Dall'inserto E' Vita dell'Avvenire di oggi 11 Giugno 2009
Li chiamano embrioni «in avanzo» o «in soprannumero», persino «materiale genetico». Stiamo parlando degli embrioni crioconservati nei centri di procreazione medicalmente assistita (Pma). Nonostante le espressioni sbrigative, gli embrioni sono vite umane che magari non diventeranno mai bambini ma che di certo hanno genitori, solitamente coppie che ricorrono alla fecondazione in vitro per problemi di fertilità, o perché a rischio di trasmissione di malattie genetiche. Come rivelano due recenti studi scientifici (Human Reproduction Advance, 2009), i genitori sono i primi a non sapere cosa fare dei propri embrioni crioconservati, soprattutto in quei Paesi nei quali è consentito produrne un elevato numero «come scorta per un successivo impianto in utero». Avere infatti una riserva congelata di ovuli già fecondati, alla quale attingere nel caso in cui il primo trasferimento non si risolvesse in una gravidanza, garantisce di poter procedere a ulteriori impianti in utero senza dover ripetere il prelievo di ovociti materni, per ottenere i quali è necessaria una stimolazione ormonale.
La crioconservazione ha dato origine così a grandi depositi di embrioni congelati in quasi tutto il mondo, per i quali il tempo presente è sospeso e il futuro ignoto. Un fenomeno che, col passare degli anni, ha assunto proporzioni enormi e pressoché incontrollabili. È ormai una realtà dalle cifre talmente elevate da essere un problema a livello mondiale, sia dal punto di vista politico-giuridico, sia da quello etico. Gli embrioni che giacciono congelati nella banche europee e americane sono decine di migliaia. In questo panorama l’Italia costituisce un’eccezione 'virtuosa', con i suoi 30 mila embrioni crioconservati, una cifra ingente ma ferma da almeno quattro anni grazie al divieto incluso nella legge 40. Un divieto però che è appena caduto sotto la scure della Corte Costituzionale.
Con una cifra simile a quella italiana c’è il Belgio, attestatosi sui 25 mila embrioni depositati nelle biobanche. Il numero aumenta invece in Francia, salendo a 180 mila unità, fino ad arrivare a oltre 200 mila in Spagna, mentre in Gran Bretagna la cifra diventa enorme: 1,2 milioni di embrioni congelati. In Francia (è recente la decisione del Consiglio di Stato), in Gran Bretagna e in Spagna è inoltre permesso fare ricerca scientifica per scopi terapeutici sugli embrioni definiti 'non vitali'. Ma dovremmo forse ritenere 'non vitali' gli embrioni crioconservati soltanto erché nessuno si occupa di loro? In questi tre Stati (che insieme al Canada prevedono persino la donazione gratuita e anonima di embrioni a coppie sterili) la crioconservazione è consentita per 5 anni, allo scadere dei quali, in assenza di una volontà manifesta dei genitori, gli embrioni vengono eliminati o utilizzati per la ricerca, quindi distrutti.
In Francia i genitori vengono contattati ogni anno, in forma scritta, affinché il centro clinico conosca le intenzioni sul destino degli embrioni (impiantarli, consegnarli alla ricerca, darli in adozione) la cui crioconservazione costa 40 euro l’anno. In Svezia e Danimarca la possibilità di tenere i propri embrioni nelle banche della fertilità scende drasticamente a un anno, dopodiché vengono dichiarati 'di nessuno', quindi diventano eliminabili. In Germania e in Austria l’utilizzo degli embrioni congelati è proibito ma si può fare ricerca sulle staminali embrionali provenienti dall’estero.
Gli Stati americani si comportano autonomamente. Partiamo dalle cifre: quasi mezzo milione di embrioni congelati per i quali non si sa che decisione prendere ( Centers for Disease Control and Prevention). «Gli embrioni possono rimanere in buone condizioni per una decina d’anni, o più, ma soltanto a condizione che siano stati congelati con una procedura valida» (Fertility and Sterility). Un recente sondaggio condotto su 1020 pazienti in nove cliniche statunitensi rivela un quadro alquanto incerto: «Tra i pazienti che non desiderano altri bambini, dopo l’esito positivo della fecondazione assistita, il 43% si è detto contrario a eliminare gli embrioni, ma il 66% si è pronunciato a favore della donazione alla ricerca pur sapendo che così sarebbero stati distrutti. Il 20% preferirebbe addirittura tenerli congelati 'per sempre, anche quando noi genitori moriremo' pur di non decidere, e nonostante il pagamento della tassa di deposito, dai 500 ai 700 dollari all’anno» ( Fertility and Sterility, 2008). Nel 5% dei casi i genitori smettono persino di pagare queste quote, o interrompono definitivamente il contato con le cliniche ( Center for Applied Reproductive Science).
Le scelte americane non finiscono qui: «Ci sono coppie che, pur di non decidere, optano per soluzioni estreme: o lo smaltimento degli embrioni danneggiandoli volutamente, in fase di scongelamento, oppure trasferendoli nel corpo della donna in un periodo non fertile, in modo da essere certi che gli embrioni saranno naturalmente abortiti» ( New York Times, dicembre 2008 in riferimento a Fertility and Sterility 2008).
Dalla fotografia mondiale che ritrae l’esubero di embrioni nei congelatori, emerge con ancora maggiore chiarezza il dato positivo tutto italiano: la legge 40, conservando l’obbligo di creare «il numero strettamente necessario» di embrioni (articolo 14, comma 2, passaggio lasciato integro dalla Corte), continua a indicare una buona pratica che altri Paesi potrebbero prendere come esempio, vista la situazione critica in cui si trovano, sopraffatti dal numero di embrioni congelati dei quali non si sa cosa fare. Il congelamento degli embrioni, non garantendo la salute degli stessi una volta scongelati, d’altra parte è già superato dalla crioconservazione degli ovociti, tecnica in grande sviluppo. Perché insistere a congelare? E perché gettare via il vantaggio che l’Italia si è assicurata sul resto del mondo?
Li chiamano embrioni «in avanzo» o «in soprannumero», persino «materiale genetico». Stiamo parlando degli embrioni crioconservati nei centri di procreazione medicalmente assistita (Pma). Nonostante le espressioni sbrigative, gli embrioni sono vite umane che magari non diventeranno mai bambini ma che di certo hanno genitori, solitamente coppie che ricorrono alla fecondazione in vitro per problemi di fertilità, o perché a rischio di trasmissione di malattie genetiche. Come rivelano due recenti studi scientifici (Human Reproduction Advance, 2009), i genitori sono i primi a non sapere cosa fare dei propri embrioni crioconservati, soprattutto in quei Paesi nei quali è consentito produrne un elevato numero «come scorta per un successivo impianto in utero». Avere infatti una riserva congelata di ovuli già fecondati, alla quale attingere nel caso in cui il primo trasferimento non si risolvesse in una gravidanza, garantisce di poter procedere a ulteriori impianti in utero senza dover ripetere il prelievo di ovociti materni, per ottenere i quali è necessaria una stimolazione ormonale.
La crioconservazione ha dato origine così a grandi depositi di embrioni congelati in quasi tutto il mondo, per i quali il tempo presente è sospeso e il futuro ignoto. Un fenomeno che, col passare degli anni, ha assunto proporzioni enormi e pressoché incontrollabili. È ormai una realtà dalle cifre talmente elevate da essere un problema a livello mondiale, sia dal punto di vista politico-giuridico, sia da quello etico. Gli embrioni che giacciono congelati nella banche europee e americane sono decine di migliaia. In questo panorama l’Italia costituisce un’eccezione 'virtuosa', con i suoi 30 mila embrioni crioconservati, una cifra ingente ma ferma da almeno quattro anni grazie al divieto incluso nella legge 40. Un divieto però che è appena caduto sotto la scure della Corte Costituzionale.
Con una cifra simile a quella italiana c’è il Belgio, attestatosi sui 25 mila embrioni depositati nelle biobanche. Il numero aumenta invece in Francia, salendo a 180 mila unità, fino ad arrivare a oltre 200 mila in Spagna, mentre in Gran Bretagna la cifra diventa enorme: 1,2 milioni di embrioni congelati. In Francia (è recente la decisione del Consiglio di Stato), in Gran Bretagna e in Spagna è inoltre permesso fare ricerca scientifica per scopi terapeutici sugli embrioni definiti 'non vitali'. Ma dovremmo forse ritenere 'non vitali' gli embrioni crioconservati soltanto erché nessuno si occupa di loro? In questi tre Stati (che insieme al Canada prevedono persino la donazione gratuita e anonima di embrioni a coppie sterili) la crioconservazione è consentita per 5 anni, allo scadere dei quali, in assenza di una volontà manifesta dei genitori, gli embrioni vengono eliminati o utilizzati per la ricerca, quindi distrutti.
In Francia i genitori vengono contattati ogni anno, in forma scritta, affinché il centro clinico conosca le intenzioni sul destino degli embrioni (impiantarli, consegnarli alla ricerca, darli in adozione) la cui crioconservazione costa 40 euro l’anno. In Svezia e Danimarca la possibilità di tenere i propri embrioni nelle banche della fertilità scende drasticamente a un anno, dopodiché vengono dichiarati 'di nessuno', quindi diventano eliminabili. In Germania e in Austria l’utilizzo degli embrioni congelati è proibito ma si può fare ricerca sulle staminali embrionali provenienti dall’estero.
Gli Stati americani si comportano autonomamente. Partiamo dalle cifre: quasi mezzo milione di embrioni congelati per i quali non si sa che decisione prendere ( Centers for Disease Control and Prevention). «Gli embrioni possono rimanere in buone condizioni per una decina d’anni, o più, ma soltanto a condizione che siano stati congelati con una procedura valida» (Fertility and Sterility). Un recente sondaggio condotto su 1020 pazienti in nove cliniche statunitensi rivela un quadro alquanto incerto: «Tra i pazienti che non desiderano altri bambini, dopo l’esito positivo della fecondazione assistita, il 43% si è detto contrario a eliminare gli embrioni, ma il 66% si è pronunciato a favore della donazione alla ricerca pur sapendo che così sarebbero stati distrutti. Il 20% preferirebbe addirittura tenerli congelati 'per sempre, anche quando noi genitori moriremo' pur di non decidere, e nonostante il pagamento della tassa di deposito, dai 500 ai 700 dollari all’anno» ( Fertility and Sterility, 2008). Nel 5% dei casi i genitori smettono persino di pagare queste quote, o interrompono definitivamente il contato con le cliniche ( Center for Applied Reproductive Science).
Le scelte americane non finiscono qui: «Ci sono coppie che, pur di non decidere, optano per soluzioni estreme: o lo smaltimento degli embrioni danneggiandoli volutamente, in fase di scongelamento, oppure trasferendoli nel corpo della donna in un periodo non fertile, in modo da essere certi che gli embrioni saranno naturalmente abortiti» ( New York Times, dicembre 2008 in riferimento a Fertility and Sterility 2008).
Dalla fotografia mondiale che ritrae l’esubero di embrioni nei congelatori, emerge con ancora maggiore chiarezza il dato positivo tutto italiano: la legge 40, conservando l’obbligo di creare «il numero strettamente necessario» di embrioni (articolo 14, comma 2, passaggio lasciato integro dalla Corte), continua a indicare una buona pratica che altri Paesi potrebbero prendere come esempio, vista la situazione critica in cui si trovano, sopraffatti dal numero di embrioni congelati dei quali non si sa cosa fare. Il congelamento degli embrioni, non garantendo la salute degli stessi una volta scongelati, d’altra parte è già superato dalla crioconservazione degli ovociti, tecnica in grande sviluppo. Perché insistere a congelare? E perché gettare via il vantaggio che l’Italia si è assicurata sul resto del mondo?
Luisella Giovanna Daziano
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