"La democrazia vera e duratura si basa sul fatto che tutti gli uomini sono parimenti idioti"
Ne: "Il Napoleone di Notting Hill", Chesterton descriveva la deriva della democrazia attraverso due figure emblematiche, il pazzo e il re. Già nel 1903 con questo suo primo romanzo, lo scrittore londinese aveva preso a bersaglio tutto ciò che ai nostri tempi è sovente discusso: i pericoli del cosmopolitismo (ancora non c'era in uso la parola "globalizzazione"), il potere finanziario (contro cui si scontra Adam Wayne, il Sindaco folle di Notting Hill), l'assenza di democrazia (derisa dal Re umorista Auberon Quin). Andiamo con ordine, poiché merita qui approfondire il pensiero di Chesterton su questi temi. Nel deplorare il cosmopolitismo, egli faceva entrare in scena, sin dalle prime pagine del romanzo, un deposto presidente del Nicaragua, ardente patriota cattolico, che difendeva la Chiesa e l'antica sacralità dei colori: "Non riesce a comprendere l'antica sacralità dei colori? La Chiesa possiede i suoi colori simbolici e pensi a ciò che significano i colori per noi". Attraverso le parole dell'immaginario presidente nicaraguense, in un contradditorio con un influente personaggio politico inglese, Chesterton attaccava successivamente il cosmopolitismo: "Ecco cosa deploro, nel suo cosmopolitismo. Quando lei dice di volere l'unione di tutti i popoli, in realtà vuole che tutti i popoli si uniscano per imparare i trucchi del suo…noi uomini d'oggi riponiamo fede in una grande civiltà cosmopolita, destinata a conglobare tutti i talenti dei popoli assimilati". Potremmo adattare, seppur con le dovute cautele, il sovranismo anti-cosmopolita del presidente nicaraguense all'attuale situazione socio-politica che stiamo vivendo. Chesterton aveva visto come queste lusinghe cosmopolitiche falsamente unitarie fossero inconsistenti, in quanto mascheravano l'essenza di un dominio liberal-capitalistico. Egli amava la Patria, a cui aveva cercato di restituirle la Verità tutta intera, quella Cattolica; egli era conscio, da buon pittore qual era, dell'importanza dei colori e delle forme artistiche vivide che la stessa Chiesa aveva preservato nelle grandi cattedrali, negli stemmi araldici, nei gonfaloni, nelle vesti liturgiche. Chesterton detestava le forme sbiadite impressionistiche, la sciattezza e banalità dei costumi moderni, l'uniformità del pensiero globalizzato. A quella monotona vita grigia della città, emblema dell'industria capitalista, contrapponeva l'amore per le cose piccole e ben fatte, tipiche dell'artigianato locale. Per sconvolgere questa struttura peccaminosa che era la modernità ci voleva l'audacia di un folle e l'umorismo di un Re: questi due personaggi del romanzo potevano mettere in crisi e svelare l'atrocità di un cosmopolitismo spersonalizzante e disumano, l'aggressività di un'apparente democrazia, le speculazioni finanziarie, le ideologie pacifiste che sostenevano questa aberrante visione del mondo. L'umorismo, quello sano e cristiano, costituiva l'ingrediente fondamentale per capovolgere l'iniquità: "L'umorismo, cari amici, è la sola cosa sacra che rimanga all'umanità ed è la sola cosa di cui avere realmente paura". Attraverso il Re umorista, Chesterton poteva prendersi gioco di tutti quei mali che affliggevano la sua epoca e, mediante l'anti-pacifismo di Adam Wayne, cercava di sollevare l'animo di un popolo reso inerme: "Guerra! Guerra per la bellezza, guerra per la società, guerra per la pace". La grandezza della follia stravagante del Sindaco di Notting Hill rivelava l'autentica pazzia dell'umanità, secondo le parole incredibili del Re umorista: "La serietà fa impazzire la gente. Tu sei pazzo perché dai peso alla politica, tu sei pazzo perché ti premono i quattrini, perché credi di essere un uomo rispettabile…credevate di rovinarmi tutto il gioco, di buttare tutto all'aria diventando sempre più moderni, sempre più pratici, razionali, affaccendati. Che spasso è stato rispondervi diventando sempre più augusto, più solenne, più affabile e all'antica!". Un romanzo "sovranista", quello di Chesterton, molto lungimirante che coglieva il malessere della modernità nell'apparente trambusto, il quale celava un'autentica pigrizia e confusione: "Terribilmente fermo: due semplici parole racchiudono lo spirito di questa nostra epoca, quale l'ho percepito sin dalla culla. Spesso mi sono domandato quante fossero le persone che, al pari di me, avvertivano l'oppressione di questo strano connubio fra la quiete e il terrore. Vedo strade insulse e ben tenute e uomini che girano tetri in volto e le cose vanno avanti così, senza che mai succeda nulla…la guerra è meno atroce di questa pace sciagurata. I giovanotti che strinsero queste spade erano forse terribilmente rumorosi, ma non erano come noi: terribilmente fermi".
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