Questa commozione per Gesù – che nei salotti che oggi frequenti è disprezzato come nei salotti di duemila anni fa – ha cambiato il mondo e salva l’umanità.
lunedì 29 novembre 2010
Anzi, l'articolo di Antonio Socci che scrive a Roberto Saviano lo mettiamo tutto intero. Merita.
Questa commozione per Gesù – che nei salotti che oggi frequenti è disprezzato come nei salotti di duemila anni fa – ha cambiato il mondo e salva l’umanità.
Bravo Antonio Socci
Dal prof. Carlo Bellieni - L'era del rifiuto
di Carlo Bellieni
È notizia di questi giorni che dal prossimo gennaio 2011 i cibi rimasti integri e inutilizzati nelle mense delle scuole torinesi non rischieranno più di finire nei cassonetti dei rifiuti, ma verranno destinati a chi ha bisogno di un pasto caldo. È quanto previsto dal progetto sperimentale di recupero pasti denominato "La pietanza non avanza - Gusta il giusto, dona il resto", promosso e finanziato dall'assessorato all'Ambiente della Regione Piemonte, in collaborazione con la direzione regionale Sanità, il Comune di Torino, l'Associazione Banco Alimentare del Piemonte e la ditta Compass Group.
Quest'iniziativa accende una lampadina non solo sullo spreco in sé, ma su ben altro. Infatti viviamo in una civiltà dove le eccedenze sono innumerevoli e vanno perse in maniera moralmente colpevole. Anche recentemente allarmi sono stati lanciati verso la perdita di circa un 30% dei cibi che passano per le mense, supermercati o ristoranti, ma anche nelle nostre case. Ma buttar via cibo o oggetti di vario tipo non ci impressiona più, tranne se pensiamo che così "le risorse finiranno", oppure che "non siamo all'avanguardia nel riciclo".
Ma questa è una critica infantile: pensare a un'improbabile fine delle risorse è indice di paura e tutto il riciclo del mondo non arresterebbe lo sfascio. Un passo oltre lo fa l'iniziativa torinese, perché mette al centro del recupero le persone bisognose, e questo è importante perché ci apre a un altro punto eticamente grave: è l'idea che ormai siamo convinti che esistano delle cose "in sé" inutili.
L'inutilità delle cose è un'idea postmoderna, che non sa riconoscere l'utilità intrinseca di tutto e dunque la riparabilità, la riutilizzabilità, la scambiabilità e addirittura la preziosità di tutto, e si limita ad accettare quello che è "perfetto". I nostri vecchi accomodavano anche i piatti rotti con colla e sottili fil di ferro; oggi la maggior parte delle cose che abbiamo in casa sappiamo bene che "non vale la pena" di accomodarle, perché è più economico comprarne di nuovi; e di conseguenza non si trova più chi accomoda scarpe, ombrelli, ma anche radio o computer appena un po' datati.
Da dove nasce questa fobia, che è alla base dello spreco e che va a braccetto con la "religione del riciclaggio", che colpevolizza il vecchietto che non butta la cartaccia nel sacco giusto ma non dice nulla degli imballaggi oscenamente ingombranti, dei gadget dei giornali fatti per essere buttati e mai letti? Sono oltre 134.000 le vecchie tv e i vecchi monitor raccolti e avviati al riciclo in Emilia Romagna finora nel 2010 (dati consorzio ReMedia), e sono tv funzionanti, ma che improvvisamente non servono più: si poteva comprare un decoder esterno; invece la gente se ne disfa e basta: perché?
Per l'incapacità di accettare una sfida: quella che "tutto è bene", concetto donato al mondo dal cristianesimo e che ha portato il progresso di cui godiamo, perché ha insegnato che tutto si poteva conoscere senza paura, che tutto si poteva utilizzare. Invece oggi la cultura postmoderna dice che "è bene solo quello che mi serve", e butta via tutto il resto, disfacendosi invece di cose preziose.
E, attenzione, questo vale non solo per le bucce delle pere che nessuno mangia più (e che farebbero invece tanto bene), ma vale anche per i rapporti umani, dove il marito che non va più bene per un motivo o un altro va cambiato, il nonno che disturba va invitato a capire che in fondo "non è giusto sentirsi un peso per gli altri" e avviarsi in silenzio a chiedere di morire, il bambino che non passa l'esame dell'analisi genetica prenatale non va fatto nascere.
Siamo nella prima società che genera rifiuti, cosa mai successa prima nella storia del mondo. E "rifiuto" non significa "spreco", che sarebbe un valore alterato ma in un certo senso positivo se fosse una corsa all'utilizzo infrenabile e creativo; ma significa"fobia", paura, diffidenza, che ci fa perdere il gusto (e i mille gusti) della vita. L'unica soluzione - e l'ottima iniziativa torinese è un segnale d'allarme per correre ai ripari più generali - è il rispetto, cioè la capacità e la grazia di guardare le cose intravedendo con la coda dell'occhio il Disegno mai insensato, di cui esse fanno parte, riscoprendo la preziosità di tutto.
domenica 28 novembre 2010
Non tutte le recensioni aiutano...
A partire dal giudizio su La Ballata del Cavallo Bianco, una delle opere più belle di Chesterton, che l'estensore dell'articolo forse non conosce.
Autobiografia recensita da Il Messaggero
E' su Il Messaggero ed è a firma di Roberto Bertinetti.
sabato 27 novembre 2010
Quella guerra dimenticata alle frontiere della cristianità.
I possenti carri armati di fabbricazione russa avanzano in colonna verso gli obiettivi sollevando una nuvola di polvere e fumo. Le cannonate riempiono come tuoni la vallata colpendo i bersagli. Dietro i carri avanzano le truppe infagottate nelle mimetiche. Soldati ragazzini, ma decisi a difendere un fazzoletto di terra che chiamano patria.
Gli elicotteri d'attacco sorvolano a bassa quota le colonne e lanciano razzi per aprire un varco all'avanzata. Per fortuna è solo un'esercitazione che serve a mostrare i muscoli. Il nemico, neppure tanto immaginario, è l'esercito azero, che nella simulazione avrebbe scatenato un'offensiva contro il Nagorno Karabakh. Una minuscola repubblica cristiana, povera e indipendente sul territorio dell'Azerbaijan musulmano e ricco di petrolio. Un puntino sulla carta geografica che nessun Paese al mondo riconosce, neppure la vicina Armenia protettrice dell'enclave.
«Questa è l'ultima frontiera della cristianità, ma siamo delusi dall'Europa, che sembra non capirlo. Eppure noi ci ispiriamo ai vostri valori», sottolinea Mikael Hajiyan, portavoce del Parlamento di Stepanakert, la «capitale» del Nagorno Karabakh. In mezzo alle montagne del Caucaso meridionale, lungo 200 chilometri di trincee e fortificazioni, si fronteggiano da 16 anni armeni e azeri. Al crollo dell'Unione sovietica, fra il 1992 e il '94, si massacrarono lasciando sul terreno 30mila morti e un fiume di profughi. Settecentomila azeri sono fuggiti dal Nagorno Karabakh e 250mila armeni dall'Azerbaijan. Alla fine gli armeni hanno vinto, ma il conflitto è rimasto congelato. In quest'angolo di Caucaso cova una delle guerre più dimenticate del pianeta, che negli ultimi mesi ha registrato nuove e pericolose fiammate. Cecchini che sparano quasi ogni giorno e commando «suicidi» azeri che raggiungono le trincee avversarie per far fuori più soldati armeni possibile, prima di farsi ammazzare. Da giugno le vittime ufficiali sono una ventina, ma c'è chi pensa siano in realtà il doppio. Oltre 700 le violazioni della tregua sulla linea di contatto fra i due eserciti denunciate alle Nazioni Unite.
I turni al fronte durano una settimana e la leva tocca a tutti dai 18 anni. Prima di andare in trincea i reparti armeni (in tutto 20mila uomini) si inginocchiano e recitano il Padre nostro.
Artem Grigoryan si è arruolato volontario: «Quando hanno colpito Mher l'ho sentito gridare come un ossesso. Eravamo tutti in posizione e lo scontro a fuoco con gli azeri è durato mezz'ora. Per fortuna è rimasto soltanto ferito». Le trincee si snodano come sul Carso ai tempi della Prima guerra mondiale. Si dorme nei bunker sotterranei. Gli azeri in alcuni punti sono vicinissimi a poco più di cento metri. Spesso innalzano manichini o insultano i santi e gli eroi della storia armena per provocare la sparatoria. Basta alzare di poco la testa o tenere per qualche secondo di troppo aperta la feritoia della postazione e ti beccano. «Sappiamo bene che la guerra non è mai finita. Il Karabakh assomiglia a un vulcano, pronto a eruttare in qualsiasi momento», osserva Armen, che ha appena finito il servizio militare. Nei bunker sotterranei della linea di contatto gli armeni giocano a scacchi o leggono libri. Andrey Grigoryan, capelli a spazzola e faccia da bravo ragazzo, ama roba pesante come Schopenhauer e Nietzsche. Altri si accontentano dei fumetti o della musica via radio. Le cuffiette sono severamente proibite, perché non ti fanno sentire lo sparo dei cecchini.
«L'Azerbaijan si prepara ad attaccarci, ma se scoppierà la guerra coinvolgerà tutto il Caucaso e gli interessi petroliferi stranieri potrebbero diventare obiettivi», fa notare Ashot Ghoulian, presidente del Parlamento del Nagorno Karabakh. L'Azerbaijan è un eldorado energetico per grandi compagnie come la britannica Bp e pure l'Eni è presente. I turchi, che si sono macchiati del genocidio armeno, considerano gli azeri fratelli. Cinquemila soldati russi piantonano, da parte armena, la frontiera sbarrata con la Turchia.
La guerra più che di religione è nazionalistica, ma in Nagorno Karabakh non mancano i preti combattenti. «Il rischio che ricominci è reale e io sono pronto a tornare a combattere con la croce e il fucile», ammette tranquillamente padre Grigor, 54 anni, nel monastero di Ganzasar. Abito talare nero e capelli color argento faceva il musicista, ma poi ha trovato la vocazione in prima linea nel 1992, quando benediceva i soldati armeni.
Alle pendici della «montagna del tesoro», dove sorge il monastero, c'è il villaggio di Vanq. In ottobre Albano è venuto da queste parti a inaugurare un asilo e a cantare. Soltanto per questo gli azeri minacciano di sbatterlo nella lista nera delle persone non grate. Per l'Azerbaijan il Nagorno Karabakh, due volte più piccolo del Kosovo, con meno di 150mila abitanti, è «territorio occupato».
Harut Grigoryan è una delle ultime vittime della guerra dimenticata. Gli mancavano un paio di settimane per finire il servizio di leva, ma il 26 ottobre un cecchino l'ha ucciso sulle trincee di Martakert. «Ho tirato su mio figlio sotto le bombe, quando aveva due anni - racconta la madre - E l'ho perso a venti». Il padre, Ashot, è un veterano, ferito due volte. Una lacrima gli riga la guancia: «Ha fatto il suo dovere. Si è sacrificato per la patria, ma non voglio vendetta. So cos'è la guerra e per questo vi dico che noi e gli azeri abbiamo bisogno di vivere in pace».
Un aforisma al giorno
"L'adorazione della volontà è la negazione della volontà. Ammirare la semplice scelta significa rifiutare di scegliere".
Gilbert Keith Chesterton, Ortodossia
Il Papa ci ricorda che l'embrione è un uomo.
In questo collegamento trovate un articolo de Il Giornale sulla veglia del Papa per la vita nascente.
L'embrione è un uomo. Lo dice la ragione.
venerdì 26 novembre 2010
Un aforisma al giorno
Un aforisma al giorno
giovedì 25 novembre 2010
Il contagio si espande - L'Istituto del Verbo Incarnato parla di Chesterton e ingaggia il nostro Fabio Trevisan!
Un aforisma al giorno
Matrimonio con pistola - Terza puntata Chestertoniana de Il Foglio
Buona lettura a tutti!
http://www.tracce.it/detail.asp?c=1&p=1&id=18864
Un grazie speciale a Maria Grazia Gotti e a tutti quelli che ce l'hanno segnalato (è sempre un piacere vedere come i nostri soci ed amici sono attentissimi a tutto quello che riguarda Chesterton e non se lo tengono per sé, il che è un atteggiamento molto, molto chestertoniano).
I martiri del massacro di Baghdad segno di unità per tutti i cristiani dell’Iraq
di Simone Cantarini
Con una speciale messa i sopravvissuti ricoverati al Policlinico Gemelli ricordano oggi in Vaticano le 57 vittime dell’attacco alla chiesa di Nostra Signora del Perpetuo soccorso di Baghdad. AsiaNews ha raccolto la testimonianza di p. Aysar Saaed giovane sacerdote iracheno che domani lascerà l’Italia per stare vicino ai familiari delle vittime rimaste in Iraq.
Roma (AsiaNews) – Una speciale messa in ricordo delle vittime dell’attacco del 31 ottobre alla chiesa di Nostra Signora del perpetuo soccorso di Baghdad verrà celebrata oggi pomeriggio in Vaticano dal card Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. Alla celebrazione saranno presenti i sopravvissuti rimasti feriti, ricoverati dal 12 novembre al policlinico Gemelli di Roma. A quasi un mese dal tremendo assalto degli estremisti islamici, costato la vita a 57 persone, AsiaNews ha raccolto la testimonianza di p. Aysar Saaed, giovane sacerdote iracheno. In Italia dal 2005 per studi, p. Saaed si è occupato in questi giorni dell’assistenza ai 26 sopravvissuti alla strage e domani anticiperà il suo ritorno in patria per stare vicino alle famiglie delle vittime rimaste in Iraq.
“Ad essere stata attaccata è stata la mia parrocchia – afferma il sacerdote - io ho fatto lì il servizio sacerdotale per cinque anni, prima di venire qui in Italia per studiare. Sarei dovuto tornare l’anno prossimo, durante l’estate, perché dovevo concludere la tesi. Lascio tutto, ma non è importante. Noi ci sentiamo responsabili e vogliamo stare con i nostri fedeli con la nostra gente, con la nostra Chiesa, dare un segno di speranza, di solidarietà, di consolazione al nostro popolo. È una decisione personale”.
P. Saaed dice che per il momento i feriti resteranno invece ancora in Italia. Molti di loro non vogliono tornare a Baghad, hanno paura e sono ancora sotto shock. “Il mondo – afferma - non ha visto nulla del massacro, anche se abbiamo provato a mostrare foto della chiesa e delle vittime, ma non si può immaginare, c’era sangue ovunque, sul pavimento, sulle pareti, sui lampadari, sugli arredi sacri. Tutto era impregnato di sangue”. “La cosa più importante – sottolinea padre Saaed - è fare curare i feriti anche a livello psicologico, perché hanno vissuto un momento terribile. Hanno passato 4 -5 ore di inferno. Molti di loro non credevano di uscire vivi, pensavano di morire lì come gli altri. Hanno visto i propri familiari cadere davanti a loro”.
Nonostante il dramma e la crudeltà di questo attacco, p. Saaed sottolinea che la chiesa di Nostra Signora del Perpetuo soccorso ha offerto un simbolo di unità per i cristiani iracheni. “La nostra chiesa colpita dall’attentato ha offerto un simbolo molto bello: la chiesa è del rito sirocattolico, però i martiri non erano solo i nostri, c’erano caldei, sirocattolici, siroortodossi. I martiri erano divisi di tanti riti, ma questa chiesa [di Baghdad] era un simbolo di una Chiesa unita”.
“Noi in Iraq – continua - siamo cristiani, ma divisi in tanti riti: la maggior parte sono caldei, poi ci sono i siri cattolici, siri ortodossi, assiri, armeni cattolici e armeni ortodossi, melchiti cattolici e melchiti ortodossi, la chiesa latina, i protestanti, gli evangelici. Però prima nessuno si definiva caldeo, siro, assiro, si diceva cristiano. Oggi, con tutto il caos che hanno portato gli americani, anche la Chiesa ha sottolineato queste differenze. Ma questo non serve oggi. Per nominare i cristiani, nella Costituzione del 2005 non si dice popolo cristiano, si dice ‘il popolo caldeo siro assiro’. Ma si può fare una cosa così? Io mi domando e gli armeni dove sono? Non sono cristiani? I melchiti non sono cristiani? I latini che cosa sono, non sono cristiani? Quindi? A cosa serve tutto questo? Quindi, chi ha sbagliato? Hanno sbagliato i responsabili della comunità. Tutti, perché oggi noi siamo cristiani, non di più”.
P. Saaed sottolinea che oggi tutti gli iracheni, cristiani e musulmani, hanno una responsabilità, soprattutto nel dire la verità. “Le cose – afferma - devono essere nominate come sono, che significa dire la verità così com’è. Bianca o nera, anche se la verità da noi costa tanto. Da noi è costata la vita di 58 persone, oltre a 70 feriti. Questa è la verità. Poi, oggi non si può cercare la via diplomatica, oggi la via diplomatica non serve, mi dispiace dirlo, oggi dobbiamo usare tutti la forza morale, non soltanto per condannare, denunciare l’atto di violenza, ma per specificare le cose come stanno: il male, la morte non porta un bene alla vita umana. Porta la miseria, la sofferenza”.
“Quindi – aggiunge - abbiamo bisogno del contributo di tutti, di tutte le religioni per educare e crescere una generazione nuova: che sappia cosa vuol dire tolleranza etnica, politica e religiosa; che sappia cosa vuol dire pace. Il dono della pace è importante per la vita umana. Che sappia cosa vuol dire che la differenza con l’altro è un dono, una ricchezza, non deve essere causa di sofferenza, che sappia cosa vuol dire che l’altro è mio fratello, mio compagno, cosa vuol dire i diritti umani fondamentali, che ognuno di noi ha il diritto di essere cittadino pieno, conosciuto, non c’è uno di prima classe e uno di seconda classe. Rispettare la vita e il valore della vita, e in questo dobbiamo impegnarci tutti noi, con la buona volontà, con l’aiuto di Dio, del Signore, per far crescere una nuova generazione. Solo così possiamo aiutare il nostro Paese”.
In vista del Natale p. Saaed, afferma: “Non so con quale spirito ci prepareremo al Natale. La gente, qui, è stanca, ferita nello spirito oltre che nel corpo. Andremo in chiesa, ma solo per pregare per la pace. E per ricordare nostro Signore Gesù che si è fatto piccolo nella grotta, per portare misericordia e salvezza a tutti noi”.
Silenzio sulla sorte di Asia Bibi. Forse tempi più lunghi del previsto per la liberazione
di Jibran Khan
La richiesta di grazia non è ancora stata presentata. Secondo alcuni la cristiana condannata a morte per blasfemia dovrebbe prima fare appello all’alta Corte e alla suprema Corte. Oggi è giunto in Pakistan il card. Tauran.
Lahore (AsiaNews) – Il ministero dell’ Interno non ha ancora ricevuto nessuna richiesta di grazia da parte di Asia Bibi o della sua famiglia, ha detto ad AsiaNews Jamal Yousaf, segretario aggiunto al ministero. L’assenza di questa richiesta rende impossibile per ora l’atto di perdono da parte del presidente Asif Ali Zardari. Un esame degli aspetti legali della vicenda sembra però presentare un panorama in cui i tempi appaiono più lunghi di quanto si pensava.
Un funzionario del ministero degli Interni, parlando in condizioni di anonimato, ha detto ad AsiaNews che Asia Bibi ha diritto ad appellarsi all’alta Corte di Lahore (Lhc) contro la decisione di primo grado. “nel caso che la Lhc rigetti il suo appello, può rivolgersi alla suprema Corte. Nel caso che anche in questo caso la sentenza di primo grado sia confermata, allora può avanzare richiesta di grazia alla presidenza”.
Secondo l’articolo 45 della Costituzione del Pakistan, il presidente ha il potere di accordare la grazia, e di perdonare, sospendere o commutare ogni sentenza emanata da qualsiasi tribunale o altra autorità. Il funzionario del ministero dell’Interno ha detto anche che il governatore del Punjab aveva osservato – nella sua risposta al governo federale sulla proposta di abolire la pena di morte – che il potere di accordare la grazia si estende solo alle punzioni “tazir” ( cioè emanate in base alla legge islamica). Una sentenza emanata come “tazir” è imposta per ordine dello stato e non come un diritto del singolo nel quadro della legge divina, sosteneva il governatore del Punjab. Safdar Shaheen Pirzada, uno dei consiglieri legali dell’ufficio del presidente Zardari ha detto però: “Il presidente può perdonare una persona che ha commesso un offesa contro lo stato. Comunque il presidente non ha il potere di accordare la grazia se l’offesa è commessa contro la religione, il profeta Maometto o Allah”.
Intanto è giunto oggi in Pakistan il card. Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Tauran nei prossimi tre giorni avrà incontri con la comunità cattolica, con diverse commissioni della conferenza episcopale e interverrà anche a un meeting interreligioso. Oggi incontra le autorità civili, fra le quali il ministro per le Minoranze religiose, Shahbaz Bhatti, e il presidente del Pakistan Asif Ali Zardari. A Zardari il cardinale Tauran esprimerà l'attenzione della Santa Sede sulla vicenda di Asia Bibi, portando gli auspici espressi nei giorni scorsi dall'appello di Benedetto XVI.
Intanto secondo fonti locali sembra che il marito di Asia Bibi, Ashiq Masih e i suoi figli siano statio costretti a lasciare la propria casa nel distretto di Sheikupura, per il timore di ritorsioni da parte dei fondamentalisti islamici locali, e si siano trasferiti in una località segreta. ''Abbiamo paura. Abbiamo ricevuto diverse minacce di morte e avvertimenti, soprattutto da religiosi musulmani. Hanno anche protestato vicino a casa'', avrebbe detto Masih.
Due copti morti nella battaglia per la “chiesa delle Piramidi” negata
Migliaia di dimostranti cristiani hanno circondato il Governatorato a Giza per protestare contro il blocco della costruzione dell'unica chiesa della zona. Dura reazione delle forze di sicurezza. I fondamentalisti musulmani si oppongono al completamento e fanno pressione sulle autorità locali.
Cairo (AsiaNews/Agenzie) – Due giovani copti sono morti nelle manifestazioni legate al tentativo dei radicali islamici di impedire la costruzione di una chiesa a Talbiya, Giza, nella zona delle Piramidi. I feriti nella dura reazione delle forze di sicurezza, sono almeno un cinquantina ha detto il procuratore generale Abdel Meguid Mahmud, dei quali sette ufficiali e 11 agenti di polizia. Cento persone sono state arrestate. Gli scontri si sono verificati quando circa duemila manifestanti copti hanno circondato la sede del Governatorato di Giza, responsabile di cercare di impedire con vari pretesti la fine dei lavori di una chiesa copta, la cui presenza è osteggiata dai fondamentalisti musulmani.
Le autorità hanno dispiegato migliaia di agenti nella zona di Giza e di Omraniya per prevenire ulteriori manifestazioni, quasi alla vigilia delle elezioni legislative nazionali. La protesta di ieri è nata dopo la decisione delle autorità di bloccare i lavori nella chiesa. Dall'inizio di novembre le autorità locali hanno cercato con diversi pretesti legali di impedire l'ultimazione della cupola. L'ultima ragione addotta è che le autorizzazioni di costruzione si riferivano a un centro sociale, e non a una chiesa.
I copti nella regione di Talbiya sono oltre un milione, e non dispongono di nessuna chiesa. Sono obbligati a viaggiare per vari chilometri per assistere alle funzioni religiose. Le autorità copte locali protestano dicendo che le moschee possono sorgere senza nessun problema. Invece per le chiese le difficoltà si moltiplicano all'infinito. Un rapporto governativo afferma che in Egitto ci sono 93mila moschee, contro duemila chiese. I copti costituiscono circa il 10 per cento della popolazione egiziana, e lamentano di essere discriminati e trattati ingiustamente. Nei giorni scorsi l'incendio doloso di 20 case di copti nel sud dell'Egitto a opera di una folla di musulmani fondamentalisti è stato definito un "atto del caso" nell'inchiesta giudiziaria.
mercoledì 24 novembre 2010
Un aforisma al giorno
Un aforisma al giorno
Un aforisma al giorno
Un aforisma al giorno
martedì 23 novembre 2010
Chesterton e la difesa del matrimonio
lunedì 22 novembre 2010
Come iscriversi alla Società Chestertoniana Italiana
E' sufficiente mandare una mail all'indirizzo di posta elettronica della Società: societachestertoniana@gmail.com chiedendo di essere iscritti e lasciando il proprio indirizzo di posta ordinaria, le proprie generalità e gli eventuali recapiti telefonici e fax. Vi verrà rinviata per posta elettronica la modulistica per l'iscrizione e per la privacy, che provvederete ad inviare all'indirizzo che troverete in intestazione. La tessera di iscrizione verrà inviata a mezzo posta dopo il versamento della somma di € 10,00 (euro dieci) sul
ccp 56901515 intestato a Società Chestertoniana Italiana, oppure (per chi vive all'estero o se si preferisce così) mediante bonifico bancario alle seguenti coordinate:
A Natale arriva La Nonna del Drago
domenica 21 novembre 2010
Dal blog di Paolo Rodari
"Cari cardinali, chi è il primo?"
Dall'omelia di Benedetto XVI di questa mattina durante il Concistoro Ordinario Pubblico per la creazione di 24 nuovi Cardinali:
"Chi è grande, chi è primo per Dio? Anzitutto lo sguardo va al comportamento che corrono il rischio di assumere coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni: dominare ed opprimere.
Gesù indica ai discepoli un modo completamente diverso: Tra voi, però, non è così. La sua comunità segue un’altra regola, un’altra logica, un altro modello: Chi vuole diventare grande tra di voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra di voi sarà schiavo di tutti.
Il criterio della grandezza e del primato secondo Dio non è il dominio, ma il servizio; la diaconia è la legge fondamentale del discepolo e della comunità cristiana, e ci lascia intravedere qualcosa della Signoria di Dio. E Gesù indica anche il punto di riferimento: il Figlio dell’uomo, che è venuto per servire; sintetizza cioè la sua missione sotto la categoria del servizio, inteso non in senso generico, ma in quello concreto della Croce, del dono totale della vita come "riscatto", come redenzione per molti, e lo indica come condizione per la sequela.
E’ un messaggio che vale per gli Apostoli, vale per tutta la Chiesa, vale soprattutto per coloro che hanno compiti di guida nel Popolo di Dio. Non è la logica del dominio, del potere secondo i criteri umani, ma la logica del chinarsi per lavare i piedi, la logica del servizio, la logica della Croce che è alla base di ogni esercizio dell’autorità. In ogni tempo la Chiesa è impegnata a conformarsi a questa logica e a testimoniarla per far trasparire la vera Signoria di Dio, quella dell’amore".
Pubblicato su palazzoapostolico.it sabato 20 novembre 2010
di Paolo Rodari
sabato 20 novembre 2010
Il Papa all'inizio del Concistoro: il relativismo minaccia la libertà
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 19 novembre 2010 (ZENIT.org).- La libertà di annunciare il Vangelo è oggi a rischio per la dittatura del relativismo, ha detto il Papa ai circa 150 Cardinali che hanno iniziato questo venerdì mattina nell'Aula Nuova del Sinodo l'incontro di preghiera e studio in occasione del Concistoro.
Il rapporto fra verità e libertà, ha segnalato Benedetto XVI, “oggi si trova di fronte alla grande sfida del relativismo, che sembra completare il concetto di libertà ma in realtà rischia di distruggerla proponendosi come una vera ‘dittatura’”.
Oltre che sul rapporto tra libertà e verità e sulla libertà della Chiesa nel momento attuale, i Cardinali hanno riflettuto questo venerdì mattina sulla liturgia nella vita della Chiesa oggi, segnala un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede.
Su questo tema, “il Papa ha richiamato l’importanza essenziale della liturgia nella vita della Chiesa, perché è il luogo della presenza di Dio con noi – spiega il comunicato –. Quindi, il luogo in cui la Verità vive con noi”.
L'incontro di preghiera e studio del Papa con i membri del Collegio cardinalizio in occasione del Concistoro convocato da Benedetto XVI per la creazione di 24 nuovi Cardinali è iniziato con un discorso di saluto del decano del Collegio cardinalizio, il Cardinale Angelo Sodano, diretto al Papa a nome dei presenti.
Il porporato ha ringraziato il Vescovo di Roma per la recente beatificazione del Cardinale Newman e per l'introduzione della causa di beatificazione del Cardinale Van Thuân.
Libertà della Chiesa nel mondo
Il tema della libertà della Chiesa nel momento attuale è stato introdotto dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, mentre quello della liturgia nella vita della Chiesa è stato esposto dal Cardinale Antonio Cañizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino.
“Il Card. Tarcisio Bertone ha tracciato una visione panoramica dei tentativi odierni di limitare la libertà dei cristiani nelle varie regioni del mondo”, spiega il comunicato vaticano.
Il porporato ha invitato in primo luogo “a riflettere sulla situazione della libertà religiosa nei Paesi occidentali”, sottolineando che “benché si tratti di Nazioni che spesso devono al Cristianesimo i tratti profondi della loro identità e cultura, si assiste oggi ad un processo di secolarizzazione, con tentativi di emarginazione dei valori spirituali dalla vita sociale”.
In secondo luogo, ha esposto la situazione della libertà religiosa nei Paesi islamici, ricordando le conclusioni a cui è giunta la recente assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente.
Il Cardinale ha quindi esposto l'attività della Santa Sede e degli episcopati locali in difesa dei cattolici, sia Occidente che in Oriente.
In tal senso, ha anche ricordato il grande impegno della Santa Sede nell'ambito internazionale per promuovere di fronte agli Stati e alle organizzazioni delle Nazioni Unite il rispetto della libertà religiosa dei credenti.
Dal canto suo, il Cardinal Cañizares ha ricordato l'importanza della preghiera liturgica nella vita della Chiesa, riferendosi alla dottrina del Concilio Vaticano II e al magistero dell'attuale Pontefice. In concreto, ha sottolineato la rilevanza della fedeltà alla disciplina liturgica vigente.
Durante l'ampio dibattito sono intervenuti 18 Cardinali, che hanno approfondito soprattutto la problematica della libertà religiosa e delle difficoltà incontrate dall'attività della Chiesa nelle varie parti del mondo.
Si è parlato di situazioni specifiche in Europa, nelle Americhe, in Africa, in Asia, in Medio Oriente e in Paesi a maggioranza islamica.
Sono state affrontate anche le gravi difficoltà che la Chiesa incontra oggi nella difesa dei valori basati sullo stesso diritto naturale, come il rispetto della vita e della famiglia.
Un altro tema sviluppato è stato quello del dialogo interreligioso, in concreto con l'islam. “Non sono mancati suggerimenti di linee di impegno per rispondere alle sfide poste alla Chiesa di oggi”, indica il comunicato.
Alcuni degli intervenuti si sono inoltre soffermati sul tema della liturgia, in particolare sulla centralità della celebrazione eucaristica nella vita della Chiesa e sul rispetto dovuto al sacramento dell'Eucaristia.
Sono state poi diffuse due comunicazioni, la prima delle quali del Cardinale William Levada, da un lato sulle norme date dalla Santa Sede per accogliere nella Chiesa cattolica i sacerdoti e i fedeli anglicani che lo richiedono, dall'altro sulla difesa dei minori vittime di abuso da parte di membri del clero.
Il secondo intervento è stato dell'Arcivescovo Angelo Amato, che ha ricordato l'attualità dell'Istruzione Dominus Iesus, di dieci anni fa, su Gesù Cristo, unico Salvatore.
Oltre ai Cardinali attuali, erano presenti anche i 24 presuli che verranno elevati alla dignità cardinalizia questo sabato.
Alcuni Cardinali avevano chiesto al Papa di essere dispensati dalla partecipazione a causa delle proprie condizioni di salute e di urgenti impegni pastorali nelle rispettive Diocesi.
Due belle foto di Chesterton
venerdì 19 novembre 2010
Dichiarazione sull'attuazione della Costituzione Apostolica Anglicanorum Coetibus
Il grazie per la ricerca...
Gli articoli su Chesterton di Edoardo Rialti su Il Foglio
che cercano e trovano gli articoli che i chestertoniani vorrebbero
leggere.
Per cui Maria Grazia Gotti che li ha trovati riceve il plauso pubblico
della Società e dell'Uomo Vivo.
Quanto è moderno questo Papa, e come coglie il succo delle questioni mediche! «La giustizia sanitaria deve essere fra le priorità nell'agenda dei Governi e delle Istituzioni internazionali», dice Benedetto XVI alla 25esima Conferenza internazionale per gli operatori sanitari tenutasi ieri. «Purtroppo - continua -, accanto a risultati positivi e incoraggianti, vi sono opinioni e linee di pensiero che la feriscono: mi riferisco a questioni come quelle connesse con la cosiddetta 'salute riproduttiva', con il ricorso a tecniche artificiali di procreazione comportanti distruzione di embrioni».
Ed ecco l'altro punto forte toccato dal Papa oggi: lo spreco farmacologico, che da una parte ha il soggettivismo che riduce la medicina a mercato, e dall'altra ha il "disease mongering", cioè il mercato vero e proprio che certe case farmaceutiche fanno della malattia, inventandosi addirittura le malattie (da situazioni che malattia non sono) per vendere farmaci, come denunciato da tantissime pubblicazioni scientifiche (vedi ad esempio il numero di luglio 2006 di PLos Medicine). «Nella nostra epoca - scrive infatti Ratzinger - si assiste ad un'attenzione alla salute che rischia di trasformarsi in consumismo farmacologico, medico e chirurgico, diventando quasi un culto per il corpo».
Come dargli torto? Ma non si ferma qui, affonda il colpo: «Si assiste dall`altra parte, alla difficoltà di milioni di persone ad accedere a condizioni di sussistenza minimali e a farmaci indispensabili per curarsi». Cosa dire, quando invece assistiamo ad una crociata per risolvere i problemi di sanità nei paesi poveri solo pressando per non far riprodurre i cittadini, surclassando un diritto inscritto nel DNA prima ancora che nelle costituzioni? Come non sentirsi bruciare dentro per il realismo di questo quadro, per la forza di questo dramma?
Ecco altri apolidi morali: chi non ha la forza di alzare la voce viene invitato a non riprodursi, a scomparire, come denunciavano di recente gruppi di afroamericani indicando l'aborto (e la parallela mancanza di aiuti economici alle donne povere, in maggioranza di colore) come un sistema per far sparire la minoranza di colore dagli USA (New York Times, febbraio 2010). E' davvero questa la nuova frontiera che il Papa ci indica: la lotta per la cittadinanza morale di tutti, per il diritto di tutti al riconoscimento di essere pienamente e inalienabilmente umani, anche quando sono così infinitamente piccoli o infinitamente poveri da non poterlo reclamare.
Parlare di giustizia sanitaria nel caso di aborto e soppressione di embrioni vuol dire capire il nocciolo della questione: non si tratta più ormai di un diritto alla vita che viene messo in dubbio, ma di un diritto alla cittadinanza: certe "classi" di esseri umani valgono meno degli altri e se ne può disporre, per esempio per farne medicamenti per altri (ricchi e adulti), come è successo in via sperimentale di recente con degli embrioni usati come medicine.
E' un attacco al diritto alla cittadinanza che va anche oltre l'epoca prenatale, che si spinge a non considerare persona il neonato, il disabile mentale, l'anziano con demenza e così via, creando una nuova categoria: gli "apolidi morali", cioè quelle persone che hanno perso il diritto di essere chiamate tali, il diritto di essere "persone", secondo la linea vincente della bioetica mondiale. Che un embrione sia un essere umano vivo non lo dubita neanche il più acceso abortista; solo che per lui l'embrione è un essere umano che vale meno degli altri. E qui è il vulnus verso la giustizia, che vorrebbe invece che tutti si trattino allo stesso modo, e che non è un vezzo cristiano, come ben insegnava il laico Emmanuel Kant, per il quale nessun uomo è un mezzo per la felicità dell'altro, ma ognuno è in sé un fine. Insomma, parafrasando George Orwell, oggi "tutti gli uomini (donne) sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri".
Che modernità, quella di un Papa che capisce questo, che evidentemente non trova una giustificazione unicamente teologica alla difesa dell'umano, ma che ha per alleati il meglio del pensiero moderno. Già, perché il pensiero "moderno" riconosce l'evidenza; quello attuale (detto "postmoderno") invece la trascura in nome del soggettivismo e la scienza passa in secondo piano rispetto al nuovo mito: l'autodeterminazione. Per il pensiero "postmoderno", anche se su tutti i testi di embriologia c'è scritto che la vita inizia al concepimento, io lo ignoro in base al "secondo me"; la malattia non esiste se a me non conviene, o esiste, anche contro il parere di mille medici, se io decido che sono malato.