Che cosa direbbe Chesterton della partitocrazia?
A Roma una giornata internazionale sulla filosofia sociale del convertito inglese e le sue profezie per l'oggi
Organizzata dalla Società Chestertoniana Italiana, il G.K. Chesterton Intitute for Faith and Culture della Seton Hall University e l'associazione BombaCarta in collaborazione con la casa editrice Rubbettino, sabato 24 maggio si è svolta a Roma, presso Villa Malta, sede de "La Civiltà Cattolica", l'annuale conferenza romana - ma di respiro decisamente internazionale - in onore di Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) sul tema: "Un'idea cristiana di società: economia e politica secondo Chesterton e i suoi amici". A introdurre la giornata è stato Andrea Monda che ha ricordato come ormai l'appuntamento di Roma sia diventato una tradizione un po' per tutti gli appassionati della grande letteratura inglese cristiana di primo Novecento: questa volta, però, oggetto del confronto non era tanto la parte narrativa quanto piuttosto quella di analisi sociale e politica (meno nota al grande pubblico) che pure unisce in un solo filone i variegati scritti di Belloc, Tolkien e McNabb nell'Inghilterra tardo-vittoriana. A prendere la parola per primo è stato Paolo Pegoraro della Pontificia Università Gregoriana che ha tratto spunto da una citazione de Il profilo della ragionevolezza di Chesterton per spiegare il senso della giornata: "Non abbiamo bisogno di una Chiesa che si muova con il mondo [ma] vogliamo una Chiesa che muova il mondo", intendendo con ciò dire che la ragione della presenza dei cristiani nel mondo, da sempre, è quella di convertirlo e quindi orientarlo a Cristo, non farsi 'convertire' a sua volta dal mondo. Pegoraro ha poi passato in rassegna brevemente i riferimenti principali della visione sociale chestertoniana vera e propria: il diritto alla proprietà privata (nient'affatto scontato in tempi di socialismo e ideologie collettiviste dominanti), la centralità della persona umana e il rilievo socio-politico della sua dignità derivante dall'Incarnazione del Figlio di Dio, naturalmente l'ispirazione continua al portato pubblico e pratico del Cristianesimo (e quindi della Dottrina sociale della Chiesa), ma anche – oggi sarebbe particolarmente attuale – la convinzione profonda che il creato è per l'uomo e non il contrario, da cui la sua lotta senza quartiere alle sciocchezze disumane del vegetarianesimo. La specificità del pensiero di Chesterton è quindi nel credito di fiducia verso la responsabilità dell'uomo in quanto tale che, pur ferito dal peccato originale, resta comunque capace di bene e di virtù, contrariamente a quanto sostenevano le ideologie materialiste dell'epoca.
A seguire è stata la volta di Marco Sermarini, instancabile animatore della Società Chestertoniana Italiana, che muovendo da una riflessione dello studioso inglese Stratford Caldecott (docente a Oxford) sulla natura della proposta distributista ne ha messo in rilievo i tre fondamenti principali: la famiglia, la casa e la terra. Una triade che per Chesterton era indivisibile e che costituiva un pò il fulcro della sua idea cristiana di società. Alla domanda su 'se' e 'quanto' anche oggi sia fattibile una proposta del genere, Sermarini ha risposto prendendo ad esempio dei casi recenti di successo che sono nati proprio facendo riferimento ai princìpi di fondo distributisti, a partire dalla federazione di cooperative basche Mondragón (MCC), nata nell'omonima città della provincia di Guipúzcoa dalla felice esperienza di una scuola tecnica locale e che oggi vanta anche una propria università con quattro facoltà. Fondata nel 1943 da un sacerdote scampato ai massacri anticristiani della Guerra Civile spagnola - don José María Arizmendiarrieta (1915-1976) - per produrre semplicemente dei riscaldatori di paraffina, sopravvive brillantemente e prolifera nonostante la crisi grazie a dei consolidati meccanismi di intercooperazione che coinvolgono gli utili e il personale ed è tuttora la prima impresa dei Paesi baschi con un'offerta di prodotti e servizi che va dalla finanza all'industria alla distribuzione, oltre ad essere il settimo gruppo spagnolo in termini di fatturato con impianti produttivi presenti in quattro continenti: non esattamente un pionieristico esperimento da laboratorio insomma. Altri esempi recenti di vera, quanto riuscita, libertà imprenditoriale sono il Sierra Leone Chesterton Center (SLCC) messo in piedi da John Kanu nel 2006 in un Paese stremato da una guerra civile ultradecennale (1991-2002) costata 50.000 morti e un numero almeno doppio di rifugiati: qui la lezione di Chesterton è arrivata in modo del tutto inatteso dopo il master in scienze sociali applicate conseguito dallo stesso Kanu proprio all'università di Oxford, dove aveva conosciuto Caldecott. Passo dopo passo, grazie all'interessamento anche di amici italiani, alla fine si è riusciti a costruire una realtà che comprende quaranta cooperative di famiglie attivamente impegnate a sostenere, oltre che vivere, della propria economia rurale (il che per quelle popolazioni, legate fortemente alla terra, è decisivo).
A scanso di equivoci, il processo non ha nulla a che fare con l'assistenzialismo che altre realtà impegnate nella cooperazione allo sviluppo in quell'area promuovono. Al contrario: l'obiettivo è proprio arrivare a essere - per quanto possibile - autosufficienti, acquisendo capacità concrete manuali e professionali che possano rendere le popolazioni locali realmente indipendenti economicamente e al tempo stesso più creative, cioè protagoniste del loro stesso sviluppo, rimanendo in loco e senza essere obbligate a migrare. Per riuscirci, anche in questo caso è fondamentale la presenza della scuola (la cosiddetta "Farmer-Field-School"), che aiuta a superare la diffusa mentalità 'immobilista' scettica verso i cambiamenti e insegna agli allievi tanto le tecniche agricole da utilizzare sul campo quanto a organizzarsi territorialmente in cooperative efficienti e funzionali, nonché – prima ancora – della famiglia (quella che Chesterton chiamava "il piccolo regno del senso comune") che ancora oggi in Africa resta la principale fonte dell'autorità, dell'educazione e della moralità. Non a caso famiglia e scuola sono anche i due soggetti attorno a cui ruotano le esperienze di educazione libera 'occidentale' di San Benedetto del Tronto (dove da qualche anno è attiva la scuola libera "Gilbert Keith Chesterton") e di St. Paul, in Minnesota, negli Stati Uniti (dove pure vi è una "Chesterton Academy"). In questo tipo di approccio sono dunque i corpi intermedi – e anzitutto le famiglie – che diventano i soggetti del loro stesso lavoro e dunque dell'organizzazione economica di una comunità in quanto tale, secondo un'ispirazione che vede nel denaro un mezzo per il proprio sostentamento e non un fine (opportunamente Sermarini ha ricordato che pure i monti di pietà storicamente nascono in ambito cattolico, grazie alla provvidenziale ideazione di San Giacomo della Marca (1394-1476), un frate francescano che fece della battaglia all'usura uno dei punti programmatici della sua missione).
Da parte sua Dermott Quinn – docente di storia all'università di Seton Hall – ha ampliato il discorso sulle possibilità reali di attuazione della proposta chestertoniana a partire da un recente intervento del filosofo anglosassone Roger Scruton pubblicato sulla rivista First Things (gennaio 2014). Qui Scruton denunciava la recrudescenza dello statalismo globale mettendo in evidenza quanto accaduto negli ultimi due anni in Francia (dove il governo 'neogiacobino' di Hollande ha riportato notevolmente indietro le lancette della storia), Italia (dove la burocrazia ha soppresso la democrazia, almeno negli ultimi tre governi, nessuno dei quali è stato verificato elettoralmente) e Stati Uniti (vedi la questione dell'"Obamacare"). Come uscirne? Per Quinn – che ha citato vari passo da Lo Stato servile di Belloc – la risposta è anzitutto nel "riappropiarsi della libertà" e dell'iniziativa civile e quindi delle proprie responsabilità di cittadini attivi tenendo conto che la proposta distributista "non era tanto una teoria economica quanto un'antropologia morale", cioè un orientamento di vita, un modo di porsi rispetto alla vita umana in società.
La vera novità della giornata é stata però senz'altro la presentazione della prima edizione italiana di The Party System, il saggio pubblicato da Cecil Chesterton ((1879-1918), il fratello di Gilbert) e proprio Hilaire Belloc alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, nel 1911, ed uscito per i tipi di Rubbettino in questi giorni in una versione a cura di Pietro Federico (cfr. H. BELLOC – C. E. CHESTERTON, Partitocrazia, Rubbettino, Soveria Mannelli 2014, Pp. 178, Euro 12,00). Ne ha trattato l'editor Maurizio Serio che ha messo in luce come le inchieste politiche di Belloc e Cecil Chesterton, di cui il volume offre una significativa panoramica, erano sì appassionate e forti ma mai mosse da quell'istinto demolitorio per la demonizzazione dell'avversario che si riscontra oggi nel nostro dibattito pubblico, parlamentare e civile. E tuttavia il libro è decisamente profetico per i molti problemi che mette lucidamente a tema, tutti a ben vedere attualissimi: dalla denuncia della 'casta' partitica che si autoalimenta disinteressandosi dei problemi della vita reale, a quella relativa alla corruzione e al clientelismo, diffusi già allora nell'Inghilterra di primo Novecento. E che dire delle descrizioni del Parlamento come luogo di ritrovo di consumate oligarchie 'plutocratiche' autoreferenziali? Lassù "tutto era ed è plutocrazia", chioserà a suo modo Gilbert Chesterton. Sbaglierebbe però chi pensasse a un invito qualunquista all'anti-politica: al contrario, la protesta accorata del saggio auspica proprio un ritorno a una reale democrazia rappresentativa dell'alternanza che salvaguardi la capacità d'iniziativa del corpo elettorale e, con ciò, anche la qualità della libertà 'istituzionalmente' riconosciuta in capo ai corpi intermedi e alle loro aggregazioni.
A conclusione della giornata è intervenuto infine padre Ian Boyd, religioso di San Basilio (C.S.B.), pure docente alla Seton Hall University, che ha riassunto il messaggio chestertoniano sulla
società e la politica nel ritorno a Dio delle comunità civili, ovvero nella conversione ("la riforma sociale [sarebbe stata] principalmente un'opera religiosa") e contestualmente nell'importanza di ciò che si potrebbe chiamare 'realismo materialista' (derivato dal primato del mistero cristiano dell'Incarnazione) per cui la dignità della persona e la proprietà privata, essendo legati entrambi alla bontà del progetto divino, rappresentano nient'altro che "il consolidamento sacrale della libertà" e che dunque nessuno potrebbe negarli - radicalmente o in parte - senza con questo negare anche Dio, o qualcosa di Dio. Per una giornata in allegria, insomma, gli spunti per la riflessione - critici e propositivi - ci pare che bastino e avanzino. Per tutti gli altri romani e appassionati di GKC (com'era noto, più semplicemente, Chesterton), invece, l'appuntamento è il 23 ottobre presso l'Aula Magna dell'università La Sapienza per la rappresentazione teatrale di Manalive.
Omar Ebrahime
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