giovedì 27 settembre 2018

Chesterton e la filosofia della luce - di Fabio Trevisan (da Riscossa Cristiana)

"Io ritorno ai metodi dottrinali del XIII secolo, ispirato dalla speranza complessiva di giungere a qualcosa"
Nel saggio Eretici del 1905, Chesterton tratteggiò in un gustoso raccontino alla fine del 1° capitolo del libro, dell'importanza della filosofia. Egli era fermamente convinto che l'ortodossia, la cura della dottrina non solo dovessero precedere e sostanziare la prassi ma che potessero salvaguardare la libertà nella verità: "Non furono mai le persone spinte da una convinzione che compirono vaste persecuzioni. Furono le persone incuranti che ricolmarono il mondo di fuoco e oppressione". Per Chesterton la Chiesa doveva preservare la dottrina e i dogmi per salvare l'uomo e se stessa; la Chiesa doveva sostenere la crescita intellettuale come una crescita verso convinzioni sempre più definite, verso dogmi sempre più numerosi. Esattamente il contrario di quanto avvenuto e sta avvenendo nella Chiesa dopo il Concilio Vaticano II. Chesterton era convinto inoltre che la filosofia medievale, in particolare l'amato S. Tommaso d'Aquino, a cui dedicò un prezioso saggio, potesse ancora aiutare l'uomo a non soccombere, a non arrendersi al mondo. Egli aveva premura che la "filosofia della luce", ossia la metafisica, potesse illuminare l'uomo. L'antropologia (la conoscenza che l'uomo ha di se stesso) non era sostenibile senza la teologia. Credo che sostanzialmente avrebbe sottoscritto il detto: "Dimmi che Dio hai e ti dirò chi sei". Non ci poteva essere allora una "svolta antropologica", una questione antropologica senza Dio, senza la sua conoscenza. Con queste premesse, data la situazione odierna molto confusa di tanti cattolici, credo che quel raccontino iniziale in Eretici possa far capire l'importanza della filosofia dell'essere. Credo che l'esempio citato da Chesterton possa essere di riferimento anche oggi sulle modalità d'azione, ad esempio in merito alle possibilità dell'opzione Benedetto (possibilità, a mio avviso ridotte, se ristrette in un orizzonte solo antropologico), e pertanto lo presentiamo per intero: "Supponiamo che, nella strada, insorga un vasto tumulto, diciamo, per un lampione a gas che diverse persone influenti desiderano abbattere. Interpellato sull'argomento, un monaco grigio vestito, che è lo spirito del Medioevo, incomincia a dire, nello stile degli scolastici: "Consideriamo, prima, fratelli miei, il valore della Luce. Se la Luce, in sé, sia un bene…". A questo punto, non senza qualche giustificazione, lo rovesciano a terra. Tutta la gente si precipita verso il lampione; il lampione, in dieci minuti, è al suolo e tutti quanti vanno in giro congratulandosi per la loro praticità anti-medievale. Col prosieguo del tempo le cose però non vanno così lisce. Alcuni hanno abbattuto il lampione perché volevano la luce elettrica, altri perché volevano il ferro di un tempo, altri ancora perché volevano il buio, dato che le loro azioni erano malvagie. Alcuni ritenevano che quello non fosse a sufficienza un lampione; altri ritenevano che lo fosse in misura eccessiva; alcuni hanno agito perché volevano distruggere gli impianti del comune, altri perché volevano distruggere qualcosa. E, nella notte, sopravviene la guerra, dove nessuno sa chi colpisce. Così, a poco a poco, inesorabilmente, quel giorno o all'indomani, o il giorno dopo ancora, ritorna la convinzione che il monaco, dopo tutto, avesse ragione, e che tutto dipenda da quale sia la filosofia della Luce.       Solo che ciò che avremmo dovuto discutere sotto il lampione a gas, ora dobbiamo discuterlo al buio".

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