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«Quando il Cambridge History English Literature pubblicherà i suoi volumi riguardanti il XX secolo, penso sia molto importante che il nome di Padre Brocard Sewell appaia nell’indice». Così scriveva nel 1982 il critico e saggista Colin Wilson, amico di vecchia data del frate carmelitano.
In effetti la vita culturale di Sewell fu a dir poco effervescente: oltre ad essere stato autore di molti libri, tra cui un classico minore dell’autobiografia come My Dear Time’s Waste (1966), in cui è brillantemente descritto il panorama letterario britannico tra le due guerre, collaborò con Chesterton al «G.K.’s Weekly» e, a patire da metà degli anni ’50, in qualità di direttore del periodico «The Aylesford Review», diede spazio a tanti scrittori emergenti, in seguito destinati al successo.


Come studioso il carmelitano dimostrò invece un interesse spasmodico per gli scrittori “minori”. A Montague Summers, Frederick Rolfe “Baron Corvo”, John Gray, R. S. Hawker e Olive Custance dedicò vari lavori, tra cui il volume miscellaneo Like Black Swans (1982). Sewell era soprattutto affascinato dalla genesi del processo creativo e dalla biografia tormentata di autori che dovettero soffrire e lottare per ottenere un qualche riconoscimento. Lui stesso, d’altronde, era un outsider, uno spirito irrequieto che faticò sempre a trovare una collocazione stabile. Quando rivolgeva lo sguardo alla letteratura decadente, di cui era grande esperto, di certo scorgeva in quei misteriosi e inquietanti artisti un riflesso della propria parabola esistenziale, quella di un cigno nero che poté spiccare il volo solo dopo aver pagato un carissimo prezzo.


Per quanto breve, il rapporto con Chesterton e i suoi collaboratori fu per Sewell così importante che negli anni della maturità, oltre a una bella biografia di Cecil Chesterton e a un saggio dedicato a Padre Vincent McNabb, scrisse un volume di memorie intitolato G.K.'s Weekly: An Appraisal (1990).
Il suo successivo impiego alla St Dominic’s Press di Hilary Pepler, dove imparò l’arte dell’impaginazione e della stampa di libri, fu interrotto bruscamente dallo scoppio del secondo conflitto mondiale. Sewell venne arruolato nelle file della R.A.F, ma per la maggior parte della guerra svolse mansioni di ufficio.


La vita al priorato, però, non significava rompere ogni legame col mondo esterno. Mosso dal desiderio di trasformare il cattolicesimo in una forza rilevante nel dibattito culturale e politico britannico, prese le redini della casa editrice dei carmelitani, la Saint Albert’s Press, e nel 1955 fondò l’«Aylesford Review». Sotto la sua direzione il periodico, che durò fino al 1968 e che si occupava principalmente di letteratura, teologia e politica, attirò l’attenzione di un pubblico via via crescente, tanto che da molti prese a essere considerato l’erede morale del «Criterion» di T. S. Eliot.
Ma per Padre Brocard Sewell la serenità non era destinata a durare ancora a lungo. Anzi, i guai erano proprio dietro l’angolo.
Se durante gli anni del Concilio Vaticano II Sewell fu tra i numerosi sacerdoti e intellettuali cattolici che manifestarono più di una riserva nei confronti della riforma liturgica, il 5 agosto del 1968, pochi giorni dopo la pubblicazione dell’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, apparve sul «Times» una lettera a sua firma in cui accusava il Papa di eccessivo conservatorismo, invitandolo addirittura ad abdicare. I toni, volutamente calcati, rispecchiavano in realtà il feroce dibattito che si stava consumando in seno al cattolicesimo a proposito del controllo delle nascite e del diritto della Chiesa di intervenire su simili questioni. I vescovi, da parte loro, ebbero un bel daffare per arginare il malcontento.
L’epistola di Sewell, naturalmente, non tardò ad attirare l’attenzione dei superiori: al carmelitano fu prima impedito di predicare e confessare, dopodiché, quando nel 1970 fece l’azzardo di pubblicare un libro sulla questione, The Vatican Oracle, venne allontanato dalla diocesi di Southwark – dove si trovava Aylesford – e costretto a traferirsi in Canada (poté ritornare in Inghilterra solo pochi mesi prima della morte, avvenuta nel 2000).
Giunto in Nuova Scozia, Sewell trascorse gli ultimi anni che gli rimanevano su questa terra insegnando storia della letteratura preraffaellita e decadente alla St Francis Xavier University di Antigonish, per poi spostarsi al Mount Carmel College.
L’esilio fu un periodo molto duro per lui, mitigato solo a tratti dall’affetto con cui ogni giorno era accolto in aula dagli studenti. Non solo gli mancava l’Inghilterra e gli amici che lì aveva lasciato, ma più di ogni altra cosa avvertiva che la Chiesa aveva perso definitivamente la sua battaglia con la modernità. Il drastico calo delle vocazioni e la galoppante secolarizzazione erano solo la punta dell’iceberg di una crisi che pareva inarrestabile. Nella sua seconda e definitiva autobiografia, The Habit of a Lifetime (1992), Sewell fu costretto ad ammettere che il cattolicesimo aveva ormai perso quella compattezza dottrinale che nel 1930 lo aveva spinto alla conversione. Per l’ “estremista di centro”, come lui stesso si definiva, si trattava di una terribile sciagura.
La preghiera e una certa autoironia chestertoniana che lo faceva assomigliare a Padre Brown, furono le due sole cose che salvarono il povero frate dalla disperazione.
Se alla fine il cigno nero prese il volo, non c’è da dubitare che lo fece con occhi gonfi di lacrime.
Luca Fumagalli
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