Come mai avete scelto, come Casa Editrice, di pubblicare Chesterton?
Il nostro obiettivo è di attingere da giacimenti letterari poco noti, di investigare realtà apparentemente "altre" dalla nostra, compiendo là dove necessario una sorta di fuga all'indietro per meglio comprendere, e interpretare, il presente. E sono pochi coloro che comprendono il nostro presente meglio di Gilbert Keith Chesterton. Pubblicare GKC non solo ci permette di aprire spiragli su questa "terra incognita" che è il tempo in cui viviamo, ma spesso di affrontare tematiche colpevolmente trascurate che invece continuano ad avere riscontro nell'attualità.
Da L'Età vittoriana nella letteratura, che abbiamo ripubblicato recentemente, vorrei citare un breve passaggio che ci fa veramente capire quanto l'attualità di Chesterton sia per molti versi addirittura sconcertante.
«I vittoriani credevano che il commercio estero di un paese dovesse portare la pace: e indubbiamente ha portato la guerra. Credevano che il commercio interno dovesse indubbiamente promuovere la prosperità: e ha in gran parte promosso la povertà. Ma per loro questi erano esperimenti; per noi devono essere insegnamenti. Se noi continueremo a trattare il popolo com'è nell'uso capitalista, se noi continueremo a servirci degli armamenti esteri com'è nell'uso capitalista, il nostro comportamento ricadrà pesantemente sui vivi. Il disonore non resterà ai morti».
E' un passaggio profetico non solo perché esattamente un anno dopo l'uscita del libro scoppiò la Grande Guerra che massacrò un'intera generazione di giovani europei, ma anche perché inchioda noi al nostro presente.
Perché proprio L'età vittoriana nella letteratura?
Jonathan Keates, grande esperto di cose vittoriane, nonché uno scrittore che amiamo moltissimo, definisce la regina Vittoria "most unvictorian". Anche l'età vittoriana – se la si osserva attentamente – è per molti versi "unvictorian". Nella stessa epoca si sviluppano idee, convinzioni e visioni radicalmente opposte: potevano convivere la Bibbia e il colonialismo; potevano trovare un precario equilibrio l'azione riformatrice e l'esigenza di conservare lo statu quo e potevano essere amici persone tanto diverse come Chesterton e Shaw, il socialista utopico. Erano anni di Grandi Esperimenti, come dice Chesterton. Ciò che però teneva uniti i vittoriani era la consapevolezza di essere padroni del mondo – di possedere un quinto del globo, di poter contare sulla lealtà di circa un quarto della popolazione mondiale. Era ciò che gli storici chiamano il "compromesso vittoriano", ossia quell'atteggiamento che negava, grazie anche allo scudo morale di quella filosofia spietata che è l'utilitarismo, l'esistenza di un diffuso disagio sociale nell'Inghilterra della seconda rivoluzione industriale. Ne L'Età vittoriana nella letteratura, scritto esattamente cento anni fa nel 1913, Chesterton, pur affermando modestamente di voler occuparsi solo "dei grandi Vittoriani non servendomi unicamente di date e nomi, ma piuttosto ricorrendo a scuole e correnti di pensiero", sottolinea che è stata la penna a minare l'utilitarismo mercantile accettato in nome della ricchezza e del prestigio coloniale britannico. I grandi scrittori – Charles Dickens, sicuramente, ma soprattutto Robert Louis Stevenson – hanno reagito a questa rimozione collettiva: ognuno a proprio modo ma tutti pienamente consapevoli che qualcosa di fondamentale fosse andato perduto nella loro società. L'Uomo. Sabina Nicolini, curatrice del libro, fa notare che per Chesterton "la ricerca ottusa del benessere ha portato a un autunno spirituale, a una strana e fredda atmosfera di vacuità in cui ciò che veramente conta veniva trascurato in nome del progresso".
Abbiamo scelto di pubblicare L'Età vittoriana nella letteratura perché è un libro importante – un libro "aureo" come l'ha recentemente definito Masolino D'Amico – che racchiude in poche pagine tutto il pensiero chestertoniano – il suo wit, acume, humour e magnifico e impareggiabile common sense.
Avete in programma altri titoli chestertoniani?
Qualcuna ha detto che Chesterton è come un fiume carsico che continua, pur scomparendo di tanto in tanto, a scorrere e a modificare il terreno dove passa. E' uno scrittore prolifico e quasi certamente ripubblicheremo altri suoi titoli. Ma sarà dura – per fortuna! – battere la concorrenza: sono infatti tantissime le case editrici cha hanno puntato su GKC. E' un buon segno.
Nella copertina c'è il disegno di un gazometro. Sembrerebbe quello di Roma. Come mai avete scelto questa immagine?
Con il grafico Riccardo Martini e la direttrice artistica Stefania Santi abbiamo scelto l'immagine del gazometro perché era il tratto distintivo del paesaggio urbano che si sviluppava nel periodo tardo industriale. Di gazometri a Londra ve n'erano tantissimi. Famosissimo è quello di Kennington, che continua a fare da fiero sfondo all'Oval, uno dei principali stadi di cricket in Inghilterra. Gazometri, ponti, costruzioni in ferro rappresentavano l'alfabeto del nuovo paesaggio urbano: basti pensare al Tour Eiffel, che di quel paesaggio urbano era la cifra più evidente… Per quanto riguarda la copertina, si tratta effettivamente del gazometro di Roma, lo stesso che Chesterton potrebbe aver visto durante i suoi viaggi a Roma. Ma potrebbe anche essere un gazometro a Calcutta, Auckland, Brisbane, Vancouver, Cape Town – o qualsiasi altra grande città dell'età vittoriana.
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