IL COMMENTO (A SEGUIRE) E' DI CAMILLE EID
Nessuno lo ha visto in giro, ma forse in queste ore il generale Michel Aoun, l’uomo che volle farsi re, il settantaquattrenne politico che aspirava alla presidenza del Libano, che si era proclamato salvatore della patria e leader incontestato dei cristiani ha avuto la tentazione di aggirarsi per le strade di Achrafieh, il vasto e ricco quartiere di Beirut, oppure a Zahle, la cittadina della valle della Bekaa dove nelle antiche grotte romane di tufo invecchia l’ottimo vino Ksara. Una tentazione amara, da segugio che cerca una traccia perduta, perché è proprio qui, ad Achrafieh e a Zahle, dove i cristiani sono la maggioranza assoluta, che Aoun ha perso i suoi seggi e insieme ha perso e fatto perdere le elezioni all’intera coalizione filo- siriana, nonostante Aoun abbia stravinto nelle circoscrizioni del Monte Libano, nonostante l’ex generale si sia riconfermato come il maggior rappresentante della comunità cristiana. Ma lo scrutinio elettorale del Libano che è andato alle urne nella giornata di domenica non lascia margini di dubbio: l’Alleanza 14 marzo, guidata dal filo occidentale Saad Hariri, ha vinto conquistando 71 dei 128 seggi del Parlamento, uno in meno rispetto alle passate elezioni. All’opposizione guidata dagli sciiti Hezbollah sono andati 57 seggi. L’affluenza alle urne è stata del 55%, molto elevata e in crescita rispetto al 45,8% delle consultazioni del 2005. Ieri in tutto il Libano i candidati vincitori – dalla giovanissima promessa Nayla Tueni al sempreverde Nabih Berri, dalla Chouf di Jumblatt al profondo sud sciita – hanno fatto festa. Ma soprattutto Saad Hariri e il partito Al Mustaqbal esultano: «Queste elezioni non hanno vincitori o sconfitti, perché l’unico vincitore è la democrazia e il più grande vincitore è il Libano», dicono con comprensibile fair play. Ma dietro l’entusiasmo per la vittoria – forse inaspettata e certo non prevista in tale misura – si profila il fantasma dell’ingovernabilità. Molto probabilmente il prossimo premier non sarà Fuad Siniora, sperimentato banchiere che ha resistito a molte tempeste, ma che è destinato a passare la mano perché una sua riconferma suonerebbe troppo umiliante per il blocco sciita. A chi dunque la poltrona? Sulla carta il posto spetterebbe al trentacinquenne Saad Hariri, il quale però respinge fin d’ora l’ipotesi di un governo in cui gli Hezbollah abbiano diritto di veto, il che peraltro porterebbe a una replica- fotocopia del gabinetto Siniora. Peraltro, proprio a causa del diabolico meccanismo di ripartizione dei seggi (64 ai musulmani, 64 ai cristiani), i sunniti e i loro alleati non hanno sufficiente forza per governare, neppure con l’ausilio dei socialisti del druso Jumblatt. E proprio su Jumblatt e sulla quella sorta di suo omologo che è Nabih Berri, presidente del Parlamento e leader della minoranza sciita di Amal si appunta un progetto degno della fantasia levantina: creare un governo “centrista”, guidato da Berri e da Jumblatt, ovvero dai due principali alleati dei rispettivi blocchi antagonisti. Un governo che a vrebbe l’appoggio di Hariri e al tem po stesso di Nasrallah: un mostro politico, certo, ma proprio per que sto forse l’unica via d’uscita dal l’impasse che già si profila: Hezbollah non rinuncerà certo al suo potere di veto e tanto meno accetterà di disarmare le proprie milizie; Hariri farà fatica a far digerire ai libanesi che l’hanno premiato un governo con gli stessi limiti di quello uscente. La terza via Berri- Jumblat potrebbe diventare il perfetto com promesso: un gabinetto debolissimo tenuto un punta di lancia dai propri stessi nemici. Cose che solo il Medio Oriente sa escogitare.
Il leader sunnita non ha però i numeri per governare e nemmeno accetta compromessi con il movimento sciita.
COMMENTO - Resta il «pluralismo» del voto cristiano
Al di là delle numerose pecche del sistema maggioritario, si potrebbe tuttavia affermare che la tornata e lettorale di domenica in Libano ha avuto il merito di indicare, dopo oltre tre decenni di elezioni farsa, il peso di cia scuna formazione politica.
Salta agli occhi l’eccezione (per non dire il travaglio) che stanno vivendo i partiti cristiani e che, volenti o nolenti, hanno dato alla competizione elettorale il suo consono tono pluralista. Mentre, infatti, la maggioranza dei sunniti si è ritrovata schierata dietro Saad Hariri oppure la coalizione del 14 marzo ( 24 dei 27 depu tati sunniti ne fanno parte), e quella scii ta compatta dietro il duo Amal- Hezbollah ( 24 dei 27 deputati sciiti fanno parte dell’opposizione), i cristiani hanno dimostrato ancora una volta la loro propensione a seguire diversi orientamenti politici.
Dei 64 deputati cristiani al Parlamento, 37 sono stati eletti nelle file della maggioranza e 27 in quelle dell’opposizione. Un dato, questo, che non offre tuttavia un quadro esaustivo del l’umore cristiano. La comunità maronita, che conta da sola 34 deputati, si ritrova ancora, nella sua maggioranza, schie rata nel campo dell’opposizione: 19 contro 15, a differenza della comunità greco- ortodossa che ha optato chiaramente per la maggioranza con 12 seggi contro soli 2. Di conseguenza, il generale Aoun non potrà più affermare, come prima, di rappresentare il 70% dell’elettorato cri stiano, ma potrà comunque presentarsi come il maggior leader cristiano dopo che è riuscito, a sorpresa, a conservare tutti e 5 i seggi del Kesruan, il distretto maronita per eccellenza. Una buona le zione l’hanno comunque capita i leader musulmani dei diversi schieramenti, in particolare Jumblatt, ed è che non devo no più arrogarsi il “diritto” di seleziona re i deputati cristiani nelle zone miste. Entrambi hanno così “rinunciato” a qualche seggio a favore dei propri alleati del 14 marzo, Geagea e Gemayel e Chamoun. Sull’altro versante è avvenuto, ma in misura minore. Nabih Berri non se l’è così sentita di rinunciare d’un colpo ai “suoi” 3 seggi cristiani di Jezzin ed è sceso in campo contro il suo alleato Aoun, perdendoli tutti.
Il leader sunnita non ha però i numeri per governare e nemmeno accetta compromessi con il movimento sciita.
COMMENTO - Resta il «pluralismo» del voto cristiano
Al di là delle numerose pecche del sistema maggioritario, si potrebbe tuttavia affermare che la tornata e lettorale di domenica in Libano ha avuto il merito di indicare, dopo oltre tre decenni di elezioni farsa, il peso di cia scuna formazione politica.
Salta agli occhi l’eccezione (per non dire il travaglio) che stanno vivendo i partiti cristiani e che, volenti o nolenti, hanno dato alla competizione elettorale il suo consono tono pluralista. Mentre, infatti, la maggioranza dei sunniti si è ritrovata schierata dietro Saad Hariri oppure la coalizione del 14 marzo ( 24 dei 27 depu tati sunniti ne fanno parte), e quella scii ta compatta dietro il duo Amal- Hezbollah ( 24 dei 27 deputati sciiti fanno parte dell’opposizione), i cristiani hanno dimostrato ancora una volta la loro propensione a seguire diversi orientamenti politici.
Dei 64 deputati cristiani al Parlamento, 37 sono stati eletti nelle file della maggioranza e 27 in quelle dell’opposizione. Un dato, questo, che non offre tuttavia un quadro esaustivo del l’umore cristiano. La comunità maronita, che conta da sola 34 deputati, si ritrova ancora, nella sua maggioranza, schie rata nel campo dell’opposizione: 19 contro 15, a differenza della comunità greco- ortodossa che ha optato chiaramente per la maggioranza con 12 seggi contro soli 2. Di conseguenza, il generale Aoun non potrà più affermare, come prima, di rappresentare il 70% dell’elettorato cri stiano, ma potrà comunque presentarsi come il maggior leader cristiano dopo che è riuscito, a sorpresa, a conservare tutti e 5 i seggi del Kesruan, il distretto maronita per eccellenza. Una buona le zione l’hanno comunque capita i leader musulmani dei diversi schieramenti, in particolare Jumblatt, ed è che non devo no più arrogarsi il “diritto” di seleziona re i deputati cristiani nelle zone miste. Entrambi hanno così “rinunciato” a qualche seggio a favore dei propri alleati del 14 marzo, Geagea e Gemayel e Chamoun. Sull’altro versante è avvenuto, ma in misura minore. Nabih Berri non se l’è così sentita di rinunciare d’un colpo ai “suoi” 3 seggi cristiani di Jezzin ed è sceso in campo contro il suo alleato Aoun, perdendoli tutti.
Camille Eid
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