Il finale è fondamentale.
Eugenio Scalfari e l'esistenza di Dio
ono stato in libreria ad acquistare l'ultimo libro di Eugenio Scalfari, “L'uomo che non credeva in Dio”. Mi interessava conoscere il rapporto dell'autore, fondatore e per molti anni direttore di un grande quotidiano italiano, col mondo della carta stampata, ma mi attirava anche quel titolo provocatorio. Scorrendo l'indice, l'occhio è caduto proprio sul capitolo che parla di Dio e il prete ha prevalso: mi sono messo in un angolo e l'ho letto d'un fiato.
La tesi che in quelle poche pagine Scalfari sviluppa è semplice: Dio è soltanto un'invenzione della mente umana, una bugia dell'intelletto. Un modo attraverso il quale l'uomo sublima i propri desideri e le proprie paure, prima tra tutte la paura della morte. Il concetto non è nuovo: Karl Marx parlava della religione con “oppio dei popoli” e Sigmund Freud vedeva in Dio la proiezione dei bisogni più profondi della psiche umana.
Mi ha stupito la laica sicurezza con la quale Scalfari liquida in poche e schematiche paginette - quasi si trattasse di un caso di scarsa importanza - una questione che ha occupato e occupa uno spazio enorme nella cultura di ogni popolo e determina gli esiti della storia personale di milioni di uomini. L'intellettuale non è colui che, come dice la parola stessa, “legge dentro la realtà”, e perciò rifugge facili risposte alle domande formidabili che l'uomo si pone sul senso della vita? Può l'intellettuale compiere il proprio destino senza quella sana inquietudine che gli permette di cercare sempre, di non sentirsi mai “arrivato”? Non ho trovato inquietudine nell'analisi che Scalfari fa della questione di Dio: c'è solo, in quelle pagine, una chiarezza definitiva che intimorisce. Possibile che i miliardi di uomini e donne che, dall'origine del mondo ad oggi, hanno creduto in Dio, siano stati soltanto “bugiardi” con se stessi e con la vita? Possibile che letterati, intellettuali, scienziati, filosofi credenti siano incappati in una tragica menzogna della mente, che Scalfari ritiene di smascherare con tanta facilità in qualche pagina di un libro? E se Dio è solo la sublimazione dei bisogni dell'uomo, della sua sete di eternità, da dove viene all'uomo questa sete?
Dall'ateo Scalfari non si pretende sudditanza verso l'idea di Dio. Ma ci si aspetterebbe che l'intellettuale Scalfari, mentre incontra il mistero per il quale uomini come lui sono vissuti e morti, fosse almeno sfiorato da un piccolo dubbio. Scalfari conclude il suo capitolo su Dio assicurando i lettori che “Dio muore nel momento in cui la sola verità pensabile – e relativa - si colloca nello sguardo dell'uomo... nel momento in cui scopriamo di averlo inventato per paura”. Mentre leggevo queste parole, istintivamente mi scorrevano nella mente le immagini di Giovanni Paolo II e Madre Teresa di Calcutta: furono un uomo e una donna pavidi, bisognosi di crearsi l'idea di Dio per fuggire la paura della vita?
Ho riposto nello scaffale il libro di Eugenio Scalfari e sono uscito dalla libreria con i più “leggeri” e forse più istruttivi “Racconti di Padre Brown” di Chesterton.
ono stato in libreria ad acquistare l'ultimo libro di Eugenio Scalfari, “L'uomo che non credeva in Dio”. Mi interessava conoscere il rapporto dell'autore, fondatore e per molti anni direttore di un grande quotidiano italiano, col mondo della carta stampata, ma mi attirava anche quel titolo provocatorio. Scorrendo l'indice, l'occhio è caduto proprio sul capitolo che parla di Dio e il prete ha prevalso: mi sono messo in un angolo e l'ho letto d'un fiato.
La tesi che in quelle poche pagine Scalfari sviluppa è semplice: Dio è soltanto un'invenzione della mente umana, una bugia dell'intelletto. Un modo attraverso il quale l'uomo sublima i propri desideri e le proprie paure, prima tra tutte la paura della morte. Il concetto non è nuovo: Karl Marx parlava della religione con “oppio dei popoli” e Sigmund Freud vedeva in Dio la proiezione dei bisogni più profondi della psiche umana.
Mi ha stupito la laica sicurezza con la quale Scalfari liquida in poche e schematiche paginette - quasi si trattasse di un caso di scarsa importanza - una questione che ha occupato e occupa uno spazio enorme nella cultura di ogni popolo e determina gli esiti della storia personale di milioni di uomini. L'intellettuale non è colui che, come dice la parola stessa, “legge dentro la realtà”, e perciò rifugge facili risposte alle domande formidabili che l'uomo si pone sul senso della vita? Può l'intellettuale compiere il proprio destino senza quella sana inquietudine che gli permette di cercare sempre, di non sentirsi mai “arrivato”? Non ho trovato inquietudine nell'analisi che Scalfari fa della questione di Dio: c'è solo, in quelle pagine, una chiarezza definitiva che intimorisce. Possibile che i miliardi di uomini e donne che, dall'origine del mondo ad oggi, hanno creduto in Dio, siano stati soltanto “bugiardi” con se stessi e con la vita? Possibile che letterati, intellettuali, scienziati, filosofi credenti siano incappati in una tragica menzogna della mente, che Scalfari ritiene di smascherare con tanta facilità in qualche pagina di un libro? E se Dio è solo la sublimazione dei bisogni dell'uomo, della sua sete di eternità, da dove viene all'uomo questa sete?
Dall'ateo Scalfari non si pretende sudditanza verso l'idea di Dio. Ma ci si aspetterebbe che l'intellettuale Scalfari, mentre incontra il mistero per il quale uomini come lui sono vissuti e morti, fosse almeno sfiorato da un piccolo dubbio. Scalfari conclude il suo capitolo su Dio assicurando i lettori che “Dio muore nel momento in cui la sola verità pensabile – e relativa - si colloca nello sguardo dell'uomo... nel momento in cui scopriamo di averlo inventato per paura”. Mentre leggevo queste parole, istintivamente mi scorrevano nella mente le immagini di Giovanni Paolo II e Madre Teresa di Calcutta: furono un uomo e una donna pavidi, bisognosi di crearsi l'idea di Dio per fuggire la paura della vita?
Ho riposto nello scaffale il libro di Eugenio Scalfari e sono uscito dalla libreria con i più “leggeri” e forse più istruttivi “Racconti di Padre Brown” di Chesterton.
Sandro Vigani
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