giovedì 18 settembre 2008

Il traffico dei diritti insaziabili


Riceviamo dal caro socio Andrea Collina questa recensione sul libro IL TRAFFICO DEI DIRITTI INSAZIABILI, Edizioni Rubbettino, a cura di Luca Antonini – Prefazione di Luca Volonté, e volentieri pubblichiamo, compresa la mail di accompagnamento diretta al nostro presidente.

"Caro Marco,
ho il piacere grandissimo di inviarti queste mie poche e confuse idee su questo libretto che mi sto studiando, che ho visto particolarmente calzante in un momento nel quale, per il nostro lavoro e per il contesto sociale e culturale che abbiamo, si rischia di venire ingurgitati da quella fame insaziabile di chi cerca solo soddisfazione delle proprie voglie e delle proprie pulsioni, invece di cercare quella solida e concreta verità che da sempre caratterizza la giustizia.
Spero di riuscire ad invogliare, se non proprio a leggere il libro, a riflettere e approfondire questa dinamica dei diritti umani, in un senso non scioccamente progressista, ma al contrario come il nostro caro Gilbert avrebbe affrontato le questioni storiche e giuridiche dei suoi tempi.
un abbraccio fraterno
Andrea Collina"

Tra i banchi, le sale, le mostre e gli incontri del Meeting di Comunione e Liberazione di quest’estate, ho avuto la possibilità di incontrare un libricino molto particolare: “Il traffico dei diritti insaziabili” (Edizioni Rubettino, a cura del prof. Luca Antonini). Un libretto nel quale sono esposti alcuni commenti e saggi di eminenti giuristi e studiosi del diritto nazionali ed internazionali (da Augusto Barbera, a Paolo Grossi a Mary Ann Glandon, attualmente ambasciatrice USA presso la Santa Sede), su di un tema e una provocazione apparentemente astratta, ma, in realtà, profondamente avvincente nel nostro attuale contesto socio-culturale. “Cosa sono e su cosa si fondano i diritti umani?”,”può un giudice ,in nome dei diritti dell’uomo, prendere una decisione contro un uomo?”. Il caso Englaro è qualcosa che ormai tutti conoscono. Ma anche nella vita di provincia, lontano dai riflettori delle telecamere, nelle aule dei tribunali che ho l’avventura di frequentare, inizia ad emergere, anche in circostanze meno drammatiche e con minor impatto mediatico, una tendenza chiara, ovvero il manifestarsi delle pretese delle singole persone, solo e quasi esclusivamente come diritti: dal diritto dei nonni a poter vedere regolarmente i nipoti, al diritto dei parenti di disporre del materiale organico del cadavere di un proprio congiunto, al diritto al riposo nelle ore diurne, fino al diritto degli animali a non venire trascurati da un padrone che non può muoversi dal letto, e altro ancora. Una dinamica culturale nella quale ogni interesse, desiderio, pretesa o “voglia”, viene concepita e costruita in termine di diritto e, ancor di più di diritto fondamentale della persona, ovvero come situazione che in maniera assoluta e immediata ha la fondata pretesa di essere tutelata dal potere giuridico espresso sia dai giudici che dai politici attraverso la legislazione.
La descrizione delle origini e dello sviluppo di tale dinamica e il giudizio sulla fondatezza o meno della stessa è l’oggetto degli interventi degli autorevoli studiosi che, forse inconsapevolmente, paiono rispondere alla provocazione di Henry de Lubac, riportata nella prefazione dell’on. Luca Volonté: “In realtà non c’è più l’uomo, perché non c’è più nulla che trascenda l’uomo”. E il merito di questi autori è stato sicuramente quello di aver saputo cogliere la provocazione, confrontando le proprie competenze accademiche con una parola spesso bistrattata da chi afferma i diritti insaziabili dell’uomo: la parola “esperienza”. Si può infatti affermare che il filo rosso che lega tutti gli interventi sta proprio in questa dicotomia osservata e denunciata tra l’affermazione astratta dei diritti e ciò che invece suggerisce l’esperienza concreta delle singole persone e, più in generale, di un popolo.
E così dallo storico Paolo Grossi apprendiamo che l’origine di tale dinamica è da ritrovare nel XIV secolo, quando governanti e governati hanno scelto di rivoluzionare la propria esperienza storica di popolo, iniziando a costruire il diritto su modelli astratti.
Dal filosofo Francesco Gentile scopriamo che le potenzialità dei diritti umani sono state compromesse “con l’inglobamento nel sistema della geometria politico-legale”.
Dalla costituzionalista Mary Ann Glandon apprendiamo che gran parte delle Dichiarazioni dei diritti, anche contenute nelle Costituzioni di molti Paesi, partono da una visione “dignitaria” dei diritti che è stata messa in crisi da una visione “libertaria” promossa da gruppi di interesse che sono riusciti ad imporsi tra chi ha redatto tali dichiarazione e proprio per quel principio di astrazione e formalismo storicamente documentato, hanno ridotto i diritti a mere enunciazioni verbali contenute nei documenti redatti dagli stessi, riproponendo il vecchio concetto che può essere considerato diritto solo ciò che è astrattamente codificato, a prescindere dalla reale incidenza dei diritti affermati nell’esperienza concreta di un popolo o di una persona.
Da qui il “traffico” o “commercio” dei diritti documentato dal professore americano Paolo Carozza, che sottolinea anche la brutalità degli interessi economici che possono stare dietro alle affermazioni dei diritti insaziabili.
Proprio tale denuncia provoca alla riflessione grandi esponenti del mondo accademico (ma anche politico) italiano quali Augusto Barbera, Lorenzo Ornaghi, Rocco Bottiglione, Antonino Spadaro, i quali si pongono tutti il problema del limite da porsi all’insaziabilità dei diritti, che potrebbe essere rappresentato dal principio di ragionevolezza o dall’ammettere la rilevanza di uguali doveri. Considerazioni e riflessioni che poi vengono declinati in singoli ambiti: Lorenza Violini si è occupata di matrimonio e famiglia; Mario Bertolissi di diritti sociali; Mauro Ronco di libertà religiosa e diritto penale; la spagnola Ana Llano Torres di libertà di educazione in Spagna; Umberto Vincenti delle tracce dei diritti umani nel diritto romano.
Esperienza contro gli schemi astratti della ragione razionalisticamente intesa. Il ritorno all’esperienza concreta dell’uomo che viene influenzata, ma che in fondo non può essere mai determinata dal potere giuridico del sovrano di turno (sia esso il Principe del passato, o il popolo dei contemporanei sistemi democratici).
Qui sta il punto i propositivo di questo libricino che nelle sue 200 paginette apre spunti di giudizio e offre strumenti per dare ragione a quel senso di disagio che casi come quello di Eluana Englaro pongono a chi, anche distrattamente, se ne imbatte. Il ritorno all’esperienza concreta di ogni uomo, come vera possibilità di affermazione della dignità ed intoccabilità dello stesso e come fondamento di ogni tutela dell’ordinamento concreto degli interessi e dei desideri umani.
E' ciò che propone nell’introduzione del libro il curatore, Luca Antonini, citando Don Giussani e la sua tradizionale, tomistica e rivoluzionaria definizione di “esperienza elementare”: “il complesso di evidenze ed esigenze originali con cui l’uomo proiettato dentro il confronto con tutto quello che esiste”. E citando anche il prof. Giorgio Vittadini il quale afferma, sulla scia della testimonianza di Don Giussani, “Le evidenze ed esigenze di verità, di giustizia, di bellezza esperibili da ogni singolo, sono la radice antropologica dei diritti naturali e offrono la chiave epistemologica per «giudicare» e verificare la validità delle diverse antropologie… L’esperienza elementare è il fattore che accomuna ogni cultura che ponga al centro l’uomo. È quella che un credente chiama «scintilla di Infinito» e che anche un agnostico o un ateo possono definire come «irriducibilità della persona»”.


Andrea Collina

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