LA BELLA ADDORMENTATA
Soltanto chi ha un po’ di dimestichezza con autori umoristi (e seri) cattolici come Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) e Giovannino Guareschi (1908-1968) può comprendere, fin dal titolo “La Bella Addormentata” l’allusività a quel mondo delle favole tanto decantato dai due grandi autori cristiani, sovente citati nel saggio di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro. Quella “morale delle favole” che emerge dalla lettura di Chesterton e Guareschi non ha solamente un valore etico adatto a grandi e piccini, ma ha soprattutto un valore teologico e metafisico profondo che parte da una considerazione semplice e sostanziale: Dio ha creato tutto in modo fantastico dal nulla e l’uomo per riconoscerne il segno della Sua presenza deve meravigliarsi della bellezza del Suo ordine anche attraverso l’ascolto o la visione delle grandi metafore fiabesche. Per guardare al presente ed intravvedere il futuro serve quindi ritornare al passato, come ci ricordano le grandi favole che da sempre hanno accompagnato la crescita di tutti gli uomini. Con questo saggio (“La Bella Addormentata” Edizioni Vallecchi) gli Autori ci fanno assaporare il prezioso ricordo della nostra giovinezza, quando per risvegliare la Bella Addormentata si aspettava il Principe Azzurro che amandola sapesse ridestarla. Il richiamo allusivo alla Chiesa “Bella” e “Addormentata” è da considerarsi quindi, nell’opera di Gnocchi e Palmaro, un passaggio di riferimento fondativo e costante imprescindibile. La bellezza della Chiesa, ci ricordano gli Autori, è deturpata dai nostri peccati, dai nostri tradimenti, dalle nostre eresie ed è soprattutto il peso dei peccati dell’umanità intera che ha prodotto una crisi ed ha ridotto al lumicino il vigore dottrinale di tanti, troppi suoi figli. Dinanzi a questa evidente crisi (nel Prologo gli Autori sottolineano il fatto di non poter non chiamare critica la situazione ), Gnocchi e Palmaro cercano di comprendere lo stato reale della crisi attraverso la descrizione fenomenologica del sonno, che è l’emblema della crisi, proponendo una lettura attenta del Concilio Vaticano II a partire da quella contrapposizione geniale (scaturita dalla penna di Guareschi) tra Don Camillo e Don Francesco sintetizzata con poche ma espressive parole: «Non posso comprare niente» (Don Camillo) «Non ho niente da vendere» (Don Francesco). Quel “non posso” e quel “non ho niente” riassumono in modo impareggiabile, attraverso due figure antitetiche di sacerdoti, due visioni del mondo inconciliabili. Come hanno sottolineato gli Autori, Don Francesco aprendosi al mondo nell’illusione di convertirlo, ha finito per assumerne persino i tic intellettuali più grotteschi.
Il sottotitolo del saggio di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro: “Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi” prelude ad una benefica iniezione di fiducia e di speranza: “Perché si risveglierà”, delicata metafora dell’evangelico “non praevalebunt”. Gli Autori si chiedono cosa poter fare per evitare di cadere nel torpore di un’esistenza senza Dio e rispondono ancora attraverso Don Camillo: «Bisogna salvare il seme: la fede. Bisogna aiutare chi possiede ancora la fede a mantenerla intatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più …».
Analizzando con dovizia di particolari il clima psicologico con cui venne presentato e preparato il Concilio Vaticano II, gli Autori hanno potuto constatare , anche attraverso numerose fonti, l’enorme influenza che il contesto storico degli anni ’60 ha prodotto sui lavori del Concilio e su alcuni testi conciliari, il tipo di linguaggio utilizzato nei documenti, le controversie interpretative, i silenzi del Concilio attorno ad alcune questioni fondamentali, il dilemma sulla natura dogmatica o pastorale del Concilio o di parti del Concilio. Interessante e stimolante la citazione di Romano Amerio, autore di Iota Unum, che commentando il discorso inaugurale del Concilio tenuto dal Beato Giovanni XXIII, laddove il Pontefice faceva riferimento alla Chiesa che avrebbe dovuto mostrarsi “madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati” ha osservato che non si possono contrapporre principio di misericordia e principio di severità, in quanto nella mente della Chiesa la condanna stessa dell’errore è opera di misericordia.
Gli Autori hanno rilevato così che il Concilio si apriva sotto auspici precisi: evitare di condannare, sforzarsi di capire, dialogare col mondo, guardare con ottimismo al futuro ma hanno evitato di attribuire al Concilio tutta la colpa dell’attuale crisi, in quanto c’era qualcosa che non andava già prima del Concilio (per esempio il modernismo, definito da San Pio X “sintesi di tutte le eresie”).
Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro hanno posto all’attenzione dei lettori il ruolo di alcuni teologi (Marie-Dominique Chenu, Yves Congar, Karl Rahner e molti altri) nell’ispirare e indirizzare i lavori conciliari. Richiamando ancora il linguaggio, gli Autori hanno evidenziato che alcuni concetti come “aggiornamento” e “segni dei tempi” siano diventate parole-chiave per rimarcare come l’ortoprassi avesse avuto il sopravvento sull’ortodossia. Dal punto di vista più istituzionale, hanno osservato Gnocchi e Palmaro, con la nascita delle Conferenze episcopali fra Papa e vescovo si è insinuata una nuova struttura che mediaticamente ha “rubato la scena” al singolo successore degli apostoli.
La denuncia degli Autori ha stigmatizzato l’opera incessante di teologi, periti, vescovi e cardinali, accomunati dall’obiettivo di utilizzare il Vaticano II per introdurre profondi cambiamenti nella dottrina della Chiesa. Questo ridimensionamento del papato a favore della collegialità episcopale, hanno ribadito gli Autori, è stato provvidenzialmente bloccato con la famosa Nota explicativa praevia di Paolo VI. Per quanto concerne l’attenzione verso i mezzi di comunicazione sociale, Gnocchi e Palmaro hanno analizzato e sostenuto gli studi di Marshall McLuhan (1911-1980) in rapporto ai valori e principii cristiani soprattutto attraverso una considerevole citazione tratta dal volume La luce e il mezzo di McLuhan: «L’uomo elettronico non ha essenza carnale;è letteralmente disincarnato. Ora, un mondo disincarnato come quello in cui ci troviamo a vivere è una minaccia formidabile per la Chiesa incarnata…». La risonanza mediatica del Concilio, hanno annotato gli Autori, citando gli studi di uno storico progressista famoso come Giuseppe Alberigo (1926-2007), è stata orientata e pilotata da giornali e televisioni, i quali, ancora attraverso il pensiero di McLuhan, travisano il messaggio in quanto lo scopo non è la trasmissione del vero, ma la propria diffusione (il mezzo è il messaggio). Ovvero, la scena è dominata dai mass-media che comunicano se stessi. Conseguentemente, hanno rilevato gli Autori, affidando il proprio destino ai mezzi di comunicazione, il Concilio Vaticano II ha posto le premesse perché la lettera dei suoi documenti dovesse essere scritta e interpretata alla luce di altro, di un “trascendentale ideologico”… adottando così un linguaggio(“trascendentale tecnico”) di cui la Chiesa non era padrona. Particolarmente interessante il riferimento al linguaggio filosofico di Immanuel Kant (1724-1804) anche nel considerare il “trascendentale ecclesiologico” prodottosi dal clima di svalutazione metafisica penetrata anche all’interno di alcuni membri della Chiesa che, assieme alla deriva marxista (dai preti-operai alla teologia della liberazione) ed a certe teorie maritainiane, hanno prodotto personaggi equivoci come ad esempio Giuseppe Dossetti (1913-1996), prima politico democristiano e poi monaco, in cui l’alleato naturale del cristiano è il comunista data la comune passione per l’uomo. Giuseppe Dossetti, hanno ribadito gli Autori, ebbe un ruolo importante sui lavori conciliari in quanto perito del cardinale Giacomo Lercaro. Nell’ultima parte del saggio, Gnocchi e Palmaro hanno posto in evidenza come la Chiesa, nel corso dei tempi, avesse utilizzato tre armi formidabili: il latino, la predicazione apologetica per il popolo, lo stile definitorio e giuridico. Quest’ultimo tratto, lo stile definitorio, hanno sottolineato gli Autori, ha permesso alla Chiesa di contrastare l’eresia e di precisare nel tempo la dottrina cattolica senza equivoci e senza ambiguità. Al contrario, hanno osservato Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, dal Concilio Vaticano II in poi, lo stile definitorio è stato progressivamente abbandonato … per sostituirlo con quello discorsivo. Continuando nell’analisi critica attraverso la terminologia kantiana, gli Autori hanno parlato di una “critica della ragion ecclesiologica” prodottasi da uno svilimento della ragione in quanto incapace di conoscere il vero, la cosa in sé portando ad un abbassamento della ragione in aperto contrasto con l’allargamento della ragione richiamato dall’attuale pontefice Benedetto XVI.
Dinanzi ad una ragione incapace di conoscere il vero, il risultato più evidente è stato, secondo gli Autori, una Chiesa intimidita davanti al mondo, al pari dell’uomo kantiano davanti al noumeno.
Con il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 e con il Compendio del 2005, hanno puntualizzato gli Autori, c’è stato un ritorno al ricorso dello stile definitorio essenziale per la dottrina cristiana. Sul valore del Concilio Vaticano II, hanno sostenuto Gnocchi e Palmaro, rimangono dubbi ed equivoci, nodi irrisolti, questioni aperte che soprattutto da coloro che hanno individuato nel Vaticano II le radici di un atteggiamento di apertura, di dialogo, di confronto dovrebbero essere considerate, anziché mostrare un volto di chiusura e di intolleranza nei confronti di chiunque sollevi dubbi intorno al Concilio.
In conclusione, hanno evidenziato gli Autori, per aiutare la Bella Addormentata bisogna innanzitutto amarla ricordando che la carità si accompagna alla verità, così come la verità si accompagna alla carità… tocca a ciascun cattolico dare ogni giorno quel bacio alla Bella Addormentata, se veramente la ama.
FABIO TREVISAN