martedì 19 dicembre 2017

Scozia, Irlanda e patriottismo locale - Gilbert Keith Chesterton, Illustrated London News, 17 novembre 1906 (traduzione di Umberta Mesina - tutti i diritti riservati®)

Ho ricevuto una seria e, almeno per me, impressionante rimostranza dall'Associazione Patriottica Scozzese. Sembra che in una recente nota su queste colonne io mi sia riferito a Edoardo VII di Gran Bretagna e Irlanda, Re, Difensore della Fede, con l'orrendo titolo di Re d'Inghilterra. L'Associazione Patriottica Scozzese attira la mia attenzione sul fatto che secondo le disposizioni dell'Atto di Unione e le tradizioni della nazionalità, al monarca ci si dovrebbe riferire come al Re di Britannia. Il colpo che mi è stato così vibrato mi ferisce in modo particolare perché è particolarmente ingiusto. Io credo nella realtà delle nazionalità indipendenti sotto la Corona Britannica con assai più passione e convinzione di quanto ci creda qualunque altro inglese istruito di mia conoscenza. Io sono certissimo che la Scozia è una nazione; sono certissimo che la nazionalità è la chiave della Scozia; sono certissimo che tutto il nostro successo con la Scozia fu dovuto al fatto che nello spirito l'abbiamo trattata come una nazione. Sono certissimo che l'Irlanda è una nazione; sono certissimo che la nazionalità è la chiave dell'Irlanda; sono certissimo che tutto il nostro fallimento in Irlanda nacque dal fatto che non la trattavamo nello spirito come una nazione. Sarebbe difficile trovare, pur con gli esempi innumerevoli che ne esistono, un esempio dell'importanza immensamente superiore del sentimento rispetto a ciò che è chiamato senso pratico che sia più efficace di questo caso delle due nazioni sorelle. Non è che noi abbiamo incoraggiato lo scozzese ad essere ricco; non è che abbiamo incoraggiato lo scozzese ad essere attivo; non è che abbiamo incoraggiato lo scozzese ad essere libero. È che assai decisamente abbiamo incoraggiato lo scozzese ad essere scozzese.

Una vaga ma vivida impressione s'era formata in tutti i nostri scrittori di storia, filosofia e retorica: che l'elemento scozzese fosse di per sé qualcosa di veramente prezioso, qualcosa che ogni inglese era costretto a riconoscere e rispettare. Se mai riconoscemmo la bellezza dell'Irlanda, fu come una cosa che poteva essere amata da un inglese ma che difficilmente poteva essere rispettata perfino da un irlandese. Uno scozzese poteva esser fiero della Scozia; per un irlandese, era abbastanza che gli potesse piacere l'Irlanda. Il nostro successo con le due nazioni è stato direttamente proporzionale al nostro incoraggiamento della loro indipendente emozione nazionale; la sola che non trattavamo da nazione è la sola ad aver prodotto dei Nazionalisti. La sola nazione che non riconoscevamo come nazione in teoria  la sola che siamo stati costretti a riconoscere come nazione in armi. L'Associazione Patriottica Scozzese non ha bisogno di attirare la mia attenzione sull'importanza dei distinti sentimenti nazionali o sulla necessità di considerare il Confine come una linea sacra. Ciò che sostengo è provato più che abbastanza dall'effettiva storia della Scozia. Il posto della lealtà scozzese all'Inghilterra è stato occupato dall'ammirazione inglese per la Scozia. Loro non hanno bisogno di invidiarci la nostra supremazia nominale, quando noi sembriamo invidiare la loro separazione.
Desidero che sia molto chiara la mia intera simpatia per il sentimento nazionale dell'Associazione Patriottica Scozzese. Ma desidero anche che sia chiaro questo lievemente illuminante paragone tra la sorte del patriottismo scozzese e quella del patriottismo irlandese. Nella vita sono sempre i piccoli fatti quelli che esprimono le grandi emozioni e, se l'Inghilterra avesse rispettato una volta l'Irlanda come ha rispettato la Scozia, la cosa si sarebbe manifestata in mille piccoli modi. Per esempio, nell'Esercito Britannico ci sono reggimenti scelti che indossano il kilt (che, come dice Macaulay con perfetta verità, da nove Scozzesi su dieci era considerato l'abito di un ladro). Gli ufficiali delle Highland portano una versione con elsa d'argento dell'antica barbarica sciabola con l'elsa a cesto, che spaccò il cranio a tanti soldati inglesi a Killiecrankie e Prestonpans. Quando avrete nell'Esercito britannico un reggimento di uomini che portano shillelag ornamentali d'argento, allora avrete fatto la stessa cosa per l'Irlanda, e non prima; o quando menzionerete Brian Boru con la medesima intonazione che usate per Bruce.

Lascatemi pertanto considerare di aver chiarito a sufficienza che io credo con particolarissima intensità nel considerare indipendentemente la Scozia e l'Irlanda rispetto all'Inghilterra. Credo che, nel senso proprio della parola, la Scozia sia una nazione indipendente, anche se Edoardo VII è il Re di Scozia. Credo che, nel senso proprio della parola, l'Irlanda sia una nazione indipendente, anche se Edoardo VII è Re d'Irlanda. Ma il fatto è che ho una convinzione anche più audace e sfrenata  di queste due. Io credo che l'Inghilterra sia una nazione indipendente. Io credo che anche l'Inghilterra abbia indipendenti il suo colore e la sua storia e il suo significato. Credo che l'Inghilterra saprebbe produrre costumi stravaganti quasi quanto il kilt; credo che l'Inghilterra abbia eroi tanto pienamente intraducibili quanto Brian Boru; e di conseguenza credo che Edoardo VII sia, tra le altre sue innumerevoli funzioni, veramente il Re d'Inghilterra. Se i miei amici scozzesi insistono, riteniamolo pure uno dei suoi titoli più oscuri, impopolari e minori; uno dei suoi svaghi. Fino a poco tempo fa era Duca di Cornovaglia; non fosse stato per un incidente familiare, sarebbe potuto essere re di Hannover. E non penso nemmeno che dovremmo biasimare i semplici uomini di Cornovaglia se parlassero di lui in un momento di retorica, usando il suo titolo cornico, né i benintenzionati hannoveriani se lo classificassero con i principi hannoveriani.

Ebbene, si dà il caso che nella nota di cui ci si lamenta io abbia detto "Re d'Inghilterra" semplicemente perché mi riferivo al re d'Inghilterra. Stavo parlando rigorosamente e particolarmente di Re inglesi, di Re nella tradizione degli antichi Re inglesi. Ho scritto come un nazionalista inglese acutamente consapevole del sacro confine del Tweed che tiene (o teneva, un tempo) a bada i nostri antichi nemici. Ho scritto come un nazionalista inglese deciso per un folle momento a sbattere fuori la tirannia dello scozzese e dell'irlandese che governa e opprime il mio paese. Sentivo che l'Inghilterra era difesa almeno spiritualmente contro queste nazionalità assedianti. Sognavo che il Tweed fosse sorvegliato dai fantasmi degli Scrope e dei Percy; sognavo che il Canale di san Giorgio fosse sorvegliato da san Giorgio. E in questa sicurezza insulare ho parlato deliberatamente e specificamente del Re d'Inghilterra, del rappresentante dei Tudor e dei Plantageneti. È vero che i due re d'Inghilterra di cui ho parlato in maniera particolare, Carlo II e Giorgio III, avevano entrambi un'origine straniera, né molto recente né molto remota. Carlo II proveniva da una famiglia di origine scozzese. Giorgio III proveniva da una famiglia di origine tedesca. Ma lo stesso, per quel che vale, si potrebbe dire delle case reali quando l'Inghilterra se ne stava da sola. I Plantageneti erano in origine una famiglia francese. I Tudor erano in origine una famiglia gallese. Ma non stavo parlando della quantità di sentimento inglese nei Re inglesi. Stavo parlando della quantità di sentimento inglese nella considerazione e nella popolarità dei re inglesi presso gli inglesi. Con questo, Irlanda e Scozia non hanno proprio niente a che vedere.

Carlo II può, per quel che ne so, essere stato non solo re di Scozia; può, in virtù del suo temperamento e della sua ascendenza, essere stato un re di Scozia scozzese. C'era qualcosa di scozzese nel suo associare lucidità e sensualità. C'era qualcosa di scozzese nel suo associare il fare quel che gli aggradava con il sapere quel che stava facendo. Ma io non stavo parlando della personalità di Carlo II, che sarebbe potuta essere scozzese. Io stavo parlando della popolarità di Carlo II, che era inglese di sicuro. Una cosa è certissima: che abbia mai smesso o no di essere un uomo scozzese, appena poté farlo in maniera conveniente smise di essere un Re scozzese. Aveva tentato realmente l'esperimento di essere un sovrano nazionale a nord del Tweed, e al suo popolo piacque poco come loro piacquero poco a lui. Del presbiterianismo, della religione scozzese, egli lasciò alle cronache il giudizio squisitamente inglese che esso "non era religione per un gentiluomo". La sua popolarità dunque fu puramente inglese; la sua regalità fu puramente inglese; e io stavo usando le parole con la massima ristrettezza e intenzionalità quando ho parlato di questa particolare popolarità e regalità come la popolarità e regalità del Re d'Inghilterra. Ho detto del popolo inglese in particolare che essi amano raccogliere la corona del Re dopo che lui l'abbia lasciata cadere. Non mi sento affatto sicuro che questo valga per gli scozzesi o gli irlandesi. Penso che l'irlandese farebbe cadere la corona al posto suo. Penso che lo scozzese la terrebbe in serbo per lui dopo averla raccolta da terra.

Da parte mia, sarei incline ad assumere il metodo esattamente opposto per affermare la nazionalità. Perché dei buoni nazionalisti scozzesi dovrebbero chiamare Edoardo VII Re di Britannia? Dovrebbero chiamarlo re di Scozia. Che è la Britannia? Dov'è la Britannia? Non esiste questo luogo. Non è mai esistita la nazione di Britannia; non c'è mai stato un Re di Britannia; ammenoché magari Vortigern o Uther Pendragon non abbiano avuto un'inclinazione per quel titolo. Se intendiamo sviluppare la nostra monarchia, io sarei totalmente dell'idea di svilupparla lungo la linea del patriottismo locale e della locale proprietà del re. Penso che i londinesi dovrebbero chiamarlo il re di Londra e i Liverpulliani dovrebbero chiamarlo il Re di Liverpool. Non mi spingo fino a dire che la gente di Birmingham dovrebbe chiamare Edoardo VII il Re di Birmingham, perché sarebbe alto tradimento verso una potestà più sacra e più solida. Ma penso che potremmo leggere nei giornali: "Il re di Brighton ha lasciato Brighton questo pomeriggio alle due e mezzo" e immediatamente dopo "Il Re di Worthing è entrato in Worthing alle tre meno dieci". Oppure "Stamane il popolo di Margate ha salutato con riluttanza il popolare Re di Margate" e poi "Sua Maestà il Re di Ramsgate  ha fatto ritorno nel suo paese e nella sua capitale questo pomeriggio dopo il suo lungo soggiorno in terre insolite". Si potrebbe sottolineare che, per una curiosa coincidenza, la partenza del re di Oxford è avvenuta pochissimo tempo prima dell'arrivo trionfale del Re di Reading. Non so immaginare alcun metodo che più di questo aumenterebbe le gentili e normali relazioni tra il Sovrano e il suo popolo. E non penso che un simile metodo sarebbe in alcun modo uno sminuire la dignità regale; perché, è un dato di fatto, metterebbe il Re sullo stesso piano degli dei. I santi, le più celebrate tra le figure umane, furono anche le più locali. Proprio gli uomini che noi colleghiamo più facilmente al cielo furono anche quelli che più facilmente colleghiamo alla terra.

Gilbert Keith Chesterton (traduzione di Umberta Mesina - tutti i diritti riservati®)


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