martedì 7 novembre 2006
Articoli su Chesterton
Da Tracce n° 8 del settembre 2005 - Mensile del movimento di Comunione e Liberazione
G.K. Chesterton
Il cristianesimo, una continua avventura
Stratford Caldecott
Uno studioso inglese propone la rilettura del pensiero di Chesterton alla luce dell’incontro con don Giussani. Entrambi vissero la fede come dono
Per alcuni anni mia moglie e io siamo stati soliti frequentare una Scuola di comunità di Boston, ed è stato così che abbiamo conosciuto gli scritti e l’influenza di don Giussani. In seguito ci siamo recati in Italia per gli Esercizi spirituali e siamo stati così fortunati da incontrarlo di persona. Per molti versi gli anni trascorsi nel movimento sono stati formativi per noi. Ci hanno dimostrato che la fede, quando è vissuta, dà origine a una cultura. Ci hanno mostrato come l’attuale sete di esperienza spirituale possa essere soddisfatta all’interno della Chiesa cattolica. Ci hanno introdotto alla teologia di Henri de Lubac e Hans Urs von Balthasar, che ha fornito la chiave per un’autentica interpretazione del Concilio Vaticano II. Grazie all’esperienza del movimento abbiamo sentito il bisogno di un giornale che esprimesse la bellezza della fede e le sue possibilità culturali, e lo abbiamo chiamato Second Spring (Seconda Primavera), da un famoso sermone tenuto da John Henry Newman nel 1852 che profetizzava una rinascita della Chiesa cattolica in Inghilterra.
Ci sono molti grandi scrittori citati da monsignor Giussani nei suoi scritti, e in particolare numerose affinità fra il suo pensiero e quello dei grandi apologeti inglesi seguaci di Newman, come G.K. Chesterton e C.S. Lewis nel XX secolo. Voglio qui soffermarmi sulla presenza di Chesterton negli scritti di Giussani, dal momento che il nostro lavoro sembra ruotare sempre più intorno a G.K. Chesterton. Prolifico e straordinario giornalista, romanziere, poeta e drammaturgo morto nel 1936, Chesterton rappresenta tuttora una grande speranza per la rinascita del cristianesimo, una rinascita proprio nello spirito di Comunione e Liberazione.
Primizia di umanità nuova
A mio avviso, il cuore del libro di Giussani Perché la Chiesa è questo brano: «Chi vive il mistero della comunità ecclesiale riceve un cambiamento della sua natura. […] Questa dovrebbe essere la curiosità dell’avventura cristiana, cioè del nascere e dello stabilirsi nel mondo di questa creaturalità nuova, “primizia” di un’umanità nuova. E non siamo chiamati ad annunciare solo a parole questa rigenerazione, siamo anzi invitati a un’esperienza». Abbiamo udito l’espressione biblica “primizia” così spesso, ma Giussani la rinnova prendendola sul serio. Il brano prosegue: «Immaginare che il cristianesimo possa ridursi ad affermazioni verbali - e una simile immaginazione può colpire chiunque, anche chi si reputa cristiano - significa ritrarsi da quel fascino di un’avventura unica, significa ritrarsi dal cristianesimo come vita» (L.Giussani, Perché la Chiesa, Milano 2003, pp. 240-241).
È la parola “avventura”, più di ogni altra, che avvicina Giussani a Chesterton, il quale sperimentò il cristianesimo nello stesso modo - come un’avventura continua. In un celebre brano tratto dal suo libro Ortodossia, Chesterton scrive di quanto sarebbe stato semplice per i cristiani perdersi in qualunque capriccio ed eresia, dallo gnosticismo alla Christian Science. «Taluni hanno preso la stupida abitudine di parlare dell’ortodossia come di qualche cosa di pesante, di monotono e di sicuro. Non c’è invece, niente di così pericoloso e di così eccitante come l’ortodossia: l’ortodossia è la saggezza, e l’esser saggi è più drammatico che l’esser pazzi; è l’equilibrio di un uomo dietro cavalli che corrono a precipizio, che pare si chini da una parte, si spenzoli da quell’altra, e pure, in ogni atteggiamento, conserva la grazia della statuaria e la precisione dell’aritmetica.
Come un cavallo da guerra
La Chiesa nei primi tempi fu superba e veloce come un cavallo da guerra; ma è assolutamente antistorico dire che essa seguì puramente il dirizzone di un’idea - come un volgare fanatismo. Essa deviò a destra e a sinistra con tanta esattezza da evitare enormi ostacoli; lasciò da un lato la grande mole dell’arianesimo, sostenuta da tutte le forze del mondo che volevano rendere il cristianesimo troppo mondano; un momento dopo doveva scansare l’orientalismo, che l’avrebbe troppo allontanato dal mondo. La Chiesa ortodossa non scelse mai le strade battute, né accettò i luoghi comuni; non fu mai rispettabile. Sarebbe stato facile accettare la potenza terrena degli ariani; sarebbe stato facile, nel calvinistico diciassettesimo secolo, cadere nel pozzo senza fondo della predestinazione. È facile esser pazzi; è facile essere eretici; è sempre facile lasciare che un’epoca si metta alla testa di qualche cosa, difficile è conservare la propria testa; è sempre facile essere modernisti, come è facile essere snob. Cadere in uno dei tanti trabocchetti dell’errore e dell’eccesso, che, da una moda all’altra, da una setta all’altra, sono stati aperti lungo il cammino storico del cristianesimo - questo sarebbe stato semplice. È sempre semplice cadere; c’è una infinità di angoli a cui si cade, ce n’è uno soltanto con cui si sta ritti. Perdersi in qualunque capriccio, dallo Gnosticismo alla Christian Science, sarebbe stato ovvio e banale. Ma averli evitati tutti è l’avventura che conturba; e nella mia visione il carro celeste vola sfolgorante attraverso i secoli, mentre le stolide eresie si contorcono prostrate, e l’augusta verità oscilla ma resta in piedi» (G.K. Chesterton, Ortodossia, Brescia 1966, pp. 138-139).
Sul palcoscenico trinitario
Chesterton, che come Giussani scrisse molto sul cristianesimo, non commise mai l’errore di ridurre la fede a una questione di “affermazioni verbali”. La fede è un dono, e potremmo perderlo in centinaia di modi se non preghiamo con il cuore, se non viviamo l’avventura. Essere in Cristo significa stare su un palcoscenico trinitario, prendere parte a quello che Von Balthasar ha definito un «teodramma». Troppo facilmente ci sediamo in disparte e osserviamo lo spettacolo da un comodo posto, «ritraendoci dal cristianesimo come vita».
Il senso di avventura, di vita e di fede come un dono continuo del quale dobbiamo essere grati, il senso di immensa riconoscenza per ogni respiro, ogni amico, ogni apparente incontro fortuito, permea la vita e le opere di Chesterton. Lo vediamo, per esempio, nella sua breve biografia di san Francesco d’Assisi, il santo che più si avvicinò a Cristo perché riuscì a sconvolgere il mondo. Verso la fine del libro, Chesterton sembra quasi riassumere la propria spiritualità scrivendo a proposito di san Francesco: «Egli fu soprattutto un gran donatore, che attuò il miglior modo di donare, detto “rendimento di grazie”. Se un altro grand’uomo (cardinale Newman) scrisse una grammatica dell’assenso, di Lui può dirsi benissimo che scrisse una grammatica di accettazione: una grammatica di gratitudine. Poiché comprese in tutta la sua profondità la teoria del ringraziare, e quella profondità è un abisso senza fondo. […] E conobbe ancora che noi possiamo meglio misurare il torreggiante miracolo del semplice fatto della nostra esistenza se riusciamo a constatare che se non fosse per una straordinaria grazia non saremmo esistiti» (G.K. Chesterton, San Francesco d’Assisi, Milano 1977, p. 153).
* Direttore del G.K. Chesterton
Institute for Faith & Culture in Gran Bretagna e dirige il giornale
Second Spring
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