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lunedì 31 agosto 2009

dal dott. Carlo Bellieni - 11

La nouvelle vie de Cameron Diaz

"Fine delle risate" titola Le Figaro, nell'intervista a Cameron Diaz sul suo film sul figlio concepito apposta per curare il fratello malato... e che denuncia i genitori perché non vuole essere usato "da medicina". "La cosa più difficile quando ci si confronta con la morte - dice l'attrice - è accettare il fatto che non possiamo nulla. Una volta imparata questa lezione, si acquista una libertà che si scontra con l'arroganza umana, che pensa di poter controllare tutto":

dal dott. Carlo Bellieni - 10

The Associated PressJudge: SD doctors must say abortion ends life

Una giudice ordina che in South Dakota si spieghi a chi vuole abortire che l'aborto è la fine di una vita (leggi il documento). Già, ora servono le leggi per dire la verità.

National Geographic In the Womb Trailer

Breve video del National Geographic che mostra di cosa è capace un embrione o un feto (vedi cliccando qui)

dal dott. Carlo Bellieni - 10

The Associated PressJudge: SD doctors must say abortion ends life

Una giudice ordina che in South Dakota si spieghi a chi vuole abortire che l'aborto è la fine di una vita (leggi il documento). Già, ora servono le leggi per dire la verità.

National Geographic In the Womb Trailer

Breve video del National Geographic che mostra di cosa è capace un embrione o un feto (vedi cliccando qui)

domenica 30 agosto 2009

Sempre a proposito della presentazione al Meeting...

... l'Uomo Vivo è molto felice di aver visto finalmente in faccia alcuni dei soci che non conosceva, ed è proprio una bella cosa.

Quanto bene può fare ancora Chesterton per noi!

venerdì 28 agosto 2009

Bella la presentazione de Il Cavallo Bianco al Meeting

Ieri ho assistito alla presentazione della edizione de Il Cavallo
Bianco, ad opera di Raffaelli editore.

Bravissimi tutti, Paolo Gulisano, Marco Antonellini e Annalisa Teggi.

Vi farò avere l'intervento di Annalisa Teggi, la brava traduttrice,
che credo abbia centrato perfettamente lo spirito chestertoniano di
speranza dell'opera, dandoci delle importanti chavi di lettura
dell'opera singola e del complesso delle opere di Chesterton, il che
si può fare solo amando intensamente l'opera che si traduce, l'autore
e cogliendo la vocazione dell'uomo Chesterton prima ancora delle
inclinazioni tecniche ed estetiche dello scrittore. Questo è
importantissimo in questo preciso caso, che è quello di un'opera
poetica.

Ci torneremo su necessariamente.

Inviato da iPhone

Blond dice che destra e sinistra hanno sbagliato entrambe in UK

Blond sostiene che la sinistra ha fatto dei cambiamenti solo a
vantaggio delle classi più alte e la destra non ha saputo comprendere
il suo compito in Gran Bretagna, mentre oggi c'è necessità di
sussidiarietà, di ciò che lui chiama stato civico.

Il welfare state ha creato secondo lui una sorta di monopolismo della
sinistra, il sostegno della classe media liberale e il peggioramento
delle condizioni dei poveri.

Lo stato-mercato non ha funzionato perché di fatto ha sostituito con i
cartelli i monopoli di stato.

Lo stato mercato ha sostituito il pubblico negando così l'accesso al
mercato a molti britannici.

Ha creato una genia di oligarchi.

In Gran Bretagna i laburisti hanno aperto le porte alla speculazione
finanziaria per sostenere il welfare state.

Il welfare state e lo stato mercato si sono poi fusi e oggi questo
sistema sta crollando e fallendo.

Il conservatorismo progressista vuole sostituire questo vecchio
sistema con lo stato civico. Vuole favorire la responsabilità, le
comunità e le associazioni.

Vuole ampliare la partecipazione al mercato.

I conservatori stanno cercando di sottolineare nuove responsabilità.
Vogliono incarnare un nuovo movimento.

Alla luce dell'attuale crisi vedremo nuovi movimenti per risolverla.

La nuova economia conservatrice vuole rilanciare il mercato secondo
schemi nuovi. È necessario offrire tutti i vantaggi del benessere a
tutti.

Blond vuole dire che bisogna liberare il mercato dalla presa
burocratica dello stato.

Bisogna pensare alle economie locali: ci sono città fantasma gemelle,
negozi tutti uguali, un mercato senza competitori.

Occorre riformare il sistema tributario.

Il risparmio è sceso moltissimo e il divario tra ricchi e poveri si è
ampliato.

Nel mio paese, dice Blond, credo sia necessario un nuovo mercato in
grado di adempiere alle sue promesse. Ci vuole sussidiarietà a tutti i
livelli.

I cittadini non avranno più bisogno di uno stato centralizzato.

Questa è una sintesi del breve ma compendioso intervento di Phillip
Blond, che vi inviamo or ora appena terminato.

Inviato da iPhone

mercoledì 26 agosto 2009

L'Udienza generale di papa Benedetto XVI di oggi 26 Agosto 2009

Cari fratelli e sorelle!

Ci avviciniamo ormai alla fine del mese di agosto, che per molti significa la conclusione delle vacanze estive. Mentre si torna alle attività quotidiane, come non ringraziare Iddio per il dono prezioso del creato, di cui è possibile godere, e non solo durante il periodo delle ferie! I differenti fenomeni di degrado ambientale e le calamità naturali, che purtroppo non raramente la cronaca registra, ci richiamano l’urgenza del rispetto dovuto alla natura, recuperando e valorizzando, nella vita di ogni giorno, un corretto rapporto con l’ambiente. Verso questi temi, che suscitano la giusta preoccupazione delle Autorità e della pubblica opinione, si va sviluppando una nuova sensibilità, che si esprime nel moltiplicarsi di incontri anche a livello internazionale.

La terra è dono prezioso del Creatore, il quale ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci, dandoci così i segnali orientativi a cui attenerci come amministratori della sua creazione. E’ proprio a partire da questa consapevolezza, che la Chiesa considera le questioni legate all’ambiente e alla sua salvaguardia intimamente connesse con il tema dello sviluppo umano integrale. A tali questioni ho fatto più volte riferimento nella mia ultima Enciclica Caritas in veritate, richiamando "l’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà" (n. 49) non solo nei rapporti tra i Paesi, ma anche tra i singoli uomini, poiché l’ambiente naturale è dato da Dio per tutti, e il suo uso comporta una nostra personale responsabilità verso l’intera umanità, in particolare verso i poveri e le generazioni future (cfr ivi, 48). Avvertendo la comune responsabilità per il creato (cfr ivi, 51), la Chiesa non solo è impegnata a promuovere la difesa della terra, dell’acqua e dell’aria, donate dal Creatore a tutti, ma soprattutto si adopera per proteggere l’uomo contro la distruzione di se stesso. Infatti, "quando l’«ecologia umana» è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio" (ibid.). Non è forse vero che l’uso sconsiderato della creazione inizia laddove Dio è emarginato o addirittura se ne nega l’esistenza? Se viene meno il rapporto della creatura umana con il Creatore, la materia è ridotta a possesso egoistico, l’uomo ne diventa "l’ultima istanza" e lo scopo dell’esistenza si riduce ad essere un’affannata corsa a possedere il più possibile.

Il creato, materia strutturata in modo intelligente da Dio, è affidato dunque alla responsabilità dell’uomo, il quale è in grado di interpretarlo e di rimodellarlo attivamente, senza considerarsene padrone assoluto. L’uomo è chiamato piuttosto ad esercitare un governo responsabile per custodirlo, metterlo a profitto e coltivarlo, trovando le risorse necessarie per una esistenza dignitosa di tutti. Con l’aiuto della stessa natura e con l’impegno del proprio lavoro e della propria inventiva, l’umanità è veramente in grado di assolvere al grave dovere di consegnare alle nuove generazioni una terra che anch’esse, a loro volta, potranno abitare degnamente e coltivare ulteriormente (cfr Caritas in veritate, 50). Perché ciò si realizzi, è indispensabile lo sviluppo di "quell’alleanza tra essere umano e ambiente, che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio" (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2008, 7), riconoscendo che noi tutti proveniamo da Dio e verso Lui siamo tutti in cammino. Quanto è importante allora che la comunità internazionale e i singoli governi sappiano dare i giusti segnali ai propri cittadini per contrastare in modo efficace le modalità d’utilizzo dell’ambiente che risultino ad esso dannose! I costi economici e sociali, derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni, riconosciuti in maniera trasparente, vanno supportati da coloro che ne usufruiscono, e non da altre popolazioni o dalle generazioni future. La protezione dell’ambiente, la tutela delle risorse e del clima richiedono che i responsabili internazionali agiscano congiuntamente nel rispetto della legge e della solidarietà, soprattutto nei confronti delle regioni più deboli della terra (cfr Caritas in veritate, 50). Insieme possiamo costruire uno sviluppo umano integrale a beneficio dei popoli, presenti e futuri, uno sviluppo ispirato ai valori della carità nella verità. Perché ciò avvenga è indispensabile convertire l’attuale modello di sviluppo globale verso una più grande e condivisa assunzione di responsabilità nei confronti del creato: lo richiedono non solo le emergenze ambientali, ma anche lo scandalo della fame e della miseria.

Cari fratelli e sorelle, ringraziamo il Signore e facciamo nostre le parole di san Francesco nel Cantico delle creature: "Altissimo, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude, la gloria e l’honore et omne benedictione … Laudato si’, mi’ Signore, cum tucte le tue creature".

Così san Francesco. Anche noi vogliamo pregare e vivere nello spirito di queste parole.

Eluana, la figlia di una violenza che ha resistito anche all’aborto

Da Il Giornale del 26 Agosto 2009

Chissà cosa pensano quel signore e i suoi sodali che quella sera bevvero...

Avrebbe dovuto essere una storia come mille altre: il certificato di aborto consegnato al consultorio come fosse il numeretto dal salumiere; i «sette giorni di riflessione» vissuti come un’inutile perdita di tempo e, finalmente, l’operazione che avrebbe liberato Margherita da quel bambino frutto della violenza del suo convivente marocchino, che la riempiva regolarmente di botte e che voleva costringerla ad abortire.
Invece, il 9 febbraio, la fine della storia è stata un’altra. Era il giorno in cui Eluana Englaro sarebbe morta e i volontari del centro di aiuto alla vita ingauno di Albenga - che della battaglia per non interrompere l’alimentazione della ragazza avevano fatto un motivo di vita, loro e di Eluana - erano tutti in sede. C’era Ginetta Perrone, che da sempre si occupa dell’accoglienza di chi bussa alla porta; c’erano Francesca, Ilaria e Simona, che immagazzinano le scorte alimentari per i neonati di famiglie in difficoltà; c’era Silvia, che è la psicologa del centro e c’era Eraldo che è una specie di Alan Ford della situazione, che «di tutti è il più bello, ci sta proprio per quello nel gruppo Tnt». Ecco, Eraldo è così: l’uomo immagine, il comunicatore, il gestore del Centro di aiuto alla vita del centro savonese che tiene i contatti con le istituzioni e incrocia parole affilate quando c’è da polemizzare con qualcuno sull’argomento della difesa della vita.
Proprio quel giorno, il giorno di Eluana, Margherita si è presentata dai volontari di Albenga con in mano il foglio con tutto il necessario per abortire: firma del ginecologo, timbri e ceralacche della Asl al posto giusto, data dell’intervento in sala operatoria per abortire già fissata. Mancava solo la volontà netta di non volere la bambina che Margherita aveva in grembo. Tanto è vero che, leggendo un numero verde su un manifesto affisso nel consultorio, le viene comunque la curiosità di andare a sentire cos’hanno da proporle quei signori che invitano a non abortire.
E così, man mano che Margherita si lascia andare, man mano che prende confidenza e fiducia in Ginetta, Eraldo e in tutti gli altri volontari - una specie di dream team della vita - viene fuori un’altra storia. Una storia di trentaquattro anni sbagliati: droga, spaccio, due figli adolescenti già affidati all’ex marito, un compagno marocchino che la picchia regolarmente. Il corpo è una mappa di lividi per le botte prese. La gravidanza, il frutto della penultima violenza. L’obbligo di abortire, il frutto dell’ultima.
Forse, è proprio da lì, dall’ennesima costrizione di quell’uomo, che Margherita vede un’altra fine per la sua storia. E, di fronte ai sorrisi di quelli del Centro di aiuto alla vita, si scioglie. Racconta, soprattutto, che aveva già tanti dubbi. Ma che un particolare è stato decisivo per portarla lì: l’ecografia che le ha fatto il ginecologo e quel puntino su cui ha puntato il suo strumento. «Vede, signora, questo è il cuore del suo bimbo che pulsa».
Ecco, da lì, comincia un’altra storia. Perché visto sull’ecografo sembra un videogame, uno di quei puntini da Space invaders. Ma, comunque, non può lasciare indifferenti. La scritta game over, la fine di quella vita, non è una passeggiata. Ma, come in tutti i giochi elettronici, ci sono dieci secondi per decidere se continuare la partita con altre monetine.Quei metaforici dieci secondi arrivano durante il colloquio con i volontari ingauni. Quelle metaforiche monetine le forniscono Ginetta, Eraldo e i loro ragazzi: il vescovo di Albenga-Imperia Mario Oliveri mette a disposizione una residenza protetta, dove Margherita può essere sicura di non essere nuovamente minacciata dal compagno marocchino. L’assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Albenga mette a disposizione 400 euro per contribuire al vitto della bimba. Il Centro di aiuto alla vita fa partire un progetto che assicura 160 euro al mese fino al primo anno di vita. I volontari si autotassano e le passano 50 euro settimanali. E la vita sbagliata di Margherita inizia a cambiare. Le prospettive, non solo per la bimba, ma anche per lei, sono diverse. Tanto che Ciangherotti, capo degli antiabortisti doc, l’Alan Ford bello di Albenga, ne approfitta per fare un elogio della 194. Della 194 vera, però: «Se applicata integralmente, anche nella parte in cui difende la vita e mette a disposizioni strumenti per evitare l’aborto automatico».
La fine della storia è la nascita di una bimba di tre chili e 750 grammi, con gli occhi azzurro scuri, il viso paffuto, una raffica di capelli neri. Piccolo particolare: si chiama Eluana.

Meeting 2009, un'intervista a Enzo Jannacci

A pagina tre dell'Avvenire di oggi 26 Agosto 2009 trovate una bella intervista ad Enzo Jannacci, simpatico medico e cantautore (per la cronaca suoi sono i testi de La Canzone Intelligente di Coki e Renato, e anche la mitica Vengo anch'io no tu no, un mito per gli ultraquarantenni...).

Parla della sua fede, del suo pensiero su Eluana Englaro (tutt'altro che spento, una ferita aperta anzi apertissima nel nostro popolo, una persona usata come "caso" per fare da grimaldello alla cultura della morte, della tristezza e del vuoto, lo ribadiamo per l'ennesima volta e continueremo a farlo per sempre, non potrà fermarci nessuno).

L'Avvenire lo trovate on line dopo mezzogiorno. Abbiate pazienza. All'Uomo Vivo arriva a casa...

martedì 25 agosto 2009

Ci vediamo giovedì 27 alle ore 16.00 a Rimini, Fiera Nuova, Padiglione A3

Allora, cari amici, ora la cosa è definitiva (abbiamo avuto cambiamenti di orario e dato informazioni imprecise sul luogo): la presentazione della nuova collana dell'Editore Raffaelli si terrà giovedì 27 Agosto 2009 alle ore 16 (alle quattro precise!!!) presso lo Stand della rivista ClanDestino, nel padiglione A3 della Fiera Nuova.

Agli ingressi della Fiera vengono distribuite delle piantine per localizzare con facilità dove si trovano i singoli stand, vista la vastità di enti e associazioni presenti.

Allora ci vediamo là!

Una libera interpretazione della tesi di fondo di Ortodossia

Il nostro amico Channelman qui sostiene a spada tratta, dopo aver letto l'Ortodossia, che Chesterton andasse in moto...

Potrebbe anche essere...

Attenti, inglesi, L'Osteria Volante è cominciata quasi così...

Da Repubblica del 25 Agosto 2009

E' uno dei simboli del Regno Unito. Ma causa troppi incidenti al bar. Così l'amato contenitore rischia di sparire, sostituito dalla plastica.
Londra, addio bicchiere di vetro - scoppia la guerra della pinta

dal nostro inviato CRISTINA NADOTTI


LONDRA - Non bisogna essere degli affezionati del tipico pub inglese per fare una smorfia di disgusto all'idea di una birra alla spina messa in un bicchiere di plastica. Eppure a questo dovranno abituarsi i fanatici della pinta, perché il ministero dell'Interno britannico ha deciso che il classico "nonick", il bicchiere largo con il bordo sporgente tipico dei pub inglesi, è pericoloso. Fatto di vetro, diventa troppo spesso un'arma nelle risse, le cifre lo dicono chiaro: ogni anno nel Regno Unito ci sono 87mila incidenti in cui il vetro spezzato causa feriti o vittime, il tutto con un costo troppo alto in ospedali, interventi della polizia e processi, addirittura per un totale di 100milioni di sterline all'anno.

Le autorità stanno cercando di addolcire la pillola ai fan della pinta e ai gestori dei pub, promettendo che nel cambio non ci perderanno, visto che per ideare il nuovo bicchiere è all'opera l'Home Office Design and Technological Council. Si punta insomma a qualcosa di altamente tecnologico, perché, ha detto al "Times" il portavoce del pool di designer, "la sfida non è solo creare un bicchiere da una pinta sicuro, ma far in modo che piaccia all'industria, ai produttori e ai consumatori".

Come se fosse una cosa da poco, soprattutto in un Paese in cui la tradizione conta molto e una delle caratteristiche irrinunciabili del nuovo bicchiere dovrà essere la capacità, esattamente 0,568 litri, la pinta appunto. I designer hanno lasciato trapelare che cercheranno di risolvere il rompicapo del bicchiere perfetto con qualcosa che possa rendere il contenitore di vetro più sicuro, oppure con una rivoluzione totale, che abbandonerà il vetro per nuovi materiali e forme. Una rivoluzione che in passato c'è già stata, visto che il "nonick" esiste dal 1960, quando ha rimpiazzato il piccolo bicchiere con il manico, più simile a quello in metallo della vera tradizione. In effetti, in alcuni pub storici ancora oggi si può trovare questo boccale che fa tanto cavaliere della tavola rotonda, ma i designer lo hanno scartato sia perché poco economico, sia perché sarebbe comunque un oggetto contundente.

Per servire i 126 milioni di pinte di birra che vengono bevuti ogni settimana in Gran Bretagna ci vuole dunque un'idea davvero geniale, perché è evidente, soprattutto in questi giorni di bel tempo a Londra, che il rito della birra ha qualcosa di sensuale nel modo in cui gli avventori si siedono fuori dai pub con il bicchiere appannato, tenuto tra le mani come un feticcio e accarezzato come un oggetto del desiderio.

Le proteste contro le novità sono già arrivate, prima di tutto dalle associazioni dei gestori dei pub, che hanno detto non accetteranno mai un bicchiere di plastica e chiedono che l'adozione del nuovo bicchiere non sia obbligatoria. Il ministero però conferma: "Il prototipo del nuovo bicchiere di sicurezza potranno vederlo tutti a dicembre".

Meeting 2009, la storia di padre Aldo Trento, l'uomo che ha rifatto le reducciones

Da IlSussidiario.net

PARAGUAY/ Padre Aldo Trento: così don Giussani ci mandò nella terra delle Reducciones
Aldo Trento

lunedì 24 agosto 2009

«Carissimi amici universitari, vi auguro di avere tanta fede e tanta intelligenza da rinnovare la più grande impresa sociale e politica del vostro passato, l’impresa delle Reducciones. La fede in Cristo è il mezzo per vivere più intensamente anche questo mondo. Coraggio e arrivederci» (Don Giussani, Asuncion 23/7/1988).
Don Giussani non era mai stato nelle Reducciones, aveva letto solo un libro di un autore francese, eppure quel giorno di luglio di 21 anni fa con questo semplice e profondo giudizio ci ha portato nel cuore di questa esperienza accaduta 400 anni fa a cominciare dal 1609 quando il provinciale dei gesuiti della grande Provincia di Paracuaria, Diego de Torres, decise di inviare i primi due gesuiti verso sud, sulle sponde del Rio Tebicuary, principale affluente del Rio Paraguay, a fondare la prima riduzione. Ad essa fu dato il nome del fondatore della Compagnia di Gesù, S. Ignazio Guazu (che significa “grande”). I due padri vi rimarranno pochi mesi, sostituiti da quello che sarà il primo martire paraguaiano, S. Roque Gonzales de Santa Cruz.
Con quel giudizio don Giussani ci ha aperto un orizzonte non solo sconosciuto a noi, un gruppetto di italiani recentemente giunti in Paraguay per impiantare il movimento di Comunione e Liberazione lavorando nella nascente Università Cattolica di Asuncion, ma anche per il mondo intero. Mai prima di Giussani si era registrato un giudizio di così grande portata storica. Ad essere onesti dovremmo ritornare a Voltaire, Montaigne, Chateaubriand, anche se la positività di giudizio di questi intellettuali aveva tutt’altro valore di quello del fondatore di CL. Solo Ludovico Antonio Muratori aveva preceduto Giussani in un simile giudizio con i libri “Il cristianesimo felice” e “Il paradiso del Paraguay”.
La mostra allestita a Rimini da parte di un gruppo di amici guidati da padre Ferdinando Dell’Amore riflette con precisione storica l’impegno che don Giussani ci aveva affidato in quel giorno e nello stesso tempo descrive l’origine di quello che molti hanno definito “Sagrado Experimento”: lo sviluppo, i protagonisti, la vita quotidiana. E anche come oggi quel fatto è diventato visibile nella parrocchia San Rafael.
L’origine è descritta in modo geniale dal “padre dei Guaranì” (il popolo indio della regione), Ruiz de Montoya nel suo diario “La conquista spirituale del Paraguay”: «Per due anni ci siamo guardati dal giudicare intorno al sesto e nono comandamento, assolutamente incomprensibili per i Guaranì, poligamici e cannibali. Ciò che ci siamo preoccupati di fare per non distruggere quelle tenere e giovani piante è annunciare l’avvenimento della bellezza di Cristo». Dopo due anni i Guaranì, diventati cristiani, hanno chiesto il matrimonio monogamico. Nasce la famiglia e con la famiglia il primo popolo cristiano della selva. Lo sviluppo, come affermano i protagonisti è stato il declinarsi chiaro, deciso, critico e sistematico dell’annuncio cristiano, valorizzando tutto ciò che di autenticamente umano c’era nella cultura Guaranì. I protagonisti sono stati i due o tre sacerdoti che vivevano in ogni riduzione, composta da un minimo di tremila a un massimo di cinquemila abitanti. Questi uomini, innamorati di Cristo “ad maiorem Dei gloriam”, sono stati protagonisti con gli indios di una nuova civiltà che potremmo definire come il Medio Evo latinoamericano. Il rapporto gesuiti-indios era definito dalla libertà. Come si potrebbe spiegare altrimenti l’amore, il rispetto, la creatività artistica, lo sviluppo economico e sociale, che hanno caratterizzato l’esperienza delle riduzioni?
Come documenta la mostra, la vita quotidiana era definita dall’avvenimento cristiano in tutti i dettagli, dall’uso perfetto del tempo all’igiene, dall’architettura alla musica. Essa, oltre che un tentativo di rendere giustizia a un’esperienza umana autentica, molte volte ignorata e censurata all’interno della stessa Chiesa, intende riproporre all’uomo di oggi il fatto che l’annuncio cristiano è il grande unico fattore capace di creare quella “civiltà della verità e dell’amore” citata proprio al Meeting da Giovanni Paolo II. La presenza a Rimini del vicepresidente della Repubblica del Paraguay, Federico Franco, e del ministro del turismo Liz Cramer, testimoniano l’importanza decisiva delle Riduzioni nella storia della nazione. È significativo il fatto che alla vigilia delle celebrazioni del bicentenario dell’indipendenza del Paese (tanto esaltata in questi tempi e strumentalizzate anche con fini laicisti e massonici), un decreto del Governo definisca le Riduzioni «fattore costitutivo e creativo della cultura e civiltà raggiunte dal Paraguay grazie all’annuncio cristiano».

domenica 23 agosto 2009

Ci vediamo al Meeting giovedì 27 Agosto 2009!

L'Uomo Vivo e i suoi amici sono stati un po' in vacanza ma sono tornati e vi invitano a venire al Meeting per l'Amicizia tra i Popoli a Rimini, che parte oggi.

In particolare vi invitiamo giovedì 27 Agosto alle ore 16.30 per la presentazione della nuova collana dell'Editore Raffaelli, curata da Paolo Gulisano. E' semplicemente un'occasione per vedersi in faccia.

Vi aspettiamo!

Qui sotto il comunicato stampa e la presentazione del volume di cui si parlerà giovedì, Il Cavallo Bianco (The White Horse):

PRESENTAZIONE:

Perché nessuna persona decente scrive un romanzo storico su Alfred e sul suo fortino ad Athelney, in mezzo alle paludi del fiume Parrett? Non proprio un romanzo storico. Non per dire tutta la Verità su di lui (per piacere!) o sul fatto che ha fondato l’Impero Britannico, o la Lega Navale, o qualsiasi cosa sia quello che ha fondato. Non sul Trattato di Wedmore o, meglio, su quello che dovrebbe essere chiamato Patto di Chippenham (come afferma un eminente storico). Bensì un romanzo aborigeno per ragazzi sul fatto nudo e crudo, e anche beatifico, che un grande eroe tiene il suo fortino su un isola in mezzo ad un fiume. Un’isola è sempre bella, in tutta coscienza o anche nell’incoscienza del pirata, ma un’isola sul fiume suona come l’inizio della più grande storia d’avventura sulla terra.

Gilbert K. Chesterton scriveva queste parole nel 1910, in un saggio intitolato A Romance of the Marshes all’interno della raccolta Alarms and Discursions. L’anno successivo egli avrebbe pubblicato The Ballad of the White Horse, il poema epico, o meglio aborigeno, che celebra la storia di Alfred The Great, re del Wessex dal 871 al 899.

L’intera trama di questo testo ruota attorno ad un fatto storico, la battaglia di Ethandune che fu combattuta dal 6 al 12 maggio del 878 e vide Alfred sconfiggere, contro ogni previsione, gli invasori Danesi, cha stavano dilagando sul suolo inglese, guidati da re Guthrum. Ma, per dichiarazione dello stesso autore, non è un intento storiografico quello che sostiene il poema:

Il culto di Alfred appartiene alla tradizione popolare, dall’oscurità del IX secolo fino agli albori del XX. È dell’intera tradizione popolare su lui che mi occupo qui. Scrivo come chi è assolutamente ignorante di tutto, eccetto che di aver verificato che la leggenda del Re del Wessex è tuttora viva nel paese.

(G.K.C., dalla Prefazione)

L’ignoranza storiografica dichiarata da Chesterton è una scommessa sul valore culturale e fondativo della tradizione popolare:

«Non è “la vita quotidiana dell’uomo medioevale” quella che Chesterton vuole scrivere, ma la storia che ha dato origine al suo popolo, quella che lo ha animato e che lo ha fatto sorgere, quella che in poche parole ha trasformato una massa di disperati in una civiltà. La ballata del cavallo bianco è la storia dell’incontro fra il fatto cristiano e l’Inghilterra. È da quest’incontro che è nata la nazione inglese e la sua salvezza, allora come adesso, sta nel riconoscere questo fatto che diviene perciò storicamente fondativo» (Marco Antonellini, dall’Introduzione).

Il lettore incontrerà il fatto nudo e crudo che è l’avventura di un re che costruisce e difende il suo regno; ma è più corretto riferirsi ai lettori e non ad un singolo lettore perché la forma del poema «è adeguata all’ascolto collettivo: esso è “the tales a whole tribe feigns” (Dedica, v. 27), il racconto che unisce la tribù accanto al fuoco e unisce perché le parole, i suoni, i ritmi, si sedimentano come memoria di un’immaginazione collettiva. Come nell’epica classica, il testo è pensato per l’ascolto: Chesterton usa gli strumenti poetici come fossero note, pennelli e scalpelli, li usa per scolpire una storia, una sinfonia scultorea, che resta al popolo come “tradizione”» (Annalisa Teggi, dalla Nota del traduttore).

Re Alfred non è una leggenda nel senso in cui è possibile che Re Artù sia una leggenda, ovvero che potrebbe essere una storia falsa. Re Alfred, invece, è una leggenda nel senso più vasto e più profondamente umano del termine, in base a cui le leggende contengono i dati più rilevanti su di lui.

(G.K. C., dalla Prefazione)

E il dato più rilevante della storia di Alfred, che Chesterton mette in scena, non è la battaglia vittoriosa che egli combatté contro gli invasori pagani. Essa, a dire il vero occupa la parte preponderante del testo, perché il poema è fedele alla vita umana, in cui piccole e grandi battaglie occupano l’orizzonte complessivo di ogni giornata. Ma l’unità di misura della vita umana non è la battaglia, vale a dire l’alternarsi incessante e continuo di vicissitudini dall’esito incerto. Non è la sconfitta a decretare il fallimento dell’uomo e neppure la vittoria di una giusta battaglia a decretarne il successo.

Il vero protagonista del poema di Chesterton è il Cavallo Bianco, la cui figura compare a tratti sullo sfondo del testo. Sulle colline nella regione del Berkshire, da tempo immemorabile, emerge dall’erba una grande figura che rappresenta in modo stilizzato il profilo di un Cavallo Bianco. Altri cavalli bianchi riempiono le colline inglesi, ma quello del Berkshire è il più grande (ampio nel punto massimo circa 110 metri).

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Chesterton accredita la tradizione secondo cui la battaglia di Ethandune si sarebbe svolta in prossimità della valle del Cavallo Bianco del Berkshire. Sullo sfondo delle vicissitudini umane, rappresentate dalla battaglia, persiste una presenza che accompagna l’Inghilterra sin dalle sue origini, o forse, afferma Chesterton, da molto prima che l’Inghilterra fosse un’ isola. Il sigillo impresso da Dio sulla Terra sin dal tempo della Creazione è un sigillo di bene e, dunque, l’uomo cristiano, di cui Alfred è immagine, è come il bambino che costruisce in riva al mare un castello di pietre: esso può crollare continuamente, ma il bambino ogni volta ricomincia a costruirlo «una volta di più» (non «di nuovo» e non «da capo»). L’opera umana è suscettibile di perdite e crolli, ma non è vana. L’intera avventura di Alfred ha come punto di partenza una scommessa cruciale, una scommessa su cui l’intera vita umana si misura, e che è la voce stessa della Madonna a porgergli:

    “Le porte del cielo sono solo socchiuse,

    noi non sorvegliamo il nostro oro,

    l’uomo può indagare l’origine del mondo

    o leggere il nome del peccato senza nome;

    ma se egli fallirà o vincerà

    a nessun uomo saggio può essere detto.

    Gli uomini dell’Est scrutano le stelle,

    per segnare gli eventi e i trionfi,

    ma gli uomini segnati dalla croce di Cristo

    vanno lieti nel buio.

    Ma tu e tutta la stirpe di Cristo

    siete ignoranti e coraggiosi,

    e avete guerre che a stento vincete

    e anime che a stento salvate.

    Non dico nulla per il tuo conforto,

    e neppure per il tuo desiderio, dico solo:

    il cielo si fa già più scuro

    ed il mare si fa sempre più grosso.

    La notte sarà tre volte più buia su di te

    e il cielo diventerà un manto d’acciaio.

    Sai provar gioia senza un motivo,

    dimmi, hai fede senza una speranza?”

A quasi cento anni dalla prima edizione inglese, La Ballata del Cavallo Bianco pubblicata da Raffaelli Editore è la prima edizione italiana del poema, integralmente tradotto e curato da Annalisa Teggi.




lunedì 17 agosto 2009

Il perché dell'embargo accademico su GKC

http://www.examiner.com/x-18639-Grand-Rapids-Church--State-Examiner~y2009m8d11-Author-calls-for-end-of-academic-embargo-on-GK-Chesterton

In questo collegamento in alto trovate un interessante articolo dell'Examiner a firma di Paul Novak, in cui ci si chiede il perché dell'embargo di Chesterton dalla cultura accademica attuale.

Si citano note circostanze (l'influenza di GKC su Gandhi, Lewis, Tolkien e altri), la biografia di William Oddie e altro ancora.

Interessante e non peregrino.

Da riprendere anche in Italia, ove l'oblio e l'ostracismo non è stato inferiore e dove la SCI lavora alacremente per ridare a GKC il posto che decisamente si merita.

Un aforisma al giorno - 124

"Nelle nostre fiabe abbiamo sempre mantenuto questa netta distinzione: fra la scienza delle deduzioni razionali, che obbediscono realmente a certe leggi, e la scienza dei fatti fisici, nei quali non ci sono leggi ma soltanto bizzarre ripetizioni.
Noi crediamo nei miracoli concreti, non nelle impossibilità teoriche. Crediamo che un gambo di fagiolo sia arrivato fino al cielo, ma questa credenza non turba affatto la nostra convinzione sulla questione filosofica di quanti fagioli occorrano per fare una cinquina. Qui sta la peculiare perfezione di tono e di verità propria delle novelle. L'uomo di scienza dice: "Tagliate il ramo e la mela cadrà", e lo dice con tranquilla sicurezza, come se una di queste idee fosse il presupposto immancabile dell'altra. La strega della novella dice: "Suonate il corno e il castello dell'orco cadrà", ma essa non lo dice come se una cosa dipendesse evidentemente dall'altra, come l'effetto da un causa. La strega ha dato senza dubbio lo stesso consiglio a molti altri eroi e ha visto molti castelli cadere, ma essa non perde né la sua capacità di stupirsi né la sua ragione: essa non si rompe la testa fino a immaginare una necessaria connessione fra un suono di tromba e una torre che crolla. Gli uomini di scienza invece si rompono la testa a immaginare una connessione mentale fra una mela che si stacca dall'albero e una mela che raggiunge il suolo. Parlano come se realmente avessero scoperto non solo una serie di eventi straordinari, ma una verità che collega fra loro questi fatti; come se la connessione di due cose fisicamente estranee potesse connetterle anche filosoficamente; essi pensano che poiché una cosa incomprensibile segue costantemente un'altra cosa incomprensibile, queste due cose messe insieme formino una cosa comprensibile: due oscuri enigmi fanno, per loro, una chiara risposta".

Gilbert Keith Chesterton, Ortodossia

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Un aforisma al giorno - 123

"Il punto non è di sapere se il mondo è troppo triste per essere amato o troppo lieto per non amarlo; il punto è che quando si ama qualcosa, la sua gioia è una ragione per amarla e la sua tristezza è una ragione per amarla di più".

Gilbert Keith Chesterton, Ortodossia


giovedì 13 agosto 2009

Chesterton va forte, bisogna dirlo...

Abbiamo notizia certa che anche Mursia vuole ripubblicare I Racconti di Padre Brown.

Alla faccia di chi dice che era un autore morto e sepolto, non attuale... Dite sempre così, ché fate risuscitare i morti... anche quando morti non sono!

Evviva Gilbert!

mercoledì 12 agosto 2009

Uomini e tristezza - l'esclusione della religione dai crediti scolastici

Oggi la nomination se la becca il sagacissimo Tar del Lazio, con le
associazioni che hanno proposto il ricorso, con Di Pietro che
pontifica...

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Il modello che alcuni hanno in testa per il nostro paese

Esce sempre più chiaramente un'immagine di un paese zapateriano e
laicista nelle prese di posizione di molti uomini politici e non,
nonché di una parte della magistratura.

L'idea è quella di trasformare l'Italia in un paese stile Messico
degli anni '20, Spagna repubblicana, Spagna zapatera e Olanda
eutanasica.

L'unico baluardo della ragione e della sanità mentale (oltre che della
fede) è il Papa. Stringiamoci attorno a lui.

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Gli insegnanti di religione cattolica secondo il Tar del Lazio non possono partecipare agli scrutini.

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=373560

I laicisti hanno oramai capito che dei magistrati sono della loro
convinzione (vedi Eluana e tanto altro), il che non è giusto.

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martedì 11 agosto 2009

Chesterton e Hitchcock - dal blog della American Chesterton Society

http://americanchestertonsociety.blogspot.com/2009/08/david-deavel-chesterton-and-alfred.html

Nel collegamento qui sopra trovate un interessante articolo su
Chesterton e Hitchcock.

Per cominciare, tutti e due erano cattolici.

Dal blog della American Chesterton Society.

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Chesterton al Meeting per l'amicizia tra i popoli

Come preannunciatovi, il 27 Agosto 2009 alle ore 16.00 (e non alle
17.30 come in precedenza comunicato) al Meeting per l'amicizia tra i
popoli a Rimini (giunto alla 30esima edizione, auguri!) ci sarà un
incontro di presentazione della collana che l'editore Raffaelli
dedicherà a Chesterton. Sarà presente l'editore e il nostro
vicepresidente Paolo Gulisano, curatore della collana.

Potrebbe essere un'occasione per trovarsi tutti noi chestertoniani,
per cui vi diamo appuntamento là.


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lunedì 10 agosto 2009

Phillip Blond, un po' red, un po' tory, un po' lettore di Chesterton


Quello che vedete nella foto è Phillip Blond, pensatore, docente universitario inglese, anglicano, per sua definizione un po' red un po' tory, massimo consigliere del leader tory inglese (in realtà scozzese, con quel cognome...) James Cameron.

Non nasconde anzi esprime grande ammirazione per la dottrina sociale della Chiesa Cattolica, per il distributismo e per il pensiero di Chesterton.

In questo collegamento trovate un'intervista rilascata al Guardian, il quotidiano britannico più rosso, in quest'altro un'intervista a Tracce, mensile di Comunione e Liberazione.

domenica 9 agosto 2009

Ragioniamo sulla vita. Senza maschere

Ragioniamo sulla vita. Senza maschere

Francesco D'Agostino

Non mi meraviglia il fatto che alcuni laicisti (primo tra tutti Stefano Rodotà, in un violento editoriale su "Repubblica" di ieri) tornino a tuonare contro chi vorrebbe «espropriare le persone del diritto di governare la propria vita».
Mi meraviglia che per argomentare questa loro peculiare (e fragilissima) visione del mondo continuino ad attaccare le gerarchie ecclesiastiche, continuino a evocare lo spettro del fondamentalismo, continuino a parlare di «falsificazioni di dati scientifici» (fuori le prove di queste falsificazioni!), continuino ad alludere a non meglio precisate intese tra il capo del governo e altissimi prelati, interpreti dell’intransigenza cattolica, continuino a sostenere che siamo ormai di fronte alla negazione dello Stato di diritto e soprattutto che continuino, evocando stravaganti complotti, a evitare un accurato confronto delle idee.
Riportiamo il dibattito nel suo giusto contesto.
Chi ignora che aborto ed eutanasia sono i temi bioetici in assoluto più scottanti e che la Chiesa se ne occupa per la sua pretesa di essere «esperta di umanità» (una pretesa innegabile, anche se fa rabbrividire i laicisti)?
La sostanza di tutte le questioni bioetiche (e in primo luogo dell’aborto e dell’eutanasia) non è confessionale, ma antropologica: per questo la bioetica è una prospettiva interdisciplinare, che ha bisogno di discussioni pubbliche che non escludano alcuno, e che è orientata alla tutela e alla promozione del bene umano, come bene di tutti, credenti e non credenti, uomini e donne, occidentali e orientali, minorenni e maggiorenni, sani e malati...
Nessun bioeticista di buon senso (e nessun prelato, ne sono assolutamente certo!) vuole «espropriare le persone del diritto di governare la propria vita»: su questo punto Rodotà e tutti gli altri laicisti possono tranquillizzarsi.
Ma ridurre la bioetica a una questione di «autogoverno sulla propria vita» dimostra la radicale astrazione illuministica dei laicisti: i "soggetti bioetici" possono anche essere soggetti "forti", impavidi, capaci di fronteggiare prognosi infauste e di prendere assennate decisioni in contesti terribilmente tragici; ma il più delle volte (come sanno benissimo coloro che fanno bioetica non nelle aule universitarie o scrivendo editoriali, bensì passando ore "al letto dei malati") sono soggetti deboli e fragili, dalla volontà confusa e incerta, che non rivendicano come loro diritto prioritario quello all’autodeterminazione, bensì quello a non essere abbandonati. Questo è il cuore della questione: non nascondere dietro l’esaltazione del principio di autodeterminazione una sostanziale legittimazione dell’eutanasia passiva.
I medici sanno benissimo che, dietro le (rarissime) richieste di essere aiutati a morire, c’è una richiesta indiretta ma evidentissima ( per chi vuole capire come davvero stanno le cose) di non essere abbandonati.
Si vuole una prova ulteriore di quanto detto? Riflettiamo senza pregiudizi ideologici sulla pillola Ru486. Lasciamo da parte gli aspetti strettamente clinici della questione (sulla pericolosità di questo farmaco la discussione scientifica è ancora apertissima). Sta di fatto che essa è stata progettata e prodotta per fare dell’aborto un’esperienza extra-ospedaliera, per dir così, "domestica", quindi radicalmente "privata".
Ma ha un senso bioetico "privatizzare" una delle esperienze più traumatiche cui può andare incontro una donna? La legge italiana, legalizzando l’aborto, non lo ha privatizzato, negando che esso possa essere utilizzato come modalità di limitazione delle nascite: la procedura che secondo la legge 194 va posta in essere, e al di fuori della quale l’aborto resta illegale, è esclusivamente "pubblica". Queste non sono questioni confessionali, ma antropologiche. Discutiamone apertamente e lasciamo stare espressioni roboanti come «diktat», «assalto», «crociata vaticana». Vogliamo tutti, dico tutti, ragionare laicamente sulle questioni della vita, e il primo requisito della laicità è la sobrietà, il rispetto per la verità delle cose, la disponibilità ad ascoltare le ragioni degli avversari, senza demonizzarle.
Non si fa un buon servizio né alla bioetica, né alla laicità autentica, alzando la voce oltre ogni misura, sottraendosi a un confronto sereno e onesto con problemi così laceranti.

© Copyright Avvenire, 7 agosto 2009

venerdì 7 agosto 2009

Domani Presidente e Vicepresidente su Radio Maria! Passate la voce!

Domani sera sabato 8 Agosto 2009 (festa di San Domenico di Guzman) alle ore 22.45, su Radio Maria ci sarà una nuova puntata della bella trasmissione del nostro amico Alessandro Gnocchi dal titolo Uomini e letteratura - Incontri alla luce del Vangelo.

Saranno ospiti della trasmissione il nostro presidente Marco Sermarini e il nostro vicepresidente Paolo Gulisano. Argomento della puntata: le figure dei sacerdoti nella letteratura (in onore dell'Anno Sacerdotale indetto dal nostro caro Papa Benedetto XVI).

Ascoltatela numerosi! Intervenite pure!

giovedì 6 agosto 2009

Chesterton è attuale - Neil Gaiman parla di Chesterton


Neil Gaiman, l'autore del best seller Coraline di cui è uscita di recente la versione cinematografica, ha citato in questi giorni Chesterton in questa intervista. (Sci-fi convention è la riunione degli appassionati di Science fiction).

Se ricordate, ci siamo recentemente occupati di lui e del suo best seller in un paio di post.

Gaiman cita all'inizio del suo libro la frase di Ortodossia, esattamente del capitolo intitolato La morale delle favole (The ethics of Elfland), secondo la quale «Le fiabe dicono più che la verità. E non solo perché raccontano che i draghi esistono, ma perché affermano che si possono sconfiggere».

In questa intervista Gaiman ci ricorda che per mostrare alle persone il loro mondo basta farglielo vedere girato di quarantacinque gradi.

Bravo Gaiman, insista sempre con Chesterton e complimenti.


mercoledì 5 agosto 2009

Un aforisma al giorno - 122

"La Chiesa ha difeso la tradizione in un tempo che stupidamente negava e disprezzava la tradizione. Ma ciò è semplice perché la Chiesa è sempre l'unica che difende qualsiasi cosa che al momento sia stupidamente disprezzata. Sta già iniziando ad apparire come l'unico campione della ragione nel ventesimo secolo, come è stata l'unico campione della tradizione nel diciannovesimo. Sappiamo che la più alta matematica sta cerca di negare che due più due faccia quattro e che il più alto misticismo sta cercando qualcosa che sia oltre il bene e il male. Tra tutte queste filosofie anti-razionali, la nostra rimarra l'unica filosofia razionale".

Un aforisma al giorno - 121

"Da qui a uno o due secoli lo spiritismo potrà essere una tradizione* e il socialismo potrà essere una tradizione e la Christian Science potrà essere una tradizione. Ma il cattolicesimo non sarà una tradizione. Sarà ancora una fastidiosa e pericolosa e nuova cosa".

Gilbert Keith Chesterton, The Catholic Church and Conversion

* Tradizione è qui inteso da Chesterton non nel senso positivo che il cattolicesimo dà a questo termine, ma nell'accezione purtroppo diffusa, come qualcosa di non più vivo, qualcosa di passato.

RU486/ In una pillola la moralità di chi difende la coerenza e fa fuori la vita

di mons. Luigi Negri - Vescovo di San Marino - Montefeltro

martedì 4 agosto 2009

La decisione dell’agenzia del farmaco di commercializzare e distribuire la Ru486 in tutte le strutture sanitarie del Paese è un evento di importanza assolutamente epocale. Del resto avevamo già notato, ai tempi dell’infelicissima esperienza di Eluana Englaro, che l’imbattersi della nostra società contro l’urto della mentalità laicista e anticristiana sta obiettivamente demolendo i punti sostanziali, sul piano antropologico ed etico, che hanno retto per più di due millenni la nostra tradizione italiana. L’attacco alla vita più infimo, più subdolo e, in più, corredato di tecnologie scientifiche, ci dimostra di essere l’espressione di un turpe egoismo che considera la gravidanza esclusivamente come un peso inutile e come una zavorra dalla quale liberarsi nel modo più operativo ed efficace possibile.

Così, senza un minimo di rispetto per la vita, senza una minima conoscenza della situazione reale della madre, senza un’accoglienza adeguata dell’ambito di preoccupazione, di convivenza, di comunicazione umana, l’operazione diventa asetticamente chimica, una pillola che si ingerisce.
E anche in Italia, come si ingerisce nella maggior parte del cosiddetto mondo civile verso il quale noi non abbiamo nessuna voglia di andare, si ingerirà o a casa o in ospedale, una pillola e poi il meccanismo avrà il suo inesorabile e ormai molte volte tragico esito.
Questa assenza totale del rispetto per la vita, che è il rispetto per la persona e il suo destino, farà sì che il rispetto per la capacità di intelligenza dell’uomo, per la sua dedizione, per la sua capacità di sacrificio con cui le generazioni precedenti hanno costruito una società fortemente ispirata dal cristianesimo, ma sostanzialmente laica nelle sue motivazioni e nelle sue determinazioni di fondo, scompaia. E noi siamo qui a dire, o almeno così ci viene detto, che questo è il progresso, che questa è la vera autodeterminazione della donna e che questa è una società a misura della razionalità e della libertà dell’uomo. Invece è una società a misura dell’irrazionalità e della violenza dell’uomo.

Questa è comunque la moralità contemporanea, la moralità del caso Englaro, la moralità della pillola del giorno dopo che viene ampiamente distribuita, ormai è ovvio, in quasi tutti gli ospedali italiani, è la moralità di questa pillola che il grande genetista del XX secolo, Jacques Lejeune, aveva definito, più di dieci anni fa, un vero e proprio “pesticida umano”.
Questa è la moralità sulla quale non si costruisce una società, ma una giungla nella quale ciascuno deve stare il più possibile lontano da chi gli è vicino e costruire una trama di rapporti dettati esclusivamente dal proprio benessere.

Questa è la moralità pubblica.
Negli ultimi mesi la mentalità laicista che tenta di dominare il nostro Paese in tutti i modi, attraverso insistenti e devastanti campagne massmediatiche, ha tentato di convincerci che la moralità pubblica fosse fondamentalmente l’esito pubblico di atteggiamenti privati di uomini politici, di cariche o di funzionari dello Stato. A loro vorrei ricordare, secondo una tipica tradizione magisteriale della Chiesa, che anche mille errori di carattere etico non costituiscono un attacco al benessere e alla libertà di un popolo. Mentre decidere e programmare concezioni e pratiche della vita decisamente avverse al suo valore indisponibile, questo sì, distrugge il bene e la libertà di un popolo.
La moralità pubblica rappresentata dalla Ru486 è la moralità che copre il nostro Paese di una coltre terribile, la coltre dell’indifferenza e della violenza. Se questa è, come sembra essere, l’ora delle tenebre allora chiedo a tutti i cristiani di essere in queste tenebre una luce che risplende, come ci ha insegnato San Giovanni. La luce che risplende non della propria forza, delle proprie certezze, delle proprie presunzioni di moralità. Le presunzioni moralistiche le lasciamo agli altri, anche a quelli che si definiscono “cristiani adulti”. Noi siamo cristiani veri. Vogliamo testimoniare la certezza che Cristo e solo Cristo è il salvatore del mondo, e soltanto attraverso questa nostra quotidiana lieta e sacrificata testimonianza la sua presenza raggiunge ogni uomo che lo accoglie. Ogni uomo che accoglie il mistero di Cristo viene introdotto nell’autentica esperienza di libertà, di verità, di pace e di costruttività.
Talora anche drammatica, talora anche nella sconfitta, ma sempre nella grande vittoria di Dio che ha vinto il mondo nella morte e nella resurrezione del Signore.

Papa: Preti innamorati di Cristo, contro la “dittatura del relativismo”

Benedetto XVI ripropone il santo Curato d’Ars come modello per i presbiteri nell’Anno sacerdotale. Egli ha combattuto contro la “dittatura del razionalismo”; oggi il sacerdote combatte contro la “dittatura del relativismo”. Ma entrambi, razionalismo e relativismo non soddisfano la sete di verità che vi è nel cuore dell’uomo. L’efficacia pastorale del Curato d’Ars dipendeva dalla sua “amicizia con Cristo”.


Castel Gandolfo (AsiaNews) – “Il relativismo contemporaneo mortifica la ragione, perché di fatto arriva ad affermare che l’essere umano non può conoscere nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo”. Ma l’uomo rimane “mendicante di significato e compimento” , “alla continua ricerca di risposte esaustive alle domande di fondo che non cessa di porsi”. Per questo, come invita il Concilio, i sacerdoti di oggi devono tener presente questa “sete di verità”, che arde nel cuore di ogni uomo, e divenire educatori della fede, capaci di “aprire a tutti gli uomini la strada che conduce a Cristo” e alla Chiesa.

Così il papa nella sua prima udienza estiva da Castel Gandolfo, dedicata oggi alla figura di san Giovanni Maria Vianney, la cui memoria liturgica è stata celebrata ieri. Benedetto XVI ha ribadito il valore del Santo Curato d’Ars come esempio per tutti i presbiteri in questo Anno sacerdotale, lanciato proprio in occasione dei 150 anni dalla sua morte, avvenuta il 4 agosto 1859.

Al di là delle differenze, e della “pure ammirevole” “spiritualità devozionale ottocentesca” del Curato d’Ars, il pontefice ha sottolineato che occorre ammirare la “forza profetica” della sua personalità sacerdotale.

“Nella Francia post-rivoluzionaria – ha spiegato il papa - che sperimentava una sorta di ‘dittatura del razionalismo’ volta a cancellare la presenza stessa dei sacerdoti e della Chiesa nella società, egli visse, prima - negli anni della giovinezza - un’eroica clandestinità percorrendo chilometri nella notte per partecipare alla Santa Messa. Poi - da sacerdote – si contraddistinse per una singolare e feconda creatività pastorale, atta a mostrare che il razionalismo, allora imperante, era in realtà distante dal soddisfare gli autentici bisogni dell’uomo e quindi, in definitiva, non vivibile”.

“Se allora c’era la ‘dittatura del razionalismo’ – ha continuato il pontefice - all’epoca attuale si registra in molti ambienti una sorta di ‘dittatura del relativismo’. Entrambe appaiono risposte inadeguate alla giusta domanda dell’uomo di usare a pieno della propria ragione come elemento distintivo e costitutivo della propria identità. Il razionalismo fu inadeguato perché non tenne conto dei limiti umani e pretese di elevare la sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il relativismo contemporaneo mortifica la ragione, perché di fatto arriva ad affermare che l’essere umano non può conoscere nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo”.

Il sacerdote di oggi devono indicare o agevolare “a chi non crede il cammino che porta a Cristo e alla sua Chiesa”, e per chi già crede, deve essere “stimolo, alimento e sostegno per la lotta spirituale”.

Il papa ha indicato pure la condizione per questo impegno pastorale: “il sacerdote deve porre un’intima unione personale con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno. Solo così potrà toccare i cuori della gente ed aprirli all’amore misericordioso del Signore”.

Il papa ricorda che il Curato d’Ars è riuscito in un periodo di grande abbandono della fede, a “far riscoprire ai parrocchiani il significato e la bellezza della penitenza sacramentale, mostrandola come un’esigenza intima della Presenza eucaristica”.

Il Santo Curato d’Ars, ha spiegato il pontefice, “riuscì a toccare il cuore della gente non in forza delle proprie doti umane, né facendo leva esclusivamente su un pur lodevole impegno della volontà; conquistò le anime, anche le più refrattarie, comunicando loro ciò che intimamente viveva, e cioè la sua amicizia con Cristo. Fu ‘innamorato’ di Cristo, e il vero segreto del suo successo pastorale è stato l’amore che nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto”.

Il papa si è soffermato a lungo sull’infanzia del Curato d’Ars, sulla fede vissuta in famiglia, sul suo analfabetismo fino alla giovinezza, le difficoltà della sua vocazione. Nonostante ciò, “nel servizio pastorale, tanto semplice quanto straordinariamente fecondo, questo anonimo parroco di uno sperduto villaggio del sud della Francia riuscì talmente ad immedesimarsi col proprio ministero, da divenire, anche in maniera visibilmente ed universalmente riconoscibile, alter Christus, immagine del Buon Pastore, che, a differenza del mercenario, dà la vita per le proprie pecore (cfr Gv 10,11)”.

In definitiva, ha sottolineato Benedetto XVI, “l’efficacia della missione di ogni sacerdote” e “la credibilità della testimonianza” dipende “dalla santità”.

“Preghiamo – ha concluso - perché, per intercessione di san Giovanni Maria Vianney, Iddio faccia dono alla sua Chiesa di santi sacerdoti, e perché cresca nei fedeli il desiderio di sostenere e coadiuvare il loro ministero. Affidiamo questa intenzione a Maria, che oggi invochiamo come Madonna della Neve”.

RU486 - Una bella battaglia contro la kill pill: che ne pensate?

Oggi su Il Foglio Giuliano Ferrara lancia una mobilitazione contro la RU486.

Ci pare un'ottima iniziativa da sostenere e diffondere.

Abbiamo preso dal sito internet l'inizio dell'articolo, che non è disponibile interamente se non per chi è abbonato (ma riteniamo sia reperibile nel sito della Rassegna Stampa della Camera dei Deputati).

Agli Avv. & Prof.

Avvocati, giuristi, magistrati cattolici e laici: è il momento di una battaglia radicale (Ru486)

Questo è un modesto ma accorato appello agli avvocati, giuristi e magistrati cattolici e laici. Un appello affinché si formi un “comitato contro la Ru486” formato da persone capaci di dimostrare dentro il circuito del diritto che quella kill pill è in contrasto con la legislazione che regola l’aborto in Italia, e di fermarne la diffusione con i metodi forti ed efficaci spesso usati in passato dalla piccola e grande lobby radicale per realizzare i suoi scopi (dall’aborto all’eutanasia).

martedì 4 agosto 2009

Piccoli Chestertoniani... scrivono!

Riceviamo dalla nostra amica Giulia queste righe su sua sorella Maria Chiara, che sostiene essere chestertoniana:

"Cari amici, sono Giulia S., sono qui per raccontarvi le battute CHESTERTONIANE di mia sorella Maria Chiara (soprannominata in casa nostra Chesterton, capirete poi il perché).

Ora vi racconterò le sue battute chestertoniane

Mamma dice a tutta la famiglia: “Stasera mangiamo il gelato!”.
Maria Chiara risponde: “Io non ne ho mangiato nemmanco uno!” (volendo dire che non li aveva ancora mangiati... quella sera!).

Mia sorella una volta è uscita con un calzetto rosso e uno bianco e noi le abbiamo ricordato che una volta Chesterton era uscito con una ciabatta ed uno stivale e lei... è scoppiata a ridere!

Era il periodo di Natale e nella strada per andare a scuola c’era un negozio fuori del quale c’era un pupazzo di Babbo Natale. Ad un certo punto Maria Chiara disse: "Quel Babbo Natale porta i doni a tutti i bambini". Mio padre disse: "Ma Maria Chiara, quello è finto...". Maria Chiara disse: “No! Quel Babbo Natale è magico perché la Notte di Natale si sveglia, prende i regali e le renne e va a consegnare i regali ai bimbi".

E con questo vi volevo dire che avere una sorella chestertoniana è bellissimo!!!".

Giulia S.

Piccoli chestertoniani... disegnano!!! - 2


Questo invece è il dodicenne Pier Giorgio che ha acquerellato lo stemma della nostra Società (un panzutissimo Gilbert con Patrick Dalroy e Humphrey Pump che corrono sulla sua panza forma di cacio e insegna dell'Osteria Volante rispettivamente al piede e alla mano...).

Piccoli chestertoniani... disegnano!!!

Questo meraviglioso acquerello ce lo manda la piccola Maria Chiara, di quattro anni e mezzo. Ci ha tenuto a spiegare che è un ritratto del "suo amico Chesterton" (così ha detto!) e che lo dedica a tutti i suoi amici!

Un aforisma al giorno - 120

"M’interessa in modo speciale il fatto che queste dottrine (cattoliche) sembrino tener legata tutta la mia vita fin dall’inizio, come nessuna delle altre dottrine potrebbe fare. Specialmente pare che rendano chiari, simultaneamente, i due problemi della mia felicità di fanciullo, e del mio ansioso meditare di ragazzo. Essi si riferiscono particolarmente ad un’idea centrale della mia vita; non dirò la dottrina che ho sempre insegnato, ma la dottrina che mi sarebbe piaciuto insegnare. L’idea cioè di accettare le cose con gratitudine, ma non di prenderle senza curarsene. Così, il Sacramento della Penitenza dà una vita nuova, e riconcilia l’uomo con tutto ciò che vive, ma non lo fa come lo fanno gli ottimisti e gli edonisti e i predicatori pagani della felicità. Il dono vien fatto ad un prezzo, ed è condizionato alla confessione. In altre parole, il nome del prezzo è Verità, che può essere chiamata anche Realtà; ma significa porsi di fronte alla realtà del proprio essere. Quando il processo vien applicato alle altre persone viene chiamato Realismo.".

Gilbert Keith Chesterton, Autobiografia

L'imputato - La difesa dell'indifendibile - I compleanni col Rosso Antico



Apro con questo scritto una nuova rubrica. Prendo le mosse, senza sottacerlo, dal primo libro di saggi prodotto dal mio amato Gilbert Keith Chesterton, che mise appunto questo nome (The defendant) ad una felice raccolta di saggi in difesa di ciò che non trovava patria nel suo mondo così privo (come il nostro) di normalità, semplicità e sanità mentale.

La prima causa persa che, da buon avvocato, vorrei perorare è quella dei cari vecchi compleanni di una volta col Rosso Antico.

Sono padre di cinque figli, di cui tre scolarizzati, una ancora all'asilo e una quinta troppo piccola per desiderare di andare a quei clamorosi sabba pagani che oggi chiamano "compleanni".
Quelle rarissime volte che surrogo mia moglie nel non invidiabile compito (dal quale di solito mi sottrae il duro lavoro di cavaliere dell'altrui libertà) di accompagnare i pargoli alle cosiddette feste di compleanno, ne ho avuto per giorni e giorni. Basta raccontare un episodio dei tanti: una volta cerco mio figlio, il più grande, per riportarmelo a casa da una sorta di Colosseo del gioco (uno di quei posti dove ti organizzano la festa "dalla culla alla tomba", per capirci), in cui una trentina e passa di bambini si lanciavano a mo' di kamikaze da reti sospese in mezzo a laghi di palline di gomma, gridando come una tribù di Cheyenne di uno dei migliori film di John Ford. Vedo la sua capoccetta in mezzo alla mischia, nella quale si destreggiava -devo dire- egregiamente. Lo chiamo: non mi sente (o almeno penso; in quella rissa clamorosa, comunque, cosa vuoi che senta chiunque?). Vedo uno dei suoi compagni, lo riconoscerei tra mille nonostante l'andazzo... cheyenne del giovanottino ed il colore paonazzo della sua faccia (caloriferi a callara, come si dice dalle mie parti, agitazione psicomotoria, frasi sconnesse... Mentre lo guardo mi sembra di rileggere uno di quei meravigliosi verbali redatti da un pedissequo carabiniere in occasione di qualche arresto o fermo...), lo chiamo e gli dico: "... Dov'è mio figlio?". Quello mi guarda per circa dieci secondi in faccia, come cristallizzato dalla bacchetta magica della Strega dei Ghiacci, si blocca... e non mi dice niente! E riprende la sarabanda tamquam non esset!
Penso: non avrà capito, e mi guardo intorno alla speranzosa ricerca di una faccia adulta che mi dica qualcosa sulla patologia anche temporanea che affligge il giovane scagnozzo ma...
Trovo un tavolino dove ci sono sette o otto presunti padri o madri dei gladiatori (presunti: perché oggi a dare del padre o della madre a qualcuno si rischia la querela. Metti che è il compagno/la compagna della madre/del padre del malcapitato e che il padre/la madre ha fatto il malcapitato con qualcun altro... insomma, andiamoci piano...). Mi guardano come se fossi arrivato da Marte là per là. Accenno un sorriso. Una fa una smorfia. Un altro muove mezzo labbro. Gli altri continuano a ridere e a sbafare pizza a profusione come se io stessi dentro una campana di vetro antiproiettile. Capisco che la mia ricerca è inutile, al che tento il tutto per tutto: prendo una pisquanella che trottola su uno di quegli spalti, la ghermisco e le dico: "Di' a mio figlio che se non cala entro tre secondi vi scateno una guerra che nemmeno ve la immaginate!" (che mossa da Rambo!).
La fetentina, intimorita dagli occhi iniettati di sangue e dalla mia totale insensibilità agli stimoli esteriori (forte odore di pizza cartonata, di patatine fritte, pop corn stile Rose-di-Gerico in giro per questo stanzone anfiteatro pieno di ebeti vestiti da padri e da madri divertitissimi di aver portato lì i loro figli e di poter così parlare amabilmente, comprensibiilmente, comodamente, intelligentemente tra loro "adulti"...) agita le mani verso mio figlio che, conscio di dover tornare a casa con quel reduce dal Vietnam di suo padre, cala -protestando e smanacciando nel miglior stile calcistico ma comunque a capocollo chino- raccoglie i suoi effetti (scarpe prese da un deposito stile camera a gas, giubbotto, ninnoli e cotillons regalati a piene mani ai convenuti al sabba come ad una convention di attivisti americani del detersivo che lava perfettamente i capi di lana) e in buon ordine riprende la via di casa.
Nella macchina si stempera, con il suddetto padre che dice che "è l'ultima volta che ti vengo a riprendere sul set del film Il Gladiatore", che bisogna essere completamente matti a spendere tutti quei soldi per un compleanno di un figlio, e mentre i due si allontanano dall'agone, in lontananza si vedono e odono i fuochi artificiali in onore del festeggiato...

Io ho un vago ricordo dell'ultimo compleano festeggiato "ritualmente" (ossia con torta, candeline e accidenti vari): dovevo avere sui sei anni, era il 1971, e rivedo sia i già nominati torta e candeline, le pastarelle, un paio di zii e di zie, qualche cuginetto in numero modesto, le tovagliette ricamate da mamma, la sala della mia vecchia casa, la boccetta caratteristica di aranciata San Pellegrino e l'immancabile bottiglia sinuosa di Rosso Antico , che mi chiedevo chi avrebbe mai bevuto e che mi incuriosiva per la forma e il colore.

Ma non era tutto più normale? Non c'era nulla di ipertrofico, nei festeggiamenti come negli io dei partecipanti. I regali erano quelli semplici che ti facevano i parenti e qualche amichetto (soldatini, piccole scatole di costruzioni, un pallone rigorosamente di plastica "effetto casualità" quando lo tiravi, stile SuperTeleRigonfiabile...), i fuochi artificiali li vedevamo una volta all'anno per la festa della Madonna della Marina... ora tutte le sere c'è la festa per il diciottene che se non spende almeno mille euro per la festa e non gli fanno gli spari si sente povero e incompreso...

Non sarà il caso di darci una regolata? In fondo è solo un compleanno, non lo psicodramma in cui sfogare i sensi di colpa di padri o madri resi perennemente incapaci nel loro ruolo da tv, giornali intelligenti e quant'altro?

Voglio ricomprare una bella boccia di Rosso Antico, chissà...

Pakistan - L’arcivescovo di Lahore: «In Punjab raid premeditati»

Tre giorni di chiusura delle scuole ed università cristiane per protesta - Il Papa chiede che cessino le violenze contro i cristiani in Pakistan

Tre giorni di chiusura, da ieri, per le scuole cristiane, manifestazioni di protesta e astensione dal lavoro. E tanta frustrazione. Domenica sera i cristiani di Gojra, negli occhi ancora le immagini di centinaia di musulmani all’attacco della loro pacifica comunità e dei correligionari bruciati vivi o colpiti da pallottole mentre cercavano di mettersi in salvo, avevano bloccato con le bare delle vittime della strage del giorno precedente, il tratto ferroviario ferroviario Multan-Faisalabad. Solo quando hanno ottenuta la certezza che era era avviata un’inchiesta a carico di 15 leader degli attacchi e contro altre 800 persone non identificate, i cristiani hanno proceduto con i riti funebri. Tuttavia la tensione resta alta e la rabbia cova sotto la cenere della rassegnazione e del convincimento.

«Dobbiamo difenderci da soli» da attacchi «premeditati» che ci costringono a «tenere un basso profilo» ed evitare che i fondamentalisti trovino «ulteriori pretesti». È quanto riferisce ad AsiaNews mons. John Lawrence Saldanha, arcivescovo di Lahore, commentando gli assalti contro i cristiani a Gojra e nel villaggio di Korian, nel distretto del Punjab.

«La comunità cristiana – ha detto John Lawrence Saldanha, arcivescovo di Lahore – ha subito due attacchi premeditati. Nel primo, il 30 luglio, fortunatamente non vi sono state vittime. Il primo agosto, invece, le persone non erano preparate a fronteggiare l’assalto e vi sono stati dei morti». E si teme che il numero dei morti possa aumentare. Lo stesso vescovo di Faisalabad, monsignor Joseph Coutts, che ha visitato Gojra, ha faticato a convincere i cristiani locali alla calma. Anche per questo il ministro per le Minoranze Ashraf Bhatti — unico cristiano a sedere nel Parlamento di Islamabad — resterà a Gojra su invito del presidente pachistano Zardari finché la situazione non sarà tornata alla normalità.
A due giorni dai fatti di Gojra, dove da 50 anni circa duemila famiglie cristiane vivevano fianco a fianco con una popolazione musulmana sostanzialmente accogliente verso i cugini di fede, i leader cristiani si interrogano sul futuro della loro comunità e accusano le autorità di tolleranza verso gli estremisti che utilizzano anche strumenti legali, come l’odiata “Legge anti-blasfemia” del 1988 per provvedere a giustizia sommaria.

Una legge, come conferma anche monsignor Coutts, pastore della diocesi dove si trovano le località colpite dai disordini, «spesso utilizzata in modo del tutto arbitrario». Finora, restano nove le vittime accertate per i cristiani, sette per le autorità e almeno 15 i feriti. Per quello che ne è stato l’antefatto, ovvero l’annientamento con il fuoco e con esplosivi, il 30 luglio, della “colonia” cristiana di Korian, villaggio della stessa provincia, sono stati accusati per blasfemia tre cristiani ma nessuno dei 22 musulmani contro cui i cristiani hanno sporto denuncia. «C’è una paura diffusa tra i cristiani del Punjab per la loro sicurezza davanti agli attacchi di estremisti musulmani e all’uso di comodo della legge», ha detto ieri Seraphine Tubab, attivista sociale. Una strategia simile a quella utilizzata dagli estremisti indù nello Stato indiano di Orissa, che ha come fine l’espulsione di cristiani o la loro conversione.

Il governo provinciale ha, infatti, avuto informazioni che un gruppo di uomini armati con il volto coperto è arrivato dalla vicina città di Jhang per guidare gli assalitori di Gojra e provocare la reazione dei cristiani. Sempre da Jhang, nei mesi scorsi, erano arrivati i predicatori che – prendendo a pretesto un episodio (negato nella sostanza dalle autorità) di dissacrazione del Corano – hanno incitato a Korian come a Gojra a quelli che sono stati «due attacchi premeditati».
Stefano Vecchia

lunedì 3 agosto 2009

Bagnasco su RU486

Sull'Avvenire di ieri domenica 2 Agosto 2009 ci sono l'intervista al
presidente della CEI card. Angelo Bagnasco e due pagine molto
interessanti sulla RU486.

Tutto reperibile anche in Internet in archivio, in alto a destra.

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Il Papa insegna ad amare il corpo

Su Avvenire di domenica 2 Agosto 2009 trovate un interessante articolo
di Davide Rondoni dal titolo: "Se il Papa insegna ad amare il corpo".

Interessante.

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Uomini e tristezza - 17

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=371595

Leggete l'articolo.
Ricordate quello che diceva Oscar Wilde sull'essere cattolici e
sull'essere anglicani, poi dite se non aveva ragione.
Con rispetto parlando per tutti salvo che per l'errore.

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domenica 2 agosto 2009

Il Papa all'Angelus ricorda il Perdono di Assisi e i Santi

Oggi 2 Agosto 2009 il Santo Padre ha ricordato a tutti l'importanza della festa odierna, quella del Perdono d'Assisi, e l'importanza dei santi, citandone alcuni la cui festa ricorre in questi giorni:

Cari fratelli e sorelle!

Sono rientrato pochi giorni fa dalla Val d’Aosta, ed ora con vivo piacere mi ritrovo tra voi, cari amici di Castel Gandolfo. Al Vescovo, al parroco e alla comunità parrocchiale, come pure alle Autorità civili e a tutti i Castellani insieme ai pellegrini e ai villeggianti rinnovo con affetto il mio saluto, unito a un sentito ringraziamento per la vostra accoglienza sempre tanto cordiale. Grazie anche per la vicinanza spirituale, che molti mi hanno dimostrato quando a Les Combes mi è capitato il piccolo infortunio al polso della mano destra.

Cari fratelli e sorelle, l’Anno Sacerdotale che stiamo celebrando costituisce una preziosa occasione per approfondire il valore della missione dei presbiteri nella Chiesa e nel mondo. Utili spunti di riflessione, al riguardo, ci vengono dalla memoria dei santi che la Chiesa quotidianamente ci propone. In questi primi giorni del mese di agosto, ad esempio, ne ricordiamo alcuni che sono veri modelli di spiritualità e di dedizione sacerdotale. Ieri era la memoria liturgica di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Vescovo e Dottore della Chiesa, grande maestro di teologia morale e modello di virtù cristiane e pastorali, sempre attento alle necessità religiose del popolo. Oggi contempliamo in san Francesco d’Assisi l’ardente amore per la salvezza delle anime, che ogni sacerdote deve costantemente nutrire: ricorre infatti il cosiddetto "Perdono di Assisi", che egli ottenne dal Papa Onorio III nell’anno 1216, dopo aver avuto una visione, mentre si trovava in preghiera nella chiesetta della Porziuncola. Apparendogli Gesù nella sua gloria, con alla destra la Vergine Maria e intorno molti Angeli, gli chiese di esprimere un desiderio, e Francesco implorò un "ampio e generoso perdono" per tutti coloro che "pentiti e confessati" avrebbero visitato quella chiesa. Ricevuta l’approvazione pontificia, il Santo non aspettò nessun documento scritto, ma corse ad Assisi e, giunto alla Porziuncola, annunciò la bella notizia: "Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso!". Da allora, dal mezzogiorno del 1° agosto alla mezzanotte del 2, si può lucrare, alle consuete condizioni, l’indulgenza plenaria anche per i defunti, visitando una chiesa parrocchiale o francescana.

Che dire di san Giovanni Maria Vianney, che ricorderemo il 4 agosto? Proprio per commemorare il 150° anniversario della sua morte ho indetto l’Anno Sacerdotale. Di quest’umile parroco, che costituisce un modello di vita sacerdotale non solo per i parroci ma per tutti i sacerdoti, mi riprometto di parlare nella catechesi dell’Udienza generale di mercoledì prossimo. Il 7 agosto, poi, sarà la memoria di san Gaetano da Thiene, il quale soleva ripetere che "non con l’amore sentimentale, ma con l’amore dei fatti si purificano le anime". Ed il giorno dopo, l’8 agosto, la Chiesa ci additerà come modello san Domenico, del quale è stato scritto che "apriva bocca o per parlare con Dio nella preghiera o per parlare di Dio". Non posso infine dimenticare di ricordare anche la grande figura di Papa Montini, Paolo VI, di cui il 6 agosto ricorre il 31° anniversario della morte, avvenuta proprio qui a Castel Gandolfo. La sua vita, così profondamente sacerdotale e ricca di tanta umanità, rimane nella Chiesa un dono di cui ringraziare Dio. La Vergine Maria, Madre della Chiesa, aiuti i sacerdoti ad essere tutti totalmente innamorati di Cristo, seguendo l’esempio di questi modelli di santità sacerdotale.