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lunedì 31 ottobre 2011

A proposito dell'Antologia sul Novecento di Città Nuova (vedi qualche post fa), riceviamo e pubblichiamo.

Cari amici di GKC,

Giovanni Casoli, che conosco e frequento da molti anni (è stato il mio insegnante di letteratura italiana e latina al liceo) e con il quale ho avuto l'onore di collaborare alla stesura dell'antologia da voi citata, è un importante studioso di letteratura (ma anche di filosofia e teologia, ed è un notevole poeta e narratore) che da molti anni si occupa del Gigante: non fosse stato per lui, probabilmente negli anni '90 del secolo scorso non mi sarebbe mai capitata tra le mani una copia di Ortodossia nella vecchia edizione della Morcelliana. Mi rivoltò l'anima come un guanto.
Fra i suoi tanti articoli su GKC mi permetto di segnalarvi questo (trascritto o scannerizzato in modo un po' approssimativo):
http://www.cittanuova.it/contenuto.php?idContenuto=2490&TipoContenuto=articolo&idSito=1

Segnalo anche questa sorta di piccola antologia (in inglese) accessibile online, con molti brani notissimi agli estimatori, lunghe citazioni (utile ritrovarle raccolte in base all'argomento) e qualche aforisma folgorante tratto da articoli spesso non presenti nelle raccolte edite dei saggi.


http://www.basicincome.com/bp/gkc.htm


Con stima e amicizia,


Daniele Capuano

La serietà non è una virtù è The Uses of diveristy

L'altro giorno ci siamo scordati di dire che "La serietà non è una virtù", che esce in questi giorni per i tipi della Lindau, è la traduzione del volume "The Uses of diversity - A book of essays", uscito in Inghilterra nel 1921 e mai tradotto in italiano sinora.

Prossimi alla pubblicazione sono Il ritorno di don Chisciotte (Morganti), The well and the shallows (Lindau), What I saw in America (Lindau) e Robert Louis Stevenson (Rubbettino), oltre ad una nuova edizione de Le avventure di un uomo vivo (Mursia) e de Lo Scandalo di padre Brown (Passigli).

Chesterton in altre parole - Una bella antologia di letterature parla (bene, tra l'altro) di GKC

In questo collegamento con Google Books trovate un brano tratto dalla antologia

Novecento letterario italiano ed europeo: autori e testi scelti, Volume 1,
di Giovanni Casoli, edito da Città Nuova. Riguarda il capitolo su Gilbert Keith Chesterton, 
che riteniamo (per un'antologia) esaustivo e ben fatto.

Addirittura, rara avis, vi si parla delle sue idee distributiste, solitamente ignote 
e censurate in Italia.

E' questo uno dei modi per fare conoscere meglio il nostro GKC.

Eccone un brano:

"Non è un teologo, o un controversista per amore della controversia, ma il cavaliere di una queste medievale alla ricerca del vero e prezioso Graal, sia che scriva un libro o un articolo di giornale, sia che declami una poesia o tenga una conferenza. Emerge in tutta la sua opera uno straordinario spirito d'infanzia, per nulla cieco e mai retorico, mai voluto o costruito, sempre misteriosamente sorgivo, che lo spinge a dire, qua e là, parole che colpiscono chiunque non abbia rinunciato alla propria anima: «In nessun modo un uomo può meritare la visione di una stella o di un tramonto»; «E' l'umiltà che rinnova perennemente la terra e le stelle»; «Il pazzo non è l'uomo che ha perduto la ragione, ma l'uomo che ha perduto tutto fuorché la ragione»; «Un bambino di sette anni si entusiasma a sentir dire che Tommy aprì una porta e vide un drago; un bimbo di tre anni si entusiasma solo a sentir dire che Tommy aprì una porta». Non è la voce di un uomo che parla dell'innocenza, è un'innocenza che parla di sé, con la consapevolezza, però, e questo è il secondo prodigio - dell'adulto che non ha rinnegato il bambino che è stato: «Se qualcuno desiderasse dire che io ho fondato tutta la mia filosofia sociale sulle buffonate di un bambino, altro non farei che inchinarmi, con soddisfazione, e sorridere»" (pag. 237).

Tra l'altro il volume include tra gli autori citati ed esaminati anche Clemente Rebora e John Ronald Reuel Tolkien, il che all'Uomo Vivo suona non bene ma benissimo. Si parla pure di Emilio Cecchi e della Ronda e si accenna nuovamente a Chesterton.


E poi in copertina c'è pure la facciona simpatica di GKC.

Bravo. Grazie.

La bambina sette miliardi è indiana o filippina; ma forse non c’è - L'ONU persegue la sua politica di controllo delle nascite (è questa la realtà e lo scopo dello strombazzamento mediatico)

Riportiamo questo articolo di AsiaNews perché riteniamo che le cose stiano esattamente come è scritto nel nostro titolo (e questo articolo lo dice).
La realtà non è che siamo troppi, ma che troppe persone vivono male ed invece potrebbero e dovrebbero vivere meglio in un sistema economico veramente rispettoso dell'uomo (questo ce lo ha ricordato Papa Benedetto XVI di recente...). Questo sistema non è né il capitalismo né il collettivismo di qualunque colore. Noi ci sforziamo di dirlo, dal nostro piccolo pulpito, con la voce di GKC, di Hilaire Belloc e dei loro amici.


Una ong ha annunciato che la persona sette miliardi è nata nell'Uttar Pradesh questa mattina e si chiama Nargis. Ma le Filippine reclamano il primato per un'altra bimba, Danica May Camacho, di Manila. In realtà quota sette miliardi potrebbe essere raggiunta solo l'anno prossimo. 


Delhi (AsiaNews) – Forse è indiana, ed è una bambina, la persona numero sette miliardi; ma le Filippine contestano questo primato, e secondo alcuni studiosi statunitensi in realtà la cifra sette miliardi di abitanti sarà raggiunta dalla popolazione mondiale solamente fra marzo e aprile prossimi. L'annuncio della "nascita sette miliardi" è stata da un organizzazione non governativa, "Plan International".

La bambina indiana si chiama Nargis ed è nata in un ospedale rurale dell'Uttar Pradesh, a circa 70 km dalla capitale dello Stato, Lucknow. Nargis è nata alle 7.20 ora locale; sua madre ha 23 anni e suo padre 25, e la famiglia abita in un piccolo villaggio, Mall. "Plan International" seguiva le indicazioni delle Nazioni Unite, secondo cui il sette miliardesimo essere umano sarebbe nato lunedì 31 ottobre in questa regione; e "seguiva" per questo motivo la gravidanza di sette donne nella regione.

Il titolo di essere umano sette miliardi però non è incontestato. Anche le Filippine rivendicano questo onore, e sostengono che il primato è di Danica May Camacho (nella foto), una bimba nata due minuti prima della mezzanotte a Manila. In realtà però quota sette miliardi potrebbe ancora non essere stata raggiunta. Almeno è questa l'opinione degli esperti statunitensi dell'US Census Bureau, che ritengono che bisogna aspettarsi la nascita sette miliardi fra marzo e aprile del 2012.

Quasi sulla stessa posizione è Sergei Scherbov dell'Istituto di demografia di Vienna, che afferma che al 95 per cento di probabilità l'evento accadrà fra gennaio e luglio del 2012. In realtà il margine di errore sul calcolo può arrivare al due per cento; e di conseguenza la popolazione del mondo potrebbe, oggi, essere sopra o sotto i sette miliardi di 56 milioni di unità. E la "finestra" temporale di incertezza è di sei mesi, a partire dal 31 ottobre.

In realtà però l'annuncio della nascita sette miliardi è stata lanciata dall'Onu per sostenere la sua politica di controllo delle nascite. "Ogni vita umana è un dono di Dio prezioso, e una fonte di dignità umana. Questa dignità è inerente alla vita umana, ed è eguale in ogni persona, è nella radice dei diritti umani, che sono inalienabili, inviolabili e universali. Ogni bambina, nata o non nata, hanno questi stessi diritti, che iniziano con il diritto alla vita". Così ha dichiarato il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai, un ardente difensore della eguale dignità per donne e bambine. Parlava contro l'aborto selettivo delle bambine e contro il feticidio, in particolare femminile. Secondo il Rapporto del governo dell'India, nel periodo dal 2001 al 2005 sono stati riportati 692mila casi di feticidio".

giovedì 27 ottobre 2011

Lindau colpisce ancora! La serietà non è una virtù, cioè gli articoli da Illustrated London News e The New Witness


Scheda libro


La serietà non è una virtù



















AUTORE: Chesterton G.K. 

La serietà non è una virtù

COLLANA: I Pellicani

PAGINE: pp. 248

ILLUSTRAZIONI: N° no

FORMATO: cm. 14x21

PREZZO: euro 20,00

ISBN: 978-88-7180-951-9

IL LIBRO

I brevi saggi raccolti in questo volume furono scritti nell’arco di vent’anni per due giornali inglesi, «The Illustrated London News» e «The New Witness». In essi Chesterton prende di mira alcuni aspetti del suo (ma anche del nostro…) tempo, indicativi di un atteggiamento ideologico di irragionevole, e un po’ ottuso, scetticismo nei confronti della Tradizione e di ingenua fiducia verso tutto ciò che ha l’apparenza della novità. Tra gli argomenti fatti oggetto della sua critica, compaiono la venerazione per gli animali domestici, il proliferare delle sette, il consumismo, il divorzio, lo spiritismo, l’esotismo, la fiducia incondizionata nelle conquiste della scienza, l’ateismo, l’individualismo, la divulgazione pseudoscientifica e, come suggerisce il titolo del primo saggio della raccolta (Sulla serietà), l’incapacità di sorridere della (e alla) vita.

Ancora una nuova offerta solo per i nostri soci!

Cari Soci,

oggi ci prendiamo un grandissimo lusso: quello di offrirvi una novità assoluta insieme ad un libro di grande successo.

Potete avere L'Imputato e La Nonna del Drago, due libri stupendi, al prezzo di € 28,00 comprese le spese di spedizione!

Per quest'offerta come al solito scrivete a

societachestertoniana@gmail.com

La Nonna del Drago è una splendida antologia di scritti intelligentissimi e brillantissimi che ha avuto e sta avendo ancora oggi, a distanza di quasi un anno dalla sua pubblicazione, un grande successo (se vi ricordate era la strenna natalizia dello scorso anno).

L'Imputato è la raccolta dei primi articoli del giovanissimo Gilbert in cui già c'era tutto intero il grande apostolo della speranza che tutti conosciamo.

L'Uomo Vivo quando li apre si commuove e gioisce al tempo stesso.

Quindi comprateli, vi farà bene.



La chiesa di padre Brown deve essere riparata.


In questo articolo trovate una notizia molto particolare: c'è una chiesa cattolica in Inghilterra a rischio di crollo (tanto da essere inserita tra le opere coperte dallo speciale fondo At Risk del governo britannico), in una cittadina chiamata Heckmondwike.

La particolarità della chiesa è di essere stata edificata sulla falsa riga della Chiesa di Hagia Sophia a Costantinopoli in stile romanico-bizantino, e chi la volle così fu il suo parroco dell'epoca (1914), quel padre John O'Connor che ispirò il nostro Chesterton a creare il personaggio di Padre Brown. Il complesso ospita anche una scuola primaria cattolica e due volte al mese vi si dice anche la messa nella forma straordinaria del rito romano (la cosiddetta messa tridentina).

Padre Abberton cerca aiuto (se leggete l'articolo fino in fondo trovate anche il modo di dargliene) perché le somme necessarie sono più alte di quelle che il governo ha pur fornito.

Questo è il sito della parrocchia dello Spirito Santo di Heckmondwike, e verso la fine della pagina principale trovate anche alcune notizie su Padre O'Connor, GKC e la cittadina.

Ecco cosa so dice (nostra libera traduzione):

«Si è pensatoda alcuni che Chesterton fosse stato ricevuto nella Chiesa cattolica qui in HeckmondwikeIn realtà egli è stato ricevuto nella sala da ballo dell'Hotel della Stazione Ferroviaria a Beaconsfield (30 luglio 1922). In quell'epoca P. O'Connor si era trasferito a St. Cuthbert a Bradford. Fu la moglie di ChestertonFrances, che particolarmente richiese che la ricezione del marito nella Chiesa Cattolica dovesse essere organizzata da Padre O'Connor. Egli fu assistito da P. Ignatius Rice, O.S.B.

Chesterton aveva pensato che potesse essere ricevuto nella Chiesa da Padre Ronald Knox. Quando scrisse a P. Knox della sua decisione di essere istruiti (e ricevuti) da P. O'Connor a Beaconsfield, P. Knox ha risposto con una vena umoristica che egli aveva ammirato la capacità di padre Brown di trascurare la sua parrocchiae confidava che questo fosse stato disposto dalla vita
!»

A volte ritornano - Quelli che ce l'hanno col Crocifisso.

Qui trovate un articolo sull'argomento. Succede a Guidonia.

Comunque Lui l'aveva detto che sarebbe stato segno di contraddizione.

Anche in Spagna si torna su Hilaire Belloc...

... allora siamo contagiosi.

Fran ci propone la poesia The South Country, qui. Anche tradotta in castellano.

Nuove edizioni di GKC in Spagna - Enormes minucias e Tipos diversos...

Escono in Spagna ed in spagnolo Enormes minucias e Tipos diversos, cioè Tremendous trifles e Varied types.

Andate a vedere qui, nel blog della Società Chestertoniana Spagnola, dal nostro amico Fran.

Bella gioia - Una notizia anti-tristezza grazie a Maria Grazia Gotti - La storia di Elvira Parravicini, che si prende cura dei bimbi con poche speranze di vita

GRAZIE, MARIA GRAZIA! BELLA! CON QUESTA NOTIZIA APRIAMO LA RUBRICA "BELLA GIOIA"!

Ciao Marco,

per bilanciare la tristezza di certe notizie, ti segnalo questo articolo, trovato su "Vite spericolate" il blog di Massimo Pandolfi, caporedattore de Il Resto del Carlino. Racconta della dottoressa Elvira Parravicini, neonatologa italiana che negli USA si prende cura di bambini con pochissime speranze di vita. E che dice "c'è sempre qualcosa da fare".

La donna che ha inventato gli hospice per neonati

Pubblicato da Massimo Pandolfi Lun, 24/10/2011 - 12:22

LA SECONDA edizione del premio ‘Enzo Piccinini’ quest’anno va ad un’italiana, la dottoressa Elvira Parravicini, una neonatologa lombarda, da anni negli Stati Uniti, che ha creato a New York il primo hospice per neonati. La consegna del riconoscimento mercoledì, alle ore 17,45, a Modena, presso il Centro Servizi Didattici della Facoltà di Medicina e Chirugia del Policlinico di Modena, nel corso del convegno ‘Maestri del nostro tempo nel campo della cura, dell’assistenza e dell’educazione’. Proprio nel campo medico ed educativo si era sempre distinto Piccinini, un medico morto nel 1999, a seguito di un incidente stradale sull’A1. In sua memoria, è nata una Fondazione, a Modena (dove Piccinini risiedeva) che dallo scorso anno ha deciso di assegnare questo ambito riconoscimento. Nel 2010 il premio fu consegnato al dottor Mario Melazzini, medico malato di Sla, testimone di speranza nonostante la malattia.

DI MASSIMO PANDOLFI

FOSSE per lei, l’espressione «Non c’è più nulla da fare» verrebbe bandita non solo dal campo medico, ma dal dizionario stesso. «C’è sempre qualcosa da fare» spiega e si anima Elvira Parravicini, 55 anni, medico neonatologo italiano, di Seregno (Monza), ‘cervello’ da 15 anni ceduto agli Stati Uniti. «Se anche a un bambino dovessero restare solo pochi giorni, poche ore o pochi minuti di vita — dice — noi abbiamo il dovere di chiederci: come possiamo confortarlo? E allora i punti chiave della cura diventano: mantenere il bimbo caldo, idratarlo o prendersi cura del dolore, se necessario, e soprattutto aiutare i genitori o altri membri della famiglia ad accogliere questo bimbo, anche per un periodo di tempo brevissimo».La dottoressa Parravicini ha un record: alla Colombia University di New York ha inventato un reparto, una ‘squadra speciale’ che è unico al mondo: una specie di hospice per bambini neonati, venuti al mondo troppo prima del tempo oppure affetti da sindromi letali o anomalie congenite talmente gravi da impedire nel 99% dei casi la sopravvivenza, anche a breve termine.GLI HOSPICE sono perlopiù i luoghi dove si va a morire, dove si danno gli ultimi conforti e si prova a togliere il dolore alle persone condannate. «Dare vita ai giorni e non giorni alla vita» è il motto lanciato dalla fondatrice di queste strutture, Cecily Saunders, che la Parravicini da alcuni anni applica quotidianamente con i suoi bambini che spesso non arrivano a pesare neanche un chilo, magari non hanno i reni, che sono destinati alla morte ma che intanto ci sono. Esistono. In America la chiamano ‘comfort care’. Il respiro di un bambino, seppure di un solo minuto, ha un valore infinito. «Lavorando con piccoli pazienti fra la vita e la morte, faccio sempre un’esperienza di bellezza, sia che la rianimazione riesca a salvare la vita, sia che mi debba confrontare con l’estremo limite umano che si chiama morte, perchè c’è un significato pure lì». Sembrano parole dell’altro mondo quelle della dottoressa Parravicini, ma sono più che mai di questo mondo. Non esistono ricette per tutte le stagioni: «Ci sono medici che suggeriscono di non iniziare la rianimazione di questi neonati e altri che insistono sulla rianimazione a tutti i costi. Io scelgo un’altra via». CHE SAREBBE: non c’è una regola. «Ho viste centinaia di bambini, ma ogni volta è diverso, perché ogni bambino è diverso. Ogni volta c’è un nuovo dramma da affrontare; sì, un dramma, che non va eluso o censurato. La società moderna, amche molti miei colleghi, provano invece a fare così: vorrebbero delle regolette da applicare, tenendosi la coscienza a posto. No, dobbiamo giocarci di più: serve prendere una decisione, rispettando e non manipolando il ‘destino del paziente’, che non può essere determinato nè dai genitori, né tantomeno dal medico. Ma anche quando la nostra conoscenza scientifica ci suggerisce che un bimbo è troppo prematuro per farcela, la nostra responsabilità medica non finisce lì. Non lo possiamo guarire questo bimbo, ma possiamo curarlo, cioè prenderci cura di lui. E dei suoi familiari». NELL’hospice del Morgan Stansley Children’s Hospital, Elvira Parravicini lavora con un’infermiera, un’assistente spirituale che cambia a seconda della religione della famiglia di appartenenza del bimbo, un fotografo professionista che, da volontario, fa un clic su questi fanciulli, affinché alle famiglie resti un ricordo; infine c’è un ‘child life’, che non è uno psicologo e neppure un fattorino, ma una persona che conforta una mamma e un papà in giorni certamente intensi e non facili, aiutandoli anche a sbrigare le necessità quotidiane.«NEGLI ultimi tre anni — spiega la Parravicini — ho seguito la nascita e il percorso di 44 bambini diagnosticati prima della nascita con condizioni probabilmente letali». I bimbi sono quasi sempre morti, ma ci sono state anche le sorprese, almeno tre. Jaden ad esempio. Jaden è una bimba che oggi ha tre anni ma che non doveva neppure nascere. Prima perché sua madre aveve appena sedici anni ed era un po’ sbandata, quando è rimasta incinta; poi perché al primo esame clinico si era capito che questa bimba non sarebbe mai potuta sopravvivere. L’universo mondo aveva consigliato alla ragazzina prima di abortire poi di lasciar perdere. Non aveva senso, per nessuno, portare a termine la gravidanza: almeno, dicevano così.INVECE questa mamma non ha abortito, non ha lasciato perdere. E ora a New York vive una donna felice di 19 anni, una giovane donna che ha messo la testa a posto e che spesso e volentieri va in ospedale a trovare la dottoressa Parravicini. Insieme a Jaden, sana come un pesce. 

martedì 25 ottobre 2011

I due articoli di Luca Negri su GKC e HB su Il Giornale di sabato 22 Ottobre 2011

Qui i due pezzi di Luca Negri su Il Giornale di sabato scorso 22 Ottobre 2011.

Grazie a Maria Grazia Gotti.

Una bella mail catalana da un amico chestertoniano italocatalano (!!!)

Josep Carbonell Rodes è un nostro carissimo amico, un caso più unico che raro perché è catalano, è vissuto diversi anni in Italia, ama l'Italia e ama Chesterton. In sostanza ci segue passo passo da Barcellona e ama molto quello che noi facciamo in Italia per Chesterton. Col suo permesso pubblichiamo una mail indirizzata al nostro presidente Marco Sermarini pochi giorni prima dell'incontro a Barcellona con il nostro carissimo Padre Ian Boyd (tra l'altro Josep ci ha promesso una corrispondenza e delle foto sull'evento).

Noi ringraziamo molto Josep per la stima e l'affetto che ci dimostra e aspettiamo sue notizie!

"Marco, amico,

ho ricevuto la tua attenta e-mail.

Io conosco la Dr. Sílvia Coll-Vinent, insegnante di inglese alla Universitat Ramon Llull di Barcellona, dove ci sarà la conferenza di Fr. Ian Boyd.

È un atto molto importante per me che non posso perdere.

Ho diffuso questo evento con due articoli: alla rivista cattolica Catalunya Cristiana e al giornale digitale El Matí.

Sono molto contento di poter salutare personalmente a Fr. Boyd. Uno dei più informati nel mondo sulla persona, la vita e l’opera del nostro Gilbert.

Mi piacerà, come esemplare rarissimo di chestertoniano italo-catalano, anche salutare Gloria Garafulich per conto della SCI.

Devo dire che il lavoro che fa la SCI in Italia è un miracolo. Ci sono così tanti a parlare di Gilbert che non esiste, nell’universo conosciuto, un caso simile. Credo che, sinceramente, gli italiani possano capire meglio il pensiero, l’atteggiamento vitale e il modo di agire di GKC. La sua capacità innata, intellettuale, appassionata, la sua umanità, sensibilità, spiritosità, familiarità e il fino senso dell’umore mi fa essere più vicino alla mentalità chestertoniana. Infatti, Chesterton come me si trovava in Italia come a casa. Ho trovato tra di voi idee, commenti, recensioni, contributi difficili da trovare in un altro posto. Una ricchezza e varietà sorprendente. Spero da voi una biografia definitiva su Gilbert.

Les amis de Chesterton, in Francia, con il suo blog hanno fatto molto ma ci sono pochi autori a parlarne -tra di loro Philippe Maxence. In Italia è stato un apparizione all’improvviso e costante di gruppi e chestertoniani. Questo fatto deve portare a risultati ancora inimmaginabili.


Ora e sempre,

Josep Carbonell"

lunedì 24 ottobre 2011

Una bella pagina chestertoniana del nostro Roberto Prisco

Andate a vedere questa bella pagina ad opera di Roberto Prisco dei Gruppi Chestertoniani Veronesi, che ringraziamo.

Due lettere di Gilbert a Frances sulla morte e sul ridere


Qui di seguito trovate il testo di un post dal sito di Bomba Carta (la bella iniziativa culturale che vede tra i suoi protagonisti gli amici chestertoniani Andrea Monda, Paolo Pegoraro, padre Antonio Spadaro) ad opera di Paolo Pegoraro.

L'occasione per Paolo è stata il Venerdì Santo 2010. Ha pensato di riproporre il testo di due lettere di Gilbert alla sua fidanzata e futura moglie Frances nei momenti successivi alla tragica e prematura morte della sorella di quest'ultima, Gertrude. Le riflessioni proposte sono preziosissime e le offriamo a tutti voi. Queste lettere ci fanno vedere Chesterton immerso in una circostanza drammatica della vita, intensa, e ci fanno capire cosa si muoveva nel suo cuore e come si muoveva per conseguenza Chesterton. La sensazione è quella dell'esplosione della Verità (sì, quella con la maiuscola, tanto vituperata oggi) nelle minute circostanze della vita.

Le due lettere sono contenute nella biografia di Chesterton a firma di Michael Ffinch, uscita più di venti anni fa per i tipi della San Paolo in Italia e mai più pubblicata (peccato!). La biografia di Ffinch, assieme all'insostituibile lavoro di Maisie Ward ("Chesterton" e "Return to Chesterton", mai tradotti in Italia, gravissimo!) e a quelli recenti di William Oddie ("The Romance of Orthodoxy - The making of GKC 1874 - 1909") e di padre Ian Ker ci aiutano a comprendere a fondo le idee e soprattutto il cuore del nostro grandissimo insostituibile amico e ci danno l'idea di quanto sia vera l'affermazione del Cardinale Giacomo Biffi che disse di lui:

«non è cresciuto in una famiglia religiosa e non ha ricevuto una formazione cristiana nel senso preciso del termine. Non è stato preparato alla sua missione apologetica da qualche agguerrita università pontificia. Nessun movimento culturale cattolico l'ha illuminato, nessuna associazione dedita all'apostolato l'ha spronato alla "buona battaglia". Si è fatto da solo. E' semplicemente andato alla scuola della sua schietta umanità e ha ricercato la verità con assoluta onestà intellettuale, usando effettivamente di quella ragione che i razionalisti si limitavano a venerare. Questo è stato sufficiente per condurlo "a casa", cioè all'antica fede e alla saggezza dei padri».


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Oggi, Venerdì Santo, scende il silenzio. Il silenzio di un lutto cosmico. Quasi che la morte avesse l’ultima parola. Un sentimento ingovernabile ci assale davanti alle grandi tragedie: solo il dolore ci rende tutti uguali, solo la morte non fa differenze. Così lugubremente democratica. Ma se fosse così egualitaria e parificante, non dovrebbe toglierci la pace. “Se fosse…”. Mi sono ricordato delle lettere che il giovane Chesterton scrisse alla fidanzata Frances in un’occasione poco felice. La sorella di Frances, Gertrude, venne investita da un autobus. Morì pochi giorni dopo e Frances cadde in depressione. Chesterton non smise per questo di scherzare, come suo solito, ma per lo meno spiegò alla sua futura moglie il perché…

* * * * *

GILBERT K. CHESTERTON, Lettere alla fidanzata (luglio 1899)
«Io, prima di tutto, ho giurato – non esito a dirlo – per la spada di Dio che ci ha colpito e davanti al bel volto della morta, che la prima frase scherzosa mi fosse venuta in mente l’avrei detta, la prima poesia assurda avessi pensato l’avrei scritta; ho giurato che, tra gli altri doveri, pur con il cuore pesante, avrei assolto quello di essere spudoratamente sciocco, stravagante, perfino spudoratamente triviale e, per quanto possibile, divertente. Ho giurato che Gertrude non avrebbe mai dovuto sentire, dovunque fosse, che lo spirito allegro della commedia aveva lasciato il nostro teatro.
Questo, me ne rendo conto, sarà frainteso. Ma da lungo tempo so che, qualunque cosa facciamo, saremo fraintesi; tanto peggio per gli altri, poiché, noi lo sappiamo, le nostre migliori motivazioni non sono spiegabili né difendibili. E preferirei ferire coloro che possono gridare anziché colei che tace».

Qualche giorno dopo (11 luglio), Gilbert scrisse a Frances:

«Ho fatto una scoperta o, dovrei dire, ho avuto una visione. L’ho avuta tra due tazze di caffè nero in un ristorante francese di Soho; ma non saprei spiegarla, neppure se cercassi di farlo. Comunque, il senso era che tutte le cose buone formano un tutt’uno. Non esiste alcun conflitto tra la lapide di Gertrude e il ritornello di un’opera buffa eseguito da Mildred Wain. Ma esiste un’insanabile conflitto tra la lapide di Gertrude e l’oscena pomposità della prèfica; ed esiste un’insanabile conflitto tra la melodia dell’opera buffa e qualunque testo meschino o volgare a cui venga adattata. Queste cose, che l’uomo ha unito, Dio sicuramente le separerà.

Questo è ciò che sento… adesso, a ogni ora del giorno. Tutte le cose buone sono una cosa sola. Tramonti, scuole di filosofia, bambini, costellazioni, cattedrali, opere d’arte, montagne, cavalli, poesie; sono solo travestimenti. Un’entità soltanto si muove sempre tra noi, celandosi sotto il manto grigio della chiesa o nel verde dei prati. Lui c’è sempre, dietro a ogni cosa, soltanto lui può indossare quei travestimenti in modo tanto splendido. E questo è ciò che gli Ebrei dell’antichità, soli tra gli altri popoli, hanno percepito; per questo il loro rozzo dio tribale è stato innalzato sopra le rovine di tutte le civiltà politeiste. Poiché i Greci, i Vichinghi e i Romani videro solo i conflitti della natura e trasformarono il sole in un dio, e così pure il mare, e così pure il vento. Non furono attraversati, come qualche rude israelita, una notte, nella solitudine del deserto, dall’improvvisa, abbagliante idea che tutto il mondo era una manifestazione di un solo Dio: un’idea degna di un romanzo poliziesco».

La morte non fa ridere. Facile è farci sopra del sarcasmo, humour nero, battute ciniche e fataliste. Ma una risata serena e spensierata, una risata sana e autentica, è mai possibile? Della morte si può ridere a una sola condizione: se la si percepisce come, misteriosamente, cosa buona. Si può ridere (non de-ridere) solo di ciò che è buono, soltanto di ciò che è uno, nel senso che se ne riconosce l’unico Buon Autore.L’umorismo sembra diventare quasi un universale, oltre all’unum, al verum e al bonum. Ci sono altre morti, peggiori di quella fisica, sulle quali è ben difficile scherzare. Scriverà Chesterton due anni dopo, in un articolo titolato Difesa degli scheletri: «Quantunque mi annuvoli in viso per cupa vanità, volgare vendetta o ignobile disprezzo, le ossa del mio teschio, al di sotto, rideranno in eterno». Ed è davanti a questa forza di spirito – a questa irreprimibile, rivoltosa pretesa di vita eterna che coincide paradossalmente con l’umile accettazione del proprio terrestre finire – che viene veramente da domandarsi: «O morte, dov’è la tua vittoria?» (1Cor 15,55). Non sarà che le risate sono un assaggio di eternità? di beatitudine piena?


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L'articolo su Bomba Carta lo trovate qui. Grazie, Paolo!

Fabio Trevisan recensisce La Bella Addormentata, l'ultimo libro di Gnocchi e Palmaro

LA BELLA ADDORMENTATA
Soltanto chi ha un po’ di dimestichezza con autori umoristi (e seri) cattolici come Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) e Giovannino Guareschi (1908-1968) può comprendere, fin dal titolo “La Bella Addormentata” l’allusività a quel mondo delle favole tanto decantato dai due grandi autori cristiani,  sovente citati nel saggio di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro. Quella “morale delle favole” che emerge dalla lettura di Chesterton e Guareschi non ha solamente un valore etico adatto a grandi e piccini, ma ha soprattutto un valore teologico e metafisico profondo che parte da una considerazione semplice e sostanziale: Dio ha creato tutto in modo fantastico dal nulla e l’uomo per riconoscerne il segno della Sua presenza deve  meravigliarsi della bellezza del Suo ordine anche attraverso l’ascolto o la visione delle grandi metafore fiabesche. Per guardare al presente ed intravvedere il futuro serve quindi ritornare al passato, come ci ricordano le grandi favole che da sempre hanno accompagnato la crescita di tutti gli uomini. Con questo saggio (“La Bella Addormentata” Edizioni Vallecchi) gli Autori ci fanno assaporare il prezioso ricordo della nostra giovinezza, quando per risvegliare la Bella Addormentata si aspettava il Principe Azzurro che amandola sapesse ridestarla. Il richiamo allusivo alla Chiesa “Bella” e “Addormentata” è da considerarsi quindi, nell’opera di Gnocchi e Palmaro, un passaggio di riferimento fondativo e costante imprescindibile. La bellezza della Chiesa, ci ricordano gli Autori, è deturpata dai nostri peccati, dai nostri tradimenti, dalle nostre eresie ed è soprattutto il peso dei peccati dell’umanità intera che ha prodotto una crisi ed ha ridotto al lumicino il vigore dottrinale di tanti, troppi suoi figli. Dinanzi a questa evidente crisi (nel Prologo gli Autori sottolineano il fatto di non poter non chiamare critica la situazione ), Gnocchi e Palmaro cercano di comprendere lo stato reale della crisi attraverso la descrizione fenomenologica del sonno, che è l’emblema della crisi, proponendo una lettura attenta del Concilio Vaticano II a partire da quella contrapposizione geniale (scaturita dalla penna di Guareschi) tra Don Camillo e Don Francesco sintetizzata con poche ma espressive parole: «Non posso comprare niente» (Don Camillo) «Non ho niente da vendere» (Don Francesco). Quel “non posso” e quel “non ho niente” riassumono in modo impareggiabile, attraverso due figure antitetiche di sacerdoti, due visioni del mondo inconciliabili. Come hanno sottolineato gli Autori, Don Francesco aprendosi al mondo nell’illusione di convertirlo, ha finito per assumerne persino i tic intellettuali più grotteschi.
Il sottotitolo del saggio di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro: “Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi” prelude ad una benefica iniezione di fiducia e di speranza: “Perché si risveglierà”, delicata metafora dell’evangelico “non praevalebunt”. Gli Autori si chiedono cosa poter fare per evitare di cadere nel torpore di un’esistenza senza Dio e rispondono ancora attraverso Don Camillo: «Bisogna salvare il seme: la fede. Bisogna aiutare chi possiede ancora la fede a mantenerla intatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più …». 
Analizzando con dovizia di particolari il clima psicologico con cui venne presentato e preparato il Concilio Vaticano II, gli Autori hanno potuto constatare , anche attraverso numerose fonti, l’enorme influenza che il contesto storico degli anni ’60 ha prodotto sui lavori del Concilio e su alcuni testi conciliari, il tipo di linguaggio utilizzato nei documenti, le controversie interpretative, i silenzi del Concilio attorno ad alcune questioni fondamentali, il dilemma sulla natura dogmatica o pastorale del Concilio o di parti del Concilio. Interessante e stimolante la citazione di Romano Amerio, autore di Iota Unum, che commentando il discorso inaugurale del Concilio tenuto dal Beato Giovanni XXIII, laddove il Pontefice faceva riferimento alla Chiesa che avrebbe dovuto mostrarsi “madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati” ha osservato che non si possono contrapporre principio di misericordia e principio di severità, in quanto nella mente della Chiesa la condanna stessa dell’errore è opera di misericordia.
Gli Autori hanno rilevato così che il Concilio si apriva sotto auspici precisi: evitare di condannare, sforzarsi di capire, dialogare col mondo, guardare con ottimismo al futuro ma hanno evitato di attribuire al Concilio tutta la colpa dell’attuale crisi, in quanto c’era qualcosa che non andava già prima del Concilio (per esempio il modernismo, definito da San Pio X “sintesi di tutte le eresie”). 
Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro hanno posto all’attenzione dei lettori il ruolo di alcuni teologi (Marie-Dominique Chenu, Yves Congar, Karl Rahner e molti altri) nell’ispirare e indirizzare i lavori conciliari. Richiamando ancora il linguaggio, gli Autori hanno evidenziato che alcuni concetti come “aggiornamento” e “segni dei tempi” siano diventate parole-chiave per rimarcare come l’ortoprassi avesse avuto il sopravvento sull’ortodossia. Dal punto di vista più istituzionale, hanno osservato Gnocchi e Palmaro, con la nascita delle Conferenze episcopali fra Papa e vescovo si è insinuata una nuova struttura che mediaticamente ha “rubato la scena” al singolo successore degli apostoli.
La denuncia degli Autori ha stigmatizzato l’opera incessante di teologi, periti, vescovi e cardinali, accomunati dall’obiettivo di utilizzare il Vaticano II per introdurre profondi cambiamenti nella dottrina della Chiesa. Questo ridimensionamento del papato a favore della collegialità episcopale, hanno ribadito gli Autori, è stato provvidenzialmente bloccato con la famosa Nota explicativa praevia di Paolo VI. Per quanto concerne l’attenzione verso i mezzi di comunicazione sociale, Gnocchi e Palmaro hanno analizzato e sostenuto gli studi di Marshall McLuhan (1911-1980) in rapporto ai valori e principii cristiani soprattutto attraverso una considerevole citazione tratta dal volume La luce e il mezzo di McLuhan: «L’uomo elettronico non ha essenza carnale;è letteralmente disincarnato. Ora, un mondo disincarnato come quello in cui ci troviamo a vivere è una minaccia formidabile per la Chiesa incarnata…». La risonanza mediatica del Concilio, hanno annotato gli Autori, citando gli studi di uno storico progressista famoso come Giuseppe Alberigo (1926-2007), è stata orientata e pilotata da giornali e televisioni, i quali, ancora attraverso il pensiero di McLuhan, travisano il messaggio in quanto lo scopo non è la trasmissione del vero, ma la propria diffusione (il mezzo è il messaggio). Ovvero, la scena è dominata dai mass-media che comunicano se stessi. Conseguentemente, hanno rilevato gli Autori, affidando il proprio destino ai mezzi di comunicazione, il Concilio Vaticano II ha posto le premesse perché la lettera dei suoi documenti dovesse essere scritta e interpretata alla luce di altro, di un “trascendentale ideologico”… adottando così un linguaggio(“trascendentale tecnico”) di cui la Chiesa non era padrona. Particolarmente interessante il riferimento al linguaggio filosofico di Immanuel Kant (1724-1804) anche nel considerare il “trascendentale ecclesiologico” prodottosi dal clima di svalutazione metafisica penetrata anche all’interno di alcuni membri della Chiesa che, assieme alla deriva marxista (dai preti-operai alla teologia della liberazione) ed a certe teorie maritainiane, hanno prodotto personaggi equivoci come ad esempio Giuseppe Dossetti (1913-1996), prima politico democristiano e poi monaco, in cui l’alleato naturale del cristiano è il comunista data la comune passione per l’uomo. Giuseppe Dossetti, hanno ribadito gli Autori, ebbe un ruolo importante sui lavori conciliari in quanto perito del cardinale Giacomo Lercaro. Nell’ultima parte del saggio, Gnocchi e Palmaro hanno posto in evidenza come la Chiesa, nel corso dei tempi, avesse utilizzato tre armi formidabili: il latino, la predicazione apologetica per il popolo, lo stile definitorio e giuridico. Quest’ultimo tratto, lo stile definitorio, hanno sottolineato gli Autori, ha permesso alla Chiesa di contrastare l’eresia e di precisare nel tempo la dottrina cattolica senza equivoci e senza ambiguità. Al contrario, hanno osservato Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, dal Concilio Vaticano II in poi, lo stile definitorio è stato progressivamente abbandonato … per sostituirlo con quello discorsivo. Continuando nell’analisi critica attraverso la terminologia kantiana, gli Autori hanno parlato di una “critica della ragion ecclesiologica” prodottasi da uno svilimento della ragione in quanto incapace di conoscere il vero, la cosa in sé portando ad un abbassamento della ragione in aperto contrasto con l’allargamento della ragione richiamato dall’attuale pontefice Benedetto XVI.
Dinanzi ad una ragione incapace di conoscere il vero, il risultato più evidente è stato, secondo gli Autori, una Chiesa intimidita davanti al mondo, al pari dell’uomo kantiano davanti al noumeno.
Con il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 e con il Compendio del 2005, hanno puntualizzato gli Autori, c’è stato un ritorno al ricorso dello stile definitorio essenziale per la dottrina cristiana. Sul valore del Concilio Vaticano II, hanno sostenuto Gnocchi e Palmaro, rimangono dubbi ed equivoci, nodi irrisolti, questioni aperte che soprattutto da coloro che hanno individuato nel Vaticano II le radici di un atteggiamento di apertura, di dialogo, di confronto dovrebbero essere considerate, anziché mostrare un volto di chiusura e di intolleranza nei confronti di chiunque sollevi dubbi intorno al Concilio.
In conclusione, hanno evidenziato gli Autori, per aiutare la Bella Addormentata bisogna innanzitutto amarla ricordando che la carità si accompagna alla verità, così come la verità si accompagna alla carità… tocca a ciascun cattolico dare ogni giorno quel bacio alla Bella Addormentata, se veramente la ama.
FABIO TREVISAN

sabato 22 ottobre 2011

Oggi su Il Giornale Grande Slam chestertoniano!

Andate a pagina 36 dell'edizione cartacea e trovate una pagina intera su GKC e Hilaire Belloc a firma del nostro amico Luca Negri. Titoli: Chesterton, tutto il bello del "brutto" e E il suo amico economista ci porta sulla "Via di Roma".

Bravo, Negri! Bravo, Gilbert! Bravo, Hilaire!

venerdì 21 ottobre 2011

Un aforisma al giorno

"Il vero soldato combatte non perché egli odia ciò che è di fronte a lui, ma perché ama ciò che è dietro di lui".

Gilbert Keith Chesterton, Illustrated London News - 14.01.1911 

Un aforisma al giorno

"Il mondo si troverà sempre più in una posizione in cui perfino i politici e gli uomini che esercitano una professione si troveranno a dire: 'Se il Papa non esistesse, bisognerebbe inventarlo'".

Gilbert Keith Chesterton, La mia fede

Un aforisma al giorno

"Gran parte del lavoro consiste in un lavoro di traduzione, nello scoprire il significato reale di parole che la Chiesa utilizza in modo corretto e il mondo no".

Gilbert Keith Chesterton, La Chiesa Cattolica - Dove tutte le verità si danno appuntamento

Ancora su Phillip Blond, distributismo e Stati Uniti d'America


Nel collegamento qui sopra trovate un articolo dell'Huffington Post sullo stesso tema del Washington Post che ci aveva suggerito giorni fa il nostro benefattore americano Francis Manion.

Si sofferma anch'esso sulla presenza negli Stati Uniti di Phillip Blond, il consigliere del premier britannico David Cameron, e sul fatto che egli stimi e voglia nuovamente diffondere le idee distributiste.

Lo guardiamo con interesse proprio per il suo esplicito riferirsi alla dottrina sociale cattolica, a Papa Ratzinger e ai nostri cari GKC, Belloc e amici. Non sposiamo nessuno, guardiamo con interesse.

«E' il risultato di un'"oscillazione tra collettivismo estremo e individualismo estremo", ha sostenuto Blond. Entrambe sono manifestazioni dello stesso impulso: una concentrazione di potere prima nelle mani dello Stato e poi nei mercati. E sia le "ortodossie" liberali che quelle conservatrici hanno portato alla stessa società che distruggono risultato» dice in un passo l'articolo, che traduciamo liberamente. Una tesi interessante, senza dubbio, che ricalca in parte il giudizio di Chesterton su collettivismo e capitalismo.

L'articolo più avanti si sofferma sulle origini del distributismo da cui Blond trae molte delle sue tesi sulla società attuale, e cita espressamente Chesterton e Belloc come i capiscuola della teoria economica traente origine dal magistero di Papa Leone XIII e che sta tornando in voga, malgrado tutti gli sforzi che da più parti si fanno per farla credere anacronistica. L'articolo precisa che «fino a pochi anni fa questa teoria non avrebbe guadagnato molto più di un'audizione. Ma ora il distributismo è senza dubbio diventato l'idea più intrigante per emergere dalle rovine del collasso economico dei primi anni del XXI secolo, in non trascurabile parte perché ha il maggiore potenziale per colmare le attuali voragini ideologiche negli Stati Uniti».

Noi chestertoniani d'Italia ci crediamo, crediamo molto nel distributismo.


nella foto: Phillip Blond




giovedì 20 ottobre 2011

Un aforisma al giorno (occhio lunghissimo, Chesterton!)

"Non c'è più alcuna differenza di tono o di genere fra l'ordine collettivista e quello commerciale: il commercio ha la burocrazia e il comunismo la sua organizzazione. Le cose private sono già pubblicate nel senso peggiore del termine, vale a dire che sono impersonali e deumanizzate. E viceversa le cose pubbliche sono già private nel senso peggiore del termine, vale a dire che sono oscure e segrete in larga parte corrotte. Il nuovo governo dell'Industria riuscirà a mettere insieme il peggio di tutti i piani per un mondo migliore. Niente più eccentricità, niente più umorismo, niente più nobile disdegno del mondo. Solo una cosa odiosa chiamata servizio sociale, che vuol dire schiavitù senza fedeltà. Questo servizio sarà uno degli ideali di tale governo. Dimenticavo di dire che non mancheranno gli ideali. Tutti gli uomini più ricchi del movimento hanno chiaramente fatto capire che possiedono un certo numero di questi piccoli comfort. La gente ha sempre degli ideali quando non ha più idee".

Gilbert Keith Chesterton, Il profilo della ragionevolezza

Un aforisma al giorno

"Il mondo sarà occupato, o meglio lo è già, da due poteri che ora sono un unico potere. Mi riferisco naturalmente a quella parte della storia del mondo che durerà molto più a lungo della nostra epoca. Presto o tardi, senza dubbio, gli uomini riscopriranno un piacere così naturale come la proprietà. Ma questo avverrà forse a distanza di secoli, come i lunghi secoli della schiavitù pagana. Forse la scoperta avverrà dopo un lungo declino di tutta la nostra civiltà. Magari a farla saranno i barbari e penseranno che sia una cosa nuova".

Gilbert Keith Chesterton, Il profilo della ragionevolezza

Bellieni: «L'embrione è un essere umano, ora deve capirlo la politica»


Carlo Bellieni, docente di neonatologia all'Università di Siena, spiega a Tempi.it l'importanza della sentenza della Corte di giustizia europea che riconosce gli embrioni come esseri umani: «La sentenza dice una cosa che sanno tutti i bambini: la vita umana comincia con l'atto procreativo»
Di Carlo Candiani
in
20 Ott 2011
Autore:
Carlo Candiani

Su espresso ricorso degli ecologisti di Greenpeace, la Corte di Giustizia europea ha emesso la sentenza [4] in cui dichiara che "l'embrione è qualunque ovulo umano fin dalla fecondazione e perciò si esclude ogni brevettabilità o commercializzazione". Sentenza, questa, che ha provocato meraviglia e polemiche. «In realtà di meraviglia ce ne dovrebbe essere poca, perché la sentenza dice una cosa molto semplice e banale, che sa qualunque bambino che va a scuola, cioè che la vita umana comincia con l'atto procreativo; uno studente di quinta elementare o un ragazzo all'università che non dice ciò, viene bocciato» inizia il suo intervento, interpellato da Radio Tempi, il prof. Carlo Bellieni, docente di neonatologia all'Università di Siena. «Purtroppo, quando poi si passa alla politica e all'etica, questa verità che si impara a scuola sembra non valere più. Un embrione è un essere umano e quindi non ci si può giocherellare, come se fosse un farmaco o un'aspirina».

Sono stati proprio gli ecologisti di Greenpeace a richiedere una sentenza in questo senso, l'Italia invece è abituata a un altro tipo di Verdi.
L'Italia, certo, ma nel mondo è diverso: il Papa, nel suo discorso al Bundestag, si è rivolto esplicitamente ai Verdi e agli ecologisti, trovandoli come sensibilità molto vicini al suo messaggio. La realtà italiana è diversa, un po' per l'atteggiamento dei Verdi nostrani, un po' per chi ha un'attenzione alla vita ma, purtroppo, scarsa capacità di dialogo.

Ora però si lamentano i ricercatori, che a causa della sentenza dovranno bloccare i loro esperimenti sulle staminali embrionali.

Non è vero che si bloccano. Intanto diciamo che tutte le ricerche, se non sono etiche, si bloccano. Se io devo fare esperimenti, devo sottomettere la mia ricerca ad un comitato etico, in attesa di approvazione. Se uno studio non è ritenuto etico, si blocca: non è censura, è un rispetto per la persona. Inoltre, stracciarsi le vesti perché si ferma uno studio tra dieci milioni di studi che possono essere fatti per migliorare la situazione della medicina nel mondo, mi sembra poco proporzionale. Grazie a Dio le ricerche vanno avanti: usando le cellule staminali adulte o quelle prese al momento della nascita.

Resta il problema delle cellule staminali embrionali presenti "in archivio" negli ospedali.

Questo è un problema importante, ma se sono degli embrioni vivi non si devono trattare come delle aspirine.

Questa sentenza può avere conseguenze sul piano delle politiche che riguardano l'aborto e la pillola di interruzione della gravidanza
?
E' una cosa ovvia. Oltre ai pronunciamenti legislativi serve un grosso lavoro di educazione per riportare in politica, come dicevamo all'inizio, l'evidenza che si impara sui banchi di scuola.

Ascolta l'intervista integrale a Carlo Bellieni


mercoledì 19 ottobre 2011

Rassegna stampa... embrionale

19 Ottobre 2011 - CorrieredellaSera
Bioetica
EMBRIONI. Dalla Corte europea no all'uso 224 KB

19 Ottobre 2011 - Avvenire
Bioetica
EMBRIONI. E' vita dal concepimento 391 KB

Francis Manion ci suggerisce un articolo sul distributismo apparso sul Washington Post...

In questo collegamento trovate un articolo del Washington Post suggeritoci dall'amico Francis Manion, esecutore testamentario di padre Stanley Jaki (la persona che ha donato alla SCI i libri di Chesterton appartenuti al grande pensatore).

Vi si parla del distributismo e di come un pensatore anglicano (si parla del "solito" Phillip Blond, consigliere del premier inglese David Cameron: a proposito, speriamo consigli a Cameron di finirla con questa storia assurda dei matrimoni tra persone dello stesso sesso e altre "amenità" del genere... e che consigliandolo venga ascoltato) abbia "riesumato" questa vecchia idea cattolica come possibile soluzione dei problemi economici americani.

Il titolo dell'articolo è:


Age-old ‘distributism’ gains new traction


Un passaggio dell'articolo, da noi liberamente tradotto, suona grosso modo così:

«"Quello che stiamo creando nella nostra società è un nuovo modello di servitù della gleba", ha dichiarato Blond venerdì 14 ottobre in una conferenza alla New York University"La retorica del libero mercato non ha prodotto il libero mercato, ma ha prodotto mercati chiusi", e il "capitale sociale" della nazione è in declino, lasciando dietro di sé individui isolati e famiglie distrutte che devono dipendere da Washington per il sostegno».


Indubbiamente la cosa ha un suo peso, se pensiamo che uno dei principali quotidiani degli Stati Uniti d'America si sofferma a parlare del distributismo ideato dai nostri cari GKC, Hilaire Belloc e padre Vincent McNabb.


Qualcosa sta succedendo. Bene.

lunedì 17 ottobre 2011

Nuovamente su Hilaire Belloc - Don Giuseppe De Luca (Il Frontespizio) parla di Belloc e del suo pellegrinaggio a Chestochowa

Tempo fa vi mettemmo a disposizione (avendolo letto in un sito internet, che trovate come collegamento in calce a questo post) un brevissimo brano di un articolo di don Giuseppe De Luca, una delle menti de Il Frontespizio, rivista letteraria edita dalla Libreria Editrice Fiorentina e quindi da Vallecchi cui collaborarono Chesterton e Belloc (di cui negli anni vi abbiamo fornito qualche brano grazie all'interesse di alcuni nostri soci e amici, primo fra tutti Angelo Bottone).

L'articolo in questione parla della Madonna di Chestochowa, in Polonia, e cita proprio il pellegrinaggio che vi fece Belloc, che viene messo a paragone con un altro illustre pellegrino mariano, il francese Charles Péguy. Del Belloc si cita anche il pellegrinaggio a piedi a Roma, il cui resoconto è stato pubblicato proprio in questi giorni da Cantagalli (anche di questo abbiamo già dato conto, più di qualche post fa). L'articolo riporta una poesia di Belloc sulla Madonna di Chestochowa.

Il Frontespizio, per la cronaca, ebbe tra i contributori e sostenitori uomini come Piero Bargellini (ne fu direttore), Giovanni Papini, Carlo Bo, Mario Luzi, Giuseppe Ungaretti ed altri ancora. 



don Giuseppe De Luca con Giuseppe Ungaretti e Alfredo Schiaffini

Questo pezzo uscì su L'Osservatore Romano il 25 Febbraio 1962 nella rubrica Bailamme ed è stato ristampato in forma elegante in anni più recenti. Esiste anche una raccolta degli articoli del De Luca usciti per la medesima rubrica, che trovate anche qui.



«(...) Non appena ho letto che giungeva in Roma in questi giorni il Cardinal Primate di Polonia, mi son tornati in mente quei giorni, quegli uomini, e tutte le avemarie (quante, Madonna mio, quante: ce ne ubriacavamo) che si recitavano spesso insieme alla Madonna di Czestochowa. E mi son tornati in mente inoltre (oh che brutta malattia è la letteratura) uno scrittore e la ballata che egli scrisse e dedicò alla Madonna di Czestochowa.
   Che dico dedicò? Belloc, perché si tratta di lui, si recò in persono nel 1928 in Polonia. Non fu un viaggio, il suo; e lui n aveva fatti tanti, di viaggi, tutti descritti in divertentissimi libri. Fu un pellegrinaggio vero e proprio, come quelli di Pèguy a Chartres. Pèguy pativa, e portava le sue poesie come un ex-voto per i figli malati alla Madonna; Belloc portò una sua ballata, un po’ alla brava, spavaldamente. Era una ballata all’antica. Era venuto qui, nella città eterna, a piedi, dal cuore della Francia; e il suo In via per Roma (The Path to Rome), lo diedi tradotto nell’Illistrazione Vaticana del 1935. Non io dovevo tradurlo, avrebbe dovuto tradurlo uno come Cecchi, a quel modo che tradusseManalive di Chesterton: amico dell’uno e dell’altro, e amico degnissimo di loro, a loro egli ha consacrato pagine parecchio belle.
Narra il biografo del Belloc:

[Nel 1928] Belloc si recò in pellegrinaggio in Polonia; questo pellegrinaggio, per importanza, vien secondo a quello che aveva fatto a Roma. Sua mèta, il santuario della Madonna di Czestochowa; recava con sé la ballata che porta ilnome di Lei.
   Ascoltata la messa nella grande chiesa del monastero, la quale domina tutta la regione per la sua situazione, e domina tutta la Polonia per la sua leggenda, Belloc portò la ballata, montata in un cornice nera, nella cappella dove la fascia dolorosa della Madre di Dio guarda sulla folla che le prega davanti. L’appende alla parete a fianco dell’altare, a destra, in mezzo a spade, medaglie, vascelli d’oro, braccia e gambe, testimonianze della intercessione della Madonna. Dopo, ne fece una traduzione strana in un latino maccheronico, e la depositò negli archivi del monastero. Se oggi un pellegrino polacco guarda un po’ da vicino queste sante mura, vedrà che un poeta inglese fu il primo tra gli amici della sua nazione.

Qual è questa ballata? Eccola, nella traduzione di Augusto Guidi:

Donna, e Regina, e multiplo Mistero,
E Reggitrice dello sgombro cielo,
Madonna che Sant’Ilda vide in sogno,
E una silvestre musica ascoltava;
M’attenderai nell’ora vespertina,
Che le nubi sono alte e rientra il gregge.
Questa è la fede che ho nutrito e nutro,
E questa è quella in cui morire voglio.
Scoscesi sono i flutti, irosi, freddi,
Terribili a tentarsi nei marosi;
Vasta è la steppa nella fredda notte,
Né vi trova una vela alcun riparo.
Ma tu mi guiderai alle luci ed io
T’innegerò in un porto favoloso.
Questa è la fede che ho nutrito e nutro,
E questa è quella in cui morire voglio.
Dei soccombenti ausilio, Casa d’oro,
Eburnea torre, Tempio della Spada;
Raro splendore, raggiante, supremo,
Visione dell’eroe, voce del mondo.
Tu mi restituirai, fedele amica,
Alla vendetta e alle glorie dei forti.
Questa è la fede che ho nutrito e nutro,
E questa è quella in cui morire voglio.
Licenza. Principe d’onta che ti compri e vendi,
Scritti nella tua tana rovinante,
Questi versi proclaman la mia fede,
Proclamano che in lei voglio morire.

   Oh no, non è una gran poesia, forse nemmeno è una poesia. Sarà preghiera? Ne dubito, la pregihiera e la poesia essendo cose estremamente più sfuggenti, segrete. A Belloc, più di una volta, come al suo amico Chesterton, piacevano troppo scrivendo i fuochi artificiali. Come piaceva il vino. Si sarebbero vergognati di dare per soggetto alla poesia, persino alla prosa, la cronaca nera oggi d’uso alla quale preferirono sempre le storielle allegre. Incontrarono, tuttavia, la preghiera e la grazia, tutti e due, e più di una volta.A loro stessa insaputa, ma le incontrarono; e un giorno qualcuno lo dirà, io spero.

   Non è strano, lettore, che questo innamorato di Roma, il suo secondo pellegrinaggio lo abbia fatto proprio alla Madonna di Czestochowa, e a quella Madonna abbia recaro la sua ballata? (...)»

Tratto da http://michele.macchia.tripod.com/ristampa.htm