Martedì 22 settembre 2015
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È pervenuta in redazione:
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Caro Gnocchi,
grazie a Riscossa Cristiana e alla rubrica curata da Fabio Trevisan, in questi mesi ho scoperto quel grande scrittore che è Chesterton. Mi permetto di scriverlo a lei per dire che un cristiano di quel calibro andrebbe conosciuto e studiato per avere un punto di riferimento sicuro nella grave crisi che oggi travolge la Chiesa. Conoscevo poco o niente di questo scrittore e ho scoperto cose nuove, almeno per me. In particolare mi ha colpito come Chesterton scrivendo un secolo fa fosse già in grado di dire che il cattolicesimo aveva creato la libertà, mentre il mondo che lo dimentica sta precipitando nell'anarchia e nella tirannia. Questo l'ho letto sull'articolo pubblicato il primo settembre che parlava del libro "radio Chesterton". È straordinario, sembra davvero la situazione di oggi. Ecco, io credo che uno scrittore così dovrebbe essere insegnato a scuola, fatto conoscere bene, perché aiuta a ragionare davvero e ci fa capire l'origine del disordine in cui viviamo. Sarebbe bello se Riscossa pubblicasse magari dei brani più lunghi dei suoi libri. Intanto faccio tanti complimenti a lei e al sig. Trevisan e auguro buon lavoro.
Alfio Di Martino
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il merito della sua scoperta non è mio, ma di Fabio Trevisan, che ha ideato la rubrica su Chesterton, e di Paolo Deotto, che la pubblica. In ogni caso il fatto che lei ne parli a me, mi fa piacere almeno per due motivi.
Il primo è il nostro caro vecchio GKC: così, con questo simpatico acronimo costruito con le iniziali di Gilbert Keith Chesterton, lo scrittore viene affettuosamente chiamato tra i suoi studiosi, cultori e amici.
E qui, prima di continuare a parlare del primo motivo per cui la sua lettera mi è particolarmente gradita, devo subito andare a capo e passare con una grande parentesi al secondo, che è Fabio Trevisan: se le piace, FT. Parlo subito di lui, altrimenti dimentico di dire la cosa più importante a suo riguardo, che è questa: tra coloro che si occupano di GKC, il nostro FT è uno dei pochi, pochissimi, che, allo stesso tempo, è studioso, cultore e amico dello scrittore inglese. È questo che fa la differenza tra la sua produzione chestertoniana e quella, pur pregevole, di tanti altri. Lo studioso mancherà sempre delle impuntature e dei toni tipici del cultore e dell'amico, la produzione del cultore non avrà la severità di quella dello studioso e il calore di quella dell'amico, la ricerca dell'amico rischierà di mettere in secondo piano le asperità che piacciono tanto allo studioso e sono l'orgoglio del cultore. Insomma, nella maggior parte dei casi mancherà sempre qualche cosa, a meno che, come accade per Trevisan, non ci si trovi davanti a qualcuno che sia studioso, cultore e amico dell'autore di cui si occupa.
Fabio, che mi riesce difficile chiamare per cognome, è uno dei pochi amici veramente amici che ritengo di avere in questo squinternato mondo. Dunque, caro Di Martino, parlando di lui, sono obiettivo senza timore di indulgere in quelle noiose ammuine così abituali tra coloro che scrivono gli uni degli altri. Se dico tutto questo del suo lavoro, sono sicuro di non sbagliare per eccesso o per difetto. D'altra parte la prova sta nella sua lettera: è difficile trovare qualcuno che, in breve tempo, si appassioni all'opera di uno scrittore leggendo ciò che ne scrive un altro. Se ciò accade, significa che questo "altro" sa il fatto suo, come nel caso di FT quando parla di GKC. Non è questo il luogo per entrare nel merito circa il valore del lavoro di Fabio, ma mi premeva spiegarne il motivo più profondo, che sta appunto nel dono abbastanza raro di unire tre caratteristiche che, di solito, viaggiano ognuna per conto proprio.
Ma tutto questo, che si può chiamare Tradizione, va curato dagli uomini, deve essere tenuto vivo con il lavoro dello studioso, del cultore e dell'amico. E con quello del sacerdote e del guerriero. Nella Ballata del cavallo bianco, un poemetto che le consiglio di leggere, Chesterton lo spiega con meravigliosa efficacia mostrando che i barbari sono sempre pronti a tornare dopo ogni sconfitta. E, se non riescono a prendere la cittadella di Dio assediandola da fuori, tenteranno di farlo conquistandola dall'interno.
Prima della battaglia finale, Re Alfred, il condottiero dei cristiani che combattono gli invasori dell'Est, ha una visione: "io so che i pagani torneranno" dice.
Essi non verranno su navi da guerra / non devasteranno col fuoco, / ma i libri saranno il loro unico cibo, / e con le mani impugneranno l'inchiostro.
Non con lo spirito dei cacciatori / o con la feroce destrezza del guerriero / ma, mettendo a posto ogni cosa con parole morte, / ridurranno le bestie e gli uccelli a burattini / e il vento e le stelle a una ruota che gira.
Avranno l'aspetto mite dei monaci, / pieni di fogli e di penne; / e voi guarderete alle vostre spalle ammirando / e desiderando un giorno come quelli di Alfred, / in cui, almeno, i pagani erano uomini.
(…)
voi li riconoscerete da questi segni: / lo spezzarsi della spada / e l'uomo che non è più un cavaliere libero, / capace di amare o odiare il suo signore.
Sì, questo sarà il loro segno: / il segno del fuoco che si spegne, / e l'Uomo trasformato in uno sciocco / che non sa chi è il suo signore.
Anche se arriveranno con carta e penna / e avranno l'aspetto serio e pulito dei chierici, / da questo segno li riconoscerete, / dalla rovina e dal buio che portano;
da masse di uomini devoti al Nulla, / diventati schiavi senza un padrone, / da un cieco e remissivo mondo idiota, / troppo cieco per essere disprezzato;
dal terrore e da storie crudeli / da una macchia segnata nelle ossa e nella stirpe, / dalla vittoria dell'ignavia e della superstizione, / maledette fin dal principio, / dalla presenza di peccatori / che negano l'esistenza del peccato;
da questa rovina silenziosa, / dalla vita considerata una pozza di fango, / da un cuore spezzato nel seno del mondo, / dal desiderio che si spegne nel mondo;
dall'onta scesa su Dio e sull'uomo, / dalla morte e dalla vita rese un nulla, / riconoscerete gli antichi barbari, / saprete che i barbari sono tornati.
Caro Di Martino, se questa visione le ricorda tanto i giorni attuali non sbaglia affatto. I pagani con "l'aspetto serio e pulito dei chierici" sono tra noi e hanno fatto scendere l'onta "su Dio e sull'uomo". Hanno nomi, volti e posti nella gerarchia dei pastori che dovrebbero condurre il gregge alla salvezza e, invece, si beano davanti a "masse di uomini devoti al Nulla" che loro stessi hanno formato.
Re Alfred, al termine della sua visione dice che non sa se gli uomini potranno sconfiggere questa nuova invasione "se la Croce si innalzerà di nuovo / con la carità o con la cavalleria". In ogni caso, conclude "pur nel dubbio, cavalco / verso la battaglia sulla pianura". E troverà la vittoria.
Oggi noi, senza curarci della vittoria, non dobbiamo avere altro fine che quello del nostro dovere in nome di Cristo. In ciò mi è molto caro quanto, all'inizio del poemetto di Chesterton, la Vergine Maria dice in un'apparizione a Re Alfred contrapponendo i cristiani ai pagani dell'Est:
Gli uomini dell'Est scrutano le stelle / per segnare gli eventi e i trionfi, / ma gli uomini segnati dalla Croce di Cristo vanno lieti nel buio.
Gli uomini dell'Est studiano le pergamene / per conoscere i destini e la fama, / ma gli uomini che hanno bevuto il sangue di Cristo / vanno cantando di fronte alle ingiurie.
Il sapiente conosce le malvagità / che sono scritte nel cielo, / mette in fila luci meste e tocca corde tristi, / nell'udire il battito cupo di ali purpuree, / là dove i prìncipi dei serafini dimenticati / tramano ancora su come Dio debba morire.
Il sapiente conosce tutto il male / che giace sotto un albero ritorto / dove il perverso si consuma nel piacere / e gli uomini sono stanchi di vino guasto / e nauseati da mari scarlatti.
Ma tu e tutta la stirpe di Cristo / siete ignoranti e coraggiosi / e avete guerre che a stento vincete / e anime che a stento salvate.
Non dico nulla per il tuo conforto / e neppure per il tuo desiderio, dico solo: / il cielo si fa già più scuro / e il mare si fa sempre più grosso.
La notte sarà tre volte più buia su di te / e il cielo diventerà un manto d'acciaio. / Sai provar gioia senza un motivo, / dimmi hai fede senza una speranza?
Caro Di Martino, noi oggi siamo chiamati a niente meno che questo, a "provar gioia senza un motivo" ad avere "fede senza una speranza". Siamo chiamati ad abbracciare la Croce quando chi dovrebbe reggerla davanti a noi la getta nel fango per gettarsi ai piedi del mondo e del suo principe. Ma non dobbiamo farci prendere dallo sconforto. Non ci facciamo vincere dalla gravità spirituale. Scrive Chesterton in Ortodossia: "Gli angeli possono volare in quanto sanno prendersi con leggerezza (…). È facile essere pesanti: difficile essere leggeri. Satana cadde a causa della gravità".
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo