lunedì 27 maggio 2013

Una vecchia recensione del bellissimo Cars di Pixar porta una bella citazione di Chesterton, e pensandoci bene Cars somiglia molto alla filosofia di Pimlico...

Io, Marco Sermarini, sono fissato dei film della Pixar. Li trovo molto belli, trovo che in loro ci sia sempre uno spunto educativo notevole, prima per i grandi e poi per i piccoli.
Uno di quelli che mi piace più di tutti è Cars.
Girando nel sito www.sentieridelcinema.it ho trovato una vecchia entusiastica recensione di questo bel film (attenzione: per me entusiastica non è un termine negativo e dispregiativo come per quelli che capiscono; una cosa entusiastica è una cosa da adulti, da gente che sa quello che vuole) e scavando c'è qualche frammento di Chesterton, proprio sulla famiglia.
Trovo molto bello questo film e l'ho sempre trovato chestertoniano: onestamente lo vedrei bene come descrizione plastica del capitolo quinto dell'Ortodossia, quando Chesterton parte ricordandoci che il mondo non è una casa d'affitto a Brighton e che anche Pimlico, quartiere degradato di Londra, merita che noi diamo la nostra vita per lui perché Roma è diventata grande perché qualcuno l'ha amata prima che lo fosse. Se ricordate, c'è una bellissima scena in cui Saetta, conquistato dalla semplicità e dall'innocenza di Cricchetto, cede le armi e decide di "starci", di stare al gioco e di rimanere per un po' a Radiator Springs, il paesello dimenticato sulla Route 66, the mother road, dopo aver tanto recalcitrato e cercato di fuggire, e si dedica a valorizzare tutti, da Guido il gommista fissato di Ferrari a Fillmore l'hippy al Sergente, e tutti dietro questa spinta sistemano e rendono bello il paesino perché qualcuno si era mosso e lo aveva iniziato ad amare. Il tutto condito con una bella canzone Anni Cinquanta, Sh-Boom (Life could be a dream) cantata dai Crew-Cuts, con una bella serata di primavera in cui tutti i pazzi veicoli di Cars sono amici, si aiutano e si vogliono bene.
Lo trovo bello e calzante e vi propongo di rivederlo (a casa lo facciamo spesso, piccoli e grandi) con due specialissimi lenti da occhiali 3-D; una ve la presto io e l'altra il bravo recensore di Sentieri del Cinema.

Marco Sermarini

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In principio fu 
Toy Story. Era il 1995 e il mondo rimase sorpreso dalla storia di Woody e Buzz, i due amici giocattoli che si facevano compagnia affrontando la realtà. Il pubblico rimase sbalordito da questo cocktail di tecnologia avanzata e contenuti per grandi e piccini e il film ebbe un ottimo successo. Si bissò due anni dopo con Toy Story 2, se possibile ancora meglio del primo: avventure entusiasmanti e ancora la storia di un'amicizia che non muore. Fu un altro successo. 
Poi la storia recente con Monster's & Co.Alla ricerca di Nemo e Gli Incredibili, capolavori con un unico grande tema comune: la paternità in azione. Anzi: negli ultimi film della Pixar si registra un'evoluzione della parola padre, dalla scoperta della bellezza di essere padre di Sully, il mostro burbero che si ritrova tra i piedi una bambina umana, alla tenacia di Marlin, il pesce pagliaccio che di fronte all'immensità dell'Oceano, non perde la certezza di ritrovare il figlioletto Nemo sano e salvo. Per finire con la forza di una famiglia (Gli incredibili) che riesce a far fronte al male solo grazie all'unità, allo stare insieme. Il bello di questi film è che con una semplicità propria solo dei più alti capolavori riescono a dire verità comprovate dall'esperienza. Che "la famiglia è la più grande delle avventure" (parola di Mr Incredible) o che le prove difficili che si possono ritrovare lungo il percorso sono più leggere grazie a una compagnia di amici con cui affrontarle. Per questi film vale il celebre motto di G. K. Chesterton secondo cui un amico ti accetta così come sei, mentre una moglie lotta, combatte, strilla tenace perché tu possa cambiare. E' proprio vero, riguardando un film come Gli incredibili, in cui la mamma si chiama Elastigirl, la donna elastica il cui abbraccio non conosce limiti, e che tiene unita una famiglia anche nei momenti di prova più dura. Ed è vero, tra le altre cose, anche per Cars, l'ultimo film targato Pixar.
Anche in Cars si ritrova una compagnia di amici, una donna, o meglio una Porsche che ama gratuitamente il protagonista e si fa in quattro perché possa cambiare. Anche in Cars si ritrova una figura adulta e saggia (il dottor Hudson), un padre che indica la strada e giudica della tua vita. Anche in Cars, quindi, vale il metodo del seguire, e non potrebbe essere altrimenti in un film interamente popolato da macchinine. Saetta McQueen, il protagonista, è una giovane, fiammante macchina da corsa. Ha successo, può diventare il numero 1 vincendo, di lì a pochi giorni, la gara decisiva per la Piston Cup, la coppa del mondo per le macchine. Ma nel segreto della propria camera (o meglio camion) da letto qualcosa non va. Tra bielle, pistoni, bulloni, cinghie e centraline qualcosa arrovella il nostro eroe e non lo rende felice. È inquieto Saetta: sa di avere tutto e niente al tempo stesso. Sa di essere solo, di non avere alcun amico che gratuitamente lo accompagni e con cui condividere la vita.
È una domanda di significato, e il cuore del film, questa, anche se il nostro metallico amico non lo sa. Ma la realtà sì, e interviene provvidenzialmente con un incidente che catapulterà Saetta McQueen, nella piccola e sconosciuta Radiator Springs, cittadina western poco lontano dalla mitica Route 66, popolata da macchine arrugginite, trattori mugghianti e maggiolini volanti. E in un mondo che non conosce, non privo di pericoli e di fatiche, Saetta sarà costretto per la prima volta a fidarsi, a seguire qualcuno. Sarà costretto a essere responsabile. Per la prima volta nella sua vita sarà costretto a rendere conto a qualcuno, a mantenere una promessa, invece di scappare dalla realtà a velocità folle. Rischierà di perdere tutto: i soldi, la fama, il successo e il lavoro per un altro che lo chiama. Perderà tutto ma troverà se stesso. E una compagnia che non finisce.

Simone Fortunato

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