Le malefatte della lettura «orientata»
P er comprendere la portata 'eversiva' della decisione del Tribunale di Salerno è sufficiente ricordare cosa prevede la vigente normativa. L’articolo 1 della legge40 – confermata da un referendum popolare – sancisce il divieto di ricorso alla procreazione assistita per le coppie fertili, mentre l’articolo 13 dispone il divieto di praticare diagnosi sull’embrione concepito per finalità non terapeutiche, ossia di sperimentazione o selettive. In più, tali norme hanno passato il vaglio della Corte costituzionale che l’anno scorso ha rigettato le eccezioni di incostituzionalità, confermando il divieto di selezione eugenetica.
L’abnormità del provvedimento del Tribunale di Salerno sta nell’aver disapplicato una legge dello Stato, attraverso il ricorso alla cosiddetta «lettura costituzionalmente orientata» delle norme. Con l’aggravante del paradosso che la Corte costituzionale sul punto specifico si è già pronunciata, togliendo spazio a qualunque possibilità di interpretazione. Ciò che appare davvero inquietante in questa decisione del giudice salernitano è il prevalere di una personale impostazione ideologica del magistrato rispetto al rigido dettato di una legge approvata dal Parlamento, confermata dall’espressione popolare referendaria e persino dalla pronuncia della Corte costituzionale. Non è esagerato affermare che quella sentenza rappresenti un grave vulnus al nostro sistema democratico Ero uno studente universitario quando, all’inizio degli anni ’80, leggevo gli scritti di un grande giurista, Giovanni Cassandro. Fu lui a denunciare i rischi dell’operato di quei magistrati i quali pensano che «la giustizia debba essere amministrata non applicando la legge e servendo la legge, ma piegando la legge (attraverso l’interpretazione) a strumento eversivo di un ordinamento che non realizza o non realizza ancora l’ideologia che i giudici prediligono, difendono, propagano, e intendono addirittura attuare con le loro sentenze».
Nel nostro ordinamento il potere legislativo, in virtù della rappresentanza conferitagli dal popolo, è l’unico depositario del potere sovrano. E i magistrati sono soggetti alla legge, che costituisce la fonte della loro autorità e ne rappresenta il limite invalicabile. Per questa ragione il provvedimento del Tribunale di Salerno farebbe rivoltare nella tomba il Montesquieu autore dello Spirito delle Leggi e padre della tripartizione dei poteri dello Stato moderno. Così ammoniva il barone politologo: «Tutto sarebbe perduto se un’unica persona o un unico corpo di notabili, di nobili o di popolo esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le risoluzioni pubbliche e quello di punire i delitti o le controversie dei privati». Per questo, Montesquieu sosteneva che i giudici devono limitarsi ad essere la «bocca della legge». Quando dimenticano di essere la « bouche de la loi » e pretendono di essere la « bouche de la vérité », allora in pericolo non c’è soltanto la giustizia ma anche la democrazia di un popolo.
L’abnormità del provvedimento del Tribunale di Salerno sta nell’aver disapplicato una legge dello Stato, attraverso il ricorso alla cosiddetta «lettura costituzionalmente orientata» delle norme. Con l’aggravante del paradosso che la Corte costituzionale sul punto specifico si è già pronunciata, togliendo spazio a qualunque possibilità di interpretazione. Ciò che appare davvero inquietante in questa decisione del giudice salernitano è il prevalere di una personale impostazione ideologica del magistrato rispetto al rigido dettato di una legge approvata dal Parlamento, confermata dall’espressione popolare referendaria e persino dalla pronuncia della Corte costituzionale. Non è esagerato affermare che quella sentenza rappresenti un grave vulnus al nostro sistema democratico Ero uno studente universitario quando, all’inizio degli anni ’80, leggevo gli scritti di un grande giurista, Giovanni Cassandro. Fu lui a denunciare i rischi dell’operato di quei magistrati i quali pensano che «la giustizia debba essere amministrata non applicando la legge e servendo la legge, ma piegando la legge (attraverso l’interpretazione) a strumento eversivo di un ordinamento che non realizza o non realizza ancora l’ideologia che i giudici prediligono, difendono, propagano, e intendono addirittura attuare con le loro sentenze».
Nel nostro ordinamento il potere legislativo, in virtù della rappresentanza conferitagli dal popolo, è l’unico depositario del potere sovrano. E i magistrati sono soggetti alla legge, che costituisce la fonte della loro autorità e ne rappresenta il limite invalicabile. Per questa ragione il provvedimento del Tribunale di Salerno farebbe rivoltare nella tomba il Montesquieu autore dello Spirito delle Leggi e padre della tripartizione dei poteri dello Stato moderno. Così ammoniva il barone politologo: «Tutto sarebbe perduto se un’unica persona o un unico corpo di notabili, di nobili o di popolo esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le risoluzioni pubbliche e quello di punire i delitti o le controversie dei privati». Per questo, Montesquieu sosteneva che i giudici devono limitarsi ad essere la «bocca della legge». Quando dimenticano di essere la « bouche de la loi » e pretendono di essere la « bouche de la vérité », allora in pericolo non c’è soltanto la giustizia ma anche la democrazia di un popolo.
Gianfranco Amato
presidente Scienza & Vita di Grosseto
presidente Scienza & Vita di Grosseto
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