L'Uomo Vivo e i suoi amici sono stati un po' in vacanza ma sono tornati e vi invitano a venire al Meeting per l'Amicizia tra i Popoli a Rimini, che parte oggi.
In particolare vi invitiamo giovedì 27 Agosto alle ore 16.30 per la presentazione della nuova collana dell'Editore Raffaelli, curata da Paolo Gulisano. E' semplicemente un'occasione per vedersi in faccia.
Vi aspettiamo!
Qui sotto il comunicato stampa e la presentazione del volume di cui si parlerà giovedì, Il Cavallo Bianco (The White Horse):
PRESENTAZIONE:
Perché nessuna persona decente scrive un romanzo storico su Alfred e sul suo fortino ad Athelney, in mezzo alle paludi del fiume Parrett? Non proprio un romanzo storico. Non per dire tutta la Verità su di lui (per piacere!) o sul fatto che ha fondato l’Impero Britannico, o la Lega Navale, o qualsiasi cosa sia quello che ha fondato. Non sul Trattato di Wedmore o, meglio, su quello che dovrebbe essere chiamato Patto di Chippenham (come afferma un eminente storico). Bensì un romanzo aborigeno per ragazzi sul fatto nudo e crudo, e anche beatifico, che un grande eroe tiene il suo fortino su un isola in mezzo ad un fiume. Un’isola è sempre bella, in tutta coscienza o anche nell’incoscienza del pirata, ma un’isola sul fiume suona come l’inizio della più grande storia d’avventura sulla terra.
Gilbert K. Chesterton scriveva queste parole nel 1910, in un saggio intitolato A Romance of the Marshes all’interno della raccolta Alarms and Discursions. L’anno successivo egli avrebbe pubblicato The Ballad of the White Horse, il poema epico, o meglio aborigeno, che celebra la storia di Alfred The Great, re del Wessex dal 871 al 899.
L’intera trama di questo testo ruota attorno ad un fatto storico, la battaglia di Ethandune che fu combattuta dal 6 al 12 maggio del 878 e vide Alfred sconfiggere, contro ogni previsione, gli invasori Danesi, cha stavano dilagando sul suolo inglese, guidati da re Guthrum. Ma, per dichiarazione dello stesso autore, non è un intento storiografico quello che sostiene il poema:
Il culto di Alfred appartiene alla tradizione popolare, dall’oscurità del IX secolo fino agli albori del XX. È dell’intera tradizione popolare su lui che mi occupo qui. Scrivo come chi è assolutamente ignorante di tutto, eccetto che di aver verificato che la leggenda del Re del Wessex è tuttora viva nel paese.
(G.K.C., dalla Prefazione)
L’ignoranza storiografica dichiarata da Chesterton è una scommessa sul valore culturale e fondativo della tradizione popolare:
«Non è “la vita quotidiana dell’uomo medioevale” quella che Chesterton vuole scrivere, ma la storia che ha dato origine al suo popolo, quella che lo ha animato e che lo ha fatto sorgere, quella che in poche parole ha trasformato una massa di disperati in una civiltà. La ballata del cavallo bianco è la storia dell’incontro fra il fatto cristiano e l’Inghilterra. È da quest’incontro che è nata la nazione inglese e la sua salvezza, allora come adesso, sta nel riconoscere questo fatto che diviene perciò storicamente fondativo» (Marco Antonellini, dall’Introduzione).
Il lettore incontrerà il fatto nudo e crudo che è l’avventura di un re che costruisce e difende il suo regno; ma è più corretto riferirsi ai lettori e non ad un singolo lettore perché la forma del poema «è adeguata all’ascolto collettivo: esso è “the tales a whole tribe feigns” (Dedica, v. 27), il racconto che unisce la tribù accanto al fuoco e unisce perché le parole, i suoni, i ritmi, si sedimentano come memoria di un’immaginazione collettiva. Come nell’epica classica, il testo è pensato per l’ascolto: Chesterton usa gli strumenti poetici come fossero note, pennelli e scalpelli, li usa per scolpire una storia, una sinfonia scultorea, che resta al popolo come “tradizione”» (Annalisa Teggi, dalla Nota del traduttore).
Re Alfred non è una leggenda nel senso in cui è possibile che Re Artù sia una leggenda, ovvero che potrebbe essere una storia falsa. Re Alfred, invece, è una leggenda nel senso più vasto e più profondamente umano del termine, in base a cui le leggende contengono i dati più rilevanti su di lui.
(G.K. C., dalla Prefazione)
E il dato più rilevante della storia di Alfred, che Chesterton mette in scena, non è la battaglia vittoriosa che egli combatté contro gli invasori pagani. Essa, a dire il vero occupa la parte preponderante del testo, perché il poema è fedele alla vita umana, in cui piccole e grandi battaglie occupano l’orizzonte complessivo di ogni giornata. Ma l’unità di misura della vita umana non è la battaglia, vale a dire l’alternarsi incessante e continuo di vicissitudini dall’esito incerto. Non è la sconfitta a decretare il fallimento dell’uomo e neppure la vittoria di una giusta battaglia a decretarne il successo.
Il vero protagonista del poema di Chesterton è il Cavallo Bianco, la cui figura compare a tratti sullo sfondo del testo. Sulle colline nella regione del Berkshire, da tempo immemorabile, emerge dall’erba una grande figura che rappresenta in modo stilizzato il profilo di un Cavallo Bianco. Altri cavalli bianchi riempiono le colline inglesi, ma quello del Berkshire è il più grande (ampio nel punto massimo circa 110 metri).
Chesterton accredita la tradizione secondo cui la battaglia di Ethandune si sarebbe svolta in prossimità della valle del Cavallo Bianco del Berkshire. Sullo sfondo delle vicissitudini umane, rappresentate dalla battaglia, persiste una presenza che accompagna l’Inghilterra sin dalle sue origini, o forse, afferma Chesterton, da molto prima che l’Inghilterra fosse un’ isola. Il sigillo impresso da Dio sulla Terra sin dal tempo della Creazione è un sigillo di bene e, dunque, l’uomo cristiano, di cui Alfred è immagine, è come il bambino che costruisce in riva al mare un castello di pietre: esso può crollare continuamente, ma il bambino ogni volta ricomincia a costruirlo «una volta di più» (non «di nuovo» e non «da capo»). L’opera umana è suscettibile di perdite e crolli, ma non è vana. L’intera avventura di Alfred ha come punto di partenza una scommessa cruciale, una scommessa su cui l’intera vita umana si misura, e che è la voce stessa della Madonna a porgergli:
“Le porte del cielo sono solo socchiuse,
noi non sorvegliamo il nostro oro,
Gli uomini dell’Est scrutano le stelle,
per segnare gli eventi e i trionfi,
siete ignoranti e coraggiosi,
Non dico nulla per il tuo conforto,
e neppure per il tuo desiderio, dico solo:
Sai provar gioia senza un motivo,
dimmi, hai fede senza una speranza?”
A quasi cento anni dalla prima edizione inglese, La Ballata del Cavallo Bianco pubblicata da Raffaelli Editore è la prima edizione italiana del poema, integralmente tradotto e curato da Annalisa Teggi.