L'uomo può essere definito un animale che fa dei dogmi.
Gilbert Keith Chesterton, Eretici.
L'uomo può essere definito un animale che fa dei dogmi.
Gilbert Keith Chesterton, Eretici.
Il detto "la regola d'oro è che non esistono regole d'oro" può in realtà essere confutato semplicemente rovesciandolo. Il fatto che non esistano regole d'oro è già di per sé una regola d'oro. È anzi molto peggio di una regola d'oro: è una regola ferrea, un ostacolo al primo movimento dell'uomo.
Gilbert Keith Chesterton, Eretici.
Da fanciullo, Adam Wayne nutriva per le tristi contrade di Notting Hill gli stessi sentimenti che agli antichi ispiravano Atene e Gerusalemme. Conosceva il segreto della passione, quei segreti che fanno sì che vecchi canti nazionali producano un effetto così strano sulle civiltà d'oggi. Sapeva che il vero patriottismo canta i suoi dolori, le sue speranze perdute, molto più che non le vittorie, sapeva che la metà della poesia d'ogni poema nazionale consiste in nomi propri; e, soprattutto, conosceva questo sommo fatto psicologico che domina tutto il patriottismo: egli sapeva che per quel delicato pudore che è proprio di tutti gli innamorati, il patriota, in nessun caso, si gloria della grandezza della patria, ma sempre, necessariamente, si gloria della sua piccolezza. Conosceva tutto ciò, non perché fosse filosofo o uomo di genio, ma perché era un fanciullo.
Sono nato, come gli altri uomini, in un punto di questa terra che ho incominciato ad amare perché, fanciullo, vi ho giocato, perché vi ho amato, perché vi ho trascorso, chiacchierando con i miei amici, notti ch'erano divine. E ho avuto il sentimento del mistero. Quei giardinetti dove abbiamo confessato i nostri amori, quelle strade per cui abbiamo trasportato i nostri morti, perché dovrebbero essere volgari, perché dovrebbero essere paradossali?
Gilbert Keith Chesterton, Il Napoleone di Notting Hill.
Gilbert Keith Chesterton, Il Napoleone di Notting Hill.
Nota bene: le opere di Chesterton aiutano a giudicare la realtà odierna, per la loro capacità di riconoscere la Verità e di renderla presente. Se non svolgono questo compito, rischiano di essere solo un "diletto culturale", mentre non è questo lo scopo della letteratura, tanto meno quella di Chesterton. Aiutano a riconoscere gli "avvoltoi arricchiti" che causano "la perdita dell'anima di ogni uomo" e la rovina di "ogni pollice di terreno", di "ogni pietra delle case di cui riescono ad impadronirsi", e questo impadronirsi non è sempre e propriamente un impadronimento politico, spesso è economico, frutto dello potere sbilanciato e privo di contenimento di chi detiene le leve del potere economico fino alle più piccole innervazioni e conforma le leggi a propria immagine e somiglianza grazie ai propri uomini inseriti nelle istituzioni democratiche. Chesterton rivendica, con le parole di Adam Wayne, il sacro diritto di combattere per Notting Hill, "tempio sacro", di fronte al proprio governo che ha "così spesso fatto la guerra per delle inezie". Questo ci deve far riflettere sui nostri veri diritti nativi, che vengono molto prima dell'appartenere allo Stato (a cui in realtà non "apparteniamo" perché nasciamo liberi e lo Stato nulla ci concede in quest'ordine di cose), e sulla necessità di difenderli, sulla sacralità di essi e sulla primazia rispetto a qualunque altra legge o regola.
Marco Sermarini
In tutta questa faccenda, io sento di aver combattuto non soltanto per la mia città natia, alla quale devo tutto il mio sangue, ma anche per tutti i luoghi del mondo dove grandi idee come queste possono prevalere. Io non lotto soltanto per Notting Hill, ma anche per i suoi nemici, per Bayswater, per North Kensington. Giacché se i cacciatori di milioni saranno vittoriosi, anche queste città perderanno i loro antichi sentimenti e tutto il mistero della loro anima nazionale.
Gilbert Keith Chesterton, Il Napoleone di Notting Hill.
Questo breve saggio, mai pubblicato in alcuna raccolta, è apparso per la prima volta su The Spectator nel numero del 27 febbraio 1932 alle pagine 8 e 9, prima che la casa editrice Hodder and Stoughton commissionasse a Chesterton il noto studio di grande successo su San Tommaso d'Aquino (il libro vide la luce nel 1933); ricordiamo che fu edito in Italia già negli anni Trenta del secolo scorso da diverse case (Agnelli, Marzocco, eccetera).
Apparve nella rubrica intitolata Studies in Sanctity, con cui la rivista settimanale voleva esporre alcune figure di santi che avevano esercitato, in epoche e modi diversi, "un'influenza trasformatrice sulla vita del loro tempo". La settimana successiva fu la volta di Santa Caterina da Siena descritta dalla scrittrice irlandese Alice Curtayne (1898-1981).
Traduzione dall'inglese di Marco Sermarini ©.
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La difficoltà di occuparsi di San Tommaso d'Aquino in questo breve articolo è la difficoltà di selezionare l'aspetto di una mente dalle molte facce che meglio ne evidenzi le dimensioni o la scala. A causa del corpo massiccio che conteneva il suo enorme cervello, fu soprannominato "il bue"; ma ogni tentativo di ridurre un tale cervello a letteratura da tabloid fa passare in secondo piano tutte le possibili battute su un bue in una tazza da tè. Era uno dei due o tre giganti; uno dei due o tre uomini più grandi mai vissuti; e non mi sorprenderei mai se si rivelasse, a prescindere dalla santità, il più grande di tutti. Un altro modo di porre il problema è dire che le proporzioni cambiano a seconda degli altri uomini con cui lo si classifica o con cui lo si mette a confronto in quel momento. Non riusciamo a capire la scala fino a quando non arriviamo ai pochi uomini della storia che possono essere suoi rivali.
Così, per cominciare, possiamo confrontarlo con la vita ordinaria del suo tempo e raccontare le sue avventure tra i suoi contemporanei. Già solo in questo ha gettato una luce nella storia, oltre a quella che ha gettato sulla filosofia. Era nato in un ambiente elevato, imparentato con la casa imperiale, figlio di un grande nobile di Aquino, non lontano da Napoli, e quando espresse il desiderio di farsi monaco, come è tipico dell'epoca, tutto gli fu reso facile - fino a un certo punto. Un grande gentiluomo poteva essere decorosamente ammesso nell'ormai antica consuetudine dei Benedettini; come il figlio minore di un signorotto che diventa parroco. Ma il mondo era appena stato scosso da una rivoluzione religiosa, e strani passi si muovevano su tutte le strade. E quando il giovane Tommaso insistette per diventare domenicano - cioè un frate girovago e mendicante - i suoi fratelli lo inseguirono, lo rapirono e lo rinchiusero in una prigione. Era come se il figlio del signorotto fosse diventato uno zingaro o un comunista. Tuttavia, riuscì a farsi frate e fu l'allievo prediletto del grande Alberto Magno a Colonia. In seguito si recò a Parigi e si distinse nella difesa dei nuovi ordini mendicanti alla Sorbona e altrove. Da qui passò alla grande e fondamentale controversia su Averroè e Aristotele; in effetti, si trattava della grande riconciliazione tra la fede cristiana e la filosofia pagana. La sua vita esteriore era prodigiosamente occupata da queste cose. Era un uomo grande, corpulento e calvo, paziente e di buon carattere, ma soggetto a momenti di crisi di distrazione da tabula rasa. Mentre cenava con il re di Francia San Luigi, cadde in uno stato di astrazione e improvvisamente colpì il tavolo dicendo: "E questo sistemerà i manichei!". Il Re, con la fine ironia dell'innocenza, mandò un segretario a prendere nota dell'argomentazione, per evitare che venisse dimenticata. Allora poteva essere paragonato ad altri santi o teologi, in quanto mistico più che dogmatico. Perché era, da uomo sensibile, un mistico in privato e un filosofo in pubblico. Ebbe "esperienze religiose", certo, ma non chiese agli altri, alla maniera moderna, di ragionare a partire dalla sua esperienza. Chiese loro solo di ragionare a partire dalla propria esperienza. Le sue esperienze includevano casi ben attestati di levitazione in estasi; e la Beata Vergine gli apparve, confortandolo con la gradita notizia che non sarebbe mai stato vescovo. Analogamente, potremmo confrontare lo schema tomista con altri, soffermandoci sui punti in cui Scoto o Bonaventura se ne discostano. Non c'è spazio per queste distinzioni, al di là di quella generale: che San Tommaso tende almeno in senso relativo al razionale; gli altri al mistico; potremmo quasi dire al romantico. In ogni caso, certamente non c'è mai stato un teologo più grande, né probabilmente un santo più grande. Ma dire che era più grande di Domenico o di Francesco non significherebbe (nel senso qui necessario) nemmeno accennare alla sua grandezza.
Per capire la sua importanza, dobbiamo contrapporlo ai due o tre credi cosmici alternativi: è l'intero intelletto cristiano che parla al paganesimo o al pessimismo. Discute attraverso i secoli con Platone o con Buddha; e ha la meglio. La sua mente era così vasta, e il suo equilibrio così bello, che suggerirlo significherebbe discutere un milione di cose. Ma forse la semplificazione più efficace è questa. San Tommaso affronta le altre credenze del bene e del male, senza negare affatto il male, con una teoria che prevede due livelli di bene. L'ordine soprannaturale è il bene supremo, come per qualsiasi mistico orientale; ma l'ordine naturale è buono, solido come per qualsiasi uomo della strada. È questo che "risolve i manichei". La fede è superiore alla ragione; ma la ragione è superiore a qualsiasi altra cosa e ha diritti supremi nel proprio ambito. È qui che anticipa e risponde al grido anti-razionale di Lutero e degli altri; come mi disse un poeta molto pagano: "La Riforma è avvenuta perché la gente non aveva il cervello per capire l'Aquinate". La Chiesa è immortalmente più importante dello Stato; ma lo Stato ha i suoi diritti, nonostante tutto. Questa dualità cristiana era sempre stata implicita, come nella distinzione di Cristo tra Dio e Cesare, o nella distinzione dogmatica tra le nature di Cristo. Ma San Tommaso ha la gloria di aver colto questo doppio filo come indizio di mille cose, creando così l'unico credo in cui i santi possono essere sani. Si presenta soprattutto, forse, al mondo moderno come l'unico credo in cui i poeti possono essere sani di mente. Perché ora non c'è più nessuno che possa risolvere i manichei; e tutta la cultura è infettata da un vago senso impuro che la natura e tutte le cose dietro di noi e sotto di noi sono cattive; che c'è solo una lode per gli alti nell'alto. San Tommaso ha esaltato Dio senza abbassare l'uomo; ha esaltato l'uomo senza abbassare la natura. Perciò ha creato un cosmo di buon senso, una terra viventium, una terra dei vivi. La sua filosofia, come la sua teologia, è quella del senso comune. Non tortura il cervello con tentativi disperati di spiegare l'esistenza, spiegandola. I primi passi della sua mente sono i primi passi di qualsiasi mente onesta; così come le prime virtù del suo credo potrebbero essere quelle di qualsiasi onesto contadino. Perché lui, che combinava tante cose, combinava anche la sottigliezza intellettuale e la semplicità spirituale; e il sacerdote che assistette al letto di morte di questo titano di energia intellettuale, il cui cervello aveva strappato le radici del mondo e trafitto ogni stella e spaccato ogni paglia in tutto l'universo del pensiero e persino dello scetticismo, disse che nell'ascoltare la confessione del moribondo, gli parve improvvisamente di ascoltare la prima confessione di un bambino di cinque anni.
There is a law written in the darkest of the Books of Life, and it is this: If you look at a thing nine hundred and ninety-nine times, you are perfectly safe; if you look at it the thousandth time, you are in frightful danger of seeing it for the first time.
C’è una legge scritta nel più oscuro dei Libri della Vita, ed è questa: se guardi una cosa novecentonovantanove volte, sei perfettamente al sicuro. Se tu la guardi la millesima volta, sei nello spaventoso pericolo di vederla per la prima volta.
Gilbert Keith Chesterton, Il Club dei Mestieri Stravaganti.
Possiamo misurare l’intensità del miracolo dell’esistenza se ci rendiamo conto che, se non fosse per uno straordinario atto di clemenza, noi potremmo anche
non esistere.
Gilbert Keith Chesterton, San Francesco d'Assisi.
È piuttosto evidente che la gonna è un segno della dignità femminile, non della sottomissione femminile; lo si può provare con una semplice verifica. Nessun sovrano indosserebbe in maniera deliberata le catene messe allo schiavo… Ma quando gli uomini vogliono essere sicuri di ottenere un riconoscimento notevole, come i giudici, i preti e i re, essi indossano le gonne, le lunghe e dondolanti vesti della dignità femminile. Il mondo intero è sotto il governo della sottoveste, perché anche gli uomini indossano la sottoveste quando vogliono governare.
Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo.
Il resto qui:
https://www.corrispondenzaromana.it/la-beatificazione-di-giovanni-paolo-i/
Sull'argomento in passato anche recentissimo il blog ha dato molto per valorizzare questo pontefice chestertoniano (si può dire):
https://uomovivo.blogspot.com/2022/08/la-lettera-del-cardinale-albino-luciani.html
https://uomovivo.blogspot.com/2012/11/riesce-illustrissimi.html
https://uomovivo.blogspot.com/2008/04/i-papi-e-chesterton.html
https://uomovivo.blogspot.com/2012/11/scusate-guardate-la-quarta-di-copertina.html
ed altro ancora...
Il centenario della conversione di Chesterton e il suo effetto a catena.
Poiché GKC è diventato cattolico, lo sono diventato anch'io. E così è successo a un gran numero di altre persone
Quando G.K. Chesterton fu accolto nella Chiesa cattolica cento anni fa, domenica 30 luglio 1922, fu una grande notizia. Ma non lo fu. Non si poteva definire una "notizia" perché nessuno ne era a conoscenza. I due sacerdoti che lo accolsero nella Chiesa - P. John O'Connor, suo amico di lunga data che fu anche l'ispirazione per Padre Brown, l'immortale detective di Chesterton, e Dom Ignatius Rice, un monaco benedettino dell'Abbazia di Douai - giurarono di non dire nulla della cerimonia. Non per motivi religiosi. Volevano solo vedere quanto tempo ci avrebbe messo la stampa a scoprirlo.
Ci sono volute tre settimane.
Ed è stata una grande notizia quando finalmente è stata comunicata. Ma non lo era. Almeno per una parte del pubblico di lettori. Molti pensavano che Chesterton fosse già cattolico. Dopotutto, aveva difeso la Chiesa cattolica per anni, prendendo la posizione cattolica in ogni occasione, su ogni argomento e in ogni controversia. E aveva già scritto due dozzine di storie popolari con protagonista il già citato Padre Brown.
(nostra traduzione dall'inglese).
Il resto qui sotto:
La storia del vitello d'oro, che gli israeliti gettarono riconoscendolo come il loro liberatore dalla schiavitù egiziana quando non poterono aspettare Mosè, che salì "su un alto monte" e non fece ritorno, appare come un racconto colorito, ma lontano e in qualche modo estraneo ai nostri tempi. È davvero così? Gilbert Keith Chesterton, scrittore britannico morto nel 1936, si considerava agnostico in gioventù. Proveniva da una famiglia anglicana e in seguito si convertì al cattolicesimo. Probabilmente basandosi sull'esperienza, ha scritto: "Quando un uomo smette di credere in Dio, può credere in qualsiasi cosa. Ecco, gli Israeliti uscirono dall'Egitto. Videro i grandi segni che il Signore Dio aveva compiuto per loro. La notte dell'esodo dall'Egitto, il salvataggio dal Faraone, sommerso con il suo esercito dalle acque del mare, il cibo quotidiano gratuito - quaglie e manna, l'acqua dalla roccia per dissetarsi e la vittoria sugli Amaleciti...
(nostra traduzione dal polacco).
Il resto qui sotto:
I know that weeds shall grow in it
Faster than men can burn;
And though they scatter now and go,
In some far century, sad and slow,
I have a vision, and I know
The heathen shall return.
"They shall not come with warships,
They shall not waste with brands,
But books be all their eating,
And ink be on their hands.
"Not with the humour of hunters
Or savage skill in war,
But ordering all things with dead words,
Strings shall they make of beasts and birds,
And wheels of wind and star.
"They shall come mild as monkish clerks,
With many a scroll and pen;
And backward shall ye turn and gaze,
Desiring one of Alfred's days,
When pagans still were men.
Gilbert Keith Chesterton, The Ballad of the White Horse.
Pump Street vuole aiutare tutti gli appassionati di Chesterton a leggerlo e ad approfondirlo, per cui d'ora in poi farà una promo settimanale che pubblicheremo nelle nostre pagine.
Per la settimana che va dal 12 al 18 Settembre ecco la promozione!
Per informazioni contattare la mail e il telefono qui sopra!
È un'ottima occasione da non farsi scappare, anche come regali per compleanni incipienti e difficili da gestire!
Potete diffonderla!!!
E ricordatevi che ordinare da Pump Street non è come ordinare altrove: Pump Street non fa chiudere librerie, dà lavoro ad un gruppo di intrepidi eroi chiamati Valerio, Cristiano, Loris, Simone, Fausto, e dà speranza anche a tante altre persone! Pump Street è nata per dare voce alle parole di Pier Giorgio Frassati e Gilbert Keith Chesterton e ha preso quel nome proprio da quella viuzza che ancora resiste nei nostri cuori!
Pump Street è il distributismo e noi la sosterremo sempre!!!
Our monks go robed in rain and snow,
But the heart of flame therein,
But you go clothed in feasts and flames,
When all is ice within.
Gilbert Keith Chesterton, The Ballad of the White Horse.
Alcuni di voi hanno chiesto qualche notizia in più circa l'immagine che campeggia in cima al gruppo Facebook della Società. La trovai da qualche parte, mi colpì la frase e l'immagine cantava. Eccovi accontentati. L'autore è un famoso pittore americano, Norman Rockwell, così popolare che questa ed altre opere sono entrate stabilmente nell'immaginario americano.
Norman Percevel Rockwell (3 febbraio 1894 - 8 novembre 1978) è un pittore e illustratore americano. Le sue opere sono molto popolari negli Stati Uniti perché riflettono aspetti peculiari della cultura statinitense. Rockwell è famoso soprattutto per le illustrazioni di copertina della vita quotidiana che ha creato per la rivista The Saturday Evening Post nell'arco di quasi cinque decenni. È noto anche per il suo rapporto con i Boy Scouts of America (BSA), durante i quali ha prodotto copertine per la loro pubblicazione Boys' Life, calendari e altre illustrazioni.
Rockwell è stato un artista prolifico, avendo creato oltre quattromila opere originali nel corso della sua vita. Ha anche illustrato più di quaranta libri come Tom Sawyer e Huckleberry Finn, e ha dipinto i ritratti dei presidenti Eisenhower, Kennedy, Johnson e Nixon, oltre a quelli di Gamal Abdel Nasser e Jawaharlal Nehru. Ha creato opere per la pubblicità della Coca-Cola, della General Motors e altre aziende.
Alcuni lo accusarono di ritrarre in modo idealistico o sentimentale la vita americana, tanto da generare l'aggettivo spesso denigratorio "Rockwellesque". Personalmente trovo questa critica ingenerosa: se non "idealizziamo gli ideali", cosa rimarrà di essi? Confesso che a me quell'immagine della famiglia piace moltissimo e ritengo sia estremamente espressiva. Ciò che lamento è che le famiglie non siano abbastanza così, non che l'immagine proietti una famiglia eccessivamente idealizzata. Certo, bisogna tenere conto della realtà anche quando non è così bella, ma perché non indicare belle cose, mostrarle affinché esse ci muovano il cuore? Non è (anche) questo lo scopo dell'opera d'arte, anche quando assume connotati così semplici e popolari, tanto da riuscire così bene a parlare al cuore di tutti? È o non è un bene indicare il bene, oppure dobbiamo piangere e crogiolarci nel male? La risposta è ovvia.
L'immagine è lì da un po' e almeno per un po' ci rimarrà ancora, cari amici, perché mi piace.
Alcuni critici lo definiscono un "illustratore" anziché un artista, un'appellativo che a lui non dispiaceva, dato che era così che egli stesso si definiva. È lo stesso motivo per cui a me piace molto la parola dilettante e mette un po' d'ansia e di tristezza la parola professionista.
Per i "ritratti vividi e affettuosi del nostro Paese" Rockwell fu insignito della Presidential Medal of Freedom, la più alta onorificenza civile degli Stati Uniti d'America, nel 1977 dal presidente Gerald Ford. Il figlio di Rockwell, Jarvis, ritirò il premio (il padre era malato da tempo).
Paradossalmente ebbe una vita familiare piuttosto movimentata e tribolata (divorziò dalla prima moglie, la seconda - che gli diede tre figli - ebbe problemi psichici, come peraltro anche lui che soffrì di depressione, e morì di attacco cardiaco; si sposò una terza volta...).
Rockwell morì l'8 novembre 1978 a causa di un enfisema nella sua casa di Stockbridge, nel Massachusetts. Al suo funerale partecipò la First Lady Rosalynn Carter.
Che debbo dirvi? A me quell'immagine piace molto e sinceramente un po' mi commuove: tutta quella buona gente, con quelle faccine oneste e allegre e piene di lieta sorpresa, che accoglie calorosamente il pover'uomo che tornava a casa evidentemente da un lungo viaggio, mi fa desiderare questa ed altre mille scene così, nelle nostre case, ovunque nel mondo si trovi una famiglia. E poi tutti quegli "strati": anziani, persone mature, giovani, bambini, lattanti, tutti insieme come un clan, come una tribù: cosa c'è di male? C'è tutto di bene.
Chesterton aveva negli occhi scene così quando parlava di piccoli regni del senso comune, quando parlava dello stato distributista, quando pensava "avanti", talmente avanti che molti si sono fermati a Padre Brown o ai grandi saggi, ma hanno preferito pensare che questa cosa chiamata famiglia non avesse diritto di cittadinanza, o che di fronte al "progresso" nulla tenesse. Grazie a Dio molti di noi hanno preso sul serio le idee, i vaticini, le profezie di Chesterton e ci stanno lavorando ora, e qualche scena come questa io in giro la vedo. Anche scene di gente che piange, che prega, che lavora, che si aiuta e che si vuole bene, esattamente così come la vedete qui sopra.
Questa illustrazione (bello! "Illustra" cioè "dà lustro"! Ma che ne capite del popolo, voi intellettuali!) fa il paio perfettamente con la frase ("senza la famiglia, siamo indifesi di fronte allo Stato": ma quanto è vero!?! Questi anni ci vedono o meglio ci vedrebbero esattamente così, ma tanti chestertoniani reagiscono, combattono, si aiutano, ve lo garantisco!), e dà tanta speranza.
Marco Sermarini
Norman Rockwell negli anni Venti |
Esto no es un artículo (ni este comienzo es un homenaje a Magritte), solo media docena de reflexiones sueltas —a partir de otros tantos binomios— de las que mis pacientes lectoras/es tal vez puedan y quieran sacar alguna conclusión. No es desidia lo que me ha llevado a eludir la tarea de juntar las piezas en un todo más coherente, sino inseguridad. Chesterton y Shaw son dos autores que me acompañan desde mi infancia y que he leído —y releído— sin cesar, y por eso mismo, paradójicamente, me cuesta ser concreto y más aún ser objetivo. He acumulado tanta información sobre sus vidas y sus obras, las he visitado —y gozosamente me he perdido en ellas— tan a menudo, que no me resulta fácil delimitar los terrenos ni tomar la debida distancia.
Il resto qui sotto:
https://www.jotdown.es/2022/08/chesterton-shaw-el-gordo-y-el-flaco/
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È la traduzione di un testo pubblicato sull’Illustrated London News il 14 aprile 1934, tradotto per la prima volta in italiano da Andrea Colombo per il mensile Luoghi dell’Infinito e riproposto da La Nuova Bussola Quotidiana alcune settimane fa.
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Venerare gli idoli è contro tutto ciò in cui credo, ma penso che una cultura sbagli se non riesce a volte a giocare con loro, quasi fossero delle bambole. E nel campo della cultura, a prescindere dalle convinzioni alla moda, dovremo ben presto affrontare un nuovo caso di idolatria. Mi riferisco a quella malvagia degli intellettuali.
Il resto qui sotto
Gilbert Keith Chesterton, L'Uomo che fu Giovedì.
Non sarà necessario che qualcuno combatta la proposta di una censura della stampa. Non c'è bisogno di una censura della stampa. Abbiamo una censura ad opera della stampa.
Gilbert Keith Chesterton, Ortodossia.
Il mondo non è una casa d'affitto a Brighton che si debba lasciare perché è miserabile: è il castello di famiglia, con la bandiera sventolante sul torrione, e più è miserabile meno dobbiamo abbandonarlo. La questione non è di sapere se il mondo è troppo triste per essere amato o troppo lieto per non essere; la questione è che quando si ama una cosa, la sua letizia è una ragione per amarla di più.
Gilbert Keith Chesterton, Ortodossia.
Allora, mi sono imbattuto in una delle mie solite ricerche in questo sito:
https://www.sitocomunista.it/rossoegiallo/personaggi/padrebrown.html
Non sono abituato a fermarmi di fronte a professioni di fede così esplicite ("sito comunista"), anzi trovo interessante che Chesterton si trovi anche qui. Non è la prima volta (ho trovato articoli interessanti in posti dove la maggior parte dei lettori non si soffermerebbe, e mi pare di averne dato più di una volta contezza). Se a qualcuno questo crea dei problemi... a me no. Sono abituato a discutere e a cercare di capire perché conosco bene ciò che amo, conosco bene le mia identità.
Sono certo che diversi lettori non concorderanno con la mia scelta di dargli rilevanza, anche perché questa pagina contiene giudizi a volte trancianti, non condivisibili, errati [a titolo di esempio: "Gilbert Keith Chesterton (1874 - 1936), scrittore inglese che dalla Chiesa anglicana passò a quella cattolica ("per amore della salute, dell'allegria e dell'immaginazione" disse, evidentemente equivocando assai)"... "l'ingenuità (reale) dei libri sta appunto nel riproporre un modello tradizionale che solo qualche anno dopo Hammett e Chandler si incaricheranno di fare giustamente a pezzi", giusto per fare due modestissimi esempi, ma solo due), però onestamente mi sembra un'espressione viva di affetto verso il Nostro Eroe.
Questo signore, che non ho compreso chi sia, critica, trancia, dice la sua, ma nel frattempo cosparge la pagina di complimenti, fotografie, copertine, cercando quasi di essere esaustivo ed in maniera simpaticamente ossessiva. È anche simpatico nella sua "ortodossia": si imbatte nella famosa lettera di Gramsci a Tania e deve dire la sua, non essendo d'accordo con l'autore: "e una volta tanto non siamo assolutamente d'accordo"... Non c'è alcuna ironia nella mia considerazione. Poi uno che oggi, in tempi di fluidità assoluta, piazza falce e martello piccoline in alto a sinistra ha qualcosa che può scuotere.
Per cui se avete piacere leggete. Chesterton rimane sempre il più indicato a fare incursione in quelle terre inesplorate che sono le nostre teste quando vengono su secondo idee molto molto diverse dalle sue. Sarà che anche lui di terre inesplorate ne aveva attraversate tantissime.
Marco Sermarini
P.S.: non sono riuscito a capire chi sia l'autore di questa pagina però lo saluto con affetto pronto a discutere su tutto piacevolmente, di persona, davanti a una bella boccia di birra.
Sono nato, come gli altri uomini, in un punto di questa terra che ho incominciato ad amare perché, fanciullo, vi ho giocato, perché vi ho amato, perché vi ho trascorso, chiacchierando con i miei amici, notti ch'erano divine. E ho avuto il sentimento del mistero. Quei giardinetti dove abbiamo confessato i nostri amori, quelle strade per cui abbiamo trasportato i nostri morti, perché dovrebbero essere volgari, perché dovrebbero essere paradossali?
Gilbert Keith Chesterton, Il Napoleone di Notting Hill.
It would be impossible to tell the story of his childhood one half so well as he has told it himself. It is the best part of his Autobiography. Indeed, it is one of the best childhoods in literature. For Gilbert Chesterton most perfectly remembered the exact truth, not only about what happened to a child, but about how a child thought and felt. What is more, he sees childhood not as an isolated fragment or an excursion into fairyland, but as his "real life; the real beginnings of what should have been a more real life; a lost experience in the land of the living".
Maisie Ward, Gilbert Keith Chesterton.
Nostra traduzione:
Sarebbe impossibile raccontare la storia della sua infanzia così bene come l'ha raccontata lui stesso. È la parte migliore della sua Autobiografia. Anzi, è una delle migliori infanzie della letteratura. Perché Gilbert Chesterton ricordava perfettamente la verità esatta, non solo su ciò che accadeva a un bambino, ma anche su come un bambino pensava e si sentiva. Per di più, egli vede l'infanzia non come un frammento isolato o un'escursione nel paese delle fate, ma come la sua "vera vita; i veri inizi della vita; il vero inizio di quella che avrebbe dovuto essere una vita più reale; un'esperienza perduta nella terra dei vivi".
Gilbert Keith Chesterton, Eretici.