Da IlSussidiario.net traiamo questo interessante articolo sul film (tratto dal libro "Coraline e la porta magica" di Neil Gaiman).
Il libro si apre con una citazione di Chesterton (quella secondo cui le fiabe dicono la verità ed esistono anche per dimostrare che i draghi si possono uccidere...). Ne abbiamo parlato lo scorso 19 Giugno 2009 qui.
CORALINE E LA PORTA MAGICA/ Calipso, Armida, Coraline: quando è il sogno a dettare legge
giovedì 16 luglio 2009
Sia per l’animazione in 3D, suggestiva ma poco legata alle esigenze sceniche, sia per lo svolgimento della trama, indecisa tra film per adulti e film per bambini, Coraline e la porta magica rappresenta un’occasione perduta, attestando sul livello di un gradevole passatempo quello che po-teva essere un capolavoro. Prima di perdersi nel tentativo di non spaventare troppo l’eventuale pub-blico d'infanti, la trama offre infatti alcuni spunti decisamente suggestivi.
In breve, Coraline è una ragazzina al confine tra infanzia e adolescenza che – da poco trasfe-ritasi in una landa miserevole – accusa a ragione la trascuratezza dei propri genitori, passando le giornate a esplorare la bizzarra casa in cui è giunta. In una di queste esplorazioni, una porta murata – scoperchiata per mera curiosità – diventa la chiave d'accesso a un mondo parallelo, in cui tutto è uguale a quello presente ma migliore, più desiderabile: la madre servizievole, il padre brioso, il vi-cino di casa – ragazzetto chiacchierone e un po’ tocco – mutato in un cicisbeo muto e ossequioso. Vi è una sola stranezza, facilmente messa a tacere dall'entusiasmo: tutti quanti hanno dei bottoni al posto degli occhi.
Per potere varcare la soglia tra i due mondi, Coraline deve inizialmente attendere il sonno, ma poco dopo viene a padroneggiare il passaggio anche da sveglia.
È a questo punto che accade l’avvenimento più geniale del film, quando al culmine della contentezza, Coraline viene invitata dalla sua “altra madre” a restare lì per sempre, semplicemente facendosi cucire due bottoni al posto degli occhi. Spaventata, la ragazzina rifiuta, e di fronte all’amore violento e goffo dell’“altra madre” fugge, convinta che una svolta sveglia, nel mondo vero, non tornerà mai più in quel posto rivelatosi sinistro. Ma – con sorpresa e disappunto – al suo risveglio Coraline è ancora lì, prigioniera di un sogno creato da lei, ma del quale non ha più il controllo.
Da qui in avanti, la trama s’incanala nel solco della fiaba, accompagnando i protagonisti verso il più classico degli happy end. Su un piano meno scontato, tuttavia, emergono due aspetti che ben simboleggiano l’esperienza umana di fronte all’alternativa tra realtà e utopia.
Il primo è l’ingestibilità del sogno: creato per lenire la fatica del reale, per esserne un’alternativa a buon mercato, il sogno diventa presto più faticoso, più impegnativo, fino ad arrivare a dominare il proprio creatore, a impedirgli di staccarsene.
Il secondo aspetto è la pretesa che il sogno esercita sul suo creatore: nessuno, infatti, può mai essere un degno cittadino del mondo ideale che crea. Anche qui è evidente come a Coraline, per essere all’altezza di quel mondo utopico e senza imperfezioni che l’aspetta di là dal muro, per poter essere degna del sogno da lei stessa creato, venga in ultimo chie-sto di cambiare, di essere diversa da sé, di mettersi i bottoni al posto degli occhi.
Nulla di troppo lontano dall’episodio di Calipso o dalla narrazione incantata del giardino di Armida: sorprende però che queste suggestioni, pur confuse nei difetti di svolgimento del film, e-mergano ancora vive oggi, in un’epoca che erige la virtualità a esperienza e in cui quella separazio-ne di intelletto e senso lamentata da Eliot non è più difetto da correggere, ma regola da perseguire.
Il libro si apre con una citazione di Chesterton (quella secondo cui le fiabe dicono la verità ed esistono anche per dimostrare che i draghi si possono uccidere...). Ne abbiamo parlato lo scorso 19 Giugno 2009 qui.
CORALINE E LA PORTA MAGICA/ Calipso, Armida, Coraline: quando è il sogno a dettare legge
giovedì 16 luglio 2009
Sia per l’animazione in 3D, suggestiva ma poco legata alle esigenze sceniche, sia per lo svolgimento della trama, indecisa tra film per adulti e film per bambini, Coraline e la porta magica rappresenta un’occasione perduta, attestando sul livello di un gradevole passatempo quello che po-teva essere un capolavoro. Prima di perdersi nel tentativo di non spaventare troppo l’eventuale pub-blico d'infanti, la trama offre infatti alcuni spunti decisamente suggestivi.
In breve, Coraline è una ragazzina al confine tra infanzia e adolescenza che – da poco trasfe-ritasi in una landa miserevole – accusa a ragione la trascuratezza dei propri genitori, passando le giornate a esplorare la bizzarra casa in cui è giunta. In una di queste esplorazioni, una porta murata – scoperchiata per mera curiosità – diventa la chiave d'accesso a un mondo parallelo, in cui tutto è uguale a quello presente ma migliore, più desiderabile: la madre servizievole, il padre brioso, il vi-cino di casa – ragazzetto chiacchierone e un po’ tocco – mutato in un cicisbeo muto e ossequioso. Vi è una sola stranezza, facilmente messa a tacere dall'entusiasmo: tutti quanti hanno dei bottoni al posto degli occhi.
Per potere varcare la soglia tra i due mondi, Coraline deve inizialmente attendere il sonno, ma poco dopo viene a padroneggiare il passaggio anche da sveglia.
È a questo punto che accade l’avvenimento più geniale del film, quando al culmine della contentezza, Coraline viene invitata dalla sua “altra madre” a restare lì per sempre, semplicemente facendosi cucire due bottoni al posto degli occhi. Spaventata, la ragazzina rifiuta, e di fronte all’amore violento e goffo dell’“altra madre” fugge, convinta che una svolta sveglia, nel mondo vero, non tornerà mai più in quel posto rivelatosi sinistro. Ma – con sorpresa e disappunto – al suo risveglio Coraline è ancora lì, prigioniera di un sogno creato da lei, ma del quale non ha più il controllo.
Da qui in avanti, la trama s’incanala nel solco della fiaba, accompagnando i protagonisti verso il più classico degli happy end. Su un piano meno scontato, tuttavia, emergono due aspetti che ben simboleggiano l’esperienza umana di fronte all’alternativa tra realtà e utopia.
Il primo è l’ingestibilità del sogno: creato per lenire la fatica del reale, per esserne un’alternativa a buon mercato, il sogno diventa presto più faticoso, più impegnativo, fino ad arrivare a dominare il proprio creatore, a impedirgli di staccarsene.
Il secondo aspetto è la pretesa che il sogno esercita sul suo creatore: nessuno, infatti, può mai essere un degno cittadino del mondo ideale che crea. Anche qui è evidente come a Coraline, per essere all’altezza di quel mondo utopico e senza imperfezioni che l’aspetta di là dal muro, per poter essere degna del sogno da lei stessa creato, venga in ultimo chie-sto di cambiare, di essere diversa da sé, di mettersi i bottoni al posto degli occhi.
Nulla di troppo lontano dall’episodio di Calipso o dalla narrazione incantata del giardino di Armida: sorprende però che queste suggestioni, pur confuse nei difetti di svolgimento del film, e-mergano ancora vive oggi, in un’epoca che erige la virtualità a esperienza e in cui quella separazio-ne di intelletto e senso lamentata da Eliot non è più difetto da correggere, ma regola da perseguire.
(Daniele Gigli)
1 commento:
Ottimo commento. La transizione dall'infanzia all'adolescenza, la lusinga del mondo esterno di libertà anziché di incertezza e pericolo sono metaforicamente evidenti in un film che solo per la sua cripticità non sarebbe da vietare ai minori di 10 anni.
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