lunedì 31 maggio 2010

Quella conquista di civiltà che riporta l'Inghilterra indietro di 1400 anni


di Gianfranco Amato - Da Il Sussidiario del 31 maggio 2010 - L'"arrossamento" della citazione in fondo, of course, è nostra!

Il cristianesimo in Gran Bretagna è arrivato già ai tempi della dominazione romana. La leggenda vuole che sia stato san Giuseppe d’Arimatea ad annunciare il vangelo, iniziando la sua missione da Glanstonbury e concludendola sull’isola di San Patrizio, poco distante dall'Isola di Man, dove, secondo i racconti, morì e fu sepolto.
Fin qui la leggenda. Le fonti storiche confermano, comunque, una gran numero di fedeli cristiani già durante la ritirata dei romani dalla Britannia. Furono poi i barbari invasori ad introdurre nell’isola il paganesimo germanico. La cristianizzazione della Britannia anglosassone arriverà alla fine del VI secolo.
Etelberto, incoronato re del Kent, ebbe il primato di essere il primo sovrano anglosassone a convertirsi al cristianesimo e ad assurgere alla gloria della santità. Quando, infatti, Etelberto prese in moglie la principessa Berta, figlia del re francese Cariberto, la condizione posta per la celebrazione del matrimonio fu che alla sposa venisse concessa la libertà di continuare a professare la religione cristiana e che potesse essere accompagnata dal vescovo di Letardo, suo cappellano, la cui presenza a corte contribuì certamente alla conversione del sovrano.
Appresa la notizia, il pontefice San Gregorio Magno ritenne maturi i tempi per l’evangelizzazione dell’isola, e affidò la missione ad Agostino, priore del monastero benedettino di S. Andrea sul Celio, passato poi alla storia come Agostino di Canterbury, il quale partì da Roma alla testa di quaranta monaci nella primavera del 597.
Fu proprio all’opera di Agostino primo vescovo di Canterbury e di sant’Aidan di Lindisfarnen, conosciuto come l’apostolo di Northumbria, che tutta la Britannia fu convertita al cristianesimo. L'ultimo grande sovrano pagano degli anglosassoni fu re Penda di Mercia, che morì nel 655.
Mi sono permesso questa breve digressione storica per introdurre una notizia proveniente d’oltremanica. Lo scorso 10 maggio il Ministero britannico degli Interni ha ufficialmente riconosciuto la Pagan Police Association, un’organizzazione di poliziotti pagani, autorizzando i membri ad assentarsi dal lavoro durante le relative feste religiose.
Ciò significa che i dirigenti della polizia dovranno dare alle celebrazioni pagane la stessa considerazione tenuta per il Natale dei cristiani, il Ramadan dei musulmani e la Pasqua degli ebrei.
Così i pagani sono entrati ufficialmente a far parte delle categorie “protette” dalla politically correctness, insieme alle donne, agli omosessuali, ai neri, ai disabili, ai trans, ai musulmani, agli ebrei, et similia.
Un portavoce del ministero ha precisato che «il governo desidera che le forze di polizia rappresentino le diverse comunità che sono chiamate a servire». Quindi anche i pagani.
Si considera che siano più di 500 gli agenti ed ufficiali di polizia pagani, inclusi druidi, streghe e sciamani.
Otto sono le feste pagane ufficialmente riconosciute. Samahin che cade nel giorno di Halloween, in cui i pagani celebrano l’oscurità dell’inverno, lasciando fuori dalla porta cibo per i morti e vestendosi da fantasmi. Yule che cade attorno al 21 dicembre, in cui si festeggia il solstizio d’inverno, la notte più lunga dell’anno, nella quale i pagani bussano alle porte cantando e bruciando un ceppo di legno. Imbolc la festa della lattazione della pecora, che si celebre il 2 febbraio, in cui i pagani accumulano pile di pietra e fanno bastoncini fallici per celebrare la fertilità.
Oestara che cade il 20 marzo, in cui viene festeggiato l’equinozio di primavera ed il riemergere dagli inferi della dea luna. Beltane che cade il 30 aprile ed il primo maggio, in cui si celebra il dio sole con orge notturne; le coppie sposate sono invitate a «rimuovere le fedi nuziali» durante la notte. Litha che si celebra durante il solstizio estivo, il 21 giugno, il giorno più lungo del’anno, i cui i pagani bevono idromele e danzano nudi sotto il sole per celebrare l’imminente raccolto. Lammas che cade il 31 luglio, in cui si celebra il raccolto e si fanno passeggiate in campagna.
Mabon in cui si festeggia l’equinozio autunnale, e che prende il nome dal giovane dio della vegetazione e dei raccolti (Mabon), figlio di Modron, la dea madre.
Andy Pardy, capo della polizia di Hemel Hempstead nell’Hertfordshire, che è cofondatore della Pagan Police Association e adoratore delle antiche divinità vichinghe, tra cui il dio Thor dal martello distruttore e Odino dall’occhio ciclopico, ha dato l’annuncio ufficiale del riconoscimento da parte del Ministero degli Interni, precisando che «il riconoscimento del paganesimo è ormai nei fatti». «Gli agenti di polizia»,ha proseguito Pardy «ora possono finalmente celebrare le proprie festività religiose e lavorare in altre giornate, come Natale, che per essi non hanno nessunissima rilevanza».
Sono stati pure nominati tre assistenti spirituali pagani per le forze di polizia. Le nuove regole consentono, inoltre, ai pagani – per i quali, tra l’altro, Stonehenge è un luogo di pellegrinaggio – di prestare giuramento in tribunale su ciò che «essi considerano sacro».
Millequattrocento anni dopo l’opera missionaria di Agostino di Canterbury sono ufficialmente tornati i pagani in quella che un tempo era chiamata la terra di San Giorgio. Druidi, streghe, bacchette magiche e divinità antropomorfe. Viene in mente il grande Chesterton: «Da quando gli uomini non credono più in Dio, non è vero che non credano più in nulla: credono a tutto».

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Chesterton Gilbert K. - Le preghiere dell'uomo vivo. Per salvare l'anima e la ragione

Le preghiere dell'uomo vivo. Per salvare l'anima e la ragione
Zoom della copertina
TitoloLe preghiere dell'uomo vivo. Per salvare l'anima e la ragione
AutoreChesterton Gilbert K.
Prezzo€ 12,00
Prezzi in altre valute
Dati2010, 144 p., brossura
EditoreFede & Cultura (collana Spirituale)

Normalmente disponibile per la spedizione entro 2 giorni lavorativi




Descrizione
Il volume che avete tra le mani è un umile e cordiale suggerimento per ciascuno di noi: preghiamo, e pregando teniamo sott'occhio la buona e sana dottrina della Chiesa Cattolica, piacevolmente sunteggiata dai passi tratti dalle maggiori opere di Gilbert Keith Chesterton. Pregare è un buon modo di predisporre la propria anima a essere salvata, quando a suo tempo dovremo renderne conto. Pregare leggendo Chesterton è un ottimo modo per salvare l'anima e la testa, di cui dobbiamo continuare a fare buon uso.

I vostri commenti
alex (28-05-2010)
Grande idea, grande libro. Grazie a chi ha pensato di regalarci questo volumetto davvero prezioso. Uno strumento utilissimo, oserei dire indispensabile per tutti coloro che sono costretti a vivere in questo mondo e non vogliono perdere la bussola. Il sottotitolo dice "Per salvare l'anima e la ragione" e l'opera mantiene ampiamente la promessa. D'altra parte non poteva essere diversamente co

Un aforisma al giorno

"Immaginazione è quasi il contrario di illusione".

Gilbert Keith Chesterton, Autobiografia

Sabato l'Uomo Vivo era altrove ma vuole ricordare a tutti che era il compleanno di Gilbert!

... sì, perché, come disse egli stesso,

"Piegandomi alla cieca credulità, come son solito fare, alla mera autorità e alla tradizione dei miei maggiori, ingoiando superstiziosamente una storia che non mi fu possibile controllare a suo tempo con l'esperienza personale, io sono d'opinione fermissima di essere nato il 29 maggio 1874 a Campden Hill, Kensington, e d'esser stato battezzato, secondo le formule della Chiesa d'Inghilterra, nella chiesetta di San Giorgio, situata di fronte alla grande torre serbatoio che domina quella posizione elevata. Non pretendo che vi sia alcun significato particolare, nella relazione in cui si trovano le due costruzioni e mi rifiuto sdegnosamente di credere che tale chiesa fu scelta perché ci voleva tutta la potenza idrica della parte occidentale di Londra per farvi diventar cristiano".

Come già lo scorso anno ebbe modo di dire il povero Uomo Vivo:
"L'Uomo Vivo è profondamente convinto che Gilbert si sia scordato per tutta la sua santa vita dei compleanni di mezzo mondo (e così cerca di giustificare le sue mancanze...), ma la gratitudine verso di lui -siccome è quotidiana, ampia, tracimante, colossale!- sopperisce a tutte le carenze!".

E aggiunge ora che probabilmente Gilbert si sarà scordato anche del suo.

Che regalo facciamo a Gilbert, quest'anno? Il regalo più bello sarebbe quello di dire un bel Gloria e una bella preghiera a Nostro Signore perché mostri la Sua Gloria attraverso il nostro Gilbert, per cui mettiamo nuovamente in evidenza la bella preghiera (che deve essere usata nell'orazione privata) scritta da alcuni chestertoniani d'Inghilterra per la glorificazione di cui parliamo:

Dio Nostro Padre,
Tu riempisti la vita del tuo servo Gilbert Keith Chesterton di un senso di meraviglia e gioia,
e desti a lui una fede che fu il fondamento del suo incessante lavoro,
una carità verso tutti gli uomini, in particolare verso i suoi avversari,
e una speranza che scaturiva dalla sua gratitudine di un'intera vita per il dono della vita umana.
Possano la sua innocenza e e le sue risate,
la sua costanza nel combattere per la fede cristiana in un mondo che perde la fede,
la sua devozione di una vita per la Beata Vergine Maria
e il suo amore per tutti gli uomini, specialmente per i poveri,
portare allegria ai disperati,
convinzione e calore ai tiepidi
e la conoscenza di Dio a chi non ha fede.
Ti chiediamo di concedere le grazie cheTi imploriamo
attraverso la sua intercessione (e specialmente per...)
perché la sua santità possa essere riconosciuta da tutti
e la Chiesa possa proclamarlo beato.
Te lo chiediamo per Cristo Nostro Signore

Amen.

venerdì 28 maggio 2010

IL CASO - Sulla strage di Porzûs strane ipocrisie

Da Avvenire del 26 Maggio 2010

Se c’è una vicenda della Resistenza assai poco «controversa» è la strage a Porzûs dei partigiani cattolici della «Osoppo» perpetrata a tradimento e con efferatezza dai partigiani comunisti della «Garibaldi Natisone» dal 7 al 20 febbraio ’45. Vicenda che, invece, resta ineffabilmente assai «controversa» per il Ministero dei beni culturali (e per cui, giorni fa, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi ha appellato al ministro Bondi). Una "pratica" nascosta nei cassetti ministeriali riapre infatti ferite che, scioccamente, pensavamo rimarginate da una sofferenza e da un giudizio comune. Che ingenuità! E che ingenuità quella dei reduci della "Osoppo" che nei primi anni ’80 si autotassarono per acquistare il terreno delle malghe di Porzûs donandolo quindi nel giugno ’84 alla Provincia di Udine perché potesse curarne luogo e ricordo, nella speranza che in futuro un decreto del Presidente della Repubblica potesse eventualmente dichiarare «monumento nazionale» il luogo e i manufatti edilizi teatro della strage. La burocrazia, è noto, ha le sue procedure, i suoi tempi… e le sue idee. Così a gennaio (ma solo ora, e non certo casualmente, se ne sa qualcosa), è apparso un decreto su carta intestata del Ministero, Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia che, visti decreti legislativi e dirigenziali, ed acquisiti pareri d’ogni genere, dichiara «di interesse culturale» il «bene denominato Malghe di Porzûs».
Non ci sarebbe che da compiacersi di questo decreto (passo necessario per poter poi aspirare alla qualifica di «monumento nazionale») se non fosse accompagnato da una «Relazione storica» che ne costituisce parte integrante e giustificativa. Vi si legge che «l’eccidio di Porzûs […] fu uno degli episodi più controversi della Resistenza italiana», e che si «colloca in un contesto storico internazionale piuttosto complesso, conseguente alle prospettate suddivisioni di confini ("Zona libera orientale", "Linea Morgan") e alle sfere di influenza degli Alleati a seguito degli Accordi di Yalta». Dunque mentre la Conferenza di Yalta (tenutasi dal 4 all’11 febbraio) era appena iniziata ed era ancora in corso, il capo partigiano Mario Toffanin "Giacca", avvertito direttamente dal Mar Nero da Stalin, intanto iniziò a trucidare i partigiani di altro orientamento ideologico, finendo poi la mattanza col conforto dei raggiunti accordi diplomatici. Trascurabile, per il resto, la circostanza che la "Linea Morgan" venisse definita a Belgrado il 9 giugno ’45 (quattro mesi dopo la strage di Porzûs). L’intento giustificatorio della ministerial "Relazione storica", accidentato da una scarsa dimestichezza con la cronologia, è tuttavia supportato da precisi riferimenti fattuali: il comando della "Osoppo" era «accusato di attesismo e intesa col nemico»; eppoi aveva con sé la povera Elda Turchetti, accusata di spionaggio a favore dei tedeschi, consegnata ai partigiani cattolici che l’avevano sì "processata" ma assolta; ecco – testualmente – «il casus belli che giustificò l’azione degli uomini di Mario Toffanin»! Tanto più, insiste la ministerial "Relazione storica", che «secondo le direttive emanate dall’ottobre del 1944 dal Comando generale del Corpo volontari della libertà del Nord Italia, ogni tentativo di trattativa con i nazifascisti era da considerare tradimento e quindi, essendo in tempo di guerra, da punire con la condanna a morte per fucilazione».

Tanto valeva riportare la prima ricostruzione dei fatti avanzata nell’aprile ’45 dal delegato del Pci all’interno della commissione d’inchiesta ordinata dal locale Cln sulla strage: l’attacco agli "osovani" era stato perpetrato da nazifascisti travestiti da partigiani (già troppo compromettente per i ministeriali estensori della "Relazione storica" la successiva interpretazione che attribuiva la strage a un personale "colpo di testa" di Toffanin). Finita la guerra, su denuncia del Comando divisione "Osoppo" si apre il processo per la strage; la "Relazione storica", ignorando le varie vicende giudiziarie, certifica che il processo si concluse sì «con la condanna per omicidio aggravato e continuato di alcuni membri della Brigata Garibaldi», con sentenza tuttavia giudicata «ancora controversa». Il tutto supportato da una bibliografia approssimativa, certo, ma con l’opportuna lacuna de "Il giorno nero di Porzûs" di Sergio Gervasutti contenente documenti utili a evitare l’uso spregiudicato dell’aggettivo "controverso".

Questo decreto della direzione regionale del Ministero reca la data del 18 gennaio 2010; se ne può parlare ora che è stato reso noto; ma dopo che è scaduto il tempo utile per un’eventuale impugnativa amministrativa. Inutile strologare su eventuali future reazioni e specificazioni. La vicenda si aggiunge a quei monumenti all’ipocrisia costituiti dall’ineffabile motivazione della medaglia d’oro a Francesco De Gregori comandante partigiano della "Osoppo" assassinato per primo a Porzûs (la motivazione non ne indica la ragione né gli assassini) e dai testi altrettanto reticenti delle lapidi apposte sul luogo in ricordo della strage. Che sarà dunque mai questa "Relazione storica" se non la certificazione ministeriale d’una sciatteria faziosa, impunita dall’assuefazione, oltre che al falso, alla banalità degli errori!

Paolo Simoncelli

Da Avvenire del 28 Maggio 2010

Porzûs, il ministero cambia rotta

Prendiamo atto del proposito del ministero dei Beni culturali di porre rimedio ad una propria ineffabile "Relazione storica" che, occupandosi per decreti e qualifiche del massacro a Porzûs dei partigiani cattolici della Osoppo, ne ha giustificato disinvoltamente gli autori (i partigiani comunisti della brigata Garibaldi Natisone). Il ministro, Sandro Bondi, ha chiesto che «sia revocato il provvedimento della direzione regionale del Friuli Venezia Giulia, in quanto le motivazioni storiche attraverso cui la Malga di Porzûs è stata riconosciuta come bene di interesse culturale non appaiono condivisibili», precisando inoltre che «vennero trucidati diciotto uomini della formazione Osoppo, formata da cattolici e azionisti, da parte dei partigiani comunisti delle Brigate Garibaldi». Un intervento obbligato dopo che "Avvenire" ha indicato l’insostenibilità scientifica di quella "Relazione", cui sono seguiti altri interventi (Dino Messina sul "Corriere della Sera", Francesco Specchia su "Libero").

Soddisfazione relativa e più che altro amara per la constatazione di come in Italia ministeri preposti a tali atti mostrino sciatteria, disinvoltura e faziosità. C’è però da prender quel po’ di utile che ne può conseguire per ampliare il discorso con qualche ulteriore considerazione. Intanto, nel merito della vicenda ricordiamo che la prima edizione (1946) delle memorie del leggendario comandante della Osoppo, Alvise Savorgnan di Brazzà ("Oberto"), "Fazzoletto verde", scomparve subito dalla circolazione; un vero successo di pubblico ma tale da non lasciar memoria; si sarebbe dovuto attendere fino al ’98 per la nuova edizione che allora è stata espunta dalla bibliografia della ministerial "Relazione storica".

Ma, attenzione, il "Diario" di Francesco De Gregori ("Bolla"), primo fucilato a Porzûs, è stato edito privatamente dall’associazione Osoppo solo nel 2002; l’edizione è un cult da bibliofili. Vorrà dunque significare qualcosa questo sostanziale silenzio, queste sforbiciate sulla trasmissione delle memorie di una parte non "allineata" a quella che ha strutturato la "vulgata resistenziale", e che vede il contributo fazioso e – peggio – ipocrita di istituzioni qualificate alla salvaguardia almeno burocratico-formale dei luoghi e dei simboli della memoria. Il mio intervento su "Avvenire" del 25 maggio si chiudeva facendo un minimo cenno, che ora ampliamo, all’ineffabilità della motivazione della medaglia d’oro a De Gregori: dopo aver combattuto alla fine del settembre ’44 nella zona montana del Torre-Natisone contro forze tedesche, «cadeva vittima di una situazione creata dal fascismo ed alimentata dall’oppressore tedesco in quel martoriato lembo d’Italia dove il comune spirito patriottico non sempre riusciva a fondere in un solo blocco le forze della Resistenza».

La motivazione è del gennaio 1954. Allora già una prima lapide, sul luogo dell’eccidio, ricordava i caduti «soffocati nel sangue da fraterna mano assassina»; in una seconda, posta nel ’92 (visitata solo privatamente dall’allora capo dello Stato Francesco Cossiga dopo l’inaugurazione ufficiale), si legge che «i fatti di sangue qui compiuti ci ammoniscono che vanno rispettati in ogni comunità di qualunque popolo e la patria e la nazionalità». Roba mazziniana. Non si vorrà ricordare davvero cosa sia successo a Porzûs! Da autorità pubbliche e istituzionali (vari ministeri competenti, istituzioni locali ecc.) non c’è da aspettarsi altro che funambolismi; le memorie dei protagonisti di quella tragica stagione non circolano; se qualcosa trapela da testimonianze e ricerche, i ministeri dispongono di burocrati pronti (anche con le forbici) a codificare l’opportunità dell’ipocrisia. Conclusione, siamo un Paese libero meno che dalla memoria.

Paolo Simoncelli

Un aforisma al giorno

"Darei alla donna non più diritti, ma più privilegi. Invece di mandarla alla ricerca di quella certa libertà così come notoriamente prevale nelle banche e nelle fabbriche, disegnerei appositamente per lei una casa in cui ella possa essere libera".

Gilbert Keith Chesterton, What’s wrong with the World

giovedì 27 maggio 2010

Un aforisma al giorno

"Il signor Shaw non riesce a capire che ciò che è prezioso e degno d’amore ai nostri occhi è l’uomo, il vecchio bevitore di birra, creatore di fedi, combattivo, fallace, sensuale e rispettabile. E le cose fondate su questa creatura restano in perpetuo; le cose fondate sulla fantasia del Superuomo sono morte con le civiltà morenti che sole le hanno partorite. Quando, in un momento simbolico, stava ponendo le basi della Sua grande società, Cristo non scelse come pietra angolare il geniale Paolo o il mistico Giovanni, ma un imbroglione, uno snob, un codardo: in una parola, un uomo. E su quella pietra Egli ha edificato la Sua Chiesa, e le porte dell’Inferno non hanno prevalso su di essa. Tutti gli imperi e tutti i regni sono crollati, per questa intrinseca e costante debolezza, che furono fondati da uomini forti su uomini forti. Ma quest’unica cosa, la storica Chiesa cristiana, fu fondata su un uomo debole, e per questo motivo è indistruttibile. Poiché nessuna catena è più forte del suo anello più debole".

Gilbert Keith Chesterton, Eretici

mercoledì 26 maggio 2010

Chesterton non passa giorno senza essere citato, a settantaquattro anni dalla morte...

  1. Welcome the Duchess of York back into the fold


    This is London - 1 giorno fa
    As GK Chesterton said: “To be clever enough to get all that money one must be stupid enough to want it.” I think I would pay not to have to go to Naomi ...

    This is London
  2. Bible commands us to welcome the stranger


    Washington Post (blog) - Debra W. Haffner - 22 ore fa
    They seem to have forgotten that America's motto is E pluribus unum ("out of many, one") - or that as English writer, GK Chesterton, wrote more than a ...

martedì 25 maggio 2010

Newman e la secolarizzazione

In questo post del blog della Società Newmaniana Italiana, retta dal chestertoniano Angelo Bottone (che intreccio! Bello, però!) trovate il cosiddetto "discorso del biglietto", con cui il Venerabile Servo di Dio John Henry Newman ringraziava per il conferimento della berretta cardinalizia e ricordava l'esistenza della secolarizzazione e del suo potere distruttivo.

In tv c'è una pubblicità pro-aborto che si ispira ad Adolf Hitler



di Gianfranco Amato - Il Sussidiario

martedì 25 maggio 2010

Ieri sera alle 22.10, per la prima volta nel Regno Unito, è andata in onda un’allusiva reclame abortista sulla rete televisiva Channel 4.
L’occasione ghiotta è stata il debutto di una nuova trasmissione di gioco a premi, “The Million Pound Drop”, condotta dalla nota presentatrice Davina MacCall, destinata a far salire l’indice di ascolto alle stelle.
Con una cinica e astuta operazione di marketing, la potente lobby abortista Marie Stopes International (MSI) ha colto al volto l’opportunità di farsi pubblicità, approfittando dell’audience elevata e con il pretesto di «aiutare le donne a compiere una scelta più consapevole circa la propria gravidanza e salute sessuale».
Così, tra un intervallo e l’altro della seguitissima trasmissione, si è reclamizzato l’aborto come fosse un normale detersivo. Solo che al posto di un fustino, l’immagine che è andata in onda era quella di una ragazza dallo sguardo preoccupato, ferma alla fermata dell’autobus, sulla quale campeggiava la scritta «Jenny Evans è in ritardo». Allusione, di pessimo gusto, al ciclo mestruale. Seguiva la scena, in pieno stile politically correct, di una donna frettolosa con due bimbi piccoli, accanto alla scritta «Katty Simons è in ritardo», e poi di una solitaria ragazza di colore seduta al bar, accompagnata dalla scritta «Shareen Butler è in ritardo». Seguivano, infine, i riferimenti per contattare telefonicamente o via e-mail MSI, mentre una voce fuori campo spiegava: «Se hai un ritardo mestruale potresti essere in cinta, e se non sei sicura di cosa fare in caso di gravidanza, Maries Stopes International ti può aiutare». Tipico esempio di pubblicità ingannevole, dato che MSI non dà nessun altro “aiuto” se non quello di praticare l’interruzione di gravidanza, e per di più (circostanza occultata nello spot) a pagamento.
Per comprendere, del resto, le reali intenzioni dei promotori, è sufficiente leggere il titolo del comunicato stampa che annunciava l’iniziativa sul sito ufficiale di MSI: «Per la prima volta assoluta in Gran Bretagna una pubblicità televisiva sugli “abortion services”».
Questa vicenda impone alcune riflessioni. La prima di carattere legale. È interessante, infatti, capire come sia stato aggirato il divieto di pubblicità commerciale per le cliniche abortive, espressamente previsto dal codice della pubblicità (advertising code). Il Broadcast Committee of Advertising Practice (BCAP), l’ente che si occupa della materia, in questo caso ha stabilito che il termine “commerciale” possa escludere l’applicazione del divieto alle organizzazioni non profit. Ciò significa, secondo il BCAP, che la stessa natura giuridica di Marie Stopes International, formalmente una fondazione senza scopo di lucro, la esclude dal divieto, nonostante il fatto che essa effettui anche servizi privati a pagamento. È grazie a questa generosa interpretazione benevola delle norme sulla pubblicità da parte del BCAP, che ieri sera è potuta andare in onda la reclame che abbiamo visto. Interpretazione tanto benevola, quanto decisamente forzata.

Per capire, infatti, l’esatta natura “non profit” di Marie Stopes International, basta considerare alcuni dati. I “volontari” dell’aborto pretendono ben 80 sterline per una consultazione telefonica. La cifra, ovviamente, aumenta in caso di consulto di persona. Inutile ricordare, peraltro, che tutte le consultazioni fatte dalle associazioni pro-life sono, invece, assolutamente gratuite.
I prezzi di MSI arrivano anche a 1.720 sterline per un aborto da eseguirsi tra le 19 e le 24 settimane. Gli ultimi dati ufficiali di bilancio relativi al 2008 indicano che l’organizzazione abortista riceve circa 100.000.000 di sterline l’anno, molte delle quali (circa 30 milioni) attraverso fondi pubblici, a titolo di rimborso per «servizi sanitari in campo sessuale e riproduttivo». Marie Stopes International pratica circa 65.000 aborti l’anno, più o meno un terzo di tutti gli aborti realizzati nell’Inghilterra e nel Galles, con un giro d’affari decisamente significativo.
Mi hanno colpito anche i numeri relativi alle retribuzioni degli operatori di MSI. Ben ventidue di loro percepiscono uno stipendio superiore a 60.000 sterline l’anno (lo stipendio medio nel Regno Unito si aggira attorno alle 25.000 sterline), mentre un dirigente arriva a prendere persino 210.000 sterline l’anno. Niente male davvero per una Charity!
La seconda riflessione cui ci induce l’episodio di ieri sera è relativa all’opportunità di una simile reclame. Bisogna innanzitutto partire dal dato statistico secondo cui in Gran Bretagna una gravidanza su cinque si conclude con un aborto. È difficile, pertanto, immaginare che le donne siano completamente all’oscuro in materia, e che sia necessaria un’adeguata opera di informazione. Il numero impressionante di 200.000 aborti l’anno dovrebbe, semmai, porre un problema contrario, ovvero quello di un’opportuna informazione circa le possibili alternative all’interruzione della gravidanza.
Per questo mi è apparsa davvero insopportabile la faccia di bronzo di Julie Douglas, direttore Marketing (già questa carica la dice lunga sulla natura non profit) della Marie Stopes International, quando ha dichiarato che «nonostante il fatto che una donna su tre nel Regno Unito abbia avuto almeno un aborto nella propria vita, il tema non è ancora oggetto di un’aperta ed onesta discussione».
La pubblicità di ieri sera, a prescindere dal cinismo utilitaristico di chi l’ha commissionata, si è tradotta, di fatto, nell’inaccettabile banalizzazione di un tema estremamente delicato. Non è questo, certamente, il metodo più appropriato per affrontare la traumatica esperienza dell’interruzione di una gravidanza. Per non parlare dei rischi di una possibile escalation al ribasso. Chi può ora negare, ad esempio, alle organizzazioni pro-life di chiedere una pubblicità televisiva sui rischi dell’aborto per la salute delle donne? O sulle possibili alternative all’aborto?
Dio ci risparmi lo squallido spettacolo di una guerra televisiva sulla tragedia dell’aborto, a colpi di spot nell’intervallo pubblicitario di una banale trasmissione a quiz. Preoccupa anche il cupo futuro cui potrebbe condurci una simile deriva. Non mi meraviglierei, infatti, se il prossimo passo dovesse essere la pubblicità per l’eutanasia e per le cliniche in cui si pratica il suicidio assistito.
Quest’ultima affermazione introduce la terza riflessione che intendevo proporre. In Italia, probabilmente, ad un’organizzazione come Marie Stopes International non sarebbe mai stato erogato un solo euro di fondi pubblici e sarebbe stata bandita dalla televisione di Stato, per il solo fatto del nome che porta.
Tutti dovrebbero sapere, infatti, che Marie Stopes (1880-1958) è stata una delle più deliranti figure nel campo dell’eugenetica del XX secolo. Nella sua opera Radiant Motherhood (1920), tanto per fare un esempio, la Stopes ha invocato la sterilizzazione «dei soggetti totalmente inadeguati alla riproduzione», mentre nell’altro suo capolavoro, The Control of Parenthood (1920), vero e proprio manifesto degli eugenisti, ha teorizzato il concetto di «purificazione della razza».
Letteralmente affascinata dalle farneticazioni eugenetiche naziste, nel 1935 Marie Stopes ha partecipato al Congresso Internazionale sulla Scienza della Popolazione tenutosi a Berlino ed organizzato dalla propaganda razzista del Terzo Reich. Anche le posizioni antisemite della Stopes furono aspramente criticate, persino da altri pionieri del movimento per il controllo delle nascite, tra cui Havelock Ellis. Non per nulla Marie Stopes si dichiarava una devota fan del Führer. Nel 1939, esattamente un mese prima che la Gran Bretagna entrasse in guerra con la Germania, la pasionaria della razza pura inviò al dittatore nazista alcune poesie accompagnandole da queste compiacenti parole: «Carissimo Herr Hitler, l’Amore è la più grande cosa del mondo: vorrebbe accettare da me questi versi e permettere ai giovani della Sua nazione di leggerli?».
Per capire meglio il personaggio, basti dire che Marie Stopes è arrivata a diseredare il proprio figlio Harry per il fatto di aver sposato una donna miope, ovvero un «essere geneticamente difettoso».
Non mostrò mai nessunissimo segno di pentimento neppure in punto morte, avvenuta nel 1958, e lasciò la maggior parte del suo patrimonio personale alla Eugenics Society, organizzazione i cui scopi ben traspaiono dal nome. Per chi voglia approfondire il tema consiglio la lettura dell’interessante articolo di Gerard Warner pubblicato sul Telegraph del 28 agosto 2008, dal titolo significativo: «A Marie Stopes si perdona il suo razzismo eugenetico perché era anti-life».
In Gran Bretagna, in realtà, non si sono limitati a perdonarla. Nel 2008 le regie poste britanniche hanno dedicato un’emissione di francobolli celebrativi proprio a Marie Stopes, in quanto Woman of Distinction. Ci si può ancora meravigliare di ciò che sta accadendo al di là della Manica?

Ancora su Martin Gardner, un post da Angelo Bottone


Riceviamo da Angelo Bottone (che ringraziamo, perché ancora una volta ci consente di fare un lavoro di approfondimento su quello che gira attorno a Chesterton, il che è uno degli scopi di questo blog e della SCI) questo commento che mettiamo a disposizione di tutti, insieme ad una foto di Martin Gardner (perché noi siamo quelli che se non vediamo... non ci divertiamo!).

"Dal blog dell'American Chesterton Society ho appreso che Gardner ha scritto diverse introduzioni alle ristampe dei libri di Chesterton!
Mentre in un commento sul mio blog Antonio Colombo, grande amico di padre Jaki, ci rivela altri interessanti particolari.
Qui il necrologio del New York Times:
Molto interessante è anche la discussione riguardo l'ombelico (!!!) apparsa su Uncommon Descent, il blog dei promotori del Disegno Intelligente:

lunedì 24 maggio 2010

Il coraggio per Gilbert e per Schott (e per i lettori del NYT)

http://schott.blogs.nytimes.com/2010/05/21/weekend-competition-define-courage/

Nel collegamento qui sopra c'è una pagina del blog di Ben Schott sul
New York Times che invita a dare la propria definizione di coraggio, e
Schott, giusto per "attizzare" gli avventori del suo blog, ne
suggerisce alcune tra cui quella famosa del nostro Gilbert.

Inviato da iPhone

domenica 23 maggio 2010

E' morto Martin Gardner, divulgatore scientifico e chestertoniano

Grazie ad Angelo Bottone!

Martin Gardner, celebre divulgatore scientifico, è morto ieri a Seattle. Gardner ha curato per venticinque anni la rubrica 'Mathematical Games' sulla rivista Scientific American e ha pubblicato più di cinquanta libri. Nel 1957 ha curato la raccolta Great Essays in Science, una collezione di saggi scientifici che ha venduto migliaia di copie ed è ancora in commercio. Insieme a Einstein, Whitehead e altri giganti della matematica e della fisica, Gardner scelse anche una porzione del quarto capitolo dall'Ortodossia di Chesterton, intitolato 'The Ethics of Elfland' e tradotto in italiano come 'L'etica delle fate'. Così Gardner motivò la sua scelta: "Potrebbe sorprendere molti lettori trovare qui inclusa una selezione di Gilbert Keith Chesterton. Il rotondo scrittore britannico non era famoso per la sua conoscenza di cose scientifiche, ... eppure ci sono momenti in cui ti sorprende per le sue inaspettate intuizioni scientifiche". Gardner poi sottolinea con stupore che il brano è tratto dal più famoso volume di Chesterton di apologetica cristiana. Nel suo Chesterton: A Seer of Science, Stanley Jaki nota che Gardner, probabilmente per ragioni editoriali, cambiò il titolo del brano da 'The Ethics of Elfland' a 'The Logic of Elfland'. La logica ovviamente non mancava, dice Jaki, ma il capitolo di Ortodossia è più di una riflessione sulla logica, è un inno alla realtà. Uno dei principi della 'filosofia delle fate', quella che Chesterton aveva imparato nella culla, è che sia nei dettagli più minuscoli quanto nell'universo intero la realtà è specifica, unica, potrebbe essere diversamente eppure ci è data così. Questa sensibilità per l'unicità delle cose che ci circondano, questo stupore, è il mezzo, Jaki ci suggerisce, per restaurare un impegno nei confronti della realtà. È molto più di una logica, è un'etica che guida la ricerca dello scienziato ma anche dell'uomo comune.

Andrea Monda intervista per Il Foglio Gian Maria Vian, direttore dell'Osservatore Romano, a partire da Chesterton, tradizione e conversione.

E' un'interessante intervista, quella che segue, perché riguarda il Santo Padre e perché parte da un aforisma del nostro immenso Gilbert per parlare di tradizione, conversione e altro ancora.
Sarebbe interessante sapere cosa be' pensate.
Un grazie al caro amico Andrea Monda.

La parola chiave è "metànoia", conversione,la prima parola di Cristo che risuona nel Vangelo di Marco. Per Gian Maria Vian tutta questa discussione sulla "riforma della chiesa" rischia di essere mal condotta se si inseguono facili stereotipi come invece non ha fatto Chesterton, il più brillante apologeta cattolico del Novecento, il quale afferma provocatoriamente che "il marchio della fede non è la tradizione: è la conversione. E' il miracolo in virtù del quale gli uomini scoprono la verità nonostante la tradizione, e spesso troncando tutte le radici dell'umanità".

Benedetto XVI non è un Papa tradizionalista ma un cristiano che lotta per il rinnovamento, spiega al Foglio il direttore dell'Osservatore Romano: "Tenere uniti conversione e tradizione, questo è il punto. La provocazione di Chesterton mi appare ben incarnata nella predicazione dell'attuale Pontefice che anche di recente ha invitato i cristiani a lottare contro il peccato, questo male radicale, questo "agente oscuro e nemico" verrebbe da dire, citando Montini". Paolo VI è un passaggio obbligato e continuo nella riflessione di Vian, così come la cura filologica con cui soppesa le proprie parole e analizza quelle altrui. "Ecclesia semper reformanda è un'antica espressione che, vedo con sorpresa, viene trattata da Adriano Prosperi con sufficienza. Non capisco come si possa bollare questa espressione latina come apologetica, con l'intento evidente di squalificarla. Ma perché poi l'apologetica dovrebbe essere qualcosa di negativo? Non facciamo tutti apologetica? Anche Prosperi la fa. Tra l'altro mi colpisce la contrapposizione, apologetica, tra un Wojtyla-pastore e un Ratzinger-curiale. La dicotomia di Prosperi mi sembra del tutto infondata storicamente. Questo Papa è certo un intellettuale e un docente, cioè un uomo immerso nella storia, che fa da ponte tra i suoi maestri e i suoi allievi, che dà vitalità e imprime una direzione alla tradizione, con apertura verso il futuro. Il problema dell'apologetica è allora il fatto che l'unica non ammissibile sarebbe quella cattolica. Oggi anche nei seminari e nelle università pontificie il termine non c'è più, ma l'insegnamento della materia è rimasto sotto il nome di teologia fondamentale, particolarmente cara a Joseph Ratzinger, che spiega i fondamenti della fede alle donne e agli uomini del nostro tempo, che 'rende ragione', come vuole san Pietro, della speranza del cristiano".

C'è qualcosa di intollerante in questo fastidio verso la spiegazione della fede, come se la chiesa possa e debba solo battersi il petto. "La secolarizzazione non è di per sé una realtà del tutto negativa" osserva Vian, "ma quando si associa a una certa intolleranza, per cui termini come 'apologetica' e 'tradizione' vengono visti con sospetto e banditi, allora non va più bene, vuol dire che le 'religioni' emerse nell'Ottocento (scientismo, positivismo e così via) hanno occupato tutto il campo e quelle tradizionali vengono espunte, chiuse nella 'riserva' dell'intimo e del privato. Sin dall'elezione il Papa lotta contro questa deriva che vuole cancellare Dio dall'orizzonte umano".

Dopo la "pars destruens", la "pars construens":"Ecclesia semper reformanda è una verità che va presa sul serio, anche perché parla di quell'esigenza di un continuo rinnovamento che è una caratteristica a un tempo storica e metastorica, spirituale, della chiesa. Ed è in quest'ottica che si spiega anche il concetto di tradizione, così importante nel cattolicesimo e carissimo a Benedetto XVI. Tradizione, in greco 'paràdosis', significa 'affidare'. Questo atto del consegnare si può fare solo se si ha fiducia nel futuro. Insomma, è un concetto dinamico, di apertura, che s'intreccia con quello di continuità".

Il nodo quindi è l'interpretazione da applicare al Concilio
: una riforma nella continuità e non una rottura. "La chiesa è immersa nel flusso della storia, lo riconosce anche Prosperi, per cui la tradizione si rinnova sempre. Quando Benedetto XVI lo ha ricordato nel discorso alla curia del 2005, qualcuno ha arricciato il naso, non gradendo, ma le cose stanno così. Nel quadro di un progressivo declino culturale (sia all'interno che all'esterno del mondo cattolico) l'attuale Pontefice, che già nel 1973 aveva dedicato un libro al rapporto tra dogma e predicazione, tenacemente tiene vivi i fili di questa tradizione che si sviluppa. Non è un caso che sarà proprio il Papa a presiedere la beatificazione del cardinale Newman il prossimo settembre, contravvenendo a una prassi proprio da lui ripristinata in merito alle beatificazioni (a favore della collegialità nella chiesa!): Newman che parla di coscienza e di sviluppo del dogma".

Un Papa teologo che beatifica un teologo. Ma a Vian non piace tanto questa definizione che considera riduttiva, quando non maliziosa. "Benedetto è senz'altro un Papa teologo, e per trovare un Pontefice del suo livello teologico bisogna forse risalire a Leone Magno, a metà del Quinto secolo. Ma è un Papa al tempo stesso pastore, forse proprio perché è stato un grande professore. Chi insegna è sempre pastore, altrimenti è solo un arido e algido contenitore di nozioni che non trasmette alcunché a nessuno". E' evidente fino nel timbro della voce che Vian si sta riferendo anche alla propria esperienza. E con lo stesso timbro legge una meditazione di Paolo VI, risalente al 1963, poche settimane dopo l'elezione, sulla solitudine del Papa: "Era già grande prima, ora è totale e tremenda. Dà le vertigini. Come una statua sopra una guglia; anzi una persona viva, quale io sono. Niente e nessuno mi è vicino. Devo stare da me, fare da me (…) La lucerna sopra il candelabro arde e si consuma da sola. Ma ha una funzione, quella di illuminare gli altri; tutti, se può".

E' bellissimo, secondo Vian,
il ritornare di Benedetto XVI su questa "mistica del papato", insistendo che lui non è solo. "L'attuale pontificato è fortemente spirituale, per questo forse non è ben compreso da molti. Anche se il Papa ha detto più volte di non essere solo e ha spiegato che questo vale per tutti i credenti, resta il fatto che ogni Papa ha una sua solitudine costitutiva, come la definisce Montini, che è il peso della responsabilità. Paolo VI ha condotto in porto la più grande assemblea non della storia della chiesa, ma della storia dell'umanità. Mi sorprendo quando sento parlare di Vaticano III. Ma il II è veramente conosciuto? Abbiamo attinto tutto quello che c'era da attingere dall'evento ricchissimo del Concilio? Benedetto XVI, che pure sa di non essere mai solo, ha chiesto ai fedeli di pregare per lui 'perché non indietreggi davanti ai lupi'. Una richiesta che rivela a un tempo il senso di una inevitabile solitudine ma anche il contrario. Lui sa che c'è un popolo attorno a lui, nella comunione dei santi. E a Malta, Torino e in Portogallo si è visto questo popolo".


sabato 22 maggio 2010

Dal prof. Carlo Bellieni

 

Il Sole 24 OREÈ polemica in Gran Bretagna per la campagna tv pro aborto


La rete Marie Stopes International, che gestisce in GB 8 cliniche per aborti, fa partire una campagna pubblicitaria pro-aborto in TV. Sapete chi era Marie Stopes? Riporta il Daily Mail, che era un'appassionata ammiratrice di, indovinate? Adolf Hitler, cui mandò una lettera d'amore e un libro di poesie. Diseredò la figlia perché aveva sposato un uomo con forte miopia e lasciò is uoi beni in gran parte all'Eugenic Society. Le cliniche pro-aborto sono intitolate a questa signora. Complimenti.

giovedì 20 maggio 2010

Grasso che cola

"Per chi è solo, senza Dio né padrone, il peso dei giorni è terribile. Perciò, visto che Dio non è più di moda, bisogna scegliere un padrone".

(Albert Camus, La Caduta)

Bravo Otez Paolo Cortesi, che ha azzeccato l'indovinello di domenica!

Otez Paolo Cortesi
Otez Paolo Cortesi
"Per natura io sono simile a quel pellegrino che non riesce mai a vedere il Papa perché si sofferma troppo a contemplare le Guardie del Papa"????
Ieri alle 0.19

Bravo bravissimo, caro amico che ci rispondi su Facebook, perché la risposta è giusta e dimostri di essere un lettore attento del blog, visto che abbiamo riportato tempo fa una più lunga citazione dallo splendido La Resurrezione di Roma, libro in cui Gilbert parla di Roma dopo un viaggio negli anni '30, e in quell'occasione intervistò (e fu intervistato da) Benito Mussolini, partecipò (a Firenze, però!) al Maggio Fiorentino e fece tante tante altre belle cose!
Potrebbe essere l'occasione per rileggere questo fantastico libro.

mercoledì 19 maggio 2010

Anche l'Irish Times cita Chesterton...

19 Maggio 2010

Qui sotto trovate l'incipit di un articolo dell'Irish Times del 4 Maggio 2010, quotidiano di Dublino, che parte proprio con una citazione del nostro Gilbert...

Loud clamour for change is falling on deaf ears

MAURICE NELIGAN

HEART BEAT: Leaders seem incapable of grasping what people are saying

“We only know the last sad squires ride slowly to the sea,

And a new people takes the land;

and still it is not we”

WRITING THIS in The Secret People , GK Chesterton could have been writing about our current predicament. Those who govern and possibly those who oppose them in the Dáil have lost contact and understanding of “we” the ordinary people (leggi il resto)

martedì 18 maggio 2010

What's wrong with the world? si chiede il Daily Star...

What's wrong with the world?


GILBERT Keith Chesterton wrote a book in 1910 that reads like it has been written yesterday only. His uncanny description of what was wrong with his world back then will sound familiar to those who find so many things wrong with their own world today.

Hundred years ago Chesterton warned about greater disparity than ever between rich and poor. He talked about families falling apart, schools being in utter chaos, and basic freedoms being under assault. “What's wrong with this world?” is the title of his book.

Is there anything wrong with this world? A compromise answer would be to say the answer is as good as the question. The world changes in form, but not in substance. Many centuries ago volcanoes erupted, rivers flooded and droughts scorched the earth. Those things still happen, frequencies and intensities at variance.

We're the same human beings in the high noon of history as we were in its early dawn. We may have outwardly changed, but inwardly we're still seething with the same old genetic rage. We still kill, steal, snatch and rape. We still lie, cheat, conspire and hide. Have a good laugh at our sophistication. It's just a pretension that we're what we're not.

Chesterton tells us that idealism is what the common man knows is right. It means idealism is a condition of life where this man wants his family, his home and protection for both. At this point the English writer introduces his three characters. Hudge is Big Government, Gudge is Big Business and Jones represents the common man.

Hudge and Gudge are enemies, and Jones gets crushed between them. Jones wants ordinary things for which he pays extra-ordinary price. He marries for love. He wants to build a small house. He also wants to practice his religion, be a grandfather, become a local hero and die a natural death.

But Hudge and Gudge conspire and they take away from Jones his property, his independence and his dignity. Thus, the world has never changed for the common man. It has never changed for him since he was thrown out of Eden.

In so much as the history of the world is the history of the common man, the Renaissance, the Reformation, the enlightenment, conquests, inquests, revolutions and rebellions have emerged out of common man's unwavering ambition to find his way out of the cosmic chaos. This man always knew or believed he knew he was going to find the way he was looking for.

Then Chesterton draws the most chilling conclusion: If the common man previously lost his way, he has now lost his address. Religion is banned from the classrooms. So are parents. So is common sense. Each subject is taught in a vacuum. Each profession is increasingly narrow. People know more and more about less and less.

Hundred years later that still holds good. Hudge and Gudge are still hatching their plot against Jones, while he doesn't know what to do. Once he didn't know where he was going, but now he has forgotten where he was before. If the common man is disillusioned in this century, he was also disillusioned in the previous centuries. Ideologies have been always based on his idealism, but an ideal world forever eluded him.

The world moves in circular motions. Need and greed, fear and anxiety, privation and plenty, subservience and supremacy, birth and death, victory and defeat turn the wheel of life as much today as they did hundreds of years ago. Is there anything wrong with the world, then? The answer is it's more an existential refrain than actual complaint. That's perhaps how the world has been since the dawn of mankind. That's perhaps how it will remain until the last star falls from the sky.

It's part of human destiny to live and languish. It's part of human destiny to moan and groan. But nothing is wrong with this world in this century that wasn't wrong before. It's the same paroxysm of withdrawal and return that has repeatedly renewed the old. It's the same inexorable illusion that all that glitter is obviously gold.

Eighteen hundred years ago Roman emperor Marcus Aurelius Antonius had a striking realisation. “All things from eternity are of like forms and come around in a circle,” he said. This world has been repeated, like the same show runs in a theater at different times to different audiences.

If birth and death are two doors of life, pain and pleasure are its two windows. People have invented fire, they have invented electricity and they have invented technology. All their inventions have, however, failed to find the human beings within them.

This is what is wrong with the world. We forget the doors and focus on the windows. Then blame everything on the room.

Mohammad Badrul Ahsan is a columnist for The Daily Star.
E-mail: badrul151@yahoo.com.

lunedì 17 maggio 2010

Da Avvenire: Padre Brown contro Sherlock Holmes


Eccovi l'articolo segnalato ieri. Basta cliccare il mouse sul link (che in italiano si dice: basta premere due volte il topo sul collegamento. Bello, no?).

domenica 16 maggio 2010

Articolo interessante da Il Foglio

http://www.ilfoglio.it/soloqui/5157

Su Il Foglio di oggi 16 Maggio 2010 trovate l'articolo di cui al
collegamento qui sopra a firma di Francesco Agnoli.

Torna sulla questione della pedofilia dei preti soprattutto in Irlanda.

Ragiona su ciò che è accaduto veramente e sul carico ideologico della
vicenda.

Buono.

Sull'Avvenire di oggi 16 Maggio 2010 c'è Chesterton!

Sull'Avvenire di oggi 16 Maggio 2010 trovate una doppia pagina su
Chesterton a confronto con Arthur Conan Doyle, Padre Brown con
Sherlock Holmes.

Inviato da iPhone

Vi ricordate che diceva Chesterton di Roma e delle Guardie Svizzere? Altro indovinello...

venerdì 14 maggio 2010

Il viaggio di Papa Benedetto in Gran Bretagna

In questo post trovate notizie sul prossimo viaggio di Papa Benedetto XVI in Gran Bretagna.

Proviene dal blog della Società Newmaniana Italiana, fondata di recente dal nostro amico Angelo Bottone, chestertoniano doc. Consigliamo di aderire a questa interessante organizzazione.

Chesterton fu assiduo lettore dell'opera del Card. John Henry Newman, questo forse sarà noto.

Sicuramente Papa Benedetto avrà molto, molto da dire durante quel viaggio, come sta dicendo molto, molto di importante durante il viaggio di questi giorni in Portogallo.

giovedì 13 maggio 2010

Un bell'avviso: Il Cavallo Bianco a Ravenna...

Ecco un bell'avviso ricevuto dal Centro Frassati di Ravenna che vi giriamo paro paro. E' presente la nostra amica Annalisa Teggi, la traduttrice dell'opera, quindi di sicuro varrà la pena andarla a sentire:



Il Centro culturale Pier Giorgio Frassati di Ravenna Vi invita a partecipare alla presentazione del libro:

La ballata del cavallo bianco
di G.K. Chesterton

Introduzione di Marco Antonellini
Traduzione a cura di Annalisa Teggi

Interviene
Annalisa Teggi

Sabato 15 maggio 2010 - ore 21
Terme di Punta Marina


Un aforisma al giorno

"Finché la situazione offre concrete speranze, la speranza non è che una lusinga o un luogo comune; è solo quando tutto diventa disperato, che la speranza incomincia ad essere una forza. Come tutte le virtù cristiane, è irragionevole perché è indispensabile".

Gilbert Keith Chesterton, Eretici

mercoledì 12 maggio 2010

Rassegna stampa

12 Maggio 2010 - Avvenire
Dalla tempesta una nuova presenza 74 KB

12 Maggio 2010 - SecoloItalia
In migliaia col Pontefice 67 KB

12 Maggio 2010 - Adige
Domenica in piazza San Pietro 100 KB

10 Maggio 2010 - ANSA
In migliaia in piazza San Pietro 34 KB

10 Maggio 2010 - SIrQuotidiano
Solidarietà al Papa 32 KB

12 Maggio 2010 - Libero
Socci: Ratzinger svela Fatima 377 KB

12 Maggio 2010 - CorrieredellaSera
No dei gay al medico che guarisce l'omosessualità 86 KB

12 Maggio 2010 - Giornale
Ru486
In un mese ordinate mille confezioni 83 KB

martedì 11 maggio 2010

A Reggio Emilia va in scena Lewis


Gentile Società Chestertoniana Italiana,
mi permetto di segnalarvi (nel caso qualcuno dei vostri membri fosse interessato) lo spettacolo che abbiamo tratto da una delle opere più originali di C. S. Lewis (che credo non abbia bisogno di spiegazioni alle orecchie di un amante di Chesterton).

Grazie per l'attenzione.

Il regista
prof. Matteo De Benedittis

Le Lettere di Berlicche
il Diavolo come non l'avete mai visto

Compagnia Fucina Pacis
Tratto dall'opera omonima di C. S. Lewis.

4.5.6. giugno 2010
@ Teatro Capitol - parrocchia Regina Pacis
via Zandonai 2 - Reggio Emilia

Prenotati qua:
- Biglietti online: www.berlicche.wordpress.com
- Prenotazioni Tel.: 3384335023 (Matteo)

Direzione lavori
Matteo De Benedittis, Mattia Toschi, Cristina Mastrolorito

Recitano
Raffaele Asti, Alba Esposito, Mattia Toschi
Daniele Ghirardini, Francesca Pellicciotti, Giulio Catellani, Elisa Picazio, Giulia Veronesi,
Daniela Felici, Marco Bonacini, Cristina Mastrolorito

per altre info
guarda la locandina allegata
telefona al 3384335023


lunedì 10 maggio 2010

Domenica tutti dal Papa

Cari amici chestertoniani,

Domenica prossima tutti dal Papa, ore 12 piazza San Pietro.

Un aforisma al giorno

"Sono diventato vecchio senza annoiarmi. L'esistenza è ancora una cosa
mirabile per me, e io le dò il benvenuto come a un forestiero".

Gilbert Keith Chesterton, Autobiografia

venerdì 7 maggio 2010

Ancora Popieluszko (che il 6 Giugno sarà beatificato!)

Il Centro culturale Pier Giorgio Frassati di Ravenna invita a partecipare alla proiezione del film:

POPIELUSZKO
Non si può uccidere la speranza

di Rafael Wieczynski


Lunedì 10 maggio 2010 - ore 21

Ravenna, CinemaCity

Ingresso: 5 euro