Ho potuto conoscere e apprezzare il Prof. Cesare Enrico Surano durante gli incontri dei Gruppi Chestertoniani Veronesi, a tavola davanti a un buon bicchiere di vino e un piatto di pastasciutta, come si soleva fare, ricordando il grande Gilbert Keith Chesterton, che amava le sane trattorie o locande dove si potevano gustare pane e formaggio locali. Ho potuto così riscontrare in Cesare Surano una preparazione solida e approfondita dei testi dello scrittore inglese, unita a un'affabilità e loquacità gustosa che ci permettevano di assaporare ancor di più il cibo che prendevamo. Era davvero delizioso stare in compagnia di Cesare, ascoltarlo nelle sue ampie e accattivanti digressioni, nelle sue affascinanti avventure in Asia e in Africa, nelle discussioni sempre elevate su qualsivoglia argomento: con lui, come con Chesterton, non si finiva mai di pensare e sorridere. Al suo fianco stava l'inossidabile amico chestertoniano e collega di lavoro, il Prof. Roberto Prisco. Grazie a Prisco ho potuto ammirare le avventure di questo uomo vivo, novello Innocent Smith, come il protagonista dell'omonimo romanzo-capolavoro di Chesterton: Cesare Surano! Mi ha sempre colpito, e già mi pare di rivedermelo innanzi, quel suo atteggiamento critico e costruttivo, condito di sano e, talvolta, anche crasso umorismo; attraverso lui abbiamo conosciuto aneddoti, storie, pezzi di vita vissuta, gioie e sofferenze: un autentico campionario di episodi di vita intensamente vissuta sia professionalmente sia umanamente. Dopo la morte della cara moglie Anna, che conobbi e apprezzai durante una cena a casa Prisco, Cesare non faceva che ricordarla teneramente, a suggello di quanto le fosse veramente mancata; gli brillavano gli occhi quando pensava a lei e sembrava quasi che le sussurrasse ancora qualcosa. Egli amava profondamente sua moglie e i suoi figli, Aldo e Laura. Mi ha colpito molto quando ho appreso della sua morte dall'amico Roberto Prisco, come anche la lettura di una sua poesia (che non conoscevo) al suo funerale. Cesare era davvero un personaggio speciale, ricco di cultura e di umanità e quel suo sorriso umile credo che mi rimarrà impresso per tutta la vita. Sino a qui i ricordi di un amico che forse ho conosciuto un po' tardi e che ho avuto modo di apprezzarlo, in questi giorni, anche come scrittore. Ringrazio i figli che mi hannodato una copia (tramite l'amico Roberto Prisco) di un suo libro-memoria stampato in proprio, dal titolo: "Africa hita tchinda Africa!" (Africa vinceremo Africa!) che ho letto appassionatamente e che mi ha permesso di cogliere e apprezzare, ancora di più, la poliedricità e la dimensione professionale e umana di Cesare. Venendo ora allo scritto che Cesare ci ha lasciato, ho potuto osservare i rimandi chestertoniani che qua e là trasparivano tra le righe, ad iniziare dalla "premessa necessaria", nella quale egli ricordava le conversazioni legate alle "guerre boere" (in cui Chesterton ebbe una rilevante parte critica) avute con il Prof. Roberto Prisco e il Prof. Alessandro Cortese, anche quest'ultimo appartenente ai Gruppi Chestertoniani Veronesi. Il volume curato da Cesare condensava le impressioni ed esperienze professionali maturate in Africa in oltre 30 anni di lavoro con un particolare approfondimento (come si evince dal sottotitolo del libro) sulla colonizzazione e decolonizzazione in Africa. Nel primo capitolo (La colonizzazione), Surano si è ispirato ancora al pensiero di Chesterton sull'imperialismo e sul valore delle "piccole patrie" per documentare non solo come il Colonialismo sia penetrato nel Continente Nero ma come (ed egli lo sperimentò sul campo) fosse difficile lavorare "progettualmente" e in gruppo sul territorio, elaborando progetti tecnici e studi di rilevanza geografica, politica, economica, ecc. Nel secondo capitolo (La decolonizzazione), Surano ha rammentato quanto le "profezie"sull'Africa del pur prestigioso Premio Nobel per l'economia Professor Gunnar Myrdal fossero un tantino azzardate (Myrdal credeva che l'Africa sarebbe diventata la futura potenza del mondo). Cesare aveva frequentato entusiasticamente un Master sulla programmazione macro-economica sui modelli econometrici all'Università di Stoccolma alla fine degli anni '60 prima di essere ingaggiato dalle Nazioni Unite (U.N.D.P.) in un progetto a medio termine in Marocco, a seguito di catastrofi naturali. Fu lì che iniziò a conoscere realmente, sul campo, la vera realtà africana, al di là degli entusiasmi iniziali. Fu lì che conobbe il lassismo delle controparti locali, l'endemica corruzione e le difficoltà anche sul piano tecnico (Cesare si occupava di economia dei trasporti e di mobilità). Come ha lui stesso rammentato nel libro: "Con mia grande delusione non era applicabile quasi nulla dei modelli teorici studiati con grande entusiasmo dal Professor Gunnar Myrdal", per l'Africa ci volevano progetti e tempi africani e, soprattutto, tanta pazienza e buona volontà. Nel terzo capitolo (Figure significative del processo d'indipendenza), Surano ha esposto il contatto, diretto e indiretto, avuto con personalità importanti, come ad esempio il presidente carismatico del Senegal, Leopold Sénghor, che, sapendo la provenienza italiana di Cesare, gli parlava in latino. Anche Monsignor Settimio Ferrazzetta, missionario francescano veronese, primo vescovo della diocesi di Guinea Bissau dopo l'indipendenza, è stato ricordato da Surano come venerato "Padre della Patria" nel povero Paese africano. Nel quarto capitolo (L'Africa australe), Surano ha rimarcato quanto il processo di colonizzazione e decolonizzazione sia stato strettamente legato all'influenza della politica britannica, in particolare alla figura dell'avventuriero Cecil Rhodes (con il grandioso progetto ferroviario che poteva unire Città del Capo al Cairo) e alle battaglie "boere", già menzionate, tra i contadini-soldati di origine olandese e l'Impero britannico. A tal proposito Surano ha ricordato le posizioni anti-imperialiste in merito alle "guerre boere" assunte da Chesterton e Hilaire Belloc e che troveranno espressione nel primo romanzo di Gilbert: "Il Napoleone di Notting Hill". Come ha testimoniato Surano, l'esperienza in Sudafrica l'ha vissuta attraverso un progetto della Banca Mondiale finalizzato a un maggior utilizzo di tecniche "capital intensive" nella costruzione stradale, ove ha potuto apprezzare, al di là degli aspetti progettuali, l'alto livello tecnologico e gestionale del Paese, da farlo quasi un caso unico in tutto il Continente Nero. Nel quinto capitolo (I corridoi africani), Surano è entrato anche nei dettagli del programma dei tre grandi Corridoi africani degli anni '70 (iniziati concretamente a partire dalla metà degli anni '80), in cui, con una punta di sano orgoglio, ha potuto essere personalmente coinvolto ed esserne gratificato, secondo le sue stesse parole: "Il Corridoio Nord, il più strategico, il "mio" Corridoio. Dico "mio" perché sono stato nominato dalla CEE Segretario generale ad Interim del Progetto, con l'impegno del suo avvio (1986) e della sua messa a regime…posso affermareche è stato (ed è tuttora) l'unico progetto strategico riuscito e funzionante…". Il Corridoio Nord, come ha ben descritto Surano, era relativo alle infrastrutture di Kenya, Uganda, Rwanda, Burundi e Congo. Era possibile quindi, ha annotato con grande soddisfazione Cesare, creare un Corridoio multinazionale in Africa equatoriale, nonostante le guerriglie, spesso tribali, l'endemica corruzione e le altre difficoltà al territorio e alla gestione delle risorse. Questa realizzazione del Corridoio Nord ha attestato le grandi capacità tecniche e le aspettative, anche dal punto di vista umano, che si poteva pensare, come credeva Surano, a un altro tipo di decolonizzazione. Nei capitoli successivi (Valutazioni critiche comparate e Risorse e problemi dell'Africa indipendente), Surano ha illustrato, attraverso le sue indubbie competenze tecniche e storiche, maturate con l'esperienza professionale sul posto, l'aspetto fondamentalmente evolutivo e dinamico del colonialismo, facendo vedere non solo quanto le madrepatrie si siano avvantaggiate delle immense risorse del territorio africano ma anche quanto hanno lasciato di positivo in eredità, valutandone così pregi e difetti, luci e ombre. Non mancano nel libro giudizi critici serrati sul post-colonialismo, sempre aperti però a un orizzonte di speranza, magari non a breve-medio termine e proposte di soluzioni concrete e fattibili a livello di progetti specifici, tipo "joint-venture": "L'associazione di imprese, di stato o private, africane e del resto del mondo, se ben condotta, produce risultati decisamente positivi. Unendo i capitali e le tecnologie dei paesi sviluppati con le risorse umani e materiali dell'Africa, si possono raggiungere livelli di sviluppo impensabili". Questo progetto di crescita e sviluppo per l'Africa e con l'Africa è stato paragonato da Surano alla "filosofia" di Chesterton: "Chesterton vedeva nella distribuzione equilibrata delle risorse e dei redditi una possibile soluzione ai "mali" (evils) della società". Ancora una volta era la questione distributista che traspariva dai testi del grande scrittore inglese, da Eugenetica e altri mali a Ciò che non va nel mondo, da Il profilo della ragionevolezza a Il Napoleone di Notting Hill. Surano ha trattato nel volume quelle che ha denominato "variabili esogene di propagazione": la crescita demografica, la complessa questione "psicologica" (legata a usi, costumi, tradizioni, valori etnici, tendenze artistiche, aspetti religiosi, rapporti con l'ambiente, ecc.) e la terza fondamentale variabile "tecnologica" in un'economia e finanza sempre più globalizzata. A Cesare Surano non sono mancate le sottolineature degli aspetti umani e delle esperienze dirette (come descritto nel capitolo omonimo), senza tuttavia accampare, come ha umilmente riconosciuto, competenze antropologiche dal punto di vista strettamente scientifico. Il tracciato del libro ha seguito il lavoro quotidiano con gli africani, condividendo e affrontando con loro problemi, fatiche, stati di insicurezza e persino guerre. Il suo approccio alla realtà africana ha potuto così smascherare ipocrisie, luoghi comuni, da autentico "uomo vivo" quale Cesare era e come si evince dalle sue stesse parole: "E' possibile comprendere in modo "vivo" le loro culture e le loro reazioni e formarsi un'opinione, sia pure personalissima, dei loro valori. Sempre che lo si "voglia" fare e non ci si limiti a superficiali contatti di "tipo turistico". Nel penultimo capitolo del libro (Contraddizioni e prospettive), Surano ha affrontato temi rilevanti come la questione dell'assenza di una vera identità nazionale e la carenza nell'istruzione, con la sola eccezione del Sudafrica, e ancora il sistema sanitario e l'igiene pubblica e privata, il problema delle fedi religiose, il tribalismo e le guerre, il problema dell'informazione, del turismo, anche in vista delle possibili e auspicabili positive prospettive. Nelle considerazioni conclusive, Surano ha ripreso il titolo del libro Africa, vinceremo Africa per delineare, seppur amaramente, quanto lungo sia ancora il percorso che l'Africa deve percorrere e quanto sia utile dare buoni e, nel caso di Cesare Surano, qualificati e appassionati consigli da chi ha vissuto i problemi africani a contatto con le loro realtà. Il volume curato da Cesare Surano è impreziosito da fotografie che testimoniano la sua attività professionale in diversi Paesi africani e dai ringraziamenti che egli ha voluto dare a quanti l'hanno aiutato; una nota curiosa, il volume è privo di note bibliografiche, come da lui espresso sinceramente nella parte finale e che ci consegna Cesare in tutto il suo valore etico-professionale e che rappresenta, a mio modo di vedere, un suo testamento spirituale: "Tutto ciò che ho scritto, sia pure attraverso la mia equazione personale, è quanto ho vissuto, osservato, sofferto, meditato e rimuginato. E' il mio pensiero e, come tale, non richiede di conseguenza nessuna fonte bibliografica". Una chiusa dal sapore un po' guareschiano, un altro autore, Giovannino Guareschi, che Surano amava quanto Chesterton. Grazie Cesare!
Fabio Trevisan
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