Pietro Pozzi Tutto è iniziato a ottobre della quarta superiore. Mi era preso lo sghiribizzo di mettere sottosopra la biblioteca dei miei genitori,e prendere i libri che potevano interessarmi. Quel pomeriggio trovai "L'uomo che fu Giovedì","Le avventure di un uomo vivo","il pugnale alato e altri racconti" e delle raccolte di Padre Brown. Tutto bellissimo,quasi mi dispiaceva finirli questi libri. In università l'avevo quasi dinenticato. Ma grazie alla mostra presentata al Meeting di Rimini, e la grazia di esser capitato in appartamento ,il terzo anno, con un amico che aveva curato la mostra e che stava facendo la tesi su di lui e il suo rapporto col medioevo,sono tornato a leggerlo,rubandogli i libri e imparando ad usare adeguatamente la biblioteca della mia università. È un'amicizia che mi sta accompagnando in tutto,da quando sono allegro a quando vorrei bruciare tutto il mondo,quando non so parlare a una donna,in sintesi sia davanti a code che muovono cani che davanti a cani che muovono code. Il che è bello ed istruttivo!
domenica 29 novembre 2015
Frances Blogg e Firenze
"... E ancora non sono i tesori d'arte ed architettura che mi attraggono di più, ma la vita della città - la leggerezza dell'Atmosfera, i colori e il movimento nelle strade, le voci della gente, i gruppi dei chiacchieroni agli angoli delle strade. La piena rivelazione di un atteggiamento verso la vita a cui siamo abbastanza estranei. Sono un popolo spensierato, questi italiani, ma sono totalmente spaventata dalla miseria e povertà che si incontra ad ogni svolta...".
Frances Blogg, lettera ad Isabel Sieveking da Firenze, primi mesi del 1901; citata in Nancy Carpentier Brown, The Woman Who was Chesterton, ACS Books - TAN Books, Charlotte NC 2015, pag. 46-47.
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Maggio Fiorentino 1935
sabato 28 novembre 2015
venerdì 27 novembre 2015
Pump Street offre a un prezzo super Chesterton per Natale!
Soc Chestertoniana (@Sochest) | |
Ad ognuno la sua scelta di #Chesterton per Natale! Gilbert a casa vostra ad un prezzo conveniente! Approfittate! twitter.com/pump_street/st… |
Un aforisma (bellissimo) al giorno
Ciò che intende ricordarci questo susseguirsi di settimane, date, domeniche e sabati e antiche ricorrenze rituali è proprio l'enorme importanza della vita quotidiana, per come ogni individuo la vive; per il fatto che riguarda la morte e il giorno e tutta la misteriosa truppa che è l'umanità.
Gilbert Keith Chesterton, Radio Chesterton, "Fatica settimanale"
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Da Nullus Locus Sine Genio - un raro Chesterton prefatore di Gorky
Sempre in prima classe, qui si viaggia...
http://nulluslocussinegenio.com/2015/11/06/barbaric-modern-religion-g-k-chesterton-on-russian-norwegian-literature/
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http://nulluslocussinegenio.com/2015/11/06/barbaric-modern-religion-g-k-chesterton-on-russian-norwegian-literature/
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giovedì 26 novembre 2015
Un aforisma al giorno
G.K. Chesterton (@GKCDaily) | |
The whole object of real religion is to prevent people from losing the humility & gratitude which are thankful for daylight and daily bread. |
Il Distributismo possibile c'è già - Marco Sermarini sulla Distributist Review
Il nostro presidente ha iniziato con questo articolo una collaborazione stabile con la Distributist Review, nella speranza che il distributismo italiano possa dire la sua e lavorare con tutti gli altri, come peraltro sta già facendo.
http://distributistreview.com/il-distributismo-possibile/
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http://distributistreview.com/il-distributismo-possibile/
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mercoledì 25 novembre 2015
Un aforisma al giorno (a proposito di Thanksgiving...)
In America celebrano l'arrivo dei puritani. Noi celebriamo la loro partenza.
Gilbert Keith Chesterton
martedì 24 novembre 2015
Un aforisma al giorno
GK Chesterton (@GKChestertonian) | |
"One can tell the divine origin of common sense by this simple test; that it is always crucified." #Chesterton {March 16, 1907, Daily News} |
Il giovane Kevin Ford, agricoltore distributista, racconta la sua esperienza- dalla Distributist Review
Distributist Review (@DistributistRev) | |
Kevin Ford writes "Five Years A Farmer". tinyurl.com/pelo9q2 #agrarian #Distributism #Distributist #faith #Catholic |
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Tweet di Distributist Review su Twitter
Distributist Review (@DistributistRev) | |
Men always work harder and more readily when they work on that which belongs to them. #leoxiii #rerumnovarum #distributism #distributist |
lunedì 23 novembre 2015
Grande ritorno della Distributist Review oggi
Distributist Review (@DistributistRev) | |
Kicking off our first article Daniel Schwindt explores the promise of #Distributism in our time.tinyurl.com/qjpedl3 #Catholic #Christian |
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Un aforisma al giorno
G.K. Chesterton (@GKCDaily) | |
We as Christians, should always believe that this is a white world with black spots, not a black world with white spots. |
Distributismo in atto - Ecco il container pronto per partire per la Sierra Leone!
I chestertoniani di San Benedetto del Tronto, Porto Mantovano, Canneto sull'Oglio, Gavardo hanno appena terminato di caricare il container che porterà gli attrezzi ed altre cose utili al Sierra Leone Chesterton Center di John Kanu, il nostro eroe distributista. Presto il container partirà per la Sierra Leone e così avremo aiutato a costruire un pezzo di mondo buono durevole. Grazie a tutti i chestertoniani che in qualche modo hanno contribuito! Adesso ci sarebbero da affrontare le spese per la spedizione del container che si aggirano attorno ad € 3000,00. Qualcuno vuole contribuire? Chiedere alla Società Chestertoniana Italiana.
venerdì 20 novembre 2015
Gardner e Chesterton
Martin Gardner era un noto divulgatore scientifico morto alcuni anni fa.
Come ho più volte avuto modo di raccontare, egli inserì Chesterton - al fianco di scienziati tout court di gran nome - in questa piccola antologia di scritti di carattere scientifico per mostrare quale fosse il modo migliore di fare scienza.
Di Chesterton inserì una buona parte del capitolo "L'etica del paese delle fate" (The Ethics of Elfland) di Ortodossia. Lo ribattezzò "The Logic of Elfland". E diede ragione di questa singolarissima scelta in una paginetta che ho modo di condividere con voi qui di seguito. Inutile dire che per noi cattolici il buon uso della ragione è frutto anzi primizia del cristianesimo e Chesterton ne è un fautore ed esponente di prima grandezza. Non si legge mai abbastanza Ortodossia né mai abbastanza quello splendido capitolo citato da Gardner.
La copia da cui l'ho tratta è quella appartenuta ad un grande religioso e scienziato benedettino, padre Stanley Jaki, i cui volumi chestertoniani sono stati donati alla SCI dal benemerito Francis Manion, esecutore testamentario di padre Jaki (una storia nella storia).
Marco Sermarini
Come ho più volte avuto modo di raccontare, egli inserì Chesterton - al fianco di scienziati tout court di gran nome - in questa piccola antologia di scritti di carattere scientifico per mostrare quale fosse il modo migliore di fare scienza.
Di Chesterton inserì una buona parte del capitolo "L'etica del paese delle fate" (The Ethics of Elfland) di Ortodossia. Lo ribattezzò "The Logic of Elfland". E diede ragione di questa singolarissima scelta in una paginetta che ho modo di condividere con voi qui di seguito. Inutile dire che per noi cattolici il buon uso della ragione è frutto anzi primizia del cristianesimo e Chesterton ne è un fautore ed esponente di prima grandezza. Non si legge mai abbastanza Ortodossia né mai abbastanza quello splendido capitolo citato da Gardner.
La copia da cui l'ho tratta è quella appartenuta ad un grande religioso e scienziato benedettino, padre Stanley Jaki, i cui volumi chestertoniani sono stati donati alla SCI dal benemerito Francis Manion, esecutore testamentario di padre Jaki (una storia nella storia).
Marco Sermarini
Ultimo giorno per prenotare Cosa c'è di sbagliato nel mondo!
Cari Amici,
oggi è l'ultimo giorno per prenotare in anteprima ad un prezzo speciale un libro splendido!
Fatevi avanti, è un'ottima occasione per leggere un'opera che di sicuro vi piacerà, vi allargherà gli orizzonti e DI CERTO vi cambierà la vita!
Non esitate ad acquistarlo: la traduzione della Teggi è ottima, i disegnini davvero bellissimi, copertina traballante e spettacolare, il Patriota Cosmico che sta sul pezzo eccezionale e la mia prefazione del tutto inutile ma inedita!
Fidatevi di me: compratelo! Sarà bellissimo averlo sul comodino e ci seguirete a balzi e lancia in resta nella conquista del mondo!
Marco Sermarini
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oggi è l'ultimo giorno per prenotare in anteprima ad un prezzo speciale un libro splendido!
Fatevi avanti, è un'ottima occasione per leggere un'opera che di sicuro vi piacerà, vi allargherà gli orizzonti e DI CERTO vi cambierà la vita!
Non esitate ad acquistarlo: la traduzione della Teggi è ottima, i disegnini davvero bellissimi, copertina traballante e spettacolare, il Patriota Cosmico che sta sul pezzo eccezionale e la mia prefazione del tutto inutile ma inedita!
Fidatevi di me: compratelo! Sarà bellissimo averlo sul comodino e ci seguirete a balzi e lancia in resta nella conquista del mondo!
Marco Sermarini
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giovedì 19 novembre 2015
E' in uscita la riedizione de L'uomo che sapeva troppo...
… edizioni Lindau, traduzione di Annalisa Teggi.
E' una singolarissima raccolta di racconti del 1922 di Chesterton, che vede protagonista Horne Fisher, e che è uscito in Italia (il primo della riscossa chestertoniana!) nell'Ottobre 2006 per i Gialli Mondadori, quelli che escono in edicola e poi non si trovano più.
Bene!
E' una singolarissima raccolta di racconti del 1922 di Chesterton, che vede protagonista Horne Fisher, e che è uscito in Italia (il primo della riscossa chestertoniana!) nell'Ottobre 2006 per i Gialli Mondadori, quelli che escono in edicola e poi non si trovano più.
Bene!
martedì 17 novembre 2015
Cosa c'è di sbagliato nel mondo, modalità di acquisto!
Cari amici chestertoniani,
Come negli anni passati con Eretici, Ortodossia, La Nonna del Drago e Il Club dei Mestieri Stravaganti e La Sorpresa, rilanciamo l'idea di regalare a Natale a tutti gli amici un libro di Chesterton offerto in edizione economicissima.
Lo scopo è quello di dilettare e di dare a tutti la possibilità di fare un dono intelligente e piacevole, senza sostituirci al prezioso lavoro che altri gli editori stanno facendo e bene.
Insieme alla Casa Editrice Rubbettino e al Centro Missionario Francescano delle Marche, stiamo per dare alle stampe «Cosa c'è di sbagliato nel mondo» tradotto da Annalisa Teggi.
Il costo del pacco dono?
1 copia: € 18,00 spedizione compresa
2 copie: € 25,00 spedizione compresa
3 copie: € 36,00 spedizione compresa
5 copie: € 45,00 spedizione compresa
10 copie: € 70,00 spedizione compresa
20 copie: € 120,00 spedizione compresa
Sopra i 40 libri: € 4,50 a copia, spedizione compresa!
Precisiamo che fra qualche mese il volume sarà nelle librerie al costo di € 18,00 a copia.
Il guadagno dell'iniziativa andrà a favore delle Missioni Francescane di Zambia e Cuba.
(assolutamente non usate altri canali... l'esaurimento è già tanto!):
Per il pagamento l'intestazione è:
Centro Missionario Onlus Ofmconv Marche - Buona stampa
alle poste: ccp: 3130793
in banca: IBAN: IT22 Y076 0102 6000 0000 3130 793
CIN: Y ABI: 07601 CAB: 02600 N° Conto: 000003130793
oppure con Postepay N° 4023600644387302 intestata a Roberto Brunelli
I libri vi arriveranno tramite corriere espresso SDA entro il 18 Dicembre.
Spargete la voce a tutti i Chestertoniani di vostra conoscenza!!
La Segreteria Volante
Un aforisma al giorno - da Cosa c'è di sbagliato nel mondo
"La verità è che per l'uomo moderatamente povero la casa è l'unico luogo libero. Anzi, è l'unico luogo anarchico. È l'unico ritaglio di terra dove un uomo può cambiare gli accordi all'improvviso, fare esperimenti e concedersi dei capricci. In qualunque altro luogo egli vada deve accettare le regole del negozio, dell'albergo, del club, del museo in cui gli capita di entrare. A casa sua può mangiare sul pavimento, se vuole. Io lo faccio spesso, mi dà la sensazione simpatica, infantile e poetica del picnic. Sarebbe assolutamente problematico se provassi a farlo in una sala da the. In casa sua un uomo può indossare vestaglia e pantofole, ma sono sicuro che questo non sarebbe permesso al Savoy, anche se fino a ora non ci ho provato".
Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo
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La perdita dell’umorismo cristiano - di Fabio Trevisan (da Riscossa Cristiana)
"Quando vengono i giorni bui, io e te, i puri folli, i cultori dell'umorismo, diventiamo indispensabili".
Nel suo primo romanzo: "Il Napoleone di Notting Hill" del 1904, il cui vero titolo sarebbe stato, e come ho tradotto nel mio adattamento teatrale: "Il pazzo e il re", Gilbert Keith Chesterton immaginava di far governare l'Inghilterra da un Re umorista, Auberon Quin, che incontrava e favoriva la causa di un giovane e fervente patriota, Adam Wayne (il Napoleone di Notting Hill). Questi due elementi, l'umorismo e il patriottismo, condensati nelle due figure eroiche del romanzo, rappresentavano per il trentenne Chesterton gli antidoti indispensabili per proteggersi dal delirio mondano, dall'affanno di sentirsi al passo coi tempi: "E' delle novità che gli uomini si stancano, delle mode e delle proposte e delle migliorie e dei cambiamenti. Sono le vecchie cose a sbalordirci, a inebriarci, perché sono le cose vecchie a esser giovani".
Queste affermazioni, solo apparentemente paradossali, costituivano in profondità il nucleo del racconto, che voleva essere l'elogio del sano umorismo cristiano e la salvaguardia della ragione e del senso comune (come successivamente sarà maestro anche Giovannino Guareschi, tratteggiato con precisione e competenza da Alessandro Gnocchi). La chiamata alla battaglia per la difesa delle proprie tradizioni e della terra dei padri è mostrata dallo scrittore londinese in esilaranti e incisivi confronti che Adam Wayne, il patriota di Notting Hill, ha con i suoi concittadini. Egli va dai più umili e dai più umani personaggi del romanzo (dal rigattiere al barbiere, dal venditore di giocattoli al droghiere) perché egli sa che il vero patriottismo può germogliare laddove si sono conservate le radici storiche e la memoria delle cose belle. A quell'affascinante custode dell'antichità, a quel nobile rigattiere Wayne pone un'osservazione molto acuta, che ha a che fare strettamente con il nostro presente: "Terribilmente fermo: due semplici parole racchiudono lo spirito di questa nostra epoca, quale l'ho percepito sin dalla culla. Spesso mi sono domandato quante fossero le persone che al pari di me avvertivano l'oppressione di questo connubio tra la quiete e il terrore".
Cosa intendeva Chesterton con questa suggestiva riflessione? Perché era di estrema rilevanza questa constatazione? Le successive e sbalorditive frasi di Adam Wayne chiarivano il bersaglio polemico: "Nella nostra civiltà moderna la libertà di parola sta a significare, in pratica, che siamo tenuti a parlare di cose irrilevanti".
E' doveroso quindi chiederci: "Come possiamo noi, al pari di Chesterton, avvertire questo triste connubio tra un'apparente quiete e un concreto terrore? Perché nei giornali, nelle televisioni, in internet, ecc. si ravvisa questa mancanza di coraggio, questo continuo parlare di cose irrilevanti e inutili? Perché tutto è così terribilmente fermo?". Chesterton faceva entrare in azione i cultori dell'umorismo e del patriottismo per frenare questa insipiente deriva umana, che portava all'oblio di Dio e della legge naturale: "Bisogna che qualcuno sopravvenga a infrangere questa curiosa indifferenza, questo strano egoismo, questa strana solitudine che investe milioni di individui". Ecco così il pazzo e il re: ""Quando vengono i giorni bui, io e te, i puri folli, i cultori dell'umorismo, diventiamo indispensabili".
Un aforisma al giorno - da Cosa c'è di sbagliato nel mondo
"Lo scopo complessivo del matrimonio è combattere e sopravvivere fino al momento in cui l'incompatibilità è fuori discussione. Perché uomo e donna, in quanto tali, sono incompatibili".
Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo
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Un aforisma al giorno - da Cosa c'è di sbagliato nel mondo
"Quando rinunciamo (in modo netto) a sventolare la bandiera rossa e a far fuoco in mezzo alle barricate come, invece, facevano i nostri nonni, lo stiamo davvero facendo per rispetto ai sociologi – o ai soldati? Abbiamo davvero superato il guerriero e abbiamo sorpassato il santo asceta? Temo che abbiamo superato il guerriero solo nel senso che probabilmente scapperemmo via di fronte a lui. E se abbiamo sorpassato il santo, temo che l'abbiamo fatto senza inchinarci".
Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo
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Un aforisma al giorno - da Cosa c'è di sbagliato nel mondo
"L'esito dell'atteggiamento moderno è dunque questo: che gli uomini inventano nuovi ideali perché non osano cimentarsi con i vecchi ideali".
Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo
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Un aforisma al giorno - da Cosa c'è di sbagliato nel mondo
"Finché non ci sarà una dottrina sull'uomo divino, tutti gli abusi saranno concessi, dal momento che l'evoluzione li potrà tramutare in usi."
Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo
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lunedì 16 novembre 2015
Un aforisma al giorno (arguto e simpatico)
G.K. Chesterton (@GKCDaily) | |
Just as real religion concerns everyone born with a heart, so real philosophy concerns everyone born with a head. |
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Un aforisma al giorno - da Cosa c'è di sbagliato nel mondo
"Versare a piene mani questa solida semplicità dentro la vita è l'unico vero scopo dell'educazione; e più la donna sta stretta al suo bambino – lei capisce. Dire cosa lei capisca è al di là di me; solo questo intuisco, che non è una cosa solenne. Si tratta piuttosto di un'imponente leggerezza, uno strepitoso dilettantismo universale, come quella che sentivamo da piccoli, quando ci piaceva cantare tanto quanto lavorare in giardino, dipingere tanto quanto correre. Balbettare le lingue degli uomini e degli angeli, dilettarsi di scienze spaventose, giocherellare con colonne e piramidi e lanciare per aria pianeti come fossero palline, questa è la recondita audacia e incoscienza che l'anima umana, come il giocoliere che lancia le arance, deve conservare per sempre. Questa è l'insana frivolezza che chiamo sanità. E l'elegante nobildonna, che si chinava con i suoi boccoli sugli acquerelli, lo sapeva e faceva di conseguenza. Si destreggiava tra i fuochi e le fiamme del sole. Manteneva il netto equilibrio degli umili che è la più misteriosa tra le cose sublimi, e forse la più irraggiungibile. Affermava la prima verità della donna, della madre universale: tutto ciò che vale la pena fare, vale davvero la pena farlo alla meno peggio".
Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo
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Un aforisma al giorno
"Il signor Belloc una volta disse che non si sarebbe separato dall'idea di proprietà tanto quanto non avrebbe rinunciato ai suoi denti, invece per il signor Bernard Shaw la proprietà non è tanto un dente, quanto un mal di denti".
Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo
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Un aforisma al giorno (è la nostra strenna natalizia!)
«Questa è la gigantesca eresia moderna: modificare l'anima umana per adattarla alle condizioni, invece di modificare le condizioni per adattarle all'anima umana»
Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo
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Presto tornerà la Distributist Review!
Dopo un paio d'anni di silenzio, tornerà on line molto presto (attorno al 23 Novembre 2015) la Distributist Review, rivista on line internazionale di distributismo.
Ci saranno anche dei contributi in lingua italiana, ma lasciamo un po' di suspence…
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domenica 15 novembre 2015
Un primo spunto di riflessione sul libro su Frances Blogg Chesterton
Sto leggendo il libro ed è molto bello e documentato.
Ma la prima cosa su cui vi suggerisco di riflettere è il titolo, che in italiano suona: La donna che fu Chesterton.
In fondo è verissimo. Frances accettò di "essere Chesterton" cioè, da vera moglie sana, accetto di aiutare e sostenere, di contribuire a mantenere la propria identità a quest'uomo così prezioso per noi e per il mondo intero. È questo il motivo per cui dovremmo ringraziare Frances.
Ma la prima cosa su cui vi suggerisco di riflettere è il titolo, che in italiano suona: La donna che fu Chesterton.
In fondo è verissimo. Frances accettò di "essere Chesterton" cioè, da vera moglie sana, accetto di aiutare e sostenere, di contribuire a mantenere la propria identità a quest'uomo così prezioso per noi e per il mondo intero. È questo il motivo per cui dovremmo ringraziare Frances.
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sabato 14 novembre 2015
Il discorso di Papa Benedetto XVI a Regensburg (Ratisbona) - In questo momento di grande sofferenza una parola di luce dal Magistero
VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
A MÜNCHEN, ALTÖTTING E REGENSBURG
(9-14 SETTEMBRE 2006)
INCONTRO CON I RAPPRESENTANTI DELLA SCIENZA
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Aula Magna dell'Università di Regensburg
Martedì, 12 settembre 2006
Fede, ragione e università.
Ricordi e riflessioni.
Eminenze, Magnificenze, Eccellenze,
Illustri Signori, gentili Signore!
È per me un momento emozionante trovarmi ancora una volta nell'università e una volta ancora poter tenere una lezione. I miei pensieri, contemporaneamente, ritornano a quegli anni in cui, dopo un bel periodo presso l'Istituto superiore di Freising, iniziai la mia attività di insegnante accademico all'università di Bonn. Era – nel 1959 – ancora il tempo della vecchia università dei professori ordinari. Per le singole cattedre non esistevano né assistenti né dattilografi, ma in compenso c'era un contatto molto diretto con gli studenti e soprattutto anche tra i professori. Ci si incontrava prima e dopo la lezione nelle stanze dei docenti. I contatti con gli storici, i filosofi, i filologi e naturalmente anche tra le due facoltà teologiche erano molto stretti. Una volta in ogni semestre c'era un cosiddetto dies academicus, in cui professori di tutte le facoltà si presentavano davanti agli studenti dell'intera università, rendendo così possibile un'esperienza di universitas – una cosa a cui anche Lei, Magnifico Rettore, ha accennato poco fa – l'esperienza,cioè del fatto che noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono incapaci di comunicare tra di noi, formiamo un tutto e lavoriamo nel tutto dell'unica ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comune responsabilità per il retto uso della ragione – questo fatto diventava esperienza viva. L'università, senza dubbio, era fiera anche delle sue due facoltà teologiche. Era chiaro che anch'esse, interrogandosi sulla ragionevolezza della fede, svolgono un lavoro che necessariamente fa parte del "tutto" dell'universitas scientiarum, anche se non tutti potevano condividere la fede, per la cui correlazione con la ragione comune si impegnano i teologi. Questa coesione interiore nel cosmo della ragione non venne disturbata neanche quando una volta trapelò la notizia che uno dei colleghi aveva detto che nella nostra università c'era una stranezza: due facoltà che si occupavano di una cosa che non esisteva – di Dio. Che anche di fronte ad uno scetticismo così radicale resti necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione e ciò debba essere fatto nel contesto della tradizione della fede cristiana: questo, nell'insieme dell'università, era una convinzione indiscussa.
Tutto ciò mi tornò in mente, quando recentemente lessi la parte edita dal professore Theodore Khoury (Münster) del dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d'inverno del 1391 presso Ankara, ebbe con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue.[1] Fu poi presumibilmente l'imperatore stesso ad annotare, durante l'assedio di Costantinopoli tra il 1394 e il 1402, questo dialogo; si spiega così perché i suoi ragionamenti siano riportati in modo molto più dettagliato che non quelli del suo interlocutore persiano.[2] Il dialogo si estende su tutto l'ambito delle strutture della fede contenute nella Bibbia e nel Corano e si sofferma soprattutto sull'immagine di Dio e dell'uomo, ma necessariamente anche sempre di nuovo sulla relazione tra le – come si diceva – tre "Leggi" o tre "ordini di vita": Antico Testamento – Nuovo Testamento – Corano. Di ciò non intendo parlare ora in questa lezione; vorrei toccare solo un argomento – piuttosto marginale nella struttura dell'intero dialogo – che, nel contesto del tema "fede e ragione", mi ha affascinato e che mi servirà come punto di partenza per le mie riflessioni su questo tema.
Nel settimo colloquio (διάλεξις – controversia) edito dal prof. Khoury, l'imperatore tocca il tema della jihād, della guerra santa. Sicuramente l'imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". È probabilmente una delle sure del periodo iniziale, dice una parte degli esperti, in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il "Libro" e gli "increduli", egli, in modo sorprendentemente brusco, brusco al punto da essere per noi inaccettabile, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava".[3] L'imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue - egli dice -, non agire secondo ragione, „σὺν λόγω", è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…"[4]
L'affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio.[5] L'editore, Theodore Khoury, commenta: per l'imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest'affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza.[6] In questo contesto Khoury cita un'opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazm si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l'uomo dovrebbe praticare anche l'idolatria.[7]
A questo puntosi apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia. Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, il primo versetto dell'intera Sacra Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: "In principio era il λόγος". È questa proprio la stessa parola che usa l'imperatore: Dio agisce „σὺν λόγω", con logos. Logos significa insieme ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l'evangelista. L'incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell'Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: "Passa in Macedonia e aiutaci!" (cfr At 16,6-10) – questa visione può essere interpretata come una "condensazione" della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l'interrogarsi greco.
In realtà, questo avvicinamento ormai era avviato da molto tempo. Già il nome misterioso di Dio dal roveto ardente, che distacca questo Dio dall'insieme delle divinità con molteplici nomi affermando soltanto il suo "Io sono", il suo essere, è, nei confronti del mito, una contestazione con la quale sta in intima analogia il tentativo di Socrate di vincere e superare il mito stesso.[8] Il processo iniziato presso il roveto raggiunge, all'interno dell'Antico Testamento, una nuova maturità durante l'esilio, dove il Dio d'Israele, ora privo della Terra e del culto, si annuncia come il Dio del cielo e della terra, presentandosi con una semplice formula che prolunga la parola del roveto: "Io sono". Con questa nuova conoscenza di Dio va di pari passo una specie di illuminismo, che si esprime in modo drastico nella derisione delle divinità che sarebbero soltanto opera delle mani dell'uomo (cfr Sal 115). Così, nonostante tutta la durezza del disaccordo con i sovrani ellenistici, che volevano ottenere con la forza l'adeguamento allo stile di vita greco e al loro culto idolatrico, la fede biblica, durante l'epoca ellenistica, andava interiormente incontro alla parte migliore del pensiero greco, fino ad un contatto vicendevole che si è poi realizzato specialmente nella tarda letteratura sapienziale. Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell'Antico Testamento, realizzata in Alessandria – la "Settanta" –, è più di una semplice (da valutare forse in modo addirittura poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha avuto un significato decisivo.[9] Nel profondo, vi si tratta dell'incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall'intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire "con il logos" è contrario alla natura di Dio.
Per onestà bisogna annotare a questo punto che, nel tardo Medioevo, si sono sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica, la quale alla fine, nei suoi successivi sviluppi, portò all'affermazione che noi di Dio conosceremmo soltanto la voluntas ordinata. Al di là di essa esisterebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto creare e fare anche il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto. Qui si profilano delle posizioni che, senz'altro, possono avvicinarsi a quelle di Ibn Hazm e potrebbero portare fino all'immagine di un Dio-Arbitrio, che non è legato neanche alla verità e al bene. La trascendenza e la diversità di Dio vengono accentuate in modo così esagerato, che anche la nostra ragione, il nostro senso del vero e del bene non sono più un vero specchio di Dio, le cui possibilità abissali rimangono per noi eternamente irraggiungibili e nascoste dietro le sue decisioni effettive. In contrasto con ciò, la fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia, in cui – come dice il Concilio Lateranense IV nel 1215 –certo le dissomiglianze sono infinitamente più grandi delle somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire l'analogia e il suo linguaggio. Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo, l'amore, come dice Paolo, "sorpassa" la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero (cfr Ef 3,19), tuttavia esso rimane l'amore del Dio-Logos, per cui il culto cristiano è, come dice ancora Paolo „λογικη λατρεία" – un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (cfr Rm 12,1).[10]
Il qui accennato vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l'interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale – un dato che ci obbliga anche oggi. Considerato questo incontro, non è sorprendente che il cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante nell'Oriente, abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva in Europa. Possiamo esprimerlo anche inversamente: questo incontro, al quale si aggiunge successivamente ancora il patrimonio di Roma, ha creato l'Europa e rimane il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa.
Alla tesi che il patrimonio greco, criticamente purificato, sia una parte integrante della fede cristiana, si oppone la richiesta della deellenizzazione del cristianesimo – una richiesta che dall'inizio dell'età moderna domina in modo crescente la ricerca teologica. Visto più da vicino, si possono osservare tre onde nel programma della deellenizzazione: pur collegate tra di loro, esse tuttavia nelle loro motivazioni e nei loro obiettivi sono chiaramente distinte l'una dall'altra.[11]
La deellenizzazione emerge dapprima in connessione con i postulati della Riforma del XVI secolo. Considerando la tradizione delle scuole teologiche, i riformatori si vedevano di fronte ad una sistematizzazione della fede condizionata totalmente dalla filosofia, di fronte cioè ad una determinazione della fede dall'esterno in forza di un modo di pensare che non derivava da essa. Così la fede non appariva più come vivente parola storica, ma come elemento inserito nella struttura di un sistema filosofico. Il sola Scriptura invece cerca la pura forma primordiale della fede, come essa è presente originariamente nella Parola biblica. La metafisica appare come un presupposto derivante da altra fonte, da cui occorre liberare la fede per farla tornare ad essere totalmente se stessa. Con la sua affermazione di aver dovuto accantonare il pensare per far spazio alla fede, Kant ha agito in base a questo programma con una radicalità imprevedibile per i riformatori. Con ciò egli ha ancorato la fede esclusivamente alla ragione pratica, negandole l'accesso al tutto della realtà.
La teologia liberale del XIX e del XX secolo apportò una seconda onda nel programma della deellenizzazione: di essa rappresentante eminente è Adolf von Harnack. Durante il tempo dei miei studi, come nei primi anni della mia attività accademica, questo programma era fortemente operante anche nella teologia cattolica. Come punto di partenza era utilizzata la distinzione di Pascal tra il Dio dei filosofi ed il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Nella mia prolusione a Bonn, nel 1959, ho cercato di affrontare questo argomento[12] e non intendo riprendere qui tutto il discorso. Vorrei però tentare di mettere in luce almeno brevemente la novità che caratterizzava questa seconda onda di deellenizzazione rispetto alla prima. Come pensiero centrale appare, in Harnack, il ritorno al semplice uomo Gesù e al suo messaggio semplice, che verrebbe prima di tutte le teologizzazioni e, appunto, anche prima delle ellenizzazioni: sarebbe questo messaggio semplice che costituirebbe il vero culmine dello sviluppo religioso dell'umanità. Gesù avrebbe dato un addio al culto in favore della morale. In definitiva, Egli viene rappresentato come padre di un messaggio morale umanitario. Lo scopo di Harnack è in fondo di riportare il cristianesimo in armonia con la ragione moderna, liberandolo, appunto, da elementi apparentemente filosofici e teologici, come per esempio la fede nella divinità di Cristo e nella trinità di Dio. In questo senso, l'esegesi storico-critica del Nuovo Testamento, nella sua visione, sistema nuovamente la teologia nel cosmo dell'università: teologia, per Harnack, è qualcosa di essenzialmente storico e quindi di strettamente scientifico. Ciò che essa indaga su Gesù mediante la critica è, per così dire, espressione della ragione pratica e di conseguenza anche sostenibile nell'insieme dell'università. Nel sottofondo c'è l'autolimitazione moderna della ragione, espressa in modo classico nelle "critiche" di Kant, nel frattempo però ulteriormente radicalizzata dal pensiero delle scienze naturali. Questo concetto moderno della ragione si basa, per dirla in breve, su una sintesi tra platonismo (cartesianismo) ed empirismo, che il successo tecnico ha confermato. Da una parte si presuppone la struttura matematica della materia, la sua per così dire razionalità intrinseca, che rende possibile comprenderla ed usarla nella sua efficacia operativa: questo presupposto di fondo è, per così dire, l'elemento platonico nel concetto moderno della natura. Dall'altra parte, si tratta della utilizzabilità funzionale della natura per i nostri scopi, dove solo la possibilità di controllare verità o falsità mediante l'esperimento fornisce la certezza decisiva. Il peso tra i due poli può, a seconda delle circostanze, stare più dall'una o più dall'altra parte. Un pensatore così strettamente positivista come J. Monod si è dichiarato convinto platonico.
Questo comporta due orientamenti fondamentali decisivi per la nostra questione. Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve confrontarsi con questo criterio. E così anche le scienze che riguardano le cose umane, come la storia, la psicologia, la sociologia e la filosofia, cercavano di avvicinarsi a questo canone della scientificità. Importante per le nostre riflessioni, comunque, è ancora il fatto che il metodo come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o pre-scientifico. Con questo, però, ci troviamo davanti ad una riduzione del raggio di scienza e ragione che è doveroso mettere in questione.
Tornerò ancora su questo argomento. Per il momento basta tener presente che, in un tentativo alla luce di questa prospettiva di conservare alla teologia il carattere di disciplina "scientifica", del cristianesimo resterebbe solo un misero frammento. Ma dobbiamo dire di più: se la scienza nel suo insieme è soltanto questo, allora è l'uomo stesso che con ciò subisce una riduzione. Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del "da dove" e del "verso dove", gli interrogativi della religione e dell'ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla "scienza" intesa in questo modo e devono essere spostati nell'ambito del soggettivo. Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la "coscienza" soggettiva diventa in definitiva l'unica istanza etica. In questo modo, però, l'ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell'ambito della discrezionalità personale. È questa una condizione pericolosa per l'umanità: lo costatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione – patologie che necessariamente devono scoppiare, quando la ragione viene ridotta a tal punto che le questioni della religione e dell'ethos non la riguardano più. Ciò che rimane dei tentativi di costruire un'etica partendo dalle regole dell'evoluzione o dalla psicologia e dalla sociologia, è semplicemente insufficiente.
Prima di giungere alle conclusioni alle quali mira tutto questo ragionamento, devo accennare ancora brevemente alla terza onda della deellenizzazione che si diffonde attualmente. In considerazione dell'incontro con la molteplicità delle culture si ama dire oggi che la sintesi con l'ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture. Queste dovrebbero avere il diritto di tornare indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione per scoprire il semplice messaggio del Nuovo Testamento ed inculturarlo poi di nuovo nei loro rispettivi ambienti. Questa tesi non è semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana ed imprecisa. Il Nuovo Testamento, infatti, e stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco – un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell'Antico Testamento. Certamente ci sono elementi nel processo formativo della Chiesa antica che non devono essere integrati in tutte le culture. Ma le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di fondo fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi, conformi alla sua natura.
Con ciò giungo alla conclusione. Questo tentativo, fatto solo a grandi linee, di critica della ragione moderna dal suo interno, non include assolutamente l'opinione che ora si debba ritornare indietro, a prima dell'illuminismo, rigettando le convinzioni dell'età moderna. Quello che nello sviluppo moderno dello spirito è valido viene riconosciuto senza riserve: tutti siamo grati per le grandiose possibilità che esso ha aperto all'uomo e per i progressi nel campo umano che ci sono stati donati. L'ethos della scientificità, del resto, è – Lei l'ha accennato, Magnifico Rettore – volontà di obbedienza alla verità e quindi espressione di un atteggiamento che fa parte delle decisioni essenziali dello spirito cristiano. Non ritiro, non critica negativa è dunque l'intenzione; si tratta invece di un allargamento del nostro concetto di ragione e dell'uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell'uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell'esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza. In questo senso la teologia, non soltanto come disciplina storica e umano-scientifica, ma come teologia vera e propria, cioè come interrogativo sulla ragione della fede, deve avere il suo posto nell'università e nel vasto dialogo delle scienze.
Solo così diventiamo anche capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni – un dialogo di cui abbiamo un così urgente bisogno. Nel mondo occidentale domina largamente l'opinione, che soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali. Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall'universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture. E tuttavia, la moderna ragione propria delle scienze naturali, con l'intrinseco suo elemento platonico, porta in sé, come ho cercato di dimostrare, un interrogativo che la trascende insieme con le sue possibilità metodiche. Essa stessa deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico. Ma la domanda sul perché di questo dato di fatto esiste e deve essere affidata dalle scienze naturali ad altri livelli e modi del pensare – alla filosofia e alla teologia. Per la filosofia e, in modo diverso, per la teologia, l'ascoltare le grandi esperienze e convinzioni delle tradizioni religiose dell'umanità, specialmente quella della fede cristiana, costituisce una fonte di conoscenza; rifiutarsi ad essa significherebbe una riduzione inaccettabile del nostro ascoltare e rispondere. Qui mi viene in mente una parola di Socrate a Fedone. Nei colloqui precedenti si erano toccate molte opinioni filosofiche sbagliate, e allora Socrate dice: "Sarebbe ben comprensibile se uno, a motivo dell'irritazione per tante cose sbagliate, per il resto della sua vita prendesse in odio ogni discorso sull'essere e lo denigrasse. Ma in questo modo perderebbe la verità dell'essere e subirebbe un grande danno".[13] L'occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all'ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente. "Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio", ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all'interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell'università.
[1] Dei complessivamente 26 colloqui (διάλεξις– Khoury traduce: controversia) del dialogo („Entretien"), Th. Khoury ha pubblicato la 7 ma „controversia" con delle note e un'ampia introduzione sull'origine del testo, sulla tradizione manoscritta e sulla struttura del dialogo, insieme con brevi riassunti delle „controversie" non edite; al testo greco è unita una traduzione francese: Manuel II Paléologue, Entretiens avec un Musulman. 7 e Controverse. Sources chrétiennes n. 115, Parigi 1966. Nel frattempo, Karl Förstel ha pubblicato nel Corpus Islamico-Christianum (Series Graeca. Redazione A. Th. Khoury – R. Glei) un'edizione commentata greco-tedesca del testo: Manuel II. Palaiologus, Dialoge mit einem Muslim, 3 volumi, Würzburg – Altenberge 1993 – 1996. Già nel 1966, E. Trapp aveva pubblicato il testo greco con una introduzione come vol. II dei „Wiener byzantinische Studien". Citerò in seguito secondo Khoury.
[2] Sull'origine e sulla redazione del dialogo cfr Khoury pp. 22-29; ampi commenti a questo riguardo anche nelle edizioni di Förstel e Trapp.
[3] Controversia VII 2c: Khoury, pp. 142-143; Förstel, vol. I, VII. Dialog 1.5, pp. 240-241. Questa citazione, nel mondo musulmano, è stata presa purtroppo come espressione della mia posizione personale, suscitando così una comprensibile indignazione. Spero che il lettore del mio testo possa capire immediatamente che questa frase non esprime la mia valutazione personale di fronte al Corano, verso il quale ho il rispetto che è dovuto al libro sacro di una grande religione. Citando il testo dell'imperatore Manuele II intendevo unicamente evidenziare il rapporto essenziale tra fede e ragione. In questo punto sono d'accordo con Manuele II, senza però far mia la sua polemica.
[4] Controversia VII 3b – c: Khoury, pp. 144-145; Förstel Bd. I, VII. Dialog 1.6 pp. 240-243.
[5] Solamente per questa affermazione ho citato il dialogo tra Manuele e il suo interlocutore persiano. È in quest'affermazione che emerge il tema delle mie successive riflessioni.
[6]Cfr Khoury, op. cit., p. 144, nota 1.
[7]R. Arnaldez, Grammaire et théologie chez Ibn Hazm de Cordoue. Parigi 1956 p. 13; cfr Khoury p. 144. Il fatto che nella teologia del tardo Medioevo esistano posizioni paragonabili apparirà nell'ulteriore sviluppo del mio discorso.
[8] Per l'interpretazione ampiamente discussa dell'episodio del roveto ardente vorrei rimandare al mio libro "Einführung in das Christentum" (Monaco 1968), pp. 84-102. Penso che le mie affermazioni in quel libro, nonostante l'ulteriore sviluppo della discussione, restino tuttora valide.
[9]Cfr. A. Schenker, L'Écriture sainte subsiste en plusieurs formes canoniques simultanées, in: L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa. Atti del Simposio promosso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Città del Vaticano 2001, p. 178-186.
[10] Su questo argomento mi sono espresso più dettagliatamente nel mio libro "Der Geist der Liturgie. Eine Einführung", Friburgo 2000, pp. 38-42.
[11] Della vasta letteratura sul tema della deellenizzazione vorrei menzionare innanzitutto: A Grillmeier, Hellenisierung – Judaisierung des Christentums als Deuteprinzipien der Geschichte des kirchlichen Dogmas, in: Id., Mit ihm und in ihm. Christologische Forschungen und Perspektiven. Freiburg 1975 pp. 423-488.
[12] Nuovamente pubblicata e commentata da Heino Sonnemanns: Joseph Ratzinger – Benedikt XVI., Der Gott des Glaubens und der Gott der Philosophen. Ein Beitrag zum Problem der theologia naturalis. Johannes-Verlag Leutesdorf, 2. ergänzte Auflage 2005.
[13] 90 c-d. Per questo testo cfr anche R. Guardini, Der Tod des Sokrates. Mainz-Paderborn 1987 5, pp. 218-221.
© Copyright 2006 - Libreria Editrice Vaticana
venerdì 13 novembre 2015
Un Tweet di Philippe Maxence sull'indissolubilità del matrimonio per Chesterton
Philippe Maxence (@phmaxence) | |
#Chesterton et l'indissolubilité du #mariage (par Mathieu Grossi) amisdechesterton.fr/2015/11/13/che… |
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Una nuovissima biografia di Chesterton da Denis Conlon
Denis Conlon è uno studioso inglese di Chesterton che ha appena pubblicato questa nuova ed aggiornatissima biografia di Chesterton.
La pubblica Methuen, importante editore inglese ed uno degli editori dell'opera di Chesterton quando Gilbert era in vita, che però paradossalmente oggi non ha neppure un titolo del nostro in catalogo.
Intanto accontentatevi della copertina e della nota dell'editore, poi vedremo...
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Il nostro Gilbert
Lo vedete? E' lui, mr. Ed! Il babbo di Chesterton!
Avevamo trovato fotografie della moglie, del fratello, della mamma, dei cognati acquisiti per parte di Frances, della cognata Ada Jones, ma ci mancava sempre lui, Mr. Ed, Edward Chesterton, il contitolare dell'agenzia immobiliare Chesterton (che ancora esiste, le abbiamo dedicato un post anni fa e chi va in giro per l'Inghilterra e per Londra non può non vederla), L'Uomo dalla Chiave d'Oro di cui si parla nell'Autobiografia di Gilbert (per tutte queste notizie è sufficiente che da qui viriate verso il motore di ricerca interno del blog - un viaggio lunghissimo! - e digitiate "Edward Chesterton" ed avrete abbastanza notizie).
Eccolo!
Direte: ma si vede male! Siete incontentabili, allora. Eccolo lì, Mr. Ed, l'uomo che dava centinaia di libri da leggere al piccolo Gilbert (molti li ho potuti vedere a Beaconsfield, e alcuni a casa del mio gemello Dale Ahlquist, istoriati con disegni), che lo portava in giro per Londra a visitare chiese e musei splendidi, a teatro, che si dilettava con gli hobby più creativi e colorati come costruire lampade di vetro, dipingere e soprattutto fare il teatrino delle marionette per i piccoli Gilbert e Cecil. Quel teatrino esiste ancora, e Gilbert ci ha giocato fino alla fine, e per quel che mi riguarda (il che conta veramente poco) è uno degli indizi della sua santità.
Edward ebbe un ruolo fondamentale nella formazione di Gilbert, e Gilbert ne dà ampiamente atto nell'Autobiografia. Approfondiremo presto, se Dio vuole.
Questa foto, più ampia, con diverse persone ritratte, viene dal libro di Nancy Carpentier Brown su Frances, e già solo per questo meriterebbe di essere acquistato. Ma lo merita per molte e molte più ragioni, e non smetterò mai di ringraziarla.
In ogni caso ora Mr. Ed, il babbo di Gilbert, ha un volto, e questo mi rallegra moltissimo e - se devo dirvi - anche commuove un pochino.
Marco Sermarini
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Edward Chesterton
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Il nostro Gilbert
Altre due bellissime immagini dalla nuova edizione di Cosa c'è di sbagliato nel mondo
E' un libro splendido che tutti devono avere in mano e leggere quanto prima possibile.
La traduzione di Annalisa Teggi è insuperabile e i disegni sono spettacolari.
Ergo acquistatelo.
Giochino chestertoniano domenicale - Chi vi ha fatto conoscere Chesterton? - Aggiornamento da Facebook 2
Ernesto Carlo Venier Rimasi folgorato (non esagero) leggendo "La Croce Azzurra", uno dei più bei racconti di Padre Brown, contenuto nell'antologia scolastica delle scuole medie. Lo lessi nell'estate successiva alla fine della terza media, spinto dal ricordo del Padre Brown televisivo interpretato da Renato Rascel. Solo uno o due anni dopo riuscii a comprarmi tutti i racconti di Padre Brown, trovandoli in una bancherella di libri usati. E da li nacque un amore che dura da tutta una vita.
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Giochino chestertoniano
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Il nostro Gilbert
giovedì 12 novembre 2015
mercoledì 11 novembre 2015
Appena arrivati in sede questi due meravigliosi libri!
Sono appena arrivati questi due splendidi libri su ed intorno Chesterton.
Il primo che vedete qui sotto è Chesterton and the Jews - Friend - Critic - Defender (Chesterton e gli ebrei - Amico - Critico - Difensore). L'ha scritto Ann Farmer, una ricercatrice inglese che ha una particolare attenzione ai rapporti tra cristiani ed ebrei, e che è stata attirata dalla particolarità ed esemplarità della vicenda umana di Chesterton, tacciato di essere antisemita e al tempo stesso vero e (non supposto) amico di decine e decine di ebrei (ricordo un solo episodio: una coppia di amici ebrei dei Chesterton, i coniugi Solomon, abitavano a Battersea quando Gilbert e Frances da poco sposati abitavano in quell'area di Londra. Quando nel 1909 i Chesterton decisero di trasferirsi a Beaconsfield i Solomon, che erano così legati a loro venendo ricambiati, decisero di fare altrettanto… Strano per un antisemita…). La Farmer ha svolto ricerche accurate sulla questione ed il libro è proprio una bella ricerca, dettagliata e vorrei darvene un resoconto quanto prima, anche se so che non molti potranno leggerlo (il libro è in inglese e non prevedo ci siano traduzioni in italiano, almeno per adesso).
Il secondo libro invece riguarda Frances, di cui si parla ma non abbastanza. La questione è stata presa sul serio da Nancy Carpentier Brown, socia della American Chesterton Society, animatrice del gruppo chestertoniano di Chicago ed appassionata ricercatrice della vita di Frances Blogg, la cara moglie di Gilbert. Il libro vanta anche la presentazione del mio gemello americano, Dale Ahlquist, il che non è poco. Ho avuto la fortuna di conoscere Nancy durante il mio viaggio in America dello scorso anno e sono contento che abbia prodotto questa bella fatica. L'importanza di Frances nella vita di Gilbert è altissima, non possiamo immaginare Gilbert senza di lei. Si dice spesso che chi ha avvicinato al cattolicesimo Gilbert siano stati Padre O' Connor, Belloc e padre McNabb. È vero solo in parte, perché ci si dimentica dell'imprescindibile sforzo di Frances, una buona e sincera anglicana che lo riavvicinò prima di tutto a Gesù Cristo in gioventù e che lo seguì nel bel passo della conversione al cattolicesimo due anni dopo, nel 1924. Di lei abbiamo parlato alcune volte in questo blog rilanciando proprio gli accenni fatti in questi anni di ricerca da parte di Nancy, ed ora è Nancy a regalarci questo bel libro. Quando le ho detto che avevo acquistato il suo libro, Nancy mi ha augurato di innamorarmi di Frances. Spero di riuscire a farvi innamorare di Frances riportandovi le mie impressioni. Guardate com'era graziosa Frances, intanto.
Intanto ripropongo uno slideshow fatto anni fa da Nancy che ha come sottofondo una canzone tradizionale inglese, le cui parole sono state scritte da Frances, How far is it to Bethlehem? Dice più quel video di tante parole, forse. Ma il libro della cara Nancy va letto, perché ci apre una porta su una persona così importante e così poco nota.
Le foto che vedete sono proprio quelle dei libri nelle mie mani.
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