giovedì 31 gennaio 2008

UDIENZA AI PARTECIPANTI ALLA SESSIONE PLENARIA DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

Alle ore 12 di questa mattina il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza i partecipanti alla Sessione Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede e ha rivolto loro il discorso che riportiamo di seguito e che è stato ripreso da vari quotidiani:

(neretti e colori sono i nostri)

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
carissimi e fedeli Collaboratori!

E’ per me motivo di grande gioia incontrarvi in occasione della vostra Sessione Plenaria. Posso così parteciparvi i sentimenti di profonda riconoscenza e di cordiale apprezzamento che provo per il lavoro che il vostro Dicastero svolge al servizio del ministero di unità, affidato in special modo al Romano Pontefice. E’ un ministero che si esprime primariamente in funzione dell’unità di fede, poggiante sul "sacro deposito", di cui il Successore di Pietro è il primo custode e difensore (cfr Cost. ap. Pastor Bonus, 11). Ringrazio il Signor Cardinale William Levada per i sentimenti che, a nome di tutti, ha espresso nel suo indirizzo e per il richiamo dei temi che sono stati oggetto di alcuni Documenti della vostra Congregazione in questi ultimi anni e delle tematiche che tuttora impegnano l’esame del Dicastero.

In particolare, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato l’anno scorso due Documenti importanti, che hanno offerto alcune precisazioni dottrinali su aspetti essenziali della dottrina sulla Chiesa e sull’Evangelizzazione. Sono precisazioni necessarie per lo svolgimento corretto del dialogo ecumenico e del dialogo con le religioni e le culture del mondo. Il primo Documento porta il titolo "Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina della Chiesa" e ripropone anche nelle formulazioni e nel linguaggio l’insegnamento del Concilio Vaticano II, in piena continuità con la dottrina della Tradizione cattolica. Viene così confermato che l’una e unica Chiesa di Cristo ha la sua sussistenza, permanenza e stabilità nella Chiesa Cattolica e che pertanto l’unità, l’indivisibilità e l’indistruttibilità della Chiesa di Cristo non vengono annullate dalle separazioni e divisioni dei cristiani. Accanto a questa precisazione dottrinale fondamentale, il Documento ripropone l’uso linguistico corretto di certe espressioni ecclesiologiche, che rischiano di essere fraintese, e richiama a tal fine l’attenzione sulla differenza che ancora permane tra le diverse Confessioni cristiane nei riguardi della comprensione dell’essere Chiesa, in senso propriamente teologico. Ciò, lungi dall’impedire l’impegno ecumenico autentico, sarà di stimolo perché il confronto sulle questioni dottrinali avvenga sempre con realismo e piena consapevolezza degli aspetti che ancora separano le Confessioni cristiane, oltre che nel riconoscimento gioioso delle verità di fede comunemente professate e della necessità di pregare incessantemente per un cammino più solerte verso una maggiore e alla fine piena unità dei cristiani. Coltivare una visione teologica che ritenesse l’unità e identità della Chiesa come sue doti "nascoste in Cristo", con la conseguenza che storicamente la Chiesa esisterebbe di fatto in molteplici configurazioni ecclesiali, riconciliabili soltanto in prospettiva escatologica, non potrebbe che generare un rallentamento e ultimamente la paralisi dell’ecumenismo stesso.

L’affermazione del Concilio Vaticano II che la vera Chiesa di Cristo "sussiste nella Chiesa cattolica" (Cost. dogm. Lumen gentium, 8) non riguarda soltanto il rapporto con le Chiese e comunità ecclesiali cristiane, ma si estende anche alla definizione dei rapporti con le religioni e le culture del mondo. Lo stesso Concilio Vaticano II nella Dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa afferma che "questa unica vera religione sussiste nella Chiesa cattolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato il compito di diffonderla a tutti gli uomini" (n. 1). La "Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione" - l’altro Documento pubblicato dalla vostra Congregazione nel dicembre 2007 -, a fronte del rischio di un persistente relativismo religioso e culturale, ribadisce che la Chiesa, nel tempo del dialogo tra le religioni e le culture, non si dispensa dalla necessità dell’evangelizzazione e dell’attività missionaria verso i popoli, né cessa di chiedere agli uomini di accogliere la salvezza offerta a tutte le genti. Il riconoscimento di elementi di verità e bontà nelle religioni del mondo e della serietà dei loro sforzi religiosi, lo stesso colloquio e spirito di collaborazione con esse per la difesa e la promozione della dignità della persona e dei valori morali universali, non possono essere intesi come una limitazione del compito missionario della Chiesa, che la impegna ad annunciare incessantemente Cristo come la via, la verità e la vita (cfr Gv 14,6).

Vi invito inoltre, carissimi, a seguire con particolare attenzione i problemi difficili e complessi della bioetica. Le nuove tecnologie biomediche, infatti, interessano non soltanto alcuni medici e ricercatori specializzati, ma vengono divulgate attraverso i moderni mezzi di comunicazione sociale, provocando attese ed interrogativi in settori sempre più vasti della società. Il Magistero della Chiesa certamente non può e non deve intervenire su ogni novità della scienza, ma ha il compito di ribadire i grandi valori in gioco e di proporre ai fedeli e a tutti gli uomini di buona volontà principi e orientamenti etico-morali per le nuove questioni importanti. I due criteri fondamentali per il discernimento morale in questo campo sono a) il rispetto incondizionato dell’essere umano come persona, dal suo concepimento fino alla morte naturale, b) il rispetto dell’originalità della trasmissione della vita umana attraverso gli atti propri dei coniugi. Dopo la pubblicazione nel 1987 dell’Istruzione Donum vitae, che aveva enunciato tali criteri, molti hanno criticato il Magistero della Chiesa, denunciandolo come se fosse un ostacolo alla scienza e al vero progresso dell’umanità. Ma i nuovi problemi connessi, ad esempio, con il congelamento degli embrioni umani, con la riduzione embrionale, con la diagnosi pre-impiantatoria, con le ricerche sulle cellule staminali embrionali e con i tentativi di clonazione umana, mostrano chiaramente come, con la fecondazione artificiale extra-corporea, sia stata infranta la barriera posta a tutela della dignità umana. Quando esseri umani, nello stato più debole e più indifeso della loro esistenza, sono selezionati, abbandonati, uccisi o utilizzati quale puro "materiale biologico", come negare che essi siano trattati non più come un "qualcuno", ma come un "qualcosa", mettendo così in questione il concetto stesso di dignità dell’uomo?

Certamente la Chiesa apprezza e incoraggia il progresso delle scienze biomediche che aprono prospettive terapeutiche finora sconosciute, mediante, ad esempio, l’uso delle cellule staminali somatiche oppure mediante le terapie volte alla restituzione della fertilità o alla cura delle malattie genetiche. Nel contempo essa sente il dovere di illuminare le coscienze di tutti, affinché il progresso scientifico sia veramente rispettoso di ogni essere umano, a cui va riconosciuta la dignità di persona, essendo creato ad immagine di Dio. Lo studio su tali tematiche, che ha impegnato in special modo la vostra Assise in questi giorni, contribuirà certamente a promuovere la formazione della coscienza di tanti nostri fratelli, secondo quanto afferma il dettato del Concilio Vaticano II nella Dichiarazione Dignitatis Humanae: "I cristiani... nella formazione della loro coscienza devono considerare diligentemente la dottrina sacra e certa della Chiesa. Infatti per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità, e il suo compito è di annunziare e di insegnare in modo autentico la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare con la sua autorità i principi dell'ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana" (n. 14).

Nell’incoraggiarvi a proseguire nel vostro impegnativo ed importante lavoro, vi esprimo anche in questa circostanza la mia spirituale vicinanza, ed imparto di cuore a tutti voi, in pegno di affetto e di gratitudine, la Benedizione Apostolica.

L'ossessione dell'omofobia

Lo pubblichiamo primo perché cita a proposito Chesterton, secondo perché Chesterton avrebbe sepolto con una risata colossale questo malaccorto e confuso ministro, terzo perché dice delle cose sane.
Leggete, leggete...
I neretti sono i nostri.


Gilbert Keith Chesterton diceva che «il guaio dell'uomo moderno non è quello di avere perso la fede, ma quello di avere perso la ragione».
Basterebbe questa battuta per liquidare l'idiozia di un altro molto meno illustre cittadino inglese, il ministro per la scuola e per l'infanzia Ed Balls (nomen omen) che ha deciso di vietare ai bambini delle elementari l'utilizzo dei termini «mamma» e «papà», i quali sarebbero gravemente offensivi nei confronti degli omosessuali. Poiché in teoria - ma solo in teoria - dovrebbe esserci un limite all'imbecillità umana, il lettore può pensare che abbiamo capito male, e che le cose non stanno proprio così. E invece stanno proprio così, anzi un po' peggio. Cito testualmente dall'agenzia: «L'espressione "mamma e papà" lede infatti i diritti dei genitori omosessuali e favorisce le tendenze omofobiche, diffondendo l'idea che esista solo una famiglia tradizionale». Fantastico. Secondo questo ministro - che è riuscito nella titanica impresa di farci rivalutare i nostri, di ministri - quella che i bambini nascano da una mamma e da un papà sarebbe «un'idea», e non un dato di fatto. Viceversa, Balls parla di «genitori omosessuali» come se, quelli sì, fossero un dato di fatto. Ora, il sottoscritto sarà anche un becero reazionario, ma se l'etimologia ha ancora un senso «genitore» vuol dire «colui che genera, che procrea, che dà la vita». Tutte cose che una coppia omosessuale non può né potrà mai fare, e non perché glielo impedisca qualche pretacchione: è la natura a frapporre qualche non marginale impedimento. È dunque la realtà, e non una chiesa o un partito politico, a mostrarci che dire «mamma» e «papà» non è un'offesa per nessuno, ma la cosa più naturale del mondo. Balls segue però, evidentemente, il metodo hegeliano secondo il quale «se la realtà non coincide con la teoria, tanto peggio per la realtà».
Non è solo un problema di un qualsiasi Balls. Questa mentalità si sta sempre più diffondendo, anzi è l'unica accettata e riverita in quel patetico mondo del politically correct che ammorba parlamenti e redazioni dei giornali. Badate bene: la tutela degli omosessuali non c'entra nulla. Provvedimenti come quello del ministro inglese, o come tante altre norme cosiddette anti-omofobia, non vietano solo le offese ai gay (il che è sacrosanto): vietano anche che si possa dire «mamma» e «papà», vietano perfino - è scritto nel demenziale diktat inglese - che a scuola si possa parlare di «maschi» e di «femmine». Con il pretesto di tutelare alcuni, si nega il diritto di esistere a molti altri, direi a quasi tutti. Soprattutto, si nega il diritto di guardare in faccia alla realtà.
Qualche tempo fa su Rai Tre, al programma Gaia il pianeta che vive, un geologo ha mostrato un amplesso omosessuale dipinto in una tomba etrusca per documentare come simili pratiche fossero del tutto normali nelle civiltà antiche, prima che arrivassero quegli omofobi dei cristiani; si è però guardato bene, il geologo, di aggiungere che a fianco di quel dipinto - che è nella tomba detta «dei Tori» a Tarquinia - ce n'è uno di accoppiamento eterosessuale, e il toro, simbolo del dio della fertilità, è raffigurato mentre si compiace del rapporto uomo-donna ma carica furiosamente quello omosex. Nelle civiltà antiche l'omosessualità era a volte anche serenamente accettata, ma mai nessuno si è sognato di equiparare per legge la famiglia eterosessuale a quella omosessuale; né tantomeno ha mai vietato di parlare di differenze tra i sessi, o impedito di pronunciare i nomi di «mamma» e «papà».
Certe idiozie fanno proseliti, dicevo, e infatti ieri sera, sul sito del Corriere della Sera, nel sondaggio lanciato sul caso-Balls si registrava un 15 per cento di «sì» all'incredibile cancellazione dei termini «mamma» e «papà». Lo stesso sito del Corriere, giustamente, nel titolo parlava di «ossessione omofobia». Esatto: ormai è un'ossessione. Della quale anche gli omosessuali finiranno per fare le spese. È con le esagerazioni, con gli estremismi, con gli oltraggi alla ragione e al buon senso che si finisce poi con il provocare reazioni di segno opposto, con il favorire il ritorno di quelle discriminazioni che ormai da tempo erano del tutto, o quasi del tutto, giustamente scomparse.

(Da Il Giornale del 31/1/2008, articolo di Michele Brambilla)

mercoledì 30 gennaio 2008

La bellezza del rito tridentino e il Motu Proprio del Santo Padre.

Il nostro amico chestertonianguareschiano Alessandro Gnocchi ci ha fatto pervenire un suo interessante inedito.
Riguarda la bella novità del motu proprio Summorum Pontificum con il quale Papa Benedetto XVI ha definitivamente chiarito che il rito tridentino della Santa Messa, nella sua versione perfezionata da ultimo dal beato Giovanni XXIII, non è mai stato abolito, e che a determinate semplicissime condizioni può essere utilizzato per la celebrazione della Santa Messa.
Personalmente ho partecipato per puro caso per la prima volta due domeniche fa insieme a mio figlio ad una Santa Messa officiata secondo l'antico rito al Santuario dell'Addolorata a Campocavallo di Osimo (parrocchia retta dai Francescani dell'Immacolata, Arcidiocesi di Ancona-Osimo) e devo dire che ne sono stato contento. C'è una solennità particolare, detto così in due parole, e leggendo i brani del messalino che i frati avevano messo a disposizione dei fedeli trovo tante utili e importanti parole che credevo di aver dimenticato ma che facevano parte della mia primissima infanzia e che avevo imparato dai miei, a forza di sentirle.
Non mi sono sentito né tradizionalista (-ista... quando te ne appiccicano uno addosso sei fregato!) né tanto meno scismatico. Solo cattolico.
Nonostante questo provvedimento del Santo Padre, che ha una sua ragione ecclesiale profonda che troverete nel volume di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro "Rapporto sulla Tradizione" , Cantagalli Editore (per vedere cliccate qui), sembra che ci siano tante resistenze da parte di Vescovi e clero. Non tutti, ma c'è qualcuno che fa proprio un silenzioso muro, o comunque ostruisce ciò che il Santo Padre ha dato la libertà e la facoltà di fare. Questo lo trovo grave (non si disubbidisce al Papa e tutto quello che Egli dice va preso sul serio) e francamente incomprensibile. Penso che l'uso dell'antico rito gioverebbe molto in tanti tantissimi casi.
Spero che dicendo questo non mi procurerò guai ecclesiali, e che invece possa giovare la franchezza del mio parlare, anche solo per dire: "Vado e vedo".
Il resto lo lascio ad Alessandro.

Ho conosciuto don Camillo. Proprio lui, con la tonacona nera, il tabarro nero, la berretta nera e un sorriso di quelli che hanno solo preti cattolici: intendo dire quelli veramente cattolici.
L’ho conosciuto in un giorno di nebbia vicino al fiume. Erano le sette meno un quarto della mattina e faceva un freddo boia. E’ venuto ad aprirmi il cancello vispo come una fringuello. Io avevo due occhiaie fino alle ginocchia ed ero convinto di essere un eroe perché mi ero alzato alle sei e venti per andare a Messa. Lui era sveglio da prima delle cinque e aveva già detto il breviario, pregato quello che doveva pregare e organizzato la giornata.
Era don Camillo, anche se in realtà non si chiama così. Lo chiamo don Camillo perché somiglia tanto al prete di Guareschi, ma anche per proteggerlo: perché la Messa che stava per celebrare era quella di San Pio V, e il suo vescovo non vuole che si celebri.
Non fatemi dire di più: non un’altra parola sul vescovo e non una sillaba che possa tradire l’identità del mio don Camillo e del suo paese. Vi basti sapere che c’era la nebbia, una gran nebbia, quella della Bassa, o giù di lì.
Chi voglia gustare l’orgogliosa bellezza di essere cattolici, almeno una volta nella vita deve andare a Messa alle sette meno un quarto di una mattina gelata, con qualche cristallo di ghiaccio sulla barba, la nebbia nei polmoni e gli occhi aperti solo per il freddo. Ma deve essere la Messa di San Pio V, quella che ama anche Papa Benedetto XVI.
Farà un po’ freddo” ha detto don Camillo. “Ma ho acceso il riscaldamento”.
Per la verità, don Camillo aveva acceso, ma, come aveva promesso lui, fece “un po’ freddo”.
Come è bella la Messa quando si gela ed è così umido. A forza di Kyrie eleison, di Dominus vobiscum e di oremus, il freddo e l’umido non li senti più perché sono volati verso l’alto con l’incenso, la luce delle candele e le preghiere ad maiorem Dei gloriam.
I fedeli della Messa erano quelli delle grandi occasioni. La perpetua, che chiameremo Maria in onore alla Madre di Nostro Signore, e il sottoscritto.
Chi voglia gustare l’orgogliosa bellezza di essere cattolici, almeno una volta nella vita deve andare a una Messa dove si è al massimo in due oltre al sacerdote. Intendo la Messa di San Pio V, quella che ama anche Papa Benedetto XVI. Allora si capirà che cosa è la Comunione dei Santi. Perché io vedevo solo don Camillo e la signora Maria. Ma lì attorno c’erano tutti. Gli Angeli, gli Arcangeli, i Troni, i Cherubini, i Santi, i Beati e tutti i miei morti e, nel mio cuore, anche tutti i vivi a cui voglio bene. C’era persino Marco Sermarini, perché quella Messa, di cui gli ho parlato tanto, era anche per lui.
Che bello trovare gente con cui si condivide questa spiritualità” ha detto don Camillo in sacrestia. Una confidenza grandiosa nella sua drammaticità, se si pensa che questa non è altro che la fede cattolica.
Don Camillo, com’erano belli tempi in cui il nemico era Peppone. Il quale, essendo più cattolico di troppi cattolici che in realtà non lo erano, non era affatto un nemico e neppure un avversario, ma solo una pecorella da portare al buon Dio, magari con qualche calcio nel sedere in più.
Quante Messe sono trascorse da allora? Non so. Ma dalla terza, don Camillo mi ha fatto il regalo più grande che abbia mai avuto in vita mia, a parte mia moglie e i miei figli: mi ha fatto fare il chierichetto. Da allora tutte le mattine vado a servire Messa. “Introibo ad altare Dei”. “Ad Deum qui laetificat juventutem meam”.
Chi voglia gustare l’orgogliosa bellezza di essere cattolici, almeno una volta nella vita deve stare lì accanto all’altare su cui Nostro Signore viene ancora una volta a immolarsi per noi. Intendo la Messa di San Pio V, quella che ama anche Papa Benedetto XVI. Nostro Signore è proprio lì. Tu lo guardi, ti fai bambino e gli chiedi tutto quello che hai nel cuore. E vorresti proteggerlo anche se lui è immensamente forte. Ma è proprio questo il bello di essere cattolici: provare tenerezza nei confronti dell’Essere più potente dell’universo.
Non fatevi incantare dai manigoldi che vanno cianciando della debolezza di Dio. Se fosse debole non si sarebbe sacrificato per noi sulla Croce e non continuerebbe a farlo ancora. Non lo farebbe mentre io sono lì a reggere la pianeta a don Camillo durante la consacrazione, l’adorazione e l’elevazione.
Domenica scorsa eravamo in dieci alla Messa di don Camillo. Intendo la Messa di San Pio V, quella che ama anche Papa Benedetto XVI. La signora Maria non c’era. Si era presa un giorno di libertà. Don Camillo, con un tale folla di fedeli davanti, si è lasciato prendere la mano dall’entusiasmo e, all’omelia, ha usato il microfono. Alla fine della Messa, dopo che l’avevo aiutato a togliersi i paramenti e a spegnere le candele, è sceso tra la folla e ha detto: “Qui sotto, forse faceva un po’ freddo, ma noi sull’altare stavamo bene”. Poi si è girato verso di me e ha sorriso. Si vedeva che era proprio convinto di quello che diceva. Sarà che lui ha solo trent’anni. O sarà che uno che vede compiersi nelle sue mani il miracolo della transustanziazione il freddo non lo sente proprio.
Bisogna che mi applichi di più. E anche questo è il bello di essere cattolici

Alessandro Gnocchi

lunedì 28 gennaio 2008

Il Papa all'Angelus di domenica 27 Gennaio 2008

Le parole del Papa ieri all'Angelus. I neretti sono nostri.

Cari fratelli e sorelle!

Nella liturgia odierna l'evangelista Matteo, che ci accompagnerà lungo tutto questo anno liturgico, presenta l'inizio della missione pubblica di Cristo. Essa consiste essenzialmente nella predicazione del Regno di Dio e nella guarigione dei malati, a dimostrare che questo Regno si è fatto vicino, anzi, è ormai venuto in mezzo a noi. Gesù comincia a predicare in Galilea, la regione in cui è cresciuto, territorio di "periferia" rispetto al centro della nazione ebraica, che è la Giudea, e in essa Gerusalemme. Ma il profeta Isaia aveva preannunciato che quella terra, assegnata alle tribù di Zabulon e di Neftali, avrebbe conosciuto un futuro glorioso: il popolo immerso nelle tenebre avrebbe visto una grande luce (cfr Is 8,23-9,1), la luce di Cristo e del suo Vangelo (cfr Mt 4,12-16). Il termine "vangelo", ai tempi di Gesù, era usato dagli imperatori romani per i loro proclami. Indipendentemente dal contenuto, essi erano definiti "buone novelle", cioè annunci di salvezza, perché l'imperatore era considerato come il signore del mondo ed ogni suo editto come foriero di bene. Applicare questa parola alla predicazione di Gesù ebbe dunque un senso fortemente critico, come dire: Dio, non l'imperatore, è il Signore del mondo, e il vero Vangelo è quello di Gesù Cristo.

La "buona notizia" che Gesù proclama si riassume in queste parole: "Il regno di Dio - o regno dei cieli - è vicino" (Mt 4,17; Mc 1,15). Che significa questa espressione? Non indica certo un regno terreno delimitato nello spazio e nel tempo, ma annuncia che è Dio a regnare, che è Dio il Signore e la sua signoria è presente, attuale, si sta realizzando. La novità del messaggio di Cristo è dunque che Dio in Lui si è fatto vicino, regna ormai in mezzo a noi, come dimostrano i miracoli e le guarigioni che compie. Dio regna nel mondo mediante il suo Figlio fatto uomo e con la forza dello Spirito Santo, che viene chiamato "dito di Dio" (cfr Lc 11,20). Dove arriva Gesù, lo Spirito creatore reca vita e gli uomini sono sanati dalle malattie del corpo e dello spirito. La signoria di Dio si manifesta allora nella guarigione integrale dell'uomo. Con ciò Gesù vuole rivelare il volto del vero Dio, il Dio vicino, pieno di misericordia per ogni essere umano; il Dio che ci fa dono della vita in abbondanza, della sua stessa vita. Il regno di Dio è pertanto la vita che si afferma sulla morte, la luce della verità che disperde le tenebre dell'ignoranza e della menzogna.

Preghiamo Maria Santissima, affinché ottenga sempre alla Chiesa la stessa passione per il Regno di Dio che animò la missione di Gesù Cristo: passione per Dio, per la sua signoria d'amore e di vita; passione per l'uomo, incontrato in verità col desiderio di donargli il tesoro più prezioso: l'amore di Dio, suo Creatore e Padre.

Ecco il regista de "I Racconti di Padre Brown"

L'uomo nella foto è Vittorio Cottafavi, il regista de I Racconti di Padre Brown trasmessi dal 29 Dicembre 1970 al 2 Febbraio 1971 dalla Rai.

Fece un bel lavoro, indubbiamente, in cui fu reso in maniera eccellente il pensiero di Chesterton.

Appronfondiremo in un dei prossimi post i rapporti di Chesterton con il piccolo e il grande schermo.

La Saggezza di Padre Brown a Marzo!

Siamo lieti di annunciarvi che a Marzo sarà in libreria La Saggezza di Padre Brown, la seconda delle opere di Gilbert Keith Chesterton che Morganti Editori ha deciso di dare nuovamente alle stampe, con una nuova interessante traduzione, arricchita da note e dalla bella impostazione grafica.

Qui a fianco trovate la bella copertina, in basso i dati bibliografici.

La prima fatica è stata Il Candore di Padre Brown, che potete trovare in libreria. Ricordiamo che le opere della Collana "Chestertoniana" sono disponibili richiedendolo direttamente a Morganti Editori con il 10% di sconto e le spese di spedizione a carico dell'editore solo per gli iscritti alla Società Chestertoniana.

E' una bella occasione anche per chi ha le vecchie edizioni, perché comunque viene proposta una nuova traduzione che rende ancor meglio il senso di ciò che voleva trasmetterci Chesterton ed è dotata di note che spesso in Chesterton sono necessarie.

Noi chestertoniani crediamo che lo sforzo di Morganti meriti di essere premiato, anche perché è l'unica casa editrice che sta promuovendo un lavoro di ripubblicazione di tutte le opere più importanti di Chesterton, e tale lavoro viene condotto con l'intento di migliorare e rendere più fruibile titoli che oggi stanno rivelando nuova attualità e bellezza. Riteniamo che, se bene accolte, queste nuove pubblicazioni potrebbero dare spazio ad ulteriori iniziative.

Diffondete quindi la pubblicazione e la simpatica opportunità riservata proprio a noi chestertoniani d'Italia. E' un modo per promuovere il nostro Chesterton a cui tutti siamo grati e per dare valore al nostro lavoro!

Cliccando il nostro titolo verrete rimandati alla pagina su "Chestertoniana" di Morganti Editori.

titolo: La saggezza di padre Brown
autore: Gilbert Keith Chesterton
pagine : 288
prezzo : 14,00
ISBN 978-88-87549-71-3
stato : in uscita a marzo 2008
anno : 2008
edizione: italiano

domenica 27 gennaio 2008

Chesterton in Russia - da un'intervista a Natalia Trauberg

Qualche giorno fa abbiamo parlato di Chesterton e della Russia. Ora siamo in grado di darvi maggiori ragguagli, estremamente interessanti.
Chesterton era noto e letto in Russia, lui ancora vivente, tanto che il poeta russo Nicholas Gumylov lo considerava lo scrittore inglese maggiore e più popolare. Gumylov aveva una strana teoria, essa sosteneva che i poeti avrebbero dovuto governare le nazioni, e fece sapere a Chesterton che lui avrebbe avuto diritto alla corona inglese! Circa una ventina d'anni dopo Chesterton menzionò nella sua Autobiografia quel "pazzo poeta russo".




un ritratto di Nicholas Gumylov


Chi ci dà queste preziosissime informazioni è Natalia Trauberg. La Trauberg è russa, una leggenda per i russi amanti della letteratura inglese. Legge la prima volta Chesterton nel 1944 e ne iniziò subito a tradurre le opere, per la maggior parte usciti durante il periodo sovietico attraverso il samizdat, la stampa clandestina russa quasi sempre manoscritta. Oggi è monaca ortodossa (oltre che madre di sei figli) e continua a dare lezioni a giovani traduttori e a partecipare a trasmissioni radiofoniche. Ne abbiamo trovato un'interessantissima intervista nel sito internet della rivista americana Road to Emmaus, risalente al 2002.
La Trauberg ci riferisce che Chesterton era noto e letto tra i nobili e gli eruditi russi in grado di comprendere e parlare l'inglese, anche se ci viene testimoniato che negli anni '10 del Novecento c'era chi aveva già abbozzato traduzioni di Chesterton ("Un giorno un'anziana donna mi mandò la traduzione di Chesterton eseguita da sua nonna. Sua nonna l'aveva scoperto e lo traduceva già prima della rivoluzione").
C'erano in quegli anni molti russi che amavano l'Inghilterra, dice Natalia Trauberg, e la letteratura inglese, e notarono subito il grande successo presto raggiunto, già nei primi anni del secolo, dallo scrittore di Beaconsfield. Uno dei paradossi è che la popolarità di Chesterton crebbe anche dopo la Rivoluzione d'Ottobre. Nei primi anni Venti gente di cinema ed intellettuali di sinistra iniziarono ad apprezzarlo, anche se molti di loro furono presto delusi. Molti però continuarono ad apprezzarlo come un moderno inglese eccentrico. Lo stesso Eisenstein (il regista dei film "Alexander Nevskij" e "La Corazzata Potemkin", per intenderci), leggendolo, ne sottolineava i passaggi da lui ritenuti migliori. Un passaggio da lui apprezzato, per esempio, è quello in cui Gilbert si chiede il perché del fatto che diciamo che un uomo è bianco quando invece è rosaceo-giallastro-beige, o perché diciamo "vino bianco" quando è giallastro. Solo che Eisenstein apprezzava solo questa idea dei cliches. In effetti alcuni intellettuali russi di quel decennio credevano che Chesterton li avrebbe aiutati a scardinare i cliches in voga e che gli stessi avrebbero potuto essere rimpiazzati dalle loro idee. Alcuni addirittura arrivarono a pensare di Chesterton che fosse ideologicamente l'ala più a sinistra dell'estrema sinistra... ma qualche tempo dopo si accorsero che era cristiano, come dire? al cento per cento, e non si capacitavano che uno come lui potesse esserlo...


nella foto: Sergej Eisenstein

"Il ruolo di Chesterton -dice Natalia Trauberg- qui in Russia fu molto strano. Per venti o anche trent'anni sino al 1958 egli fu un tesoro seminascosto (non del tutto proibito, ma non interamente permesso) della cultura degli anni Venti".

La Trauberg riferisce che alla prima lettura ne apprezzò la mistura di "chiacchierata intima e sorprendente libertà", e si accorse "che 'religioso' e 'libero' erano la stessa cosa". Ma il vero amore per Chesterton nacque nel 1946 all'università, quando lesse il Ritorno di Don Chisciotte (inedito in Italia). Dice ancora la Trauberg: "Da studente osservavo la gente che incontravo così: davo loro Chesterton da leggere, e quelli che lo apprezzavano, sapevo, erano più vicini a me di quelli che non lo apprezzavano. Erano persone di una diversa libertà d'animo, persone non programmate, e io sono molto grata a loro per questo. Nella mia università ce n'erano cinque così".
Dice ancora la studiosa russa: "Ciò che mi prese (di Chesterton, ndr) fu la sua bellezza, e poi... la sua purezza. Quella tremenda purezza. Io ero impaurita dalla purezza angelica. Era importante per me perché la mia famiglia era molto bohemienne. Fu nel 1946, un tempo bruttissimo, ma quando presi quel libro vi trovai il paradiso. Non potevo vivere senza di lui. Ero quasi pazza per tutte quelle calamità ed egli mi salvò". In quel momento, dice ancora la Trauberg, le uniche voci di sanità e virtù cui attaccarsi "erano la Bibbia e Chesterton". Riferisce poi che i suoi saggi non potevano essere letti, perché considerati letteratura religiosa, ed essi erano introvabili. Erano invece reperibili le Storie di Padre Brown e qualche altro romanzo. Nel 1953, a Mosca, trovò saggi e opuscoli, iniziò a leggerli e a tradurli per il samizdat. Tradusse quattro romanzi: L'Uomo che fu Giovedì, L'Osteria Volante, La Sfera e la Croce e il Don Chisciotte. Dei saggi tradusse L'Uomo Eterno, San Tommaso, San Francesco, Dickens e metà di Ortodossia, nonché l'Autobiografia.
Anche altri in Russia si interessarono a Chesterton, ad esempio Muravyov tradusse Il Napoleone di Notting Hill e Kourney Chukovsky l'Uomo Vivo.
Va pure detto che esiste una Società Chestertoniana Russa, nata in occasione dell'anniversario della nascita di Gilbert nel 1974, fondata dalla Trauberg, Sergei Averincev (lo studioso, oggi defunto, tenne una lezione al Senato della Repubblica Italiana di cui ci diede conto Andrea Monda qualche anno fa, e iniziò con una citazione di Chesterton), i fratelli Muravyov e Yuri Schrader.
Non ci crederete ma esiste anche un sito internet su Chesterton in russo anzi meglio in caratteri cirillici oltre che in lingua russa all'indirizzo www.chesterton.ru.



nella foto: Sergej Averincev

L'intera intervista, in lingua inglese (in questo articolo ne ho riportato qualche stralcio, liberamente tradotto dal sottoscritto), a Natalia Trauberg è reperibile a questo link in formato pdf.

Marco Sermarini

venerdì 25 gennaio 2008

Così si fa. Viva San Gennaro, viva Napoli.

Stasera, nel Duomo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe porterà all'altare le ampolle con il sangue del patrono per chiedere l'intercessione di San Gennaro contro l'emergenza rifiuti. Una pratica antica che risale al Seicento quando il vescovo della città espose le reliquie per combattere la peste. "Così si rifarà stasera durante la veglia di preghiera", ha detto il portavoce del cardinale.

La Chiesa di Napoli paragona l'immondizia che soffoca la città agli eventi catastrofici che hanno afflitto la Campania nei secoli: guerre, carestie, terremoti e la terribile peste del Seicento, contro la quale, anche allora, i fedeli si riunirono in processione dietro alle reliquie di San Gennaro. "Di fronte allo scempio che della città viene fatto, sento come un lutto al cuore", aveva detto nei giorni scorsi il Cardinale.

Il Papa e le comunicazioni

Cliccando il titolo troverete uno stralcio del discorso del Papa sui media all'interno del blog della Compagnia dedi Tipi Loschi del beato Pier Giorgio Frassati.

Il Papa fonte continua della nostra sanità mentale

Il Papa è una fonte continua di sanità mentale, Papa Benedetto in particolare ne è un vero profluvio.
In questi giorni ha toccato temi cruciali come quelli della scuola e dell'educazione nonché quello della comunicazione.
Vi metteremo a disposizione i relativi discorsi. Ma -torniamo a ripeterci- non Gli si sta dietro!

Dovremmo fare, ogni tanto, un buon esercizio, che in molti del popolo minuto stanno facendo: andarlo a sentire!

Se avete fatto caso, gli Angelus -che si possono vedere in TV la domenica e nelle feste- sono sempre più pieni di gente che va ad ascoltare il Papa. Ascoltare.

mercoledì 23 gennaio 2008

Chesterton in altre parole - 6

Trovo molto bello e interessante il giudizio di Ferdinando Castelli su Chesterton, riprodotto nell'articolo di Avvenire e che vi ripropongo evidenziato:

"Per il gesuita Ferdinando Castelli,
critico letterario de 'La Civiltà Cattolica', vale adesso più che mai la citazione di Emilio Cecchi su Chesterton: «È come un Padre della Chiesa obbligato dalle necessità dei tempi a predicare in uno stile burlesco alle turbe di degli scettici e dei gaudenti». E qui la chiosa di Castelli: «Tale definizione ha valore anche oggi, per più motivi. Anzitutto nelle opere di Chesterton è riflessa l’immagine dell’uomo completo, che ama la birra e la sua donna, l’avventura e la novità. Inoltre, vi è insito quella che lui stesso definiva 'il più grande segreto del cristianesimo', ovvero la gioia». Per il critico letterario, poi, «Chesterton oggi suscita simpatia perché fa risaltare la libertà che egli identifica con il dogma. Infine, nei suoi libri, valorizza tutte le piccole cose della vita, la libertà il sole, il sesso, l’aria, tutto in uno stile splendido e ricco di fantasia»".

La Società Chestertoniana Italiana e Morganti Editori su Avvenire di oggi!


Sono molto molto contento che si parli di noi e di Morganti Editori sull'Avvenire di oggi 23 Gennaio 2008!

Cliccando il titolo andate alla pagina del sito di Avvenire (rubrica Agorà), ma sono così lieto che Chesterton sia nostro caro amico che l'articolo lo schiaffiamo tutto intero qui sotto.

Che bello!

La primavera di Chesterton
IL CASO. L’editoria italiana riscopre il grande scrittore inglese noto soprattutto per i gialli su Padre Brown. Il commento degli esperti.

L’editrice Morganti lancia un’intera collana dedicata a GKC. Dice il regista tv Enrico Ghezzi, che ha scritto la prefazione per due libri Bompiani: «Ne ho sempre subito l’incanto».

DI LORENZO FAZZINI

L’ alba di una splendente primavera per GKC? Una serie di indizi fanno intuire che per l’autore di Ortodossia (quest’anno cadono i 100 anni della sua pubblicazione) si stanno riaprendo, con successo, le porte delle librerie di casa nostra.
Gilbert Keith Chesterton, il noto scrittore inglese che si firmava con la sigla sopraproposta, sembra suscitare nuovo interesse nel mercato librario italiano. I fatti: Bompiani ha appena mandato in stampa le nuove edizioni de L’osteria volante e di L’uomo che fu Giovedì, entrambe con prefazione del 'padre' di 'Blob', Enrico Ghezzi; Lindau a breve lancerà una traduzione rinnovata di «San Francesco d’Assisi», testo pubblicato pochi mesi dopo la conversione di GKC al cattolicesimo, avvenuta nel 1922; Excelsior ha appena dato alle stampe l’inedito - in italiano - L’utopia degli usurai. Infine, Morganti ha lanciato un’intera collana dedicata allo scrittore morto a Beaconsfield nel 1936: realizzata in collaborazione con la Società Chestertoniana Italiana, la raccolta è appena iniziata con Il candore di Padre Brown, cui seguiranno - con cadenza bimestrale fino al termine del 2009 altri 11 volumi, anche qui una nuova traduzione, più fedele al testo originario. L’ultimo tentativo chestertoniano organico fu portato avanti, a metà degli anni Novanta, dalla casa editrice Piemme, che però oggi di GKC non ha nessun testo in catalogo.
Ghezzi, nella sua prefazione, scriveva di essersi augurato «con inane dolcezza» la ristampa di testi chestertoniani vista la sua «mancanza in questo presente, o semplicemente nelle librerie quando si va a cercare un’edizione anche recente». Anche il regista televisivo ha capitolato di fronte a GKC: «Mi è capitato di trovarmi di subirne riottoso l’incanto». Ma le lodi dell’autore tv restano soprattutto rivolte al tratto letterario di GKC più che al suo pensiero: in particolare Ghezzi ne enfatizza «il ciondolare della scrittura tra accensioni liriche e deviazioni descrittive», apprezzandone «l’indifferenza geniale alla dimensione temporale».
Ma è vera rinascita, questa, per l’amico di Hilaire Belloc?
Chesterton interessa più come giallista o come autore 'metafisico'? Una risposta a metà strada arriva dalla Morganti: «Da un’indagine di mercato - afferma la responsabile Stefania Conte Chesterton, soprattutto per i racconti del prete-investigatore padre Brown, si è rivelato uno scrittore ricercato da un pubblico eterogeneo di lettori che amano leggere opere di narrativa in grado di sollecitare un palese buon umore e domande di natura esistenziale, senza false retoriche o sterili ideologie».
Ferruccio Parazzoli, scrittore e già direttore degli Oscar Mondadori, tra i primi a rilanciare le storie del reverendo-detective di Chesterton, propende più per una riscoperta 'impegnata' di GKC: «Premesso che oggi il giallo non è un genere nella narrativa ma è narrativa tout court, non penso che i lettori di gialli vadano a prendersi Chesterton per leggere padre Brown. Ne rimarrebbero delusi, nel senso che il palato che si sono fatti con i thriller di oggi è abbastanza pesante: i romanzi attuali sono legati alla cronaca e la criminalità dei nostri giorni non è molto raffinata. In padre Brown invece si trovano cose sottilissime, c’è la metafisica e anche l’esoterismo; ci sono trabocchetti in mezzo a tanto divertimento». Per questo Parazzoli ritiene invece che, se per lo scrittore baffuto di Londra un interesse di ritorno esiste, esso è legato a «un’apertura metafisica, più che religiosa, presente in tutto Chesterton. Resta da vedere se, in tale riscoperta, questo autore può essere un’alternativa a quell’idea di narrativa che io ho definito 'dai tetti in giù'. Penso che ci sia bisogno di questa letteratura: non so dire se Chesterton sia la risposta giusta».
Per il gesuita Ferdinando Castelli, critico letterario de 'La Civiltà Cattolica', vale adesso più che mai la citazione di Emilio Cecchi su Chesterton: «È come un Padre della Chiesa obbligato dalle necessità dei tempi a predicare in uno stile burlesco alle turbe di degli scettici e dei gaudenti». E qui la chiosa di Castelli: «Tale definizione ha valore anche oggi, per più motivi.
Anzitutto nelle opere di Chesterton è riflessa l’immagine dell’uomo completo, che ama la birra e la sua donna, l’avventura e la novità.
Inoltre, vi è insito quella che lui stesso definiva 'il più grande segreto del cristianesimo', ovvero la gioia». Per il critico letterario, poi, «Chesterton oggi suscita simpatia perché fa risaltare la libertà che egli identifica con il dogma. Infine, nei suoi libri, valorizza tutte le piccole cose della vita, la libertà il sole, il sesso, l’aria, tutto in uno stile splendido e ricco di fantasia».

martedì 22 gennaio 2008

Chesterton è attuale - 16

da Avvenire, 22 - 01- 2008
Bellissima citazione di Chesterton. Il neretto è nostro. Grazie, Paolo Pegoraro.

SOGNO PUNGENTE

di LAURA BOSIO


«Leggo su uno degli ultimi numeri di «Lo straniero» che Totò sognava di fare uno spettacolo: è in scena in una stanza perfettamente arredata e a un tratto comincia a rompere suppellettili, prima piano poi più in fretta, finché in questo rumore di distruzione arriva la musica, la musica della fine di tutte le cose vecchie e l’inizio di quelle nuove. Non ha potuto suonare la sua musica fino in fondo: quella che doveva distruggere, in una lingua ebbra, la lingua del piccolo burocrate sentimentale che impersonava, i luoghi comuni, la violenza e la stupidità dei potenti, o presunti tali. In un pezzo famoso raccontava di essersi lasciato picchiare senza dire al picchiatore che lo aveva scambiato per un altro: voleva vedere fino a che punto quello 'stupido' sarebbe arrivato. Ma chi era lo stupido? Totò che si era fatto vittima o il carnefice che doveva comunque picchiare qualcuno, chiunque fosse? Non è cambiata molto la società che sognava di distruggere. Per una rivoluzione morale, ha scritto Chesterton, servono un più pungente dispiacere e un più pungente piacere: il primo per vedere il mondo come il castello dell’orco da smantellare e il secondo per ricostruirlo dalle macerie come una casa dove tornare la sera.
»

Chesterton è attuale - 15

Cliccando il titolo trovate un'intervista a tutto campo a Eugenia Roccella, esponente di spicco del Family Day 2007 e fortemente schierata per la vita e l'ordine sano della famiglia. Dal sito di Romasette. Qui sotto la Roccella chiama in causa il nostro Chesterton...

D.: Per la pace familiare, dice il Papa, sono necessarie due condizioni: l’apertura a un patrimonio trascendente di valori e una saggia gestione dei beni materiali. Un monito allo stile di vita di tanti italiani…
R.: L’apertura al trascendente è fondamentale per l’affidamento reciproco. Se lo negassimo tutto sarebbe minato alle fondamenta. La famiglia è il contrario del mercato. Per dirla con Chesterton, una cellula anarchica dove vigono delle regole proprie, che non sono né dello Stato né del mercato. Una camera di compensazione a protezione dell’individuo. Se gli togli la famiglia, l’individuo diventa il perfetto consumatore, solo davanti al mercato e allo stato.

E' tornato don Matteo!


E' tornato per la sesta volta Don Matteo, il prete della fortunatissima serie televisiva interpretato dal simpatico ed inossidabile Terence Hill.

Lo segnaliamo perché è uno degli ormai rari esempi di televisione di fronte alla quale si può stare tutti insieme, possono stare i bambini senza essere scandalizzati da chissà quale porcata o che altro.

Lo segnaliamo come abbiamo fatto in passato perché è pieno di riferimenti cristiani e perché Terence Hill insiste a richiamare le radici nobili per il suo personaggio:

"Don Matteo si fonda su Padre Brown, il personaggio celeberrimo di Chesterton, si muove cioè dall'idea che un sacerdote potrebbe saperne molto di più dell'animo umano che un poliziotto. E' questa la chiave che ci ha sempre guidato e che ci guida".

E poi c'è Nino Frassica che sinceramente basta che muova la faccia e già fa ridere...!

Chesterton su Hilaire Belloc


Un'immagine giovanile di Hilaire Belloc


Segnalatoci gentilmente dall'Apota, mettiamo a disposizione di tutti un bellissimo brano di Chesterton, uscito su di una delle tante riviste alle quali collaborava, sul suo caro amico Hilaire Belloc.
Sa di amicizia e di belle cose.

Quando feci la conoscenza di Belloc egli stava dicendo all’amico che ci aveva presentati che si sentiva di cattivo umore. Ma il suo cattivo umore era ed è di gran lunga più loquace e vivace del buon umore di qualunque altra persona. Egli seguitò a parlare fino a notte inoltrata, e quando se ne andò aveva lasciato una traccia scintillante di cose buone. E dicendo cose buone (il che non corrisponde affatto ai semplici bons mots), ho già detto tutto quello che vi è da dire sul lato serio di un uomo che fra tutti quelli del mio tempo ha combattuto la più grande battaglia in difesa delle cose buone.
Il nostro incontro avvenne fra un piccolo giornalaio e un modesto ristorante di Soho; lui aveva braccia e tasche piene di giornali atei e di giornali nazionalisti francesi. Un cappello di paglia gli ombreggiava gli occhi che sono autentici occhi di marinaio, e dava rilievo al suo mento napoletano. Stava parlando di Re Giovanni, che, mi assicurò, non fu assolutamente (come spesso dicono) il miglior re che abbia regnato in Inghilterra. Tuttavia bisogna perdonargli qualche cosa, voglio dire perdonare a Re Giovanni, non a Belloc. “Era stato reggente”, disse Belloc con condiscendenza, “e in tutto il Medioevo non vi è alcun esempio di un Reggente abile”. Lì per lì non possedevo alcun bravo Reggente da opporre alla sua generalizzazione, e quando ci ripensai, vidi che l’affermazione era veritiera. E lo stesso ho poi notato di molte altre drastiche osservazioni provenienti dalla stessa fonte.
Il modesto ristorante nel quale entrammo era frequentato abitualmente da tre o quattro amici comuni che dividevano con noi opinioni molto precise ma niente affatto ortodosse sulla Guerra contro i Boeri che stava allora riportando i suoi primi successi di prestigio. Quasi tutti scrivevamo sullo Speaker, diretto da J.L-Hammond, e con una tale indipendenza di opinioni che non finirò mai di credere che proprio ad essa andiamo debitori di gran parte della più onesta critica politica odierna; lo stesso Belloc vi scriveva saggi di un’ironia oltremodo elusiva. Per capire come la sua intelligenza latina, specialmente profonda in materia di storia e di politica estera, facesse di lui un vero capo, è necessario valutare almeno un poco la singolare posizione di quel gruppo di Pro-Boeri. Eravamo una minoranza dentro una minoranza. In Inghilterra erano pochi quelli che onestamente disapprovavano l’avventura del Transvaal, ma anche fra quei pochi, in numero notevole, e forse nella maggioranza, vi si opponevano per motivi non solo diversi dai nostri, ma quasi opposti. Molti erano pacifisti, quasi tutti erano seguaci di Cobden; i più saggi erano sani ma nebulosi liberali i quali ritenevano a ragione che la tradizione di Gladstone fosse meno rischiosa dell’opportunismo dell’imperialismo liberale. Ma di noi, con termine più appropriato, si poteva dire che eravamo esattamente dei Pro-Boeri.
E cioè insistevamo nel dire che i Boeri avevano ragione di combattere, molto più di quanto insistessimo nel dire che avevano torto gli Inglesi di combattere. Per la pace cosmopolita avevamo quasi la stessa antipatia che nutrivamo per la guerra cosmopolita, e sarebbe stato difficile dire se disprezzavamo di più quelli che lodavano la guerra per il denaro che faceva guadagnare, o più quelli che biasimavano la guerra per la perdita di denaro che essa causava. Non pochi giovani d’allora si sentivano attratti da questo atteggiamento. F.Y. Eccles, studioso e critico di lingua francese, e forse uomo di cultura troppo sottile per giungere alla fama, era in possesso di ogni possibile dato classico da opporre a quel prussianesimo piratesco; lo stesso Hammond, con prudente magnanimità aggrediva sempre l’imperialismo come falsa religione e non soltanto come aperta frode; quanto a me, avevo le mie manie intorno al valore romantico delle cose piccole, ivi comprese le piccole nazioni. Ma fra noi Belloc entrò come un guerriero armato di sonante armatura. Recava con sé le notizie del fronte della storia; informava che le arti francesi si sarebbero potute di nuovo salvare per mezzo delle armi francesi; diceva che il cinico imperialismo non solo era da combattere, ma poteva essere combattuto e lo si stava combattendo; diceva che la lotta di strada in strada che per me era una favola dell’avvenire era per lui un fatto del passato. A molti altri usi il suo genio si applicava, ma ora voglio parlare di questo primo effetto che esso ebbe sui nostri ideali istintivi e a volte imprecisi. Ciò che egli introdusse nei nostri sogni fu la sua romana aspirazione alla realtà e alla ragione come informatrice dell’azione, e quando egli si affacciava all’ingresso portava con sé il senso del pericolo.
Vi era in lui un altro importante elemento che in quella crisi ebbe modo di farsi limpido. Per buon colmo d’ironia, in lui diverse cose erano in contrasto le une con le altre, e non soltanto nel senso umano ed ordinario del bene che va contro il male, ma nel senso di una cosa buona che si oppone ad altra pure buona. Il più che singolare e addirittura unico atteggiamento del nostro piccolo gruppo si riassumeva in lui esattamente in questo, nel fatto cioè che egli amava ed ama cordialissimamente l’Inghilterra non come un dovere, bensì come un piacere e quasi una debolezza, ma insieme aborriva non meno intensamente ciò che l’Inghilterra mostrava di voler diventare. Appunto a causa di questo, nella sua poesia compariva una specie di dubbio o incertezza che non può trovar posto nell’inglese vago e omogeneo; qualcosa che a volte diventava un misto di amore e di odio. Lo si nota, per esempio nel bell’intermezzo che rompe il felice canto di amicizia intitolato “Agli uomini di Balliol ancora nel Sud Africa”:

Già prima lo dissi, e lo ripeto ancora,

vi è stato un tradimento e una parola falsa,
e l’Inghilterra in preda alla feccia degli uomini,
e corruzioni e la rottura di un trattato.

(I have said it before, and I say it again,
there was treason done and false word spoken,
and England under the dregs of men,
and bribes about and a treaty broken)

Caratteristico dell’epoca il fatto che un settimanale altamente rispettabile e ponderato di offerse seriamente di pubblicare il poema purché venisse omessa quella strofa centrale. Tale conflitto di emozioni si mostra in misura ancor più concreta nel poema grandioso e misterioso intitolato “Il Condottiero”, in cui il fantasma di un nobile militarismo si fa avanti per rimproverare quello di bassa lega:

E dove era stata la disfatta oscena
era un esercito fermo e orgoglioso,
centomila uomini marciavano,
venti ventine di squadroni,
e dopo loro venivano i cannoni, e cannoni;
ma Ella procedeva avanti a tutti.

(And where had been the rout obscene
was an army straight with pride,
a hundred thousand marching men,
of squadrons twenty score,
and after them all the guns, the guns,
but She went on before)

A partire da quella che fu la nostra piccola rivolta, si può dire senza esagerazione che Belloc abbia condotto in seguito bene tre rivoluzioni, la prima rappresentata dal periodico Eye-Witness, diventato ora il New-Witness, fu il ripudio di tutti e due i grandi partiti parlamentari per la corruzione che praticano sistematicamente e fin nei dettagli; la seconda fu lo squillo di allarme di fronte all’enorme e silenziosa avanzata dello Stato servile il quale adopera come strumenti tanto i socialisti quanto gli anti-socialisti; e in terzo luogo, la sua recente campagna per istruire il pubblico intorno agli affari militari. E ogni volta occupò il posto direttivo che già aveva tenuto nel nostro piccolo partito di Pro-Boeri. Era l’uomo d’azione delle cose astratte, e a sostegno dell’audacia aveva la sua grande sobrietà. E’ appunto in questo, e forse in questo solo, che egli è essenzialmente francese, che appartiene al popolo il quale è il più prudente del mondo quanto ad individui singoli, e anche il più spericolato della terra nella sua essenza collettiva. Infatti una parte di lui è romantica, addirittura stravagante nel senso preciso del termine; ma si tratta della parte che è inglese. I francesi invece tengono da conto il soldino non perché la moneta di grosso taglio badi a sé, come dicono agli inglesi, ma perché faccia la pazza quanto vuole. Belloc è quasi materialista nei dettagli, allo scopo d’essere nei fini ciò che la maggioranza degli inglesi chiamerebbero un mistico, per non dire una mostruosità. E con ciò si trova perfettamente inserito nella tradizione del solo paese in cui le rivoluzioni hanno avuto successo. Appunto perché la Francia vuole compiere imprese ardite, le imprese non dovranno essere troppo ardite, mentre un inglese spericolato come Blake o Shelley si accontenta di sognarle. E quanto sia latina questa combinazione tra economia ed energia dell’intelletto lo si può vedere paragonando Belloc al suo grande precursore, il Cobbet, il quale condusse la guerra contro la stessa ricchezza e la medesima segretezza degli Wighs suoi contemporanei, e in difesa della stessa dignità umana e del medesimo patrimonio domestico. Ma il Cobbet, essendo soltanto inglese, si serviva di un linguaggio fantasioso anche parlando di cose pubbliche e serie, ed era travolgentemente romantico anche quando aveva semplicemente ragione. Ma lo stile di Belloc è sovente sobrio e violento soltanto nella sostanza. Vari paragrafi di accuse da lui scritti si potrebbero dire quasi incolori se non fosse per la dinamica del significato.
Probabilmente mi sono dilungato troppo su questa fase del mio amico, ma la ragione è che in essa appunto egli mi appare diverso da tutti e perciò dotato di una carica drammatica. Non ho parlato di quelle sue guide gloriose e fantastiche che si potrebbero chiamare i testi di perfetta scienza del vagabondare. Con essi egli si eleva al di sopra della terra insieme con quei poeti che Keats immaginava a cena con una celeste Sirena. Ma la sirena era inglese, come lo era anche Keats. E per quanto Hilaire Belloc abbia il nome francese, io credo che Peter Wanderwide sia inglese al cento per cento.
Non ho detto nulla della realtà più profonda di Belloc, cioè della religione, perché ciò supera l’importanza del presente discorso; e non ho detto nulla dei più recenti attacchi sferrati contro i lui dal principale trust della stampa, perché troppo meschini. Naturalmente vi sono molte altre ragioni che mi impediscono di trattare qui tali argomenti, compreso il motivo della mancanza di spazio; ma vi è anche una piccola ragione, che se non esattamente un segreto, è almeno un motivo di silenzio molto ovvio: io ho la certezza quasi assoluta che fra non molto la gente si chiederà: “Chi era mai questo signor Tizio con il quale pare che Belloc abbia intrattenuto delle conversazioni?”
(1929)

Chesterton su culturacattolica.it


www.culturacattolica.it è un bel sito internet, il cui oggetto credo sia facilmente immaginabile.
E' bello anche perché riporta una interessante serie di saggi su Chesterton, a cui potete accedere cliccando qui.
Oppure anche il nostro titolo.

Chesterton in Russia.


Non tutti sanno che Chesterton ha molti seguaci in Russia.
E' una cosa di cui vi parleremo più diffusamente.
Merita attenzione, anche perché Chesterton è una scoperta non recente per i russi.
D'altronde Innocenzo Smith passò anche da lì, mentre cercava la sua casa...

Dunque a presto.
Un po' di suspence...

lunedì 21 gennaio 2008

Il successore di Don Benzi rilancia la battaglia per la vita: “La moratoria contro l’aborto è più urgente di quella contro la pena di morte”

Giovanni Paolo Ramonda, 47 anni, piemontese, è stato eletto come successore di don Oreste Benzi alla guida dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII per i prossimi sei anni.

“Noi combatteremo per il riconoscimento del valore della vita – ha affermato –. La moratoria contro l’aborto è, probabilmente, ancora più necessaria e urgente di quella contro la pena di morte”.

Il Papa e la Sapienza - un giudizio

Sono il presidente di questa Società, tanto abbiamo detto e fatto in questi giorni per il nostro carissimo Papa.
Posso dire la mia in proposito?
Conta come quella degli altri, beninteso...

Mi dispiace per tutto quello che è successo al Papa in questi giorni. Ho pensato: chissà quanti mal di pancia, povero Papa nostro, Lui che è un uomo buono e mite (persone mie amiche che lo conoscono molto bene me lo hanno tutte descritto così, e comunque si vede! Ha lo sguardo innocente anche a ottant'anni e che Dio ce lo conservi per lunghi anni ancora).

Non è stato facile sapersi comportare, ed è stato grandissimo.
Personalmente credo che questo polverone, partito in sordina mesi fa, sia stato causato proprio dalla stampa ostile al Papa e ai cattolici, prima ancora che dai sessantasette professori e dal manipolo sparuto di studenti anticattolici (laici, laicisti, atei... chiamateli come vi pare: ce l'hanno col Papa, con la Chiesa Cattolica e con noi, punto e basta, poi ci sarebbe altro da dire, ma la sostanza è questa).

Quella petizione, o documento, contro il Papa era finita quasi nel dimenticatoio, da quello che ho capito. Poi qualcheduno ha pensato bene di riesumarla.
Oggi è patetico che di fronte al macello successo tutti dicono di essere solidali col Papa, salvo quei sessantasette, gli studenti settari, Marco Pannella, Eugenio Scalfari, il Sindaco di San Benedetto del Tronto che è la mia città (questo mi fa capire molte cose) e pochi altri, quando Repubblica e Corriere hanno tirato su un tale brodetto (alla sambenedettese, mi verrebbe da dire...) che oggi fare finta di niente è davvero paradossale.

Sembra che sia stato qualcun altro. Che buffo! Quando si sono accorti di essere stati assurdi, è stato come coi bambini con le manine sporche di marmellata che dicono: è stato lui, a quello vicino.

Poi tutte le finte polemiche sui politici in piazza San Pietro: Dio sa cosa avevano in mente nel farlo, e pensare che il gesto non fosse opportuno perché qualcuno poteva strumentalizzarlo è una considerazione da "anime belle" che non serve a niente e che ha come risposta il motto della Società Chestertoniana Italiana: se una cosa vale la pena di farla, vale la pena di farla male (con la considerazione ulteriore che questa invece è stata fatta pure bene, quindi...).

Quei duecentomila (la faccenda è stata organizzata in tre giorni praticamente col tam tam, datecene altri tre e saremo il doppio e pure di più, giusto per capirci) stanno a testimoniare che ci siamo e che comunque dovranno fare i conti anche con noi, che non staremo a guardare il diavolo, la ragione finta, l'ideologia impadronirsi dell'Italia e delle capocce degli italiani, che ci saranno altri diecimila occasioni come questa, come il referendum sulla legge 40, come il Family Day e come miliardi di altre ancora, più spicce e più personali, in cui diremo che siamo cattolici e che per noi esserlo conta.

Viva il Papa, nunc et semper!

Marco Sermarini

La giornata della solidarietà a Papa Benedetto.

La sintesi di ieri con le parole di Andrea Tornielli su Il Giornale di oggi.
Per la cronaca, c'erano anche diversi chestertoniani.

Roma - "Vi incoraggio a essere sempre rispettosi delle opinioni altrui e a ricercare, con spirito libero e responsabile, la verità e il bene". Ha il sorriso sulle labbra Benedetto XVI, commosso per la calorosa partecipazione dei duecentomila venuti in piazza San Pietro da tutta Italia per dimostrargli affetto e vicinanza.

Non rinfocola polemiche. Mostra ancora una volta, con la sua mitezza, come disponibilità al dialogo e fedeltà alla ragione stiano dalla parte del vescovo di Roma che non ha potuto recarsi alla Sapienza. Ma non rinuncia alla possibilità di dare una piccola grande lezione a quanti gli hanno sbarrato le porte accusandolo di oscurantismo, chiudendo così definitivamente l’incidente che ha messo ancora una volta alla berlina il nostro Paese di fronte al mondo.

La piazza è gremitissima quando, a mezzogiorno in punto, Ratzinger si è affacciato, accolto dagli applausi. Come previsto, il Papa ha dedicato la sua breve meditazione all’unità dei cristiani, quindi ha recitato la preghiera mariana. Poi ha aggiunto: «Desidero anzitutto salutare i giovani universitari, i professori e voi tutti che siete venuti oggi così numerosi in Piazza San Pietro per partecipare alla preghiera dell’Angelus e per esprimermi la vostra solidarietà; un pensiero di saluto va anche ai molti altri che si uniscono a noi spiritualmente. Vi ringrazio di cuore, cari amici; ringrazio il cardinale vicario che si è fatto promotore di questo momento di incontro». Benedetto XVI ha quindi parlato delle circostanze che lo hanno portato a rinunciare alla visita all’ateneo romano. «Come sapete, avevo accolto molto volentieri il cortese invito che mi era stato rivolto a intervenire giovedì scorso all’inaugurazione dell’anno accademico della Sapienza. Conosco bene questo ateneo, lo stimo e sono affezionato agli studenti che lo frequentano: ogni anno in più occasioni molti di essi vengono a incontrarmi in Vaticano, assieme ai colleghi delle altre università. Purtroppo, com’è noto, il clima che si era creato ha reso inopportuna la mia presenza alla cerimonia». Nessun accenno diretto alle proteste e alla polemica lettera dei professori di Fisica, ma è stato evidente a tutti a quale «clima» il Papa intendesse riferirsi.
«Ho soprasseduto mio malgrado ma ho voluto comunque inviare il testo da me preparato per l’occasione», ha detto il Pontefice, aggiungendo a braccio di averlo scritto «nei giorni dopo Natale».

«All’ambiente universitario – ha continuato – che per lunghi anni è stato il mio mondo, mi legano l’amore per la ricerca della verità, per il confronto, per il dialogo franco e rispettoso delle reciproche posizioni. Tutto ciò è anche missione della Chiesa, impegnata a seguire fedelmente Gesù, maestro di vita, di verità e di amore».

Poi l’invito finale: «Come professore, per così dire, emerito che ha incontrato tanti studenti nella sua vita, vi incoraggio tutti, cari universitari, a essere sempre rispettosi delle opinioni altrui e a ricercare, con spirito libero e responsabile, la verità e il bene. A tutti e a ciascuno rinnovo l’espressione della mia gratitudine, assicurando il mio affetto e la mia preghiera».

Dopo aver pronunciato altri saluti in varie lingue, prima di rientrare, applauditissimo, Benedetto XVI ha concluso a braccio: «A tutti voi buona settimana. Andiamo avanti in questo spirito di libertà e verità, per una società più fraterna e tollerante». Un saluto fuori dal comune per la sua lunghezza, mite nei toni e nei contenuti, non polemico, ma al tempo stesso puntuale, che non ha rinunciato di entrare nel merito della questione. Nelle ultime ore, nell’entourage del Pontefice, si è discusso se, e come, riferirsi direttamente alla cancellazione della visita alla Sapienza. Secondo le indiscrezioni filtrate dai sacri palazzi, in segreteria di Stato sarebbero state preparate due bozze per l’Angelus: una con un testo più breve e di routine, la seconda più lunga e dettagliata, per la quale alla fine Benedetto XVI ha optato spiegando, seppur con il sorriso sulle labbra, il rammarico per la visita mancata.

Il Papa e la Madonna, punti sicuri di riferimento.


Io, Uomo Vivo, sono un sostenitore di Radio Maria.
Qui sotto trovate l'ultima newsletter di Padre Livio Fanzaga, il fondatore e l'anima di questa splendida radio.
Mi piace quello che dice ed è vero.

Cari amici, in tempi di sbandamenti nella fede i punti sicuri di riferimento sono il Papa e la Madonna. Chi segue queste due stelle che brillano insieme è certo che non si perderà mai sulle vie dell'errore e dell'incredulità. Il Papa è il "dolce Cristo in terra" affermava S. Caterina da Siena. La santa senese, quando aveva solo sei anni, vide Gesù vesito da Papa. Poteva esserci un'immagine più eloquente? Ogni cattolico, e tanto più ogni sacerdote, deve guardare al Papa come a Gesù Cristo. Deve ascoltare la sua parola come se parlasse Gesù Cristo. Deve ubbidire gioiosamente come se comandasse Gesù Cristo. La Madonna è la Madre della Chiesa. Lei la custodisce nell'unità della fede e nel vincolo della pace. Nelle apparizioni dei tempi moderni la Madonna ha sempre uno sguardo particolare per il Papa, indicandolo come colui attraverso il quale Gesù, Buon Pastore, pasce le sue pecorelle. E' sintomatico che chi critica la Madonna, critica anche il Papa e chi è freddo con la Madonna è freddo anche con il Papa. Noi dobbiamo amare e seguire Maria e il Papa e con loro testimoniare nel mondo la luce, la speranza e l'amore.
Vostro P. Livio

venerdì 18 gennaio 2008

Un aforisma al giorno - 11


Pazzo non è chi ha perso la ragione, ma chi ha perso tutto fuorché la ragione.
Da Ortodossia

Alcuni giudizi sulla questione de La Sapienza

Tra le diverse ragioni che hanno determinato la mancata visita del papa alla Sapienza, – l’ennesima mistificazione fatta da illustri intellettuali e dai soliti noti sulle vere parole del papa, l’amplificazione mediatica della protesta di pochi professori e studenti violenti, la conseguente incapacità a garantire l’ordine pubblico nella capitale…–, quella ideologica è di particolare interesse perché è all& rsquo;origine di tutte le altre. …I fautori della “libera ricerca” ritengono che il papa possa parlare in una università, a patto di condividere la loro visione del mondo e delle cose e considerano un’inammissibile ingerenza quel richiamo ad allargare la ragione da lui richiesto a Ratisbona e ripetuto sempre nel discorso che avrebbe voluto pronunciare alla Sapienza: “Il pericolo del mondo occidentale – per parlare solo di questo – è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo”. …La ragione dell’opposizione ad un papa che nella sua vita non ha mai evitato il confronto con chiunque è il suo non as servimento a quel radicalismo relativista, scettico e materialista che ha già appiattito la vita della scienza e della cultura negli ultimi tre secoli. Non si tratta più di scienza: si tratta di ideologia, un sistema di idee che decide di evitare il confronto attribuendosi, in contraddizione con lo stesso relativismo sbandierato, il monopolio della verità e della moralità. …Oltre a rendere l’università italiana una “discarica ideologica” - come recita un volantino di Cl sull’argomento – questa posizione rappresenta l’alba di un nuovo inquietante stato etico intollerante e oppressivo.

[Giorgio Vittadini, La discarica ideologica dell’intolleranza – il Giornale 18-01-08]

La vergogna è un sentimento laico, oggi. Vergogna per il fatto che una minoranza laicista ignorante, intollerante, violenta è riuscita a togliere il diritto di parola a un filosofo e teologo accolto a braccia aperte nelle principali università di tutto il mondo, prima e dopo la sua elezione a Papa. Vergogna per il fatto che una grande Università europea, fondata da Bonifacio VIII nel quattordicesimo secolo, è stata degradata ulteriormente e addirittura abbassata sotto l’infimo rango che purtroppo è suo da molti anni, quello di epicentro dell’insolenza intellettuale, dell’idiosincrasia epidermica verso il confronto delle idee e delle culture, di una corsa irrazionalistica verso il vuoto nichilista nella forma della beceraggine, del dileggio, del linciaggio in effigie travestito da goliardismo e da anticlericalismo… in odio a un uomo mite, colto, sensibile , il professor Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, il cui pensiero è regolarmente travisato, per stupidità ideologica, da coloro che pretenderebbero per sé la palma del libero pensiero. …

[La vergogna della Sapienza – Il Foglio 16-01-08]

…Benedetto XVI ha preferito non recitare la parte dell’ospite sgradito. Ha preferito evitare allo Stato italiano la vergogna di dover difendere la sua presenza all’Università di Roma schierando i reparti antisommossa, e ha deciso di rinunciare alla sua visita. È una grande vittoria dei laici. …Hanno trionfato i grandi pedagoghi democratici che nei giorni scorsi, dall’alto della loro sapienza, avevano detto il fatto loro a Joseph Ratzinger definendolo una personalità «intellettualmente inconsistente». … Laicità? Sì, una laicità opportunista, nutrita di uno scientismo patetico, arrogante nella sua cieca radicalità.

[Ernesto Galli della Loggia, Una sconfitta del Paese – Corriere della Sera 16-01-08]


L'Unione Europea vara la moratoria dell'uso degli embrioni nella ricerca.

Ieri a Strasburgo è stato presentato un documento che promuove e cita esplicitamente la moratoria lanciata da Avvenire (precisamente da Eugenia Roccella) il 21 Novembre scorso.
La questione è basata un ragionamento elementare: c'è chi riesce a fare ricerca di alto livello senza uccidere embrioni, perché non proviamo a farne a meno per cinque anni per poi fare il punto sui progressi realizzati?

Cliccando il nostro titolo si viene rimandati alla pagina di Avvenire sotto forma di rassegna stampa realizzata dal Forum delle Famiglie.

giovedì 17 gennaio 2008

Intervista a Stefania Conte, direttore di Morganti Editore.




Pubblichiamo qui di seguito un'intervista con Stefania Conte, direttore della casa Editrice Morganti (cliccate il nostro titolo e verrete portati al loro sito), che intrepidamente ha scelto di pubblicare numerose opere di Chesterton in una collana intitolata "Chestertoniana" con nuove traduzioni e apparato di note esplicative (mai come in Chesterton necessarie).
Diciamo che per noi chestertoniani sono stati il primo raggio di sole primaverile dopo un lungo inverno senza opere di Chesterton. Un raggio anche bello, perché la prima uscita è già bella dalla copertina.
Oltre ad una collaborazione con Morganti, è nata in molti chestertoniani una serie di curiosità cui volevamo dare delle risposte. Eccole qui!

Come mai la Morganti editori ha deciso di ripubblicare Chesterton, tra l'altro impegnandosi in un'opera di nuova traduzione e anche filologica? Dov'è nato questo interesse per un autore che fino a pochi mesi fa sembrava dimenticato?

Le decisioni in merito alla realizzazione di una qualunque collana, di un qualunque progetto editoriale, è la risultante di una serie di atti decisionali; tra questi l'indagine di mercato per verificare l'interesse dei lettori e quindi la richiesta già circolante nel mercato delle librerie. Chesterton, soprattutto per i racconti del prete investigatore padre Brown, si è rivelato essere uno scrittore ricercato da un pubblico eterogeneo di lettori che amano leggere opere di narrativa significative, in grado di sollecitare, oltre che un palese buon umore, domande di natura esistenziale, senza false retoriche o sterili ideologie. Da parte della Morganti editori, la spinta a intraprendere un progetto complesso e a lungo termine, che richiede un lavoro di più persone impegnate sulla collana monografica 'Chestertoniana', è stata voler riportare alla ribalta il grande scrittore inglese ripresentandone alcune delle opere più significative senza distorsioni e tagli, traducendo senza deformazioni anche i passi più articolati, quelli ricchi di figure retoriche, di giochi metaforici, di paradossi, che sono l'impronta stilistica dello scrittore. L'intento è di restituire ai lettori uno tra i molti messaggi che Gilbert Keith Chesterton offriva con la scrittura: stupirsi dell'assoluta unicità di ogni uomo e delle cose del mondo. Gioire del quotidiano, in modo da godere anche delle piccole cose, per evitare di perdersi nella bramosia, nell'invidia, nelle pretese. Abbiamo voluto iniziare con Il candore di padre Brown, la prima antologia che raccoglie le indagini del piccolo prete investigatore perché padre Brown, oltre a essere il personaggio letterario che lo rese celebre, incarna, sotto altre e meno mastodontiche spoglie, lo stesso scrittore, ne attesta la filosofia di vita, il suo modo di Essere-nel-mondo. Padre Brown è uno straordinario e infallibile investigatore perché usa la fede e la capacità di immedesimazione per ricostruire il crimine e per scoprirne i moventi. Padre Brown, come Chesterton, rifugge dalle ideologie, dallo scientismo, dai razionalismi della scienza moderna e ricerca il senso delle cose, anche di quelle criminose, nella natura dell'uomo, nella sua storia, nel modo con cui si relaziona al mondo e agli altri. Il piccolo prete venuto dall'Essex e il suo creatore sono dei grandi e sinceri umanisti.

Noi avevamo pensato, visto che la Morganti vanta dei deliziosi testi di cucina, gastronomia, enologia tra i suoi titoli (ed ha un motto interessantissimo...), che il nesso con Chesterton fosse soprattutto... di stomaco, vista la propensione tutta cattolica del Nostro per il buon mangiare e il buon bere...

Nulla di tutto questo. Morganti editori ha iniziato con un'editoria specializzata nel campo dell'enogastronomia, ma la crescita della nostra struttura editoriale ci ha consentito di evolvere e differenziare il prodotto editoriale. Anche se il nostro motto è "I nostri libri hanno inchiostri saporiti", nel senso che crediamo che il sapore della Vita si possa cogliere anche con la lettura di tutti i generi di 'buoni libri' che richiedono la complicità e la partecipazione dell’attenzione, dei sensi, delle emozioni, dei ricordi e delle idee, la decisione di curare una collana dedicata a Gilbert Keith Chesterton poggia su più complesse motivazioni, rispetto a quelle 'gastroculinarie' che in qualche modo ci accomunano al Nostro.

Avete deciso la ripubblicazione di molte delle sue opere narrative: è una scelta impegnativa sotto molti punti di vista...

Effettivamente 'Chestertoniana' è un progetto impegnativo. Morganti editori pubblicherà in nuova traduzione con un ampio apparato critico di commento e ricche note a piè pagina più di dodici titoli, tra antologie e romanzi del grande scrittore: Il candore di padre Brown, La saggezza di padre Brown, Il Club dei mestieri stravaganti, Uomovivo, L’incredulità di padre Brown, L’uomo che fu Giovedì, Il segreto di padre Brown, L’osteria volante, Lo scandalo di padre Brown, Il Napoleone di Notting Hill, La sfera e la croce, Autobiografia e Ortodossia. Stiamo anche valutando un titolo inedito in Italia, ma nulla posso dire in merito. Il gruppo dei traduttori non è ancora completo, nel senso che stiamo accuratamente selezionando dei bravi traduttori che non si limitino a un'ottima traduzione, ma che vogliano comprendere prima lo Scrittore, per donare ai lettori una versione dell'opera quanto mai fedele e significante. Ben vengano quindi delle autosegnalazioni al nostro indirizzo: letteraria@morgantieditori.it. La difficoltà, che è anche una sfida accettata, è di portare alle stampe con assoluta fedeltà i testi originali. Mi spiego: abbiamo evitato di far tagliare ai traduttori qualsiasi passo del testo che risultasse incomprensibile, di modo che l'aderenza all'opera sia reale. Chesterton ha meritato una lunga e attenta opera di traduzione e di editing, ancora in atto, che necessita di un'analisi filologica del testo e che ci ha obbligati a note di commento, a interpretazioni, a ricerche storico-sociologiche. Alla fine si darà per la prima volta estrema leggibilità e fluidità al testo; tutte le precedenti traduzioni difettavano proprio in questo: spesso vere e proprie traduzioni letterali, che rendevano il ritmo di lettura macchinoso e spesso incomprensibile. Lo scopo è di ridare dignità agli scritti di Chesterton che consideriamo letteratura e quindi, in quanto tali, sintesi della filosofia, della morale, della fantasia, della religione dello scrittore. Del resto, heideggerianamente parlando, "Il linguaggio è la casa dell'Essere". Le soddisfazioni per la Morganti editori sono già iniziate.

Raccontateci l'attività di traduzione di Chesterton...

Il primo traduttore per le opere della collana che riguardano la saga di padre Brown è una delle anime della Casa editrice, ovvero Paolo Morganti. Chestertoniano fino al midollo, ad iniziare dall'imponente mole e dal contagioso ottimismo, ha avuto un approccio al testo da tradurre non tradizionale: prima ha letto gran parte delle opere del Nostro, poi, dopo aver cercato di comprenderne il carattere e gli stilemi narrativi, si è buttato sulla traduzione. Lo sentivamo ridere e per gli editor e i correttori di bozze era un buon segno.


Trovate ancora attuale Chesterton?

Chesterton sarà sempre attuale nella misura in cui esisterà anche un solo lettore che riconoscerà, leggendolo, la forza dell'Uomo che combatte contro il pessimismo, la mediocrità per far valere l'idea di un uomo padrone di se stesso, perché consapevole della propria forza e del proprio limite. Anche quello temporale, quello della provvisorietà della Vita su questa terra. Il gruppo di lavoro che nella nostra redazione si occupa del progetto 'Chestertoniana' crede nella collana perché è convinto fermamente che questo scrittore rappresenti, come uomo e come prosatore, la concretizzazione di una 'favola antropologica', la realizzazione di un progetto umanistico di uomo-completo. Mi spiego meglio, prendendo a prestito uno dei suoi migliori personaggi, a mio avviso il suo autoritratto più riuscito: Innocenzo Smith, che è Chesterton. Il mastodontico personaggio che arriva volteggiando nell'aria, distribuendo la vita sparando con una rivoltella, è un fanatico della gioia di vivere, un eccentrico (non uno sciocco) che può permettersi di entrare in casa sua dal camino proprio perchè è un puro, un uomo che vede le cose con gli occhi del bambino. Chesterton-Smith crede alle favole, ha fede negli uomini, fa della propria via una metafora, un mito, un'allegoria: l'Uomovivo è l'uomo completo che fa esperienza della vita con il corpo e con l'anima-spirito, è l'unione tra l'apollineo e il dionisiaco, tra la realtà (di cui non perde mai il senso) e la dimensione del desiderio (del mito, delle favole, della Fede).
Proprio per la sua grande complessità, Chesterton è stato uno scrittore unico nel suo genere, capace di essere attendibile e critico testimone dei fatti del suo tempo, riuscendo a lasciarne gli aspetti più tristi e le convenzioni sociali più restrittive, per liberare la propria indole creativa nel mondo della Letteratura. In questo mondo egli riscrive la realtà, o meglio, la dota di significati aggiuntivi, e ne esce un mondo pieno di speranza, ilare, ironico, misericordioso, profondamente cattolico. In tal senso, allora, se Innocenzo Smith è il suo alter ego più fantasioso e magico, padre Brown è quello più maturo, consapevole, cristiano. Padre Brown incarna il Bene che sovraintende al Male, su cui ha sempre la meglio.


In queste ultime settimane abbiamo assistito ad altre ripubblicazioni di Chesterton (L'Uomo che sapeva troppo per I Gialli Mondadori, il San Francesco d'Assisi per Mursia, L'Osteria Volante e L'Uomo che fu Giovedì per Bompiani, l'Utopia degli Usurai di Excelsior 1881): come giudicate questo ritorno d'interesse per Chesterton?

Le opere di Chesterton possono a diritto essere annoverate tra la migliori opere di Letteratura europea del XX secolo. In tal senso Chesterton è da considerarsi uno scrittore classico, un grande prosatore-poeta, che merita di essere pubblicato. Forse il mercato editoriale si sta sforzando di capire la complessità di questo scrittore.