Alla ricerca dell'intenso incipit del capitolo dell'Autobiografia che Chesterton dedica a suo fratello Cecil, mi sono imbattuto, in casa mia, non senza un certo sapore d'avventura come fosse una giungla inesplorata ed io non ne fossi l'abitante più rilevante quanto a peso ed età, in una vecchia edizione italiana dell'opera.
La copertina piuttosto lisa svela l'uso intenso dell'opera e le sue avventure in questa casa, reperita chissà quando. In effetti al momento dell'acquisto, avvenuto tanti e tanti anni fa (era uno di quei resti che ha resistito ed ha attraversato l'oblio di Chesterton ed ha acceso in me ed in altri intrepidi il desiderio di rivedere in giro libri come questo), il libretto era in condizioni decisamente migliori.
L'interno ci svela che la traduzione è di Alberto Castelli, anzi mons. Alberto Castelli. Nell'Agosto 2021 ne stilai un breve profilo:
Non fu semplice perché non sono tante le notizie, in giro, sul nostro Castelli e sul suo tutt'altro che modesto cuore ed intelletto. Sta di fatto che la traduzione è di gran pregio e merita di essere letta. Nell'introduzione del volume si dice tra l'altro (il libro vale anche solo per questa frase tutto il prezzo):
Chesterton è positivo, affermativo di tutto. Vuol essere lo spirito buono, vuol essere buono e affermare buone tutte le cose, come Dio Creatore, nella contemplazione dell'opera della prima settimana. La sua poesia è come il lavoro dei coloratori di vetri nella canzone delle Cinque Corporazioni.
È lui che riporta il famoso episodio del telegramma di Pio XII, e tante altre cose.
Castelli dimostra di conoscere bene l'argomento che sta traducendo, la sua sostanza, che è sempre la persona dell'autore e il suo pensiero, tanto più se si parla della sua autobiografia, tanto più in un autore come Chesterton. Tradurre dunque non è un'operazione meccanica, ma in un certo qual senso significa possedere l'argomento fino a farsi voce dell'autore perché il suo pensiero non venga minimamente alterato nel suo senso. L'effetto è significativo, se il traduttore fa proprio il pensiero dell'autore tradotto scegliendo di dedicare il proprio lavoro ai propri genitori con quella stessa gratitudine che permea dalle pagine dell'opera e si imprime nell'anima del traduttore mutandola; passa dal cuore di Chesterton a quello di Castelli ai nostri, per un mistero che salva, pianta un semino che può diventare un gigantesco albero frondoso, vivo e fresco, pieno di linfa e di frutti.
È uno dei casi in cui è lampante il senso del detto "rem tene, verba sequentur", e va ben oltre.
I frutti. Penso ai frutti ed al continuo seminare di questi anni, delle tante cose nate anche grazie a queste pagine. Quante anime ha toccato Chesterton vivo? Quante ne ha toccate Chesterton morto (ma che morto?!? quale morto?!?)?
Quest'opera come pure il San Francesco d'Assisi e La resurrezione di Roma furono pubblicati da IPL, l'Istituto di Propaganda Libraria che oggi purtroppo non c'è più. C'erano delle case editrici in Italia che incontrando Chesterton e Belloc erano mosse dallo stesso desiderio di cui parla Emilio Cecchi nella sua brillante presentazione degli Ospiti su La Ronda:
È tutt'altro che tempo perso cercare una copia vecchia nella propria libreria, o in qualche bancarella o negozietto.
Marco Sermarini