Neil Gaiman: «American Gods»
America! America? – Sguardi sull’Impero antimoderno n. 6/2014
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L’autore prende anzi molto sul serio la materia. Il fulcro del romanzo, il suo asse teorico, potremmo dire, ha una premessa fondamentale, ricordata in epigrafe: «Tutte le persone, vive o morte, nominate nel libro, sono frutto della mia immaginazione, oppure usate in modo immaginario. Soltanto gli dèi sono reali». Analogamente, constatando gli eventi ai quali ha assistito, Shadow sentenzia: «La gente crede. È così che fanno. Credono. E poi non si prendono la responsabilità della propria fede; evocano le cose e non si fidano delle evocazioni. Popolano le tenebre di spettri, dèi, elettroni, storie. La gente immagina e crede: ed è questa fede, questa fede solida come la roccia che fa accadere le cose» (p. 475).
Che significa tutto ciò? Gaiman, da questo punto di vista solido discepolo di Chesterton, Lewis e Tolkien, ha come questi ultimi una grande fiducia nel duplice potere delle storie: la capacità di rendere interpretabile il caos del reale, nonché agire retroattivamente sul reale stesso. In effetti, l’ennesimo aspetto che rende American Gods una sorta di “classico contemporaneo” è la significativa metariflessione sullo scrivere, sulle storie e l’arte di narrarle coerentemente affidata alle pagine stesse del romanzo.
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