giovedì 2 settembre 2010

Carlo Bellieni sull'Osservatore Romano: "I bambini invisibili"

Vent'anni della convenzione sui diritti dell'infanzia
>
> I BAMBINI
> INVISIBILI
>
> Osservatore Romano 2 settembre 2010
>
> di Carlo Bellieni
>
>
> Il
> 2 settembre 1990 entrava in vigore la convenzione delle Nazioni Unite
> sui diritti dell'infanzia. Vent'anni e un triste bilancio, a leggere la
> rivista "Lancet" del maggio 2010: nonostante le dichiarazioni di
> intenti - vi si legge - i bambini restano ancora "invisibili". A cosa
> si deve questo fallimento? Alla mancata attuazione di politiche
> transnazionali, certo. Ma soprattutto al fatto che respiriamo ovunque
> propagande antinatalistiche, trasformiamo il figlio in un "diritto", lo
> accettiamo solo se è "su misura", prima che nasca e dopo che è nato.
> Insomma, il bambino ha diritti solo se è "conforme" e sa scimmiottare
> gli adulti: pessima premessa per dei diritti universali.
> Ma da dove
> viene quest'incapacità ad accettare il bimbo come tale? Dal fatto che
> il bambino - dall'embrione in poi - ci obbliga a riconoscere l'essenza
> della natura umana che è dipendenza dall'altro: eresia, nell'epoca che
> sacralizza l'autodeterminazione solitaria; e obbliga dunque a
> riconoscere la nostra personale fragilità e dipendenza, cosa che al
> fondo ci spaventa. Viviamo infatti in una società intimorita dalla
> stessa idea di "figlio", come scriveva Bob Dylan in Masters of War
> (1963): "Avete sparso la peggior paura: paura di mettere figli al
> mondo. Poiché insidiate il mio figlio non nato e senza nome, voi non
> meritate il sangue che scorre nelle vostre vene".
> È una società
> spaventata e fobica quella che rifiuta il bambino. La pedofobia si vede
> in mille segnali. I bimbi una volta erano i padroni delle strade; oggi
> al massimo li lasciamo partecipare a feste o fare sport quando loro
> vorrebbero semplicemente giocare. Non c'è più spazio per i bambini
> neanche nelle case, dato che spesso non è permesso loro toccare nulla e
> soprattutto non è permesso loro sporcarsi, che in misura giusta serve
> alla loro crescita. Ed è una società pedofobica perché lascia nascere i
> bimbi solo dopo che hanno passato esami prenatali di massa, perché li
> vede come un diritto dei genitori, che arrivano a congelarli quando
> sono piccoli embrioni ma poi a soffocarli di giocattoli per coprire la
> propria incapacità di essere presenti, determinando patologie di ansia
> o di rabbia nei piccoli.
> La pedofobia culturale è ben rappresentata da
> un mondo senza alberi ma pieno di computer, dove le scuole elementari
> moltiplicano le cose da insegnare come se i bimbi fossero degli
> apprendisti adulti invece che individui disperatamente alla ricerca del
> gioco gratuito sociale e creativo; tanto che in Inghilterra rivalutano
> per le elementari il ritorno a quelle che con ironia chiamano le tre
> r: reading, riting, ritmethic ("leggere", "scrivere", "far di conto").
> Ma non basta: i bambini crescono con modelli di affettività alterati
> da immagini mediatiche fatte per colpire e vendere prodotti, con la
> libertà massima di fare tutte le esperienze sessuali sempre più precoci
> ma con il divieto assoluto di pensare a far famiglia e figli. Un
> terrorismo antinatalista li deruba di vent'anni di vita riproduttiva
> avviandoli alla sterilità per anzianità. Ci possiamo stupire quindi che
> in una società pedofobica, che guarda il bimbo come un oggetto e in cui
> lo sviluppo affettivo degli adulti viene ritardato e spesso alterato da
> modelli maniacali, proliferino pedofilia e bullismo?
> Le carte dei
> diritti lasciano il bambino invisibile quando non obbligano a un
> cambiamento di mentalità degli adulti, che sono i primi a considerarsi
> ingranaggi di un meccanismo produttivo in cui si devono precocemente
> inserire, in cui ci si sente accettati solo se si passa al vaglio dell'
> omologazione genetica e culturale. Non stupiamoci allora se non
> riescono ad accettare il bimbo, il non ancora omologato per
> eccellenza: la società pedofobica per sua natura seleziona e
> discrimina; e se riconosce dei diritti, finisce per riconoscerli in
> maniera selettiva, pur a fronte di buone dichiarazioni di intenti.
> Non
> ci stupiamo dunque dell'insuccesso denunciato da "Lancet": buone
> dichiarazioni, appunto, ma lanciate in un mondo culturale impreparato.
> Non si possono affermare i diritti dei bambini senza capire che la
> prima violenza è la pretesa che l'altro risponda al nostro progetto,
> certamente una pretesa che va al di là del mondo infantile. Se manca
> questo, si distinguono paradossalmente i diritti del bimbo non ancora
> nato da quelli del neonato, e quelli di quest'ultimo da quelli del
> bambino più grande, e si finisce col distinguere i diritti del bimbo
> occidentale da quello dei Paesi in via di sviluppo.
> La politica deve
> capire, prima di scrivere carte di diritti e creare politiche per i
> minori, che essi non sono un riflesso dei desideri dei genitori che
> generosamente li accettano solo dopo esami genetici prenatali, o cui
> fanno spazio in città e scuole fatte esclusivamente a misura dei
> grandi. Il bambino ha pieni diritti umani e il primo diritto è saperlo
> ascoltare, e capirne le vere richieste, anche quando non può parlare.
> La violenza - dal concepimento ai banchi scolastici - ha varie
> gradazioni e sfumature, ma ha una matrice culturale unica: dimenticare
> che i figli nascono da noi ma non sono nostri.

Nessun commento: