venerdì 11 febbraio 2022

De Luca e i suoi progetti (con l'aiuto di Chesterton e Belloc, tramite Papini).

Questa lettera, che ho scelto di riportare per intero ma con solo alcune delle note che la curatrice del carteggio intese formulare, spiega bene quali fossero le idee di don Giuseppe De Luca su Il Frontespizio e sul suo progetto culturale. Giuste o sbagliate (su di esse ebbe un peso rilevante anche la personalità tutt'altro che semplice di don De Luca), avevano un certo respiro e degli scopi affermati (il confronto con la cultura non cristiana, l'uscita dalle proprie mura della cultura cristiana). Egli ne parla a Piero Bargellini, che era il direttore della rivista, con le sue idee e le sue vedute non sempre coincidenti con quelle di De Luca (Bargellini era leader di uno dei tre gruppi espressivi che si contrapponevano, quello più culturalmente "tradizionalista"; uno di essi scelse l'abbandono della rivista, quello di Carlo Bo, dopo la pubblicazione del famoso articolo La letteratura come vita, e successivamente si giunse alla chiusura della rivista stessa nel 1940), e De Luca, pur nella sua discrezione, ha un progetto ben preciso che afferma espressamente; in esso hanno un ruolo fondamentale, nella mente di don De Luca, i nostri Chesterton e Belloc, che avrebbero dovuto finire anche in un'idea di quaderni del Frontespizio che non vide mai la luce (si vedano l'ultimo paragrafo della lettera e l'ultima nota). Al di là dell'organicità dei nostri Chesterton e Belloc al progetto di De Luca (sulla qual cosa ho più di qualche dubbio), è significativo che essi fossero scelti e ritenuti validi termini di paragone per chi dall'esterno volesse confrontarsi con la cultura cattolica. In altre parole, la loro solidità e riconoscibilità come cattolici era ritenuta un dato utile e caratteristico. E' interessante anche la scelta di De Luca di tradurre The Path to Rome di Belloc, un racconto di viaggio così chiaro nella sua identità e nel suo paesaggio religioso e culturale. In ogni caso i nostri cattolici inglesi erano ritenuti una punta di diamante nel rappresentare la cultura cattolica. Papini, forse lo scrittore più "appuntito" del Frontespizio, è ritenuto idoneo tramite per raggiungere gli inglesi. Più avanti osserveremo Chesterton e Belloc nel progetto rondesco, ben illustrato in un noto scritto di Emilio Cecchi su La Ronda di cui riportai anni fa un brano. L'Italia cercava questi cattolici inglesi per dare a se stessa una forma valida.

Marco Sermarini

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Roma, 30 ottobre 1930

via Barnaba Tortolini, 4

Caro Bargellini,

d'accordo. Io le mando via via della carta scritta, della quale è arbitro lei. Si tratterà quasi sempre, come vede anche dalle accluse spuntature, di "materiale": grezzo, il più delle volte. E non tema io mi dolga di soppressioni, aggiunte, ecc., rinvii, cestinamenti, ecc. Ella vede come io stesso mi tolga di mezzo, con pseudonimi. Il più delle volte, anzi, può mancare anche la sigla m(atteo) r(omito). Il criterio che seguo, è bene tuttavia che glielo manifesti. Cerco, pur nelle menome occasioni, insinuare idee e voglie nuove. Stimolar l'appetito di pensare. E lei lo può riscontrare da sé, che non mentisco. Per es., dicendo del N.T. [Nuovo Testamento] della Fiorentina, in fondo c'è una osservazione che a me pare capitale, seppure a prima vista sembri estranea all'occasione. Alludendo alla rivista missionaria con l'immagine del fronte di guerra, vorrei far comprendere di quale facilità e di quale necessità elementare sia per un cristiano interessarsi ai confini del Regno. Scrivevo a Papini che il Fr. lo sogno come una rivista la quale faccia infine crollare, o almeno mini, la muraglia cinese tra coltura contemporanea e coltura cattolica, poi tra coltura e ricerca scientifica di dotti e coltura della massa fra i cattolici stessi, infine tra le varie "sette" in cui la Chiesa (pare incredibile!), società una (lo dice il credo) è praticamente scissa: chiesa e coltura domenicana, chiesa e coltura gesuitica, ecc. ecc.

Infine, con quella fraterna cordialità a cui le sue stesse lettere m'invogliano, non le nego che io - personalmente - non sono strapaesano*. Amo il paese, ma più il mondo; e più il mondo invisibile, che non questa pallottola che gira e gira senza posa in cielo. Non credo, anzi, che un cattolico lo possa essere. La Chiesa non è il campanile, fosse anche il campanile di Giotto. E son proprio i fiorentini gli spiriti più universali che abbia avuto l'Italia. Tra la Toscana Granducale, campanilistica e pettegola, e la Toscana sino all'assedio di Firenze, non esito a scegliere: non mi sembra che lo strapaesanismo sia qualcosa di molto accademico, granducale... Con questo non dico d'essere stracittadino: io son nato "cafone": cerco d'essere cristiano. Quindi, mentre sottoscrivo a due mani al garbo, alla finezza, alla sensatezza della sua passeggiata in diligenza, non sottoscrivo a quella tacita condanna di chi vuol vedere ciò che avviene fuori d'Italia*. Cristo è in ogni latitudine e longitudine, e se non c'è, ce n'è il desiderio; e se neppur questo, dobbiamo farcelo nascere. Mi pare che i cattolici si sian troppo chiusi. Io seguo, con amici che non credono, il sistema di leggere io per primo ciò che loro leggeranno, e risolvere in me le obiezioni di quella lettura. Ella non immagina, quando poi me ne parlano, la sorpresa di trovarmi sempre cristiano e prete, nonostante quelle letture: sorpresa che li scuote e fa riflettere. Si pongono il problema: ma dunque anche di questo il cristiano si rende conto, senza danno e anzi con aumento della sua Fede e del suo Amore. Ed è utilissimo, nei profani, scoprire l'ansia latente, la brama di Cristo. In Joyce ritrovo s. Agostino. Huxley mi dà una nuova prova che l'uomo è anima e corpo, due elementi diversissimi, e per disgrazia (la disgrazia del peccato originale) in conflitto. Siamo a s. Paolo. Ma ci sono delle pagine immonde! precisamente. È la perversione dell'uomo singolo, dell'artista: ma la verità è più grande di lui, e non la copre con la sua stoltezza e immondezza. Cosi non si ripete la stessa verità, allato e dietro i moderni: ma la si rivive con loro e la si fa rivivere. Cosi si esce un poco dalla posizione di "arte pura", e c'è il caso d'infondere nella nostra anemica letteratura italiana qualche poco di vita interiore. Per me Bontempelli, che non è stato mai altro che uno stilista, è il caso tipico di questo desiderio di problemi profondi, di qualcosa che scuota l'intimo. Se si rifugia in capestrerie fantastiche, come Pirandello in capestrerie dialettiche, è che non sanno quale inesplorata grandezza e terribilità è nel sentirsi e vivere cristiano. Io ho una incommensurabile ammirazione a Papini, proprio per questo: che fa rientrare, da pari suo, la vita umana e cristiana nella letteratura, e ne ridà gli accenti dolorosi ed estatici.

Perdoni lo sfogo, caro Bargellini. Ma io rammento quella sera che si uscì insieme da casa Papini, che poco ci si conosceva e intanto non riuscivamo a smettere di chiacchierare. Me ne ritorna spesso nell'animo il ricordo, e, vicino al ricordo, il desiderio. Ho piacere non le dispiaccia Ivanöv. A me piace moltissimo. Viene a noi con una ricchezza di pensiero e d'arte, che è più su, parecchio più su dell'ordinario. Allievo di Mommsen a Berlino, e dei migliori allievi; passò poi a vivere la Grecia alla maniera tragica di Nietzsche, e la visse assai più profondamente e vivamente che il nostro superficiale d'Annunzio; dalla Grecia idolatra e artistica passò alla Grecia religiosa dei misteri, e dal mistero del "deus patiens" riscoperse Cristo. E lo amò. E conosce il mondo bizantino e la Russia, da filologo e da poeta. Or non le pare che tra noi cattolici d'Italia tante e tali esperienze, vissute e sofferte, non possano giovare?

Gli mandi subito le copie che mi dice: io gli scrivo. E ringrazi Papini della premessa splendida: credo sia Papini, infatti. E perché non fa chiedere da Papini qualcosa a Belloc e Chesterton, a Baumann e a Maritain**, tanto per dire dei nomi? Io anzi gli ho scritto se non era il caso di aprire una serie di Cahiers del Fr.: piccoli volumetti, vivi e nuovi***. Io gli darei, oltre qualche saggio d'Ivanov (sull'Umanesimo, su l'idea russa...), una splendida lettera di s. Agostino a un giovane che voleva studiare: lettera breve - una ventina di pagine - ma che è un capolavoro d'ironia e d'impeto, di rovente intelligenza ». Le dico ciò che mi passa per l'anima. Veda lei, e se c'è da perdonarmi, tutto mi perdoni. E non mi voglia male, ché io non gliene voglio e non so come gliene potrei volere.

Suo

Giuseppe De Luca

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* Nella Passeggiata in diligenza sul «Frontespizio», a. II, n. 9, 1930, Bargellini (firma Il Vetturale) criticava Longanesi perché nell'ultimo numero de «L'Italiano»; «contro due italiani, pubblica quattro stranieri di cui non si sentiva davvero bisogno». Del resto Bargellini continuerà su questo tono anche nella "Scarrozzata" del numero di gennaio 1931, dove critica Longanesi per aver portato la vignetta «a una esasperazione grottesca punto italiana» mentre Pietro Parigi, illustratore del «Frontespizio» «ritrovava il gusto dell'illustrazione nostrana senza ricorrere a modelli stranieri.». Tendenzialmente strapaesano Bargellini era stato e, tutto sommato, rimaneva, Nel 1920, con Nicola Lisi, Carlo Betocchi e Pietro Parigi, aveva edito il «Calendario dei pensieri e delle pratiche solari» definito da «Il Ragguaglio» del 1931 «la prima rassegna strapaesana», Precedeva di molto infatti «Il Selvaggio», nato nel 1924. Per il movimento strapaesano si veda anche lettera 18 n. 1. Al movimento strapaesano si contrapponeva quello detto stracittadino, il cui massimo assertore era lo scrittore Massimo Bontempelli (1878-1960), fondatore nel 1926, con Curzio Malaparte, della rivista «900» (1926-1929). Gli stracittadini, opponendosi ai pericoli di provincialismo e di limitatezza piccolo borghese insiti nel movimento strapaesano, aperti a tutte le esperienze dell'arte novecentesca europea, indirizzavano la propria ricerca espressiva verso un realismo magico di derivazione tedesca e impostavano l'interpretazione del reale attraverso una nuova mitologia. Si veda MA, cit., pp. 121 sgg e Anna Panicali, Le riviste del periodo fascista, cit. 

** Hilaire Belloc (1870-1953) e Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) scrittori rappresentativi del movimento cattolico inglese. Saggista brillante, Belloc fu anche storico e scrittore per ragazzi. Chesterton, assai noto per la sua serie di romanzi imperniati sul personaggio di padre Brown, espresse le sue idee religiose in Heretics (1905), Horthodoxy (1909) e del romanzo paradossale Manalive (1912). Emile Baumann (1868-194i) romanziere francese d'ispirazione


cattolica. Per Maritain vedi lettera 54 n. 3.

*** In una lettera del 21 ottobre 1930 (ADL) De Luca scriveva a Papini: «[...] mi dica se non sarebbe il caso d'iniziare da noi qualcosa come il Roseau d'or, e magari in fascicoli minori» e seguitava proponendo, tra i testi da pubblicare, saggi di Ivanov da lui appena tradotti, articoli o interviste di Papini non raccolte in volume, qualcosa di Chesterton, di Giuliotti, il Path to Rome di Belloc, libro di cui la traduzione (1902) di De Luca, uscì a puntate sull'«Illustrazione Vaticana» n
el 1935 con il titolo In cammino verso Roma
. (vedi DL-PA, I, cit. p. 7 n.), un'antologia di mistici russi.

Piero Bargellini - Giuseppe De Luca, Carteggio, vol. I, 1929 - 1932, a cura di Giuliana Scudder.

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