Gilbert Keith Chesterton, Eretici
sabato 30 dicembre 2017
Un aforisma al giorno
Il segreto della vita risiede nel riso e nell'umiltà.
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Un aforisma al giorno
Chesterton in altre parole - Etienne Gilson
Con Chesterton è in gioco più della letteratura… Noi lo valutiamo soprattutto come teologo.
Etienne Gilson, Chesterton Review, Vol. XII
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Etienne Gilson
Chesterton in altre parole - Ronald Knox
Sarà quasi sicuramente ricordato come un profeta in epoca di falsi profeti.
Mons. Ronald Arbuthnott Knox, dal panegirico pronunciato nella messa di requiem per Chesterton nella Cattedrale di Westminster nel Giugno 1936, citato in Maisie Ward, Chesterton
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Ronald Knox
Chesterton in altre parole - Mons. Ronald Knox
Era uno dei principi preferiti di Chesterton ritenere possibile il vedere una cosa più e più volte fino a che essa non diventi totalmente scontata per la sua familiarità, e poi improvvisamente vederla per la prima volta… Era possibile avere una visione della verità nello stesso modo - vedere una cosa come veramente per la prima volta, perché tutti i novecentonovantanove sguardi precedenti rivolti ad essa ti avevano dato una fotografia semplicemente convenzionale di essa ed avevano perso la sua verità essenziale.
Mons. Ronald Arbuthnott Knox, in Fr. Claude Williamson, Great Catholics
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venerdì 29 dicembre 2017
Un aforisma al giorno
Solo un pazzo può stare di fronte a questo mosaico e dire che la nostra fede è senza vita o un credo di morte. In alto c'è una nube da cui esce la mano di Dio; sembra impugni la croce come un'elsa e la conficchi nella terra di sotto come una spada. In realtà però e tutt'altro che una spada, perché il suo contatto non porta morte, ma vita. Una vita che si sprigiona e irrompe nell'aria, in modo che il mondo abbia sì la vita, ma l'abbia in abbondanza.
Gilbert Keith Chesterton, La resurrezione di Roma
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La resurrezione di Roma
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Un aforisma al giorno
mercoledì 27 dicembre 2017
Chesterton in altre parole - G. K. Chesterton, London and Modernity, Bloomsbury Press
È una serie di riflessioni venute alla luce in occasione di una conferenza tenutasi a Londra nel 2011 in occasione del 75esimo anniversario della morte del Nostro all'University College London. È curato da Matthew Beaumont e Matthew Ingleby, e si tratta di un volume collettaneo. Gli autori sono tutti accademici.
Si tratta di una luce sul rapporto tra Chesterton e Londra, tra Chesterton e la modernità. È interessante che se ne parli per rimettere in luce la straordinaria importanza di Chesterton nella letteratura inglese.
Spero di potervene parlare presto, ma è una delle mie solite promesse di marinaio. Intanto ve lo faccio vedere...
Marco Sermarini
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Chesterton in altre parole
Un aforisma al giorno
Questa città (Roma, ndr) è come un immenso mostro di mare degli occhi sporgenti e dalle ciglia erte come montagne, ma con il rimanente della mole smisurata velato dall'acqua oscura, un leviatano estremamente preistorico che finalmente ha infilato il naso nell'amo di Pietro il Pescatore.
Gilbert Keith Chesterton, La resurrezione di Roma
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Un aforisma al giorno
martedì 26 dicembre 2017
A new book from ... Fulton Sheen! Ma ancora in inglese...
Dalla presentazione di Dale Ahlquist:
«"E per quelli che non conoscono storia, un giovane Fulton Sheen approcciò Chesterton e gli chiese di scrivere l'introduzione al suo primo libro, God and Intelligence, che era la sua dissertazione dottorale. Chesterton, con la sua tipica umiltà, gli disse, "Non so niente di filosofia".
Sheen replicò, "Ma, signor Chesterton, il suo libro Ortodossia è uno dei più importanti lavori di filosofia del nostro tempo!".
Chesterton rise e disse, "Scriverò l'introduzione al tuo libro. Dopo tutto, siamo entrambi cattolici, e abbiamo la responsabilità di difenderci l'un l'altro"».
Il resto qui (in inglese):
http://distributistreview.com/new-book-fulton-sheen/
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Fulton Sheen
sabato 23 dicembre 2017
Un aforisma al giorno (sempre Natale!)
C'è questa gente, allora, che detesta il Natale, e senza dubbio sono molto numerosi. Ma anche se sono la maggioranza, sono ancora essenzialmente matti.
Gilbert Keith Chesterton
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Un aforisma al giorno
Presto su Pump Street! Chesterton e Shakespeare, un bel match...
Collana: Le bighe
2018, pp 118
Rubbettino Editore, Storia e critica letteraria
isbn: 9788849852059
A Chesterton Shakespeare piaceva da matti: ne traeva insegnamento per la sua vita interiore e al tempo stesso autentico piacere e godimento, non solo per gli straordinari concetti da lui espressi, per la profondità dei suoi drammi, per la complessità delle psicologie dei personaggi, ma anche per l'originalità di talune immagini visive, per la creatività nell'uso del linguaggio, per il semplice suono di certi suoi versi, per la straordinaria capacità di raccontare l'uomo all'uomo senza infingimenti. Nel presente volume sono raccolti – grazie a Valentina Vetri, docente di Cultura e Civiltà inglese presso l'Università CIELS di Bologna – proprio gli scritti in cui Chesterton spiega e interpreta meglio alcune delle opere di Shakespeare più note, in modo che siano perfettamente comprensibili a tutti, dandone letture tanto semplici quanto originali e profonde, che ci spingeranno con rinnovato gusto sulle pagine del "grande Bardo".
(Dal sito di Rubbettino)
Insisto, scusate...
Personalmente è chiaro, io credo in Babbo Natale; ma è il tempo del perdono, e perdonerò gli altri che non ci credono.
Gilbert Keith Chesterton, La Nonna del drago e altre serissime storie
Io, Marco Sermarini, presidente della Società Chestertoniana Italiana, insisto con fede certa nell'affermare tutto quanto sopra scritto dal nostro eroe. Chi non crede in Babbo Natale è solo un poveraccio cinico rovinatore di infanzie peggio di un orco di cui avere misericordia… 😂🎅🤗
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Un aforisma al giorno
venerdì 22 dicembre 2017
The House of Christmas - di Gilbert Keith Chesterton
There fared a mother driven forth
Out of an inn to roam;
In the place where she was homeless
All men are at home.
The crazy stable close at hand,
With shaking timber and shifting sand,
Grew a stronger thing to abide and stand
Than the square stones of Rome.
Out of an inn to roam;
In the place where she was homeless
All men are at home.
The crazy stable close at hand,
With shaking timber and shifting sand,
Grew a stronger thing to abide and stand
Than the square stones of Rome.
For men are homesick in their homes,
And strangers under the sun,
And they lay on their heads in a foreign land
Whenever the day is done.
Here we have battle and blazing eyes,
And chance and honour and high surprise,
But our homes are under miraculous skies
Where the yule tale was begun.
And strangers under the sun,
And they lay on their heads in a foreign land
Whenever the day is done.
Here we have battle and blazing eyes,
And chance and honour and high surprise,
But our homes are under miraculous skies
Where the yule tale was begun.
A Child in a foul stable,
Where the beasts feed and foam;
Only where He was homeless
Are you and I at home;
We have hands that fashion and heads that know,
But our hearts we lost - how long ago!
In a place no chart nor ship can show
Under the sky's dome.
Where the beasts feed and foam;
Only where He was homeless
Are you and I at home;
We have hands that fashion and heads that know,
But our hearts we lost - how long ago!
In a place no chart nor ship can show
Under the sky's dome.
This world is wild as an old wives' tale,
And strange the plain things are,
The earth is enough and the air is enough
For our wonder and our war;
But our rest is as far as the fire-drake swings
And our peace is put in impossible things
Where clashed and thundered unthinkable wings
Round an incredible star.
And strange the plain things are,
The earth is enough and the air is enough
For our wonder and our war;
But our rest is as far as the fire-drake swings
And our peace is put in impossible things
Where clashed and thundered unthinkable wings
Round an incredible star.
To an open house in the evening
Home shall men come,
To an older place than Eden
And a taller town than Rome.
To the end of the way of the wandering star,
To the things that cannot be and that are,
To the place where God was homeless
And all men are at home.
Home shall men come,
To an older place than Eden
And a taller town than Rome.
To the end of the way of the wandering star,
To the things that cannot be and that are,
To the place where God was homeless
And all men are at home.
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giovedì 21 dicembre 2017
Il Napoleone di Notting Hill e altro, segnalazioni di Luca Fumagalli
https://www.radiospada.org/2017/12/segnalazioni-librarie-un-natale-in-compagnia-di-chesterton-tolkien-e-lewis/
Un aforisma al giorno (sul Natale! E sui Magi!)
Più siamo orgogliosi che la storia di Betlemme sia chiara abbastanza da essere capita dai pastori, e quasi dalle pecore, più ci lasciamo andare in affreschi e scenografie fantasiose e oscure sul mistero e la maestà dei Tre Re Magi.
Gilbert Keith Chesterton, Christendom in Dublin
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Un aforisma al giorno
Un aforisma al giorno (ancora sul Natale!)
Se un uomo avesse definito il giorno di Natale una semplice scusa ipocrita per ubriachezza e ingordigia, ciò sarebbe falso, ma ci sarebbe un fatto nascosto da qualche parte. Ma quando Bernard Shaw dice che il giorno di Natale è solo una cospirazione pensata da pollivendoli e commercianti di vino per motivi strettamente commerciali, allora dice qualcosa che non è tanto falso quanto sorprendente e incredibilmente sciocco. Potrebbe anche dire che i due sessi sono stati inventati da gioiellieri che volevano vendere fedi nuziali.
Gilbert Keith Chesterton, Shaw
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Un aforisma al giorno
Un aforisma al giorno (sul Natale!)
Non c'è abitudine più pericolosa o disgustosa di quella di celebrare il Natale prima che arrivi, come sto facendo in questo articolo. È l'essenza stessa di una festa che irrompe in modo brillante e improvviso, per cui in un momento il grande giorno non è e il momento successivo è il grande giorno.
Gilbert Keith Chesterton, All things considered
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Un aforisma al giorno
La vita è un’avventura. Cioè un incidente considerato nel modo giusto
"Scriveva Chesterton che «un’avventura è solo un incidente considerato nel modo giusto; un incidente è solo un’avventura considerata nel modo sbagliato»: Leone se ne accorge subito inciampando nei suoi nuovi compagni di viaggio, un ex carcerato che fa il fabbro, un ex ladro che ora coltiva la terra, un monaco, un ragazzino che come lui ne ha passate di tutti i colori. Imparando a saldare il metallo, a trebbiare il grano, a cogliere l’uva, a stare in silenzio per ascoltare. Imparando da chi gli insegna, cioè mostra il segno, il significato che vive in ogni cosa tra la paura e lo stupore: non mancano, sulle strade rese dure dal sole o ingoiate dalle notti più scure, i briganti, le fughe a rotta di collo, volti incontrati lungo sentieri sconosciuti a suggerire che in ogni circostanza, nota e ignota, la posta in gioco è scoprire che il vero volto del mondo «è un destino a misura della nostra felicità. Di fronte allo spettacolo della cattedrale di Ferrara – scrive la chestertonianissima Annalisa Teggi firmando la prefazione di Per un’altra strada –, Leone vede il senso delle sue vicissitudini scolpito su pietra: ogni uomo è una piccola storia di cui il mondo ha bisogno, ma è una storia che canta in coro con una grande storia. Nessuno è un sasso abbandonato dentro la corrente impetuosa di un fiume malvagio»".
Il resto qui:
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martedì 19 dicembre 2017
Scozia, Irlanda e patriottismo locale - Gilbert Keith Chesterton, Illustrated London News, 17 novembre 1906 (traduzione di Umberta Mesina - tutti i diritti riservati®)
Ho ricevuto una seria e, almeno per me, impressionante rimostranza dall'Associazione Patriottica Scozzese. Sembra che in una recente nota su queste colonne io mi sia riferito a Edoardo VII di Gran Bretagna e Irlanda, Re, Difensore della Fede, con l'orrendo titolo di Re d'Inghilterra. L'Associazione Patriottica Scozzese attira la mia attenzione sul fatto che secondo le disposizioni dell'Atto di Unione e le tradizioni della nazionalità, al monarca ci si dovrebbe riferire come al Re di Britannia. Il colpo che mi è stato così vibrato mi ferisce in modo particolare perché è particolarmente ingiusto. Io credo nella realtà delle nazionalità indipendenti sotto la Corona Britannica con assai più passione e convinzione di quanto ci creda qualunque altro inglese istruito di mia conoscenza. Io sono certissimo che la Scozia è una nazione; sono certissimo che la nazionalità è la chiave della Scozia; sono certissimo che tutto il nostro successo con la Scozia fu dovuto al fatto che nello spirito l'abbiamo trattata come una nazione. Sono certissimo che l'Irlanda è una nazione; sono certissimo che la nazionalità è la chiave dell'Irlanda; sono certissimo che tutto il nostro fallimento in Irlanda nacque dal fatto che non la trattavamo nello spirito come una nazione. Sarebbe difficile trovare, pur con gli esempi innumerevoli che ne esistono, un esempio dell'importanza immensamente superiore del sentimento rispetto a ciò che è chiamato senso pratico che sia più efficace di questo caso delle due nazioni sorelle. Non è che noi abbiamo incoraggiato lo scozzese ad essere ricco; non è che abbiamo incoraggiato lo scozzese ad essere attivo; non è che abbiamo incoraggiato lo scozzese ad essere libero. È che assai decisamente abbiamo incoraggiato lo scozzese ad essere scozzese.
Una vaga ma vivida impressione s'era formata in tutti i nostri scrittori di storia, filosofia e retorica: che l'elemento scozzese fosse di per sé qualcosa di veramente prezioso, qualcosa che ogni inglese era costretto a riconoscere e rispettare. Se mai riconoscemmo la bellezza dell'Irlanda, fu come una cosa che poteva essere amata da un inglese ma che difficilmente poteva essere rispettata perfino da un irlandese. Uno scozzese poteva esser fiero della Scozia; per un irlandese, era abbastanza che gli potesse piacere l'Irlanda. Il nostro successo con le due nazioni è stato direttamente proporzionale al nostro incoraggiamento della loro indipendente emozione nazionale; la sola che non trattavamo da nazione è la sola ad aver prodotto dei Nazionalisti. La sola nazione che non riconoscevamo come nazione in teoria la sola che siamo stati costretti a riconoscere come nazione in armi. L'Associazione Patriottica Scozzese non ha bisogno di attirare la mia attenzione sull'importanza dei distinti sentimenti nazionali o sulla necessità di considerare il Confine come una linea sacra. Ciò che sostengo è provato più che abbastanza dall'effettiva storia della Scozia. Il posto della lealtà scozzese all'Inghilterra è stato occupato dall'ammirazione inglese per la Scozia. Loro non hanno bisogno di invidiarci la nostra supremazia nominale, quando noi sembriamo invidiare la loro separazione.
Desidero che sia molto chiara la mia intera simpatia per il sentimento nazionale dell'Associazione Patriottica Scozzese. Ma desidero anche che sia chiaro questo lievemente illuminante paragone tra la sorte del patriottismo scozzese e quella del patriottismo irlandese. Nella vita sono sempre i piccoli fatti quelli che esprimono le grandi emozioni e, se l'Inghilterra avesse rispettato una volta l'Irlanda come ha rispettato la Scozia, la cosa si sarebbe manifestata in mille piccoli modi. Per esempio, nell'Esercito Britannico ci sono reggimenti scelti che indossano il kilt (che, come dice Macaulay con perfetta verità, da nove Scozzesi su dieci era considerato l'abito di un ladro). Gli ufficiali delle Highland portano una versione con elsa d'argento dell'antica barbarica sciabola con l'elsa a cesto, che spaccò il cranio a tanti soldati inglesi a Killiecrankie e Prestonpans. Quando avrete nell'Esercito britannico un reggimento di uomini che portano shillelag ornamentali d'argento, allora avrete fatto la stessa cosa per l'Irlanda, e non prima; o quando menzionerete Brian Boru con la medesima intonazione che usate per Bruce.
Lascatemi pertanto considerare di aver chiarito a sufficienza che io credo con particolarissima intensità nel considerare indipendentemente la Scozia e l'Irlanda rispetto all'Inghilterra. Credo che, nel senso proprio della parola, la Scozia sia una nazione indipendente, anche se Edoardo VII è il Re di Scozia. Credo che, nel senso proprio della parola, l'Irlanda sia una nazione indipendente, anche se Edoardo VII è Re d'Irlanda. Ma il fatto è che ho una convinzione anche più audace e sfrenata di queste due. Io credo che l'Inghilterra sia una nazione indipendente. Io credo che anche l'Inghilterra abbia indipendenti il suo colore e la sua storia e il suo significato. Credo che l'Inghilterra saprebbe produrre costumi stravaganti quasi quanto il kilt; credo che l'Inghilterra abbia eroi tanto pienamente intraducibili quanto Brian Boru; e di conseguenza credo che Edoardo VII sia, tra le altre sue innumerevoli funzioni, veramente il Re d'Inghilterra. Se i miei amici scozzesi insistono, riteniamolo pure uno dei suoi titoli più oscuri, impopolari e minori; uno dei suoi svaghi. Fino a poco tempo fa era Duca di Cornovaglia; non fosse stato per un incidente familiare, sarebbe potuto essere re di Hannover. E non penso nemmeno che dovremmo biasimare i semplici uomini di Cornovaglia se parlassero di lui in un momento di retorica, usando il suo titolo cornico, né i benintenzionati hannoveriani se lo classificassero con i principi hannoveriani.
Ebbene, si dà il caso che nella nota di cui ci si lamenta io abbia detto "Re d'Inghilterra" semplicemente perché mi riferivo al re d'Inghilterra. Stavo parlando rigorosamente e particolarmente di Re inglesi, di Re nella tradizione degli antichi Re inglesi. Ho scritto come un nazionalista inglese acutamente consapevole del sacro confine del Tweed che tiene (o teneva, un tempo) a bada i nostri antichi nemici. Ho scritto come un nazionalista inglese deciso per un folle momento a sbattere fuori la tirannia dello scozzese e dell'irlandese che governa e opprime il mio paese. Sentivo che l'Inghilterra era difesa almeno spiritualmente contro queste nazionalità assedianti. Sognavo che il Tweed fosse sorvegliato dai fantasmi degli Scrope e dei Percy; sognavo che il Canale di san Giorgio fosse sorvegliato da san Giorgio. E in questa sicurezza insulare ho parlato deliberatamente e specificamente del Re d'Inghilterra, del rappresentante dei Tudor e dei Plantageneti. È vero che i due re d'Inghilterra di cui ho parlato in maniera particolare, Carlo II e Giorgio III, avevano entrambi un'origine straniera, né molto recente né molto remota. Carlo II proveniva da una famiglia di origine scozzese. Giorgio III proveniva da una famiglia di origine tedesca. Ma lo stesso, per quel che vale, si potrebbe dire delle case reali quando l'Inghilterra se ne stava da sola. I Plantageneti erano in origine una famiglia francese. I Tudor erano in origine una famiglia gallese. Ma non stavo parlando della quantità di sentimento inglese nei Re inglesi. Stavo parlando della quantità di sentimento inglese nella considerazione e nella popolarità dei re inglesi presso gli inglesi. Con questo, Irlanda e Scozia non hanno proprio niente a che vedere.
Carlo II può, per quel che ne so, essere stato non solo re di Scozia; può, in virtù del suo temperamento e della sua ascendenza, essere stato un re di Scozia scozzese. C'era qualcosa di scozzese nel suo associare lucidità e sensualità. C'era qualcosa di scozzese nel suo associare il fare quel che gli aggradava con il sapere quel che stava facendo. Ma io non stavo parlando della personalità di Carlo II, che sarebbe potuta essere scozzese. Io stavo parlando della popolarità di Carlo II, che era inglese di sicuro. Una cosa è certissima: che abbia mai smesso o no di essere un uomo scozzese, appena poté farlo in maniera conveniente smise di essere un Re scozzese. Aveva tentato realmente l'esperimento di essere un sovrano nazionale a nord del Tweed, e al suo popolo piacque poco come loro piacquero poco a lui. Del presbiterianismo, della religione scozzese, egli lasciò alle cronache il giudizio squisitamente inglese che esso "non era religione per un gentiluomo". La sua popolarità dunque fu puramente inglese; la sua regalità fu puramente inglese; e io stavo usando le parole con la massima ristrettezza e intenzionalità quando ho parlato di questa particolare popolarità e regalità come la popolarità e regalità del Re d'Inghilterra. Ho detto del popolo inglese in particolare che essi amano raccogliere la corona del Re dopo che lui l'abbia lasciata cadere. Non mi sento affatto sicuro che questo valga per gli scozzesi o gli irlandesi. Penso che l'irlandese farebbe cadere la corona al posto suo. Penso che lo scozzese la terrebbe in serbo per lui dopo averla raccolta da terra.
Da parte mia, sarei incline ad assumere il metodo esattamente opposto per affermare la nazionalità. Perché dei buoni nazionalisti scozzesi dovrebbero chiamare Edoardo VII Re di Britannia? Dovrebbero chiamarlo re di Scozia. Che è la Britannia? Dov'è la Britannia? Non esiste questo luogo. Non è mai esistita la nazione di Britannia; non c'è mai stato un Re di Britannia; ammenoché magari Vortigern o Uther Pendragon non abbiano avuto un'inclinazione per quel titolo. Se intendiamo sviluppare la nostra monarchia, io sarei totalmente dell'idea di svilupparla lungo la linea del patriottismo locale e della locale proprietà del re. Penso che i londinesi dovrebbero chiamarlo il re di Londra e i Liverpulliani dovrebbero chiamarlo il Re di Liverpool. Non mi spingo fino a dire che la gente di Birmingham dovrebbe chiamare Edoardo VII il Re di Birmingham, perché sarebbe alto tradimento verso una potestà più sacra e più solida. Ma penso che potremmo leggere nei giornali: "Il re di Brighton ha lasciato Brighton questo pomeriggio alle due e mezzo" e immediatamente dopo "Il Re di Worthing è entrato in Worthing alle tre meno dieci". Oppure "Stamane il popolo di Margate ha salutato con riluttanza il popolare Re di Margate" e poi "Sua Maestà il Re di Ramsgate ha fatto ritorno nel suo paese e nella sua capitale questo pomeriggio dopo il suo lungo soggiorno in terre insolite". Si potrebbe sottolineare che, per una curiosa coincidenza, la partenza del re di Oxford è avvenuta pochissimo tempo prima dell'arrivo trionfale del Re di Reading. Non so immaginare alcun metodo che più di questo aumenterebbe le gentili e normali relazioni tra il Sovrano e il suo popolo. E non penso che un simile metodo sarebbe in alcun modo uno sminuire la dignità regale; perché, è un dato di fatto, metterebbe il Re sullo stesso piano degli dei. I santi, le più celebrate tra le figure umane, furono anche le più locali. Proprio gli uomini che noi colleghiamo più facilmente al cielo furono anche quelli che più facilmente colleghiamo alla terra.
Gilbert Keith Chesterton (traduzione di Umberta Mesina - tutti i diritti riservati®)
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La nuova dinastia - recensione di Paolo Gulisano
Come ci ha insegnato il grande creatore di miti J.R.R. Tolkien
la letteratura dell'immaginario può essere lo specchio dei gusti, degli umori e addirittura della condizione psicologica dell'epoca moderna, esprimendo i dubbi, le paure, le domande insoddisfatte, le esigenze profonde dell'animo umano. I miti, i simboli, le leggende e le tradizioni ci rivelano noi stessi.
Non è un caso, probabilmente, che molti di questi grandi
frequentemente prefigurando scenari decisamente inquietanti. Non così i grandi interpreti dell'epica religiosa, radicata nel realismo ed espressa attraverso il linguaggio simbolico del Mito.
L'eroe cristiano di questa nuova epica è diverso da quello antico, poiché ha una diversa consapevolezza del destino, che è disegno di Dio, e non fato inesorabile.
Tra i massimi esponenti della Fantasy contemporanea si può annoverare Silvana De Mari, l'autrice del capolavoro L'ultimo elfo e di tanti altri straordinari romanzi fantasy e fiabeschi. Negli ultimi anni la De Mari ci ha offerto una testimonianza della sua sapientia cordis anche con una produzione saggistica di tutto rilievo, ma la narrativa è e rimane il terreno sul quale la scrittrice torinese ama di più cimentarsi.
In questi giorni è arrivata nelle librerie La nuova dinastia, Edizioni Lindau, 122 pagine, 9,50 euro), un romanzo breve, una lettura per tutta la famiglia, dai ragazzi agli adulti. Una vicenda narrata come caratteristica dell'autrice, ma non priva di una sua profondità, di un messaggio che non è difficile da decifrare. Il protagonista della storia si chiama Astridius, e si definisce "principe dei folletti, re degli stracci, ultimo miserabile rampollo di una stirpe perseguitata". Questa stirpe è quella dei "divinatori". Chi sono costoro? Sono individui che possono vedere i folletti, creature fatte di aria e di follia. Vederli e ascoltarli: i folletti non tacciono mai. I folletti – ci viene raccontato- ci danno la capacità di conoscere il futuro, perché ce lo raccontano con le loro piccole voci. E del futuro ci raccontano soprattutto i disastri. Il divinatore viene così a conoscenza delle sciagure che stanno per arrivare, e quindi cerca di mettere in guardia la gente, col risultato di essere considerato uno iettatore, un disturbatore dell'ordine costituito. Il divinatore dice verità scomode, ed è quindi visto come un "profeta di sventura". Il romanzo ci racconta allora delle avventure di Astridius, figlio di un divinatore, un uomo buono che cercava semplicemente di mettere in guardia il suo prossimo da pericoli imminenti. Il ragazzo finisce per raccogliere l'eredità di suo padre, e nel corso delle pagine di quello che può essere considerato anche come un romanzo di formazione, lo vediamo diventare un eroe, e assumersi l'arduo compito di diventare egli stesso divinatore, in grado di sentire la voce dei folletti, intenzionato a diffondere la loro saggezza e i loro avvertimenti tra gli uomini sordi a questi richiami, nella speranza che "qualcuno faccia qualcosa di intelligente, ma l'intelligenza è un bene prezioso e non sempre abbondante", come ci dice l'Autrice. Quello che puntualmente ottengono i divinatori sono odio e persecuzioni. "Le persone non vogliono conoscere le verità terribili e odiano chi le preannuncia. Ci accusano di essere noi a causare, evocandolo, il dolore che invece vogliamo solo evitare. Quando ho scoperto di avere lo stesso dono di mio padre, di essere anche io un divinatore, per qualche istante ho avuto la scelta: tapparmi le orecchie, vivere in pace, pascolare le mie pecore, fabbricare il formaggio. Oppure come mio padre intervenire e battermi con tutte le mie poche forze perché il male non inghiotta il mondo. Ho fatto la scelta di combattere. Mi chiamo Astridius, principe degli stracci, re dei folletti, e ho vinto la mia guerra."
La bella e appassionante fiaba della De Mari ci diverte, ci commuove, ma soprattutto ci fa pensare. L'autrice ci ricorda che la verità è scomoda, è sgradita, è osteggiata, ma nondimeno deve essere proclamata e difesa.
Chi lo fa deve sapere di essere uno straniero in un mondo ostile, impegnato in una lotta che non può finire sinchè il mondo durerà.
Paolo Gulisano
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domenica 17 dicembre 2017
In difesa dei voti imprudenti - di Fabio Trevisan (da Riscossa Cristiana)
"L'anima della Decadenza è questa orribile favola dell'uomo che si trasforma senza sosta in altri uomini"
Nel primo saggio che Chesterton dette alle stampe, "The defendant" del 1901, tradotto in italiano con il titolo "L'imputato. Il bello del brutto" o anche con "L'imputato. In difesa di ciò che c'è di bello nel brutto del mondo", lo scrittore inglese perorò la causa di ciò che sembrava indifendibile, come ad esempio lo slancio dei voti precipitosi. Egli volle riconsiderare e rendere omaggio a quella qualità coraggiosa dell'uomo di essere se stesso fino in fondo, tenendo fede all'impegno assunto, sia che questo fosse il matrimonio con la persona amata sia che questo fosse un debito morale con altri uomini o con la propria patria: "L'uomo che fa un voto prende un impegno con se stesso in un tempo o luogo remoto. Il pericolo della cosa è che lui stesso non rispetti l'appuntamento".
L'essenza della modernità, come paventava Chesterton, consisteva invece nella decadenza dell'uomo che non riusciva più ad essere se stesso, mutandosi vilmente in altro da sé, fuggendo dal proprio impegno e dalla propria responsabilità: "Questa è la condizione del decadente, dell'esteta, di colui che sostiene e pratica l'amore libero". Risulta davvero incredibile che Chesterton scrivesse e ammonisse contro quello spirito rivoluzionario che sfociò inesorabilmente nella cosiddetta "liberazione sessuale" del '68 e che lo facesse agli albori del XX secolo! Osava chiamare questa fraintesa libertà che tanto abbiamo pagato e che ancora stiamo pagando come una "tirannia decadente". Egli non si limitò soltanto a recriminare contro il simbolo della decadenza dell'amore libero, ma volle incensare gli uomini fondamentalmente sani di mente che sapevano tener fede all'impegno dato, al vincolo assunto: "L'uomo che fa un voto, per quanto azzardato, esprime in maniera sana e naturale la grandezza di un grande momento…per quanto possa essere stato breve l'attimo della sua risoluzione, come tutti i grandi momenti è stato un attimo di immortalità, e l'unico sentimento che avrebbe soddisfatto lo spirito di quest'uomo era il desiderio di poter dire: exegi monumentum oere perennius". Quest'ultima citazione in latino l'aveva ripresa dalle Odi di Orazio e significava "Ho eretto un monumento più durevole del bronzo".
Contro questo sentimento forte e vincolante che qualificava l'uomo in quanto uomo, Chesterton intravedeva il disegno decadente e desolante che sfociava nella sola fragile emotività o nell'opportunità misera dell'esteta. Egli vedeva questa pericolosa tendenza che dissolveva i legami più forti e più sacri: "Ai nostri giorni la rivolta contro i voti è arrivata a comprendere quella contro il voto tipico del matrimonio ed è assai divertente ascoltare cosa hanno da dire gli oppositori del vincolo matrimoniale". Chi reputava il giogo matrimoniale come un laccio imposto all'umanità non aveva compreso, affermava il saggista londinese, la natura di questo vincolo sacro, come non aveva capito l'essenza del vero amore: "L'amore vincola se stesso per sua natura e l'istituto del matrimonio ha solo fatto all'uomo comune la cortesia di prenderlo in parola". Ecco perché, dinanzi alla religiosità del matrimonio affrontava quella che, in un altro libro, chiamò "la superstizione del divorzio". Al contrario, la decadenza mondana offriva tutte le possibilità di rompere quell'impegno sacro, come giustamente rilevava Chesterton: "All'amante i saggi moderni offrono le più grandi libertà e la più completa irresponsabilità, sfoggiando un sorriso smagliante dal sapore cattivo".
Ed ecco le grandi considerazioni finali ancor oggi straordinariamente attuali: "I saggi moderni non rispettano l'uomo come faceva la vecchia Chiesa; non scrivono il suo giuramento nei cieli, a testimonianza del suo momento più alto…è proprio questa porta secondaria, la sensazione di avere una via di fuga alle spalle, che costituisce lo spirito paralizzante del piacere moderno".
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The Defendant
sabato 16 dicembre 2017
venerdì 15 dicembre 2017
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Un aforisma al giorno ⛵️
"Essere buoni è un'avventura più grande e ardita che fare il giro del mondo in una barca a vela".
Gilbert Keith Chesterton, Uomovivo
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Un aforisma al giorno
martedì 12 dicembre 2017
Un aforisma al giorno 📰✏️🗞
La notizia può essere falsa. O anche se non fosse falsa, può essere così selezionata da dare una fotografia completamente falsa del posto e dell'argomento di cui si discute. La selezione è la bella arte della falsità.
Gilbert Keith Chesterton, Illustrated London News, 6 Novembre 1909
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Un aforisma al giorno
Un aforisma al giorno 🥖 🧀
La libertà di parlare significa nella nostra civiltà moderna che dobbiamo parlare soltanto di cose non importanti. Non abbiamo il diritto di parlare della religione, perché questo non è liberale; non abbiamo il diritto di parlare del pane né del formaggio perché questo è un voler parlare di bottega; non ci è permesso parlare della morte perché cosa che ci rende tristi; e tanto meno non ci è permesso di parlare della nascita, perché non sarebbe argomento delicato.
Gilbert Keith Chesterton, Il Napoleone di Notting Hill
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Un aforisma al giorno
lunedì 11 dicembre 2017
Un aforisma al giorno (grazie, padre Brunelli)
Supponiamo che in un certo momento un certo uomo medievale possedesse solo tre libri medievali. Supponiamo che questi tre libri fossero: una versione delle opere di "Aristotele e della sua filosofia"; la Divina Commedia; la Somma teologica di san Tommaso d'Aquino. Questo non è possedere tre libri, ma tre mondi. Sono tre universi di pensieri e di sostanza o, piuttosto, tre aspetti dello stesso universo: uno positivo e razionale; l'altro immaginativo e pittorico; il terzo morale e mistico, ma intrinsecamente logico. Un uomo potrebbe possedere un'intera Biblioteca itinerante di romanzi moderni e poeti minori, senza ritrovarsi niente di simile a questo compendio cosmico, o a questo esame completo di tutti gli aspetti del mondo reale. Ma il punto vitale da cogliere è che quella filosofia considerata come filosofia, e anche quella teologia considerata come teologia, era qualcosa che tendeva a un equilibrio... si trattava di qualcosa di equilibrato e proporzionato... non era l'isolamento di un singolo pensiero.
Chesterton, Chaucer
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Un aforisma al giorno
domenica 10 dicembre 2017
Pirandello e Chesterton
Oggi ricorre l'anniversario della morte di Luigi Pirandello, leggo sul Corriere della Sera di oggi.
Fu anche l'anno della morte del grande Chesterton, come noi ben sappiamo, che rispose a Sei personaggi in cerca d'autore con la commedia La Sorpresa (una delle nostre passate strenne di Natale!).
Trovate molte belle informazioni qui sul nostro blog, basta cercare col motore di ricerca in alto a sinistra. Tante belle scoperte e occasioni di buone letture.
Marco Sermarini
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sabato 9 dicembre 2017
Un aforisma (leggero ed intenso, come il fumo della pipa...) al giorno
Ho passato gran parte della mia vita con l'immediata intenzione di imparare a fumare la pipa.
Gilbert Keith Chesterton
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Pipa
venerdì 8 dicembre 2017
La Distributist Review in pillole l’8 Dicembre 2017
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Collusion of Big Business and Big Government
A standard critique of capitalism, going back to Chesterton and Belloc, is that it creates a collusion between Big Government and Big Business.
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Hurricane or No Hurricane—Why Don't They Just Go To Work?
After the massive floods in Texas caused by Hurricane Harvey, even the harshest judge of the poor could hardly ask, "Why don't they work?"
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Dorothy Day's Cross
Dorothy Day: "To become a Catholic meant for me to give up a mate with whom I was much in love. I chose God and I lost Forster."
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