari.
Oltre al premier in bici (gli servirà per fuggire dai
fischi?) e alla povera Moana ritratta con le vergogne di
fuori (un po' di rispetto per i morti no?) ci sono altri
pilastri della storia del cristianesimo: Freud e Picasso,
tanto per citarne un paio. Questo è il presepe della giunta
progressista. E poi dicono che uno si butta a destra, diceva
Totò.

Naturalmente qualcuno penserà che siamo degli ignoranti
perché questo presepe, che diamine, l'ha fatto un artista.
Non ne riporto il nome perché non lo ricordo: ma anche se me
lo ricordassi non lo farei, un po' perché non merita
pubblicità e un po' per carità cristiana, si dice il peccato
ma non il peccatore.
Comunque questo artista Cofferati se lo è scelto con cura. È
un signore che ha fatto sapere di essere agnostico, il che
non è una colpa, perché credere non è facile né
obbligatorio. Ma agnostico - leggiamo sul vocabolario - vuol
dire persona che «non prende posizione», «che mostra
indifferenza». E invece questo genio delle statuine
natalizie ha detto che sono quarant'anni che lavora sul
presepe, e ha aggiunto: «Se faccio arrabbiare il cardinale
sono contento».
Vuol dire che tanto indifferente non è.

Insomma: uno dei tanti presepi dissacratori, o più
semplicemente idioti, una vergogna a cui assistiamo da
qualche tempo.
Anche quest'anno in tutta Italia è un fiorire di
manifestazioni «natalizie» in cui il Natale viene nascosto,
oppure annacquato.
Canzoncine in cui la parola Gesù viene sostituita da Virtù,
presepi nei quali accanto alla capanna del Bambino vien
messa una moschea, recite in cui si parla genericamente di
pace e di bontà ma non si fa menzione di quel neonato ebreo
che, comunque la si pensi,ha spezzato in due la storia:
avanti Cristo, dopo Cristo.

La giustificazione di questi zelanti distruttori del Natale
la conosciamo bene: dicono che non si devono offendere i
musulmani, tanto meno i bambini che vanno a scuola.
Giustificazione assurda perché gli islamici non sono affatto
infastiditi dal Natale: o se ne infischiano, o ricordano che
Gesù era per loro, comunque, un profeta.
No, non sono i musulmani a distruggere il Natale e, più in
genere, la tradizione cristiana: siamo noi occidentali
devastati dal politically correct e da quel ben noto vizio
dell'autoflagellazione che ci porta a ritenerci colpevoli di
tutti i mali del mondo.

Lungi da noi volerla buttare in politica, ma i maestri in
questa opera di demolizione delle nostre tradizioni sono gli
amministratori e in genere i pensatori della sinistra.
È soprattutto nelle giunte di sinistra - perché negarlo? -
che le feste del Natale vengono trasformate in burletta; e
sono soprattutto gli intellettuali e i giornalisti di
sinistra che ci fanno una testa così sulla necessità di non
offendere i musulmani, dell'aprirci alle altre culture, di
non essere sordi al dialogo.
È una sinistra che ci fa rimpiangere, e di molto, i vecchi
comunisti di una volta, che avevano tanti difetti ma erano
certamente più seri.
Un Peppone certi imbecilli li avrebbe cacciati fuori dalla
sezione a calci nel didietro.

Ma davvero: non vogliamo buttarla in politica. Il discorso è
un altro.
Cancellando il Natale, si cancella qualcosa di cui non
possiamo fare a meno. Non sto parlando delle nostre
tradizioni culturali: di quelle mi frega assai poco.
È che il Natale - e, per estensione, tutto il
cristianesimo - è qualcosa che ci riguarda ben più di una
consuetudine culturale. Di fronte a questa ricorrenza, uno
si chiede: ma sarà vero che duemila anni fa Dio si è fatto
uomo? E che dopo la morte ci attende un'altra vita?
Personalmente me lo chiedo con mille dubbi, ma anche con
tutta la speranza che posso. E sono certo che queste
domande, almeno una volta nella vita, se le pongono tutti.

Ecco cosa conta del Natale: se è una storia vera oppure no.
Ieri ero al funerale di un mio amico di 42 anni. Ho visto
sua moglie, fiera e commovente nello stare in chiesa con i
due figli piccoli. Provate a consolare questa donna parlando
del dialogo con l'islam e dell'integrazione con le altre
culture. È altro di cui ha bisogno.
Lei come tutti noi, che ogni tanto avvertiamo con un brivido
d'angoscia che il tempo si fa breve.

Giù le mani dal Natale e dalla speranza che ci porta,
quindi.
Se non vi interessa lasciatelo perdere.
Ma giù le mani.

(C) Il Giornale 14-12-2006

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