Innanzitutto un saluto a tutti i Chestertoniani. Seguo il blog da quel poco di tempo che mi è bastato per innamorarmi degli scritti di Gilbert. C'è qualcosa che non va nell'articolo di Socci. Conosco p. Rupnik SJ attraverso qualcuno dei suoi scritti e tutto posso pensare di lui fuorché il ritratto che ne fa Socci. Anche allarmato dalla didascalia a latere, immediatamente sono corso a cercare l'immagine che, a dire di Socci, sortirebbe l'effetto di far passare "Il messaggio inequivocabile [...] di una benedizione alla stessa “Unità” e all’appartenenza comunista." Ma è proprio così? L'immagine mosaicata da Rupnik è la seguente: si vede p. Pio che stende le mani su un gruppo di tre personaggi, caratterizzati ciascuno da un qualcosa che tengono in mano: un uomo seduto dei libri e un camice, un altro una pellicola cinematografica e infine la donna. Secondo Socci: "in quel mosaico “l’Unità” non giace a terra, come segno di un passato ripudiato e di una conversione, ma sta fra le mani della persona che viene benedetta dal Padre, come una militanza mai abbandonata e legittimata." Premesso che un concetto lo si può rappresentare in tanti modi e che non esiste solo il "canone Socci", essa è rappresentata a capo chino e occhi chiusi, la copia dell'unità tenuta nella mano destra e il braccio steso lungo il fianco, in quello che a me, personalmente, sembra un gesto di abbandono. Se mi fossi trovato io davanti a quel mosaico avrei desunto con tutta evidenza che i libri e il camice, la pellicola e, non di meno, anzi a maggior ragione, la copia dell'Unità fossero elementi parlanti, atti cioè a indicare una persona storicamente precisa. Di talché avrei chiesto, del tutto candidamente, al primo cappuccino di passaggio, non conoscendo la legenda di Francesco Forgione, chi fossero rispettivamente: il medico, il regista e la giornalista dell'Unità convertiti da p. Pio. Ma di certo non avrei mai dedotto che p. Pio benedicesse l'appartenenza al comunismo!
Ciò detto, permettetemi una nota personale e conclusiva. Socci dice che i mosaici di Rupnik non gli piacciono. A me invece sì e anche molto: trovo la Redemptoris Mater molto bella. Ma naturalmente il mio gusto personale conta tanto quello di Socci: nulla. Il tono dell'articolo però mi fa dubitare dell'obiettività del giudizio di Socci: non è che per caso - mi chiedo - la sua opinabile lettura della parte abbia prevalso sul tutto? Un altra cosa. Nel riferirsi a p. Rupnik Socci lo definisce "pittore" a parer mio non senza un lieve disprezzo, cosa che mi fa sospettare che Socci non conosca il gesuita più che forfettariamente. Se è così, è vero che le didascalie sono effettivamente infelici (per usare un eufemismo); ma concedendosi la licenza di attribuirgli la "mentalità clericale corrente" per cui "convertire non è un verbo “politically correct”", sempre a parer mio, Socci suggerisce un giudizio sulla persona di Rupnik. Se è vero e non ho frainteso mi chiedo: ma non era proprio Gilbert che parlando del suo amico G.B. Shaw scrisse che tutto in Shaw era sbagliato fuorché Shaw stesso, tematizzando meravigliosamente e una volta di più quello stupendo principio cattolico per cui si devono colpire le idee e non la testa che le pensa? Se sono vere entrambe le cose, e sottolineo il "se", allora concedetemi di obiettare che l'articolo di Socci non è "tosto al punto giusto", ma livido al punto sbagliato. Cosa non nuova peraltro. E il livore non è un sentimento cristiano. Anzi: cattolico.
L'ortodossia di Rupnik non ha bisogno delle mie difese, certo. Ma ho voluto comunque esprimere il mio umile parere. Spero vogliate accoglierlo con benevolenza.
Caro Davide, grazie della tua presa di posizione, che riteniamo di dover rendere nota.
Non ho metro per giudicare ma mi è sembrato degno di nota l'articolo di Socci perché purtroppo la chiesa di Padre Pio è criticabile per molti aspetti sui quali si sono soffermate molte persone. Socci potrebbe aver preso una cantonata, è possibile, ma che in genere nelle chiese moderne (e purtroppo anche in talune antiche, rimaneggiate in maniera talvolta inaccettabile) i segni tradizionali siano andati in soffitta e invece ne campeggiano altri di ben altra specie.
Comunque hai fatto bene a scrivere, ci dai modo di vedere la cosa da un punto di vista differente sicuramente da non trascurare.
Un'ultima cosa: vero anche quello che dici di Chesterton e di Shaw. Credo che questa virtù di Chesterton sia una di quelle che senza dubbio lo condurrà alla santità. A volte capita di togliersi più di un sassolino dalla scarpa e che qualcuno schizzi via con troppa veemenza, e in effetti non è bello.
Caro Uomo Vivo, grazie di aver pubblicato il mio commento e grazie anche di avermi risposto! Ovviamente Socci potrebbe aver preso una cantonata come no: nemmeno io ho il metro per giudicare non essendo stato mai stato a S. Giovanni Rotondo. Ho solo voluto evidenziare come non riconoscessi nell'articolo l'autore di quei libretti così intrisi del pensiero dei Padri che ho imparato ad apprezzare. Per quanto riguarda i segni sono d'accordo. Anche se, non avendo modo di frequentare tante chiese moderne, sono più preoccupato dei segni che entrano in quelle vecchie piuttosto che di quelli che escono da quelle nuove! Infine, beh sì, a volte la pazienza scappa anche se non si è toscani di Siena, ma piemontesi di Novara e non si riesce sempre a salvare la capra (la testa) con i cavoli (una sana critica delle idee che ci sono dentro). A me, per esempio, capita costantemente ogni volta che sento parlare un radicale. Ragion per cui non sarò mai santo come il nostro amico Gilbert, che però mi aiuta a sorridere di più delle idiozie moderne e a incavolarmi di meno.
5 commenti:
Innanzitutto un saluto a tutti i Chestertoniani. Seguo il blog da quel poco di tempo che mi è bastato per innamorarmi degli scritti di Gilbert.
C'è qualcosa che non va nell'articolo di Socci.
Conosco p. Rupnik SJ attraverso qualcuno dei suoi scritti e tutto posso pensare di lui fuorché il ritratto che ne fa Socci.
Anche allarmato dalla didascalia a latere, immediatamente sono corso a cercare l'immagine che, a dire di Socci, sortirebbe l'effetto di far passare "Il messaggio inequivocabile [...] di una benedizione alla stessa “Unità” e all’appartenenza comunista."
Ma è proprio così? L'immagine mosaicata da Rupnik è la seguente: si vede p. Pio che stende le mani su un gruppo di tre personaggi, caratterizzati ciascuno da un qualcosa che tengono in mano: un uomo seduto dei libri e un camice, un altro una pellicola cinematografica e infine la donna.
Secondo Socci: "in quel mosaico “l’Unità” non giace a terra, come segno di un passato ripudiato e di una conversione, ma sta fra le mani della persona che viene benedetta dal Padre, come una militanza mai abbandonata e legittimata." Premesso che un concetto lo si può rappresentare in tanti modi e che non esiste solo il "canone Socci", essa è rappresentata a capo chino e occhi chiusi, la copia dell'unità tenuta nella mano destra e il braccio steso lungo il fianco, in quello che a me, personalmente, sembra un gesto di abbandono.
Se mi fossi trovato io davanti a quel mosaico avrei desunto con tutta evidenza che i libri e il camice, la pellicola e, non di meno, anzi a maggior ragione, la copia dell'Unità fossero elementi parlanti, atti cioè a indicare una persona storicamente precisa. Di talché avrei chiesto, del tutto candidamente, al primo cappuccino di passaggio, non conoscendo la legenda di Francesco Forgione, chi fossero rispettivamente: il medico, il regista e la giornalista dell'Unità convertiti da p. Pio. Ma di certo non avrei mai dedotto che p. Pio benedicesse l'appartenenza al comunismo!
Ciò detto, permettetemi una nota personale e conclusiva. Socci dice che i mosaici di Rupnik non gli piacciono. A me invece sì e anche molto: trovo la Redemptoris Mater molto bella. Ma naturalmente il mio gusto personale conta tanto quello di Socci: nulla.
Il tono dell'articolo però mi fa dubitare dell'obiettività del giudizio di Socci: non è che per caso - mi chiedo - la sua opinabile lettura della parte abbia prevalso sul tutto?
Un altra cosa. Nel riferirsi a p. Rupnik Socci lo definisce "pittore" a parer mio non senza un lieve disprezzo, cosa che mi fa sospettare che Socci non conosca il gesuita più che forfettariamente. Se è così, è vero che le didascalie sono effettivamente infelici (per usare un eufemismo); ma concedendosi la licenza di attribuirgli la "mentalità clericale corrente" per cui "convertire non è un verbo “politically correct”", sempre a parer mio, Socci suggerisce un giudizio sulla persona di Rupnik.
Se è vero e non ho frainteso mi chiedo: ma non era proprio Gilbert che parlando del suo amico G.B. Shaw scrisse che tutto in Shaw era sbagliato fuorché Shaw stesso, tematizzando meravigliosamente e una volta di più quello stupendo principio cattolico per cui si devono colpire le idee e non la testa che le pensa?
Se sono vere entrambe le cose, e sottolineo il "se", allora concedetemi di obiettare che l'articolo di Socci non è "tosto al punto giusto", ma livido al punto sbagliato. Cosa non nuova peraltro. E il livore non è un sentimento cristiano. Anzi: cattolico.
L'ortodossia di Rupnik non ha bisogno delle mie difese, certo. Ma ho voluto comunque esprimere il mio umile parere. Spero vogliate accoglierlo con benevolenza.
A presto!
Davide
Caro Davide, grazie della tua presa di posizione, che riteniamo di dover rendere nota.
Non ho metro per giudicare ma mi è sembrato degno di nota l'articolo di Socci perché purtroppo la chiesa di Padre Pio è criticabile per molti aspetti sui quali si sono soffermate molte persone.
Socci potrebbe aver preso una cantonata, è possibile, ma che in genere nelle chiese moderne (e purtroppo anche in talune antiche, rimaneggiate in maniera talvolta inaccettabile) i segni tradizionali siano andati in soffitta e invece ne campeggiano altri di ben altra specie.
Comunque hai fatto bene a scrivere, ci dai modo di vedere la cosa da un punto di vista differente sicuramente da non trascurare.
Un'ultima cosa: vero anche quello che dici di Chesterton e di Shaw. Credo che questa virtù di Chesterton sia una di quelle che senza dubbio lo condurrà alla santità. A volte capita di togliersi più di un sassolino dalla scarpa e che qualcuno schizzi via con troppa veemenza, e in effetti non è bello.
Continuo: mettici pure che Socci è toscano di Siena, quindi bello "fumino"...
Caro Uomo Vivo, grazie di aver pubblicato il mio commento e grazie anche di avermi risposto!
Ovviamente Socci potrebbe aver preso una cantonata come no: nemmeno io ho il metro per giudicare non essendo stato mai stato a S. Giovanni Rotondo. Ho solo voluto evidenziare come non riconoscessi nell'articolo l'autore di quei libretti così intrisi del pensiero dei Padri che ho imparato ad apprezzare.
Per quanto riguarda i segni sono d'accordo. Anche se, non avendo modo di frequentare tante chiese moderne, sono più preoccupato dei segni che entrano in quelle vecchie piuttosto che di quelli che escono da quelle nuove!
Infine, beh sì, a volte la pazienza scappa anche se non si è toscani di Siena, ma piemontesi di Novara e non si riesce sempre a salvare la capra (la testa) con i cavoli (una sana critica delle idee che ci sono dentro). A me, per esempio, capita costantemente ogni volta che sento parlare un radicale. Ragion per cui non sarò mai santo come il nostro amico Gilbert, che però mi aiuta a sorridere di più delle idiozie moderne e a incavolarmi di meno.
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