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lunedì 17 ottobre 2011

Nuovamente su Hilaire Belloc - Don Giuseppe De Luca (Il Frontespizio) parla di Belloc e del suo pellegrinaggio a Chestochowa

Tempo fa vi mettemmo a disposizione (avendolo letto in un sito internet, che trovate come collegamento in calce a questo post) un brevissimo brano di un articolo di don Giuseppe De Luca, una delle menti de Il Frontespizio, rivista letteraria edita dalla Libreria Editrice Fiorentina e quindi da Vallecchi cui collaborarono Chesterton e Belloc (di cui negli anni vi abbiamo fornito qualche brano grazie all'interesse di alcuni nostri soci e amici, primo fra tutti Angelo Bottone).

L'articolo in questione parla della Madonna di Chestochowa, in Polonia, e cita proprio il pellegrinaggio che vi fece Belloc, che viene messo a paragone con un altro illustre pellegrino mariano, il francese Charles Péguy. Del Belloc si cita anche il pellegrinaggio a piedi a Roma, il cui resoconto è stato pubblicato proprio in questi giorni da Cantagalli (anche di questo abbiamo già dato conto, più di qualche post fa). L'articolo riporta una poesia di Belloc sulla Madonna di Chestochowa.

Il Frontespizio, per la cronaca, ebbe tra i contributori e sostenitori uomini come Piero Bargellini (ne fu direttore), Giovanni Papini, Carlo Bo, Mario Luzi, Giuseppe Ungaretti ed altri ancora. 



don Giuseppe De Luca con Giuseppe Ungaretti e Alfredo Schiaffini

Questo pezzo uscì su L'Osservatore Romano il 25 Febbraio 1962 nella rubrica Bailamme ed è stato ristampato in forma elegante in anni più recenti. Esiste anche una raccolta degli articoli del De Luca usciti per la medesima rubrica, che trovate anche qui.



«(...) Non appena ho letto che giungeva in Roma in questi giorni il Cardinal Primate di Polonia, mi son tornati in mente quei giorni, quegli uomini, e tutte le avemarie (quante, Madonna mio, quante: ce ne ubriacavamo) che si recitavano spesso insieme alla Madonna di Czestochowa. E mi son tornati in mente inoltre (oh che brutta malattia è la letteratura) uno scrittore e la ballata che egli scrisse e dedicò alla Madonna di Czestochowa.
   Che dico dedicò? Belloc, perché si tratta di lui, si recò in persono nel 1928 in Polonia. Non fu un viaggio, il suo; e lui n aveva fatti tanti, di viaggi, tutti descritti in divertentissimi libri. Fu un pellegrinaggio vero e proprio, come quelli di Pèguy a Chartres. Pèguy pativa, e portava le sue poesie come un ex-voto per i figli malati alla Madonna; Belloc portò una sua ballata, un po’ alla brava, spavaldamente. Era una ballata all’antica. Era venuto qui, nella città eterna, a piedi, dal cuore della Francia; e il suo In via per Roma (The Path to Rome), lo diedi tradotto nell’Illistrazione Vaticana del 1935. Non io dovevo tradurlo, avrebbe dovuto tradurlo uno come Cecchi, a quel modo che tradusseManalive di Chesterton: amico dell’uno e dell’altro, e amico degnissimo di loro, a loro egli ha consacrato pagine parecchio belle.
Narra il biografo del Belloc:

[Nel 1928] Belloc si recò in pellegrinaggio in Polonia; questo pellegrinaggio, per importanza, vien secondo a quello che aveva fatto a Roma. Sua mèta, il santuario della Madonna di Czestochowa; recava con sé la ballata che porta ilnome di Lei.
   Ascoltata la messa nella grande chiesa del monastero, la quale domina tutta la regione per la sua situazione, e domina tutta la Polonia per la sua leggenda, Belloc portò la ballata, montata in un cornice nera, nella cappella dove la fascia dolorosa della Madre di Dio guarda sulla folla che le prega davanti. L’appende alla parete a fianco dell’altare, a destra, in mezzo a spade, medaglie, vascelli d’oro, braccia e gambe, testimonianze della intercessione della Madonna. Dopo, ne fece una traduzione strana in un latino maccheronico, e la depositò negli archivi del monastero. Se oggi un pellegrino polacco guarda un po’ da vicino queste sante mura, vedrà che un poeta inglese fu il primo tra gli amici della sua nazione.

Qual è questa ballata? Eccola, nella traduzione di Augusto Guidi:

Donna, e Regina, e multiplo Mistero,
E Reggitrice dello sgombro cielo,
Madonna che Sant’Ilda vide in sogno,
E una silvestre musica ascoltava;
M’attenderai nell’ora vespertina,
Che le nubi sono alte e rientra il gregge.
Questa è la fede che ho nutrito e nutro,
E questa è quella in cui morire voglio.
Scoscesi sono i flutti, irosi, freddi,
Terribili a tentarsi nei marosi;
Vasta è la steppa nella fredda notte,
Né vi trova una vela alcun riparo.
Ma tu mi guiderai alle luci ed io
T’innegerò in un porto favoloso.
Questa è la fede che ho nutrito e nutro,
E questa è quella in cui morire voglio.
Dei soccombenti ausilio, Casa d’oro,
Eburnea torre, Tempio della Spada;
Raro splendore, raggiante, supremo,
Visione dell’eroe, voce del mondo.
Tu mi restituirai, fedele amica,
Alla vendetta e alle glorie dei forti.
Questa è la fede che ho nutrito e nutro,
E questa è quella in cui morire voglio.
Licenza. Principe d’onta che ti compri e vendi,
Scritti nella tua tana rovinante,
Questi versi proclaman la mia fede,
Proclamano che in lei voglio morire.

   Oh no, non è una gran poesia, forse nemmeno è una poesia. Sarà preghiera? Ne dubito, la pregihiera e la poesia essendo cose estremamente più sfuggenti, segrete. A Belloc, più di una volta, come al suo amico Chesterton, piacevano troppo scrivendo i fuochi artificiali. Come piaceva il vino. Si sarebbero vergognati di dare per soggetto alla poesia, persino alla prosa, la cronaca nera oggi d’uso alla quale preferirono sempre le storielle allegre. Incontrarono, tuttavia, la preghiera e la grazia, tutti e due, e più di una volta.A loro stessa insaputa, ma le incontrarono; e un giorno qualcuno lo dirà, io spero.

   Non è strano, lettore, che questo innamorato di Roma, il suo secondo pellegrinaggio lo abbia fatto proprio alla Madonna di Czestochowa, e a quella Madonna abbia recaro la sua ballata? (...)»

Tratto da http://michele.macchia.tripod.com/ristampa.htm

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