Riceviamo dall'amico Giuseppe Biffi e pubblichiamo molto volentieri.
Affronta dei temi cari a noi chestertoniani, sui quali non è mai abbastanza il parlare e il "digerire".
Grazie a Biffi e come al solito ricordiamo che chi vuole può contribuire liberamente a questo blog con i commenti.
"Finis vitae. La morte cerebrale è ancora vita?" ("Finis vitae. Is Brain Death still Life?") edito da Rubbettino, la cui traduzione italiana è stata presentata il 27 febbraio scorso al Consiglio Nazionale per le Ricerche (CNR), senz'altro pone quesiti seri e, per questo motivo, inquietanti.
Il dibattito sul concetto di «morte cerebrale» mostra la sua continua attualità. Ne è stata una evidente conferma anche il Simposio "The Signs of Death" (I segni della morte) del 2006, promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze (Vaticano, 11-12 settembre 2006), al quale parteciparono neuroscienziati, filosofi ed esperti di etica di tutto il mondo (gli Atti del Simposio sono stati pubblicati in: The Pontifical Academy of Sciences, The Signs of Death. Working Group, 11-12 September 2006, Vatican City, 2007, pp. XCIV-466, ISBN 88-7761-090-4).
Fino agli anni '60, si riteneva che l'accertamento della morte dovesse avvenire mediante il riscontro della definitiva cessazione delle funzioni vitali: respirazione, circolazione, attività del sistema nervoso, ma nell'agosto del 1968 un comitato "ad hoc" istituito dalla Harvard Medical School, propose una ridefinizione del tradizionale concetto di morte fondato sulla cessazione delle attività cardio-polmonari. Secondo i nuovi criteri, che giustificavano ogni tipo di trapianti, per l'accertamento della morte sarebbe sufficiente un riscontro strettamente neurologico: la definitiva cessazione delle funzioni del cervello, definita coma "irreversibile".
Questi criteri neurologici, fatti propri da molti legislatori occidentali, sembrano aver oggi perduto la giustificazione scientifica sulla quale era stato inizialmente fondato il loro impiego. Nel corso degli anni dalla loro prima applicazione, hanno fatto la loro comparsa numerose evidenze cliniche, che sono risultate inesplicabili alla luce dei dati scientifici, hanno sollevato interrogativi - innanzitutto di natura medico-biologica, ma anche etico-filosofica, teologica, giuridica - ed hanno contribuito a riaprire un dibattito apparentemente concluso da tempo.
Mentre la discussione sull'intera materia è vivace in Germania, Giappone, Gran Bretagna e Stati Uniti d'America, in Italia la questione è ancora poco approfondita. La raccolta di studi Finis Vitae. Is Brain Death Still Life? (Roma, 2006) presentati ora in traduzione italiana, intende fornire una accurata ricostruzione di tale dibattito e suggerire una attenta revisione del concetto di morte cerebrale.
Questioni serissime, dunque. Non si scherza.
La rivista Radici cristiane nel suo ultimo numero ha pubblicato un'intervista al professor Paul A. Byrne, professore di Pediatria presso la Facoltà di Medicina dell'Università dell'Ohio e direttore del reparto di Neonatologia e Pediatria al S. Charles Mercy Hospital dell'Ohio.
Credo valga la pena di leggersela. Qui sotto trovate il link al sito degli Zuavi Pontifici che la riporta.
L'inganno della morte cerebrale