È l'umiltà che rinnova eternamente la terra e le stelle. È l'umiltà, e non il dovere, che preserva gli astri dall'errore, dall'imperdonabile errore della rassegnazione noncurante; è per l'umiltà che i più antichi cieli sono per noi freschi e vigorosi. La maledizione che sopravvenne prima della storia ha steso su noi tutti una tendenza a stancarci delle meraviglie. Se noi lo vedessimo per la prima volta, il sole sarebbe la più bella e spaventevole delle meteore. Ora che lo vediamo per la centesima volta, lo chiamiamo, nell'orribile espressione blasfema di Wordsworth, «la luce del giorno comune». Noi siamo inclini ad accrescere le nostre pretese. Siamo inclini a chiedere sei soli, a chiedere un sole blu, a chiedere un sole verde. L'umiltà ci riporta costantemente nel buio primevo. Lì tutta la luce è lampeggiante, sconvolgente e istantanea. Fino a che non capiremo quel buio primevo, in cui non abbiamo né vista né aspettativa, non potremo rivolgere nessuna lode calorosa e infantile allo splendore sensazionale delle cose. I termini «pessimismo» e «ottimismo», come la maggior parte dei termini moderni, sono privi di significato. Ma se possiamo usarli in un qualunque, vago senso che abbia un qualche significato, possiamo dire che, in questa grande verità, il pessimismo è la base stessa dell'ottimismo. L'uomo che distrugge se stesso crea l'universo. Per l'uomo umile, e solo per lui, il sole è veramente un sole; per l'uomo umile, e solo per lui, il mare è veramente un mare. Quando guarda tutte le facce nella strada, egli si rende conto, non solo che gli uomini sono vivi, ma anche, e con un drammatico piacere, che non sono morti.
Gilbert Keith Chesterton, Eretici.
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