L'abbandono del Natale
di Gilbert Keith Chesterton
The Illustrated London News, 13 gennaio 1906
(data dell'edizione americana, che normalmente appariva due settimane dopo quella inglese)
Tutto ciò che è veramente degno di essere amato può essere odiato; e senza dubbio esistono persone che odiano il Natale. Non è difficile suddividerli a grandi linee secondo il motivo che hanno per far così. Ci sono, per esempio, quelli che odiano ciò che chiamano cattivo gusto e che in effetti è l'umanità. Ci sono quelli che odiano fare i buffoni, preferendo recitare lo stesso ruolo con uno spirito di maggior serietà. Ci sono quelli che non possono star seduti per la durata di un pasto perché hanno quell'assurdo nervosismo americano che l'autore biblico profetizzò quando scrisse (prefigurandosi la vita del ricco yankee): «Non c'è pace per i malvagi». Ci sono quelli che hanno obiezioni contro gli Waits; e non so davvero immaginare perché. Ci sono quelli che odiano il cristianesimo e chiamano questo loro odio un amore onnicomprensivo per tutte le religioni. Ci sono quelli (altrettanto non-cristiani nel loro sentimento di base) che odiano il paganesimo. Essi si rammaricano della qualità pagana della grande festività cristiana; il che semplicemente equivale a rammaricarsi del fatto che il cristianesimo abbia risposto ai preesistenti desideri del genere umano. Ci sono alcuni che non possono o non vogliono mangiare tacchino e salsicce. Ovviamente, se ciò è solo parte di una privata necessità fisiologica, essa può comunque lasciare l'animo in una sana disposizione natalizia. Se invece è parte di una filosofia, allora è parte di una filosofia con cui non sono d'accordo. Io mi attengo a una posizione teoricasemplice rispetto al vegetariano e all'astemio: possorispettare la cosa come regime dietetico, ma non come religione. Finché l'uomo di astiene per bassi motivi posso simpatizzare con lui di cuore. È quando si astiene per nobili motivi che lo considero un eretico.
Ci sono dunque queste persone che detestano il Natale e senza dubbio sono molto numerose. Ma se anche fossero la maggioranza, sono comunque sostanzialmente matte. Sicuramente il Natale dev'essere delizioso per l'uomo normale; a patto di riuscire a trovarlo. Non devo certo sottolineare per i lettori di questo giornale un fatto filosofico così alfabetico come il fatto che "normale" non significa semplicemente "comune". Se ci fossero solo quattro uomini al mondo, se uno avesse il naso rotto, un altro avesse perduto un occhio, se il terzo avesse la testa pelata e il quarto una gamba di legno, tutto ciò non cambierebbe minimamente il fatto che l'uomo normale, dal quale in un modo o nell'altro ciascuno di loro si discosta, è un uomo con due occhi, due gambe, capelli naturali e il naso integro. È lo stesso per la normalità mentale o morale. Se mettessimo intorno a un tavolo quattro dei più osannati filosofi d'Europa, troveremmo senz'altro che ognuno di loro ha la sua piccola anormalità. Non dico che il filosofo moderno abbia il naso rotto; benché, se ci fosse un po' di spirito e di coraggio nel popolino moderno, ne otterrebbe uno abbastanza alla svelta. Diciamo che ha una lussazione mentale, che è rotto il suo naso spirituale, e che una simile critica si può muovere a ciascuno degli altri tre. Uno di loro (diciamo) potrebbe avere una costituzione tale da non poter vedere della carta assorbente senza scoppiare in lacrime. Il secondo (il Profeta della Volontà di Potenza) avrebbe per costituzione una gran paura dei conigli. Un terzo sarebbe in attesa continua di una scimmia a nove teste. Il quarto starebbe aspettando il Superuomo. Ma proprio perché queste loro follie sono differenti esse lasciano intatta l'idea della sanità fondamentale da cui tutti loro si discostano. L'uomo che è folle circa la carta assorbente è sano riguardo ai conigli. L'uomo che crede in una scimmia a nove teste non è così pazzo da credere nel Superuomo. Se anche non ci fossero al mondo altri uomini che questi quattro, ancora esisterebbe come idea l'Uomo Normale di cui ognuno di essi è una variazione o piuttosto una violazione. Ma io sono piuttosto incline a pensare che l'Uomo Normale esista davvero in senso fisico e localizzabile. Nascosto in una qualche bizzarra soffitta per sfuggire alla furia del popolaccio (le cui facce avvampate riempiono la strada sottostante come un mare), barricato contro la follia della mera maggioranza degli uomini, da qualche parte vive l'uomo il cui nome è Uomo. Dovunque egli sia, è del tutto sé stesso e l'equilibrio della sua mente è una musica. E dovunque egli sia, sta mangiando plum-pudding.
Camminando per le vie, riconosco di poter comprendere che una persona sensata si senta un po' annoiata, o perlomeno un po' sconcertata, dalle manifestazioni esteriori del Natale: le vetrine dei negozi zeppe di fasci e fasci di cartoline natalizie inappropriate o di giocattoli per bambini che solo dei folli potrebbero realizzare e solo dei milionari comperare. Un tizio, scrivendo contro il Natale, si è spinto fino a dire che i negozianti sostengono il giorno di Natale solo per i loro scopi commerciali. Non sono sicuro se abbia anche detto che sono stati i negozianti a inventare il giorno di Natale. Forse pensava che i negozianti abbiano inventato il cristianesimo. È un'immagine curiosa, il concilio segreto tra il venditore di formaggi, il pollivendolo e il negoziante di giocattoli allo scopo di delineare una teologia che convertisse l'Europa intera e vendere così i loro prodotti. Gli oppositori del cristianesimo crederebbero a qualunque cosa tranne che al cristianesimo. Che i commercianti abbiano ideato il Natale è concepibile più o meno quanto l'idea che i pasticcieri abbiano ideato i bambini. È tanto sensato quanto dire che le modiste hanno inventato le donne. E tuttavia, come ho detto, posso capire che uno trovi le comuni manifestazioni del Natale incomprensibili o fastidiose. Specialmente le cartoline natalizie a volte raggiungono il più piatto e trito livello di grossolanitào convenzionalità. Ma questo succede soltanto perché lasciamo il simbolismo del Natale così tanto nelle mani automatiche di gente prezzolata. Non è perché ci sentiamo troppo natalizi, ma perché non ci sentiamo natalizi abbastanza. Tutte queste spassose celebrazioni umane sono, sotto questo profilo, nella medesima posizione: finché sono godute, sono godibili; è soloquando vengono sottoposte a critiche grette che diventano prosaiche e irritanti. Ciò che le rende una seccatura generale non è la credenza popolare in esse, è una popolare non-credenza in esse. Gli avversari del rito lo attaccano sostenendo che è diventato esteriore e vuoto. Ed è così. Ma un rito diventa esteriore e vuoto solo quando gli uomini non sono abbastanza rituali.
Per esempio, possiamo osservare con reverenza una sfilza di cartoline natalizie e scoprire che esse si basano principalmente su giochi di parole straordinariamente tortuosi e sgraziati; giochi di parole che nessun buffone plausibilmente umano potrebbe aver generato in maniera giocosa o come battute di spirito. Una, diciamo, farà bella mostra della semplice e inconfondibile immagine di un cappello. Annessa a questo sarà la brillante legenda "Wishing t(hat) youmay have a happy Christmas". La parola hat – lo dico per tema che l'ironia, di primo acchito, sia troppo sottile – è contenuta nella parola that e isolata da essa tramite parentesi. O magari vedremo qualche altro simbolo. Potremmo vedere, diciamo, una realistica immagine di cravatta o foulard con la spiegazione che l'ideatore vi augura un Anno Nuovo in-tie-ramentefelice. Ebbene, ciò che voglio sottolineare riguardo a questo tipo di battute di spirito non è che siano battute fiacche ma che psicologicamente e per loro natura non sono battute affatto. Nessuno pensa che siano battute di spirito. Il tizio che le ha realizzate non è scoppiato a ridere; e questa è una prova. Niente è più penoso (non c'è nemmeno bisogno di dirlo) della trita obiezione verso colui che ride delle proprie battute. Se uno non può ridere delle battute proprie, dovrebbe ridere per le battute di chi? Un architetto non può pregare nella sua cattedrale? Non può (se è un artista degno di questo nome) essere intimorito dalla sua cattedrale? Ma, come dicevo, questi giochi di parole da cartolina non sono battute; non è che sono battute fiacche. Nessun uomo mai venne alla luce, nessun uomo, per quanto rozzo, smodato, volgare, mezzo scemo, parzialmente folle, nessun uomo è mai esistito che abbia provato a trasformare la parola that nella parola hat come una spiritosaggine da conversazione. Non c'è niente di vivace, niente di allegro in una facezia del genere; è piuttosto un tetro sforzo di sottigliezza intellettuale. Le persone contente fanno battute fiacche ma non una battuta così. Nessuno lo direbbe per quanto contento fosse. Nessuno lo direbbe per quanto sbronzo fosse. Non proviene, e non può provenire, dai sinceri festaioli del Natale, per quanto ignoranti o sciocchi o insensibili possano essere. È fin troppo evidente che proviene dalla mente meccanica di persone la cui sola occupazione è aggiungere insopportabili scherzi a immagini senza senso. In breve, la leggerezza non proviene da persone leggere. Non viene da quelli a cui è concesso un giorno di vacanza. Troppo smaccatamente viene da quelli a cui non è concesso un giorno di vacanza. Viene da quei laboriosi disgraziati per i quali Natale non è Natale. Non è un prodotto dell'osservanza dello spirito natalizio, ma un prodotto della sua inosservanza.
Riguardo a chi senz'altro afferma, chiaro e tondo, che la scemenza o la pesantezza di simili battute prive di sentimento e d'intelligenza è solo un esempio della stupidità e ignoranza della gente comune, non saprei che cosa dir loro se non raccomandare che si tolgano l'ovatta dalle orecchie. Chiunque possa davvero credere che le classi inferiori siano stupide quando si tratta di umorismo non deve aver mai visto un omnibus, tanto meno esserci salito. Chiunque possa parlare di "educare" il senso dell'umorismo dei poveri dev'essere una di quelle rare persone così risolute (o così munifiche) da non aver mai avuto un alterco con un vetturino. L'arguzia delle classi lavoratrici non solo è incommensurabilmente superiore agli scherzi indigeribili delle cartoline natalizie; è molto superiore,come letteratura, all'arguzia delle classi colte. Se dunque qualcuno mi dice che "wishing you an en-tie-erly happy Christmas" viene messo sulle cartoline perché è il solo tipo di divertimento che la gente ordinaria sa comprendere, mi dice qualcosa che semplicemente io so essere falso. Tanto varrebbe che mi dicesse che la cravatta viene messa nell'immagine perché è la sola cosa che indossano. No: la vera ragione di questa stupidità di Natale sta, come ho detto, nell'abbandono del Natale. Se la gente ordinaria producesse le sue proprie battute per divertirsi, sarebbero delle buone battute. Siccome sono fatte da gente pagata per compiacere la gente ordinaria, sono fiacche. Spesso è un errore rivolgersi agli specialisti; ma è sempre un errore rivolgersi a loro per il buonumore.
La verità, penso, in questa e in altre faccende è che la vita pubblica è effettivamente più stupida della vita privata. Il paese è pieno zeppo di circoli di dibattito in cui il livello dei discorsi è molto più brillante e stimolante che nella Camera dei Comuni. In ogni strada ci sono perlomeno due o tre persone che raccontano ai bambini fiabe improvvisate assai migliori della melma di imitazioni sentimentali che riempie così tante riviste. E la grande celebrazione pubblica del Natale, come appare nelle battute, nei canti e nelle immagini, è di gran lunga inferiore a quel che sta accadendo dietro alla più vicina porta d'ingresso.
(Traduzione di Umberta Mesina - tutti i diritti riservati ©)