mercoledì 15 luglio 2020

Il contributo di un giovane ricercatore su Chesterton, Tolkien ed immaginazione.

Chesterton, Tolkien e Lewis.
C'è una crescita di interesse verso il nostro Chesterton, questo è più che evidente come evidente è la sua stabilità e l'allargarsi del raggio degli argomenti in cui Chesterton viene scoperto attuale, ma c'è una altrettanto crescente ricerca anche verso coloro che furono in parte ispirati da lui. 

Negli anni ne abbiamo talvolta parlato (addirittura abbiamo scoperto chi sosteneva esistere una "scuola chestertoniana" dal punto di vista letterario, come pure abbiamo scoperto chi considera e considerava Chesterton un filosofo a tutti gli effetti), ma qui c'è un giovane ricercatore che ci offre un punto di vista circa il rapporto di Chesterton e Tolkien con l'immaginazione, volendo un campo sconfinato e denso di sviluppi.

Un'altra cosa da tenere in conto è l'aumento di lavori accademici su Chesterton. Uno dei nostri soci si è offerto di creare una specie di data base. Chi vuole può segnalarne.

Lo scopo di questa pubblicazione, che vorrebbe non essere la sola, è quello di suscitare un dibattito articolato ed ordinato. E' per questo che vi propongo questo lavoro.

Sarei lieto di vedere qualcuno replicare, dire di essere d'accordo o in disaccordo su questo o quell'aspetto. Ho piacere che le idee circolino perché le idee sono alla base di tutto. Vorrei che la Società facesse da volano per una rinascita del pensiero e della vita cristiana e della ragione.

Alessandro Pisani ha conseguito la laurea magistrale in Filosofia e Forme del Sapere all'Università di Pisa discutendo una tesi su Fenomenologia ed Esternalismo nell'anno accademico 2018. Ha pubblicato alcuni lavori di argomento filosofico. Si interessa a Chesterton e a Tolkien come vedete.

Dunque, ecco il suo lavoro, parliamo dei nostri eroi e delle nostre vedute su di essi. Per parlarne potete usare la nostra mail o commentare il post, penseremo noi al resto.

Grazie ad Alessandro, grazie a voi.


Marco Sermarini

____________________________________________

Il realismo del fantastico: Chesterton e Tolkien sull’immaginazione

di Alessandro Pisani

In Ortodossia, Chesterton affida al progetto di esporre ai suoi lettori la propria visione del mondo la speranza di ricondurre alla salute l’uomo moderno. In entusiastici slanci teorici, la chiarificazione di quello che appare come il sano misticismo dell’uomo comune passa per la distinzione fra strumenti e facoltà spirituali: «Poetry is sane because it floats easily in an infinite sea; reason seeks to cross the infinite sea, and so make it finite» (Orthodoxy, p. 26). La ragione contro cui si scaglia Chesterton assume spesso l’aspetto di un brutale intelletto calcolatore, che mira ad uniformare il reale sotto la logica di un’unica legge: lasciata a sé stessa, conduce alla pazzia. Ad essa si contrappone una visione dell’attività artistica come radicata nel senso comune, lontanissima dal trito ritratto del poeta lunatico e privo di qualsivoglia dote pratica.
In quest’ottica l’immaginazione fa il suo ingresso come facoltà in grado di restituire una corretta visione delle cose. L’idea che l’immaginazione costituisca la porta per il regno dell’assenza delle leggi e che sotto questo profilo meriti di essere presa in esame per contrapporla alla percezione è tipica della tradizione dell’empirismo britannico, e anche Chesterton sembra dapprima non esserne del tutto estraneo: la trasmutazione degli attributi delle cose comuni in modo da renderli artefatti incredibili è un gioco in cui sembra necessario in un primo momento disinteressarsi del problema della verità e della realtà.
Eppure la visione di Chesterton si apre su prospettive più profonde, benché mai presentate sistematicamente:


The prime function of imagination is to see our whole orderly system of life as a pile of stratified revolutions. In spite of all revolutionaries it must be said that the function of imagination is not to make strange things settled, so much as to make settled things strange; not so much to make wonders facts as to make facts wonders. (The defendant, p. 43)


La variazione immaginativa della cosa in vista di una trasformazione dei suoi attributi non è che il primo passo per un uso più critico di questa facoltà: lo straniamento prodotto da questa operazione è quanto serve per riappropriarci della possibilità di vedere quelle cose che la familiarità e l’uso ci avevano reso opache. In tal senso, il lavoro dell’immaginazione si svolge al servizio della percezione: non si tratta di un’esaltazione delle capacità creative dell’uomo, ma di riattivare la sua dimensione ricettiva, recuperare uno sguardo innocente e bambinesco sul reale, consentendo a questo di tornare a causarci stupore; qui una prima connessione della tematica dell’immaginazione con quella delle fairy-tales: «These tales say that apples were golden only to refresh the forgotten moment when we found that they were green» (Orthodoxy, p. 94).
È proprio perché la mela avrebbe potuto non essere verde che il suo colore ci appare adesso più brillante. Se, non dissimilmente da Hume, Chesterton nega che la realtà fisica possa presentare leggi che non siano mere ripetizioni – e dunque in questo non riesce ad affrancarsi da un approccio filosofico tipico della modernità – nondimeno riesce a riorientare questa prospettiva epistemologica in chiave realista tramite il recupero di uno sguardo sulla pienezza della cosa, esaltandone gli attributi particolari. Il cosmo chestertoniano è romantico nella sua frugalità: richiede che si riconosca il posto e la funzione di ogni cosa, e di questo fa la sua bellezza. Egli paragona il mondo nella sua interezza al carico di oggetti che si salvano dal naufragio di cui è vittima Robinson Crusoe; la lista delle stelle e dei pianeti diventa il carico prezioso dell’essere che abbiamo tratto in salvo dal mare del possibile: è fondamentale che nient’altro venga perduto.
Recuperare la pienezza percettiva del bambino è compito dell’adulto che ora può articolare il suo stupore. Qui l’immaginazione arriva ad acquisire un senso teologico, perché Chesterton ci propone di figurarci Dio stesso nei termini di un bambino entusiasta dello spettacolo del reale, mai sazio della scena già ripetuta infinite volte.


A child kicks his legs rhythmically through excess, not absence, of life. Because children have abounding vitality, because they are in spirit fierce and free, therefore they want things repeated and unchanged. They always say, "Do it again"; and the grown-up person does it again until he is nearly dead. For grown-up people are not strong enough to exult in monotony. But perhaps God is strong enough to exult in monotony. It is possible that God says every morning, "Do it again" to the sun; and every evening, "Do it again" to the moon. It may not be automatic necessity that makes all daisies alike; it may be that God makes every daisy separately, but has never got tired of making them. It may be that He has the eternal appetite of infancy; for we have sinned and grown old, and our Father is younger than we. The repetition in Nature may not be a mere recurrence; it may be a theatrical encore (Orthodoxy, pp. 106-107)


Tolkien riprende molti dei tratti dell’immaginazione chestertoniana durante la lezione tenuta a St. Andrews nel 1939 e poi rielaborata sotto il titolo di On Fairy-Stories. La volontà di difendere la dignità di questo genere letterario come frutto di esigenze umane e non solo destinato ad un pubblico di bambini è lo spunto per fornirci uno scorcio della sua comprensione dell’attività artistica, nella sua relazione con la forza immaginativa.
Anche qui l’immaginazione figura come facoltà i cui prodotti non vanno contrapposti allo sguardo sulla realtà: Tolkien riprende lo scherzoso concetto chestertoniano di mooreeffoc – l’effetto di straniamento riorientante sulla cosa, ottenuto leggendo casualmente al contrario la scritta coffee-room su di una porta a vetri da parte di un personaggio dickensiano – con i medesimi intenti del suo autore. 


By the forging of Gram cold iron was revealed; by the making of Pegasus horses were ennobled; in the Trees of the Sun and Moon root and stock, flower and fruit are manifested in glory (The monsters and the critics and other essays, p. 147)


L’uso dell’immaginazione viene qui accostato direttamente a quell’elemento che così ampiamente popola le creazioni di questa stessa facoltà: la magia. L’immaginazione come potere quasi-soprannaturale è infatti ciò che ci permette di scindere una cosa dal suo attributo e di pensarne isolatamente gli aggettivi: questa straordinaria capacità umana è il presupposto per poter rimescolare le qualità caratterizzanti degli oggetti in modo diverso da come si presentano nella realtà.


The human mind, endowed with the powers of generalisation and abstraction, sees not only green-grass, discriminating it from other things (and finding it fair to look upon), but sees that it is green as well as being grass. (The monsters and the critics and other essays, p. 122)


The mind that thought of light, heavy, grey, yellow, still, swift, also conceived of magic that would make heavy things light and able to fly, turn grey lead into yellow gold, and the still rock into swift water (ibid)


In questa fenomenologia dell’immaginazione, la capacità di scindere una sostanza dalla sua nota essenziale è il primo passo per disporre dei materiali che la realtà ci offre e farne altro. Ma condurre con successo questa ulteriore operazione spetta all’arte, e solo in uno nuovo senso – stavolta definito come termine tecnico – si può parlare ancora di immaginazione rispetto al lavoro che compie colui che si impegna a costruire un mondo ulteriore rispetto a quello primario: è l’arte che media fra l’immaginazione e il risultato, lavorando per conferire al prodotto una nuova realtà. Si tratta qui di infondere realtà nell’ideale, sapienza artigiana che Tolkien riserva al fabbricante di fairy-stories.
Da questa congiunzione di visioni fra Tolkien e Chesterton rispetto al tema dell’immaginazione sembra derivare un quadro teorico preciso: l’immaginazione appare come facoltà legata non semplicemente all’esaltazione delle possibilità creative dell’uomo, ma sono semmai queste ultime a dare rinnovato splendore alla realtà di cui si servono, rielaborandola. Una facoltà capace di farci riacquisire la salute, permettendoci di tornare a «vedere le cose come siamo supposti vederle» (The monsters and the critics and other essays, p. 146)
A questo punto sembra affiorare una possibile obbiezione: dove si colloca, in questa prospettiva, lo stimolo rivoluzionario, la possibilità di pensare uno scarto rispetto alla realtà?
Dinnanzi ad un reale che sembriamo supposti dover meramente accettare, la capacità tolkeniana di creare mondi alternativi sembra consentirci una mera via di fuga: il fantastico sembra costituire il luogo della diserzione rispetto a quella realtà cui pure paga pegno. Questo pare il rischio di un simile “realismo”. Eppure, si può sostenere che non sia questa la conseguenza ultima di questo approccio.
La risposta sta nell’inquadrare adeguatamente il momento di ritorno dal fantasticato al reale: nella nuova innocenza con cui osserviamo la cosa non è implicata una sua mera accettazione, ma anche la riacquisita capacità di distinguere fra ciò che è sano e ciò che è malato, di capire qual è la vera realtà nel cumulo di cose che finora abbiamo impropriamente chiamato reali. Il nuovo sguardo si arricchisce della capacità di giudicare l’esser reale o meno della realtà che ci si trova di fronte: per far questo non basta l’immaginazione, ma si deve esser passati attraverso la fiaba.
Il mondo alternativo, in cui pure possiamo fuggire, diventa ben presto noioso se privo delle medesime battaglie che possiamo combattere nella realtà: ciò non lo rende simile ad un’allegoria, ma vivendo in esso ci è consentito di osservare il dipanarsi di un nucleo comune allo stesso mondo con cui ci confrontiamo costantemente, ed è a partire da qui che a guardar bene ci vengono descritte possibilità d’azione per difendere ciò che a questo punto ci appare come degno di essere salvato. Lo sguardo del bambino è certamente quanto dobbiamo guadagnare, ma solo perché la sua innocenza è la condizione favorevole per accettare di compiere quelle decisioni che portano a crescere.


Children are meant to grow up, and not to become Peter Pans. Not to lose innocence and wonder; but to proceed on the appointed journey: that journey upon which it is certainly not better to travel hopefully than to arrive, though we must travel hopefully if we are to arrive (The monsters and the critics and other essays, p. 137)


Se nella visione orribile del mostro, comune a tutti i bambini, l’immaginazione non fa che concederci un primo accesso al mondo dell’anima, nella fairy-story come prodotto del suo uso sapiente, ci è fornita anche la visione di una possibilità d’azione su quel reale ormai riconosciuto:


fairy tales do not give the child the idea of the evil or the ugly ; that is in the child already, because it is in the world already. Fairy tales do not give a child his first idea of bogey. What fairy tales give the child is his first clear idea of the possible defeat of bogey. The baby has known the dragon intimately ever since he had an imagination. What the fairy tale provides for him is a St. George to kill the dragon. (Tremendous Trifles, p. 102)


Dal mondo del fantastico torniamo carichi di un tesoro ulteriore rispetto al rinnovato sguardo sulla realtà: la mappa del mondo si è arricchita della nostra posizione. Siamo più vicini a capire che cosa sia giusto fare.

_________

Riferimenti bibliografici:

G. K. CHESTERTONThe defendant, R Brimley Johnson, London 1901;
G. K. C
HESTERTONOrthodoxy, William Clowes and sons, London 1909;
G. K. C
HESTERTONThe Red Angel in Tremendous Trifles, Meuthen & Co., London 1909;
J. R. R. TOLKIENOn fairy-stories, in The monsters and the critics and other essays, George Allen & Unwin, London 1983 (prima pubblicazione 1947)

2 commenti:

Alessandro Pisani ha detto...

Il penultimo paragrafo (A questo punto sembra affiorare una possibile obbiezione: dove si colloca, in questa prospettiva, lo stimolo rivoluzionario, la possibilità di pensare uno scarto rispetto alla realtà?) dovrebbe trovarsi dopo il paragrafo che finisce con la citazione «vedere le cose come siamo supposti vederle» da Tolkien. Refuso per l'impaginazione online.
Scusate la pedanteria.

L'Uomo Vivo ha detto...

Adesso dovrebbe essere tutto a posto. Se una cosa vale la pena di farla, vale la pena di farla male, diceva Chesterton, e noi siamo espertissimi...!